I
L MONDO IN CUI VIVIAMO SEMBRA SIA CARATTERIZZATO DALL’
OMOGENEITÀ DEI SAPERI,
SOPRATTUTTO TECNICI E SCIENTIFICI,
MA NEL MOMENTO IN CUI CI SI ACCOSTA ALLA REALTÀ EMERGE UNA VISIONE DIVERSA.
L’
AUTORE DEL CONTRIBUTO HA VISSUTO A LUNGO IN ORIENTE E PROPONE UNA RIFLESSIONE SUGGESTIVA:
SPOSTARE L
’
ATTENZIONE VERSOO
RIENTE,
CON UN PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE RELIGIONI E ALLA SCIENZA ED È IN QUESTA OTTICA CHE LEGGE I TRATTI CARATTERISTICI DELL’
INDUISMO.
Nuova Secondaria - n. 8 2013 - Anno XXX
P
ERCORSI DIDATTICIShakti e Ganesh. al vertice di tutta la realtà lo
legittime-rebbe come dominatore e quindi mani-polatore del creato.
Questa valutazione delle cose ha prodot-to come conseguenza che la preminenza e l’assoluta diversità ontologica della vita specificamente umana presente e futura (antropocentrismo) rispetto ad ogni altra forma di vita viene oggi contestata anche in Occidente da un certo atteggia-mento panvitalistico (biocentrismo) per cui tutto è vita e quindi non avrebbe sen-so discriminare tra la vita umana e quella di un insetto (vita animale) o an-che di un albero (vita vegetale); ultima-mente poi addirittura la salvaguardia dell’ambiente, o più precisamente delle specie e degli ecosistemi (ecocentrismo), ha avuto il sopravvento sulla tutela della vita, anche di quella specificamente umana. Inoltre è stato dichiarato che se il Cristianesimo vuole il merito d’avere desacralizzato il mondo, favorendo lo studio delle sue leggi e l’uso delle sue ri-sorse a beneficio dell’uomo, e quindi an-che il merito della nascita della scienza e della tecnologia moderne, allora gli si può anche imputare la responsabilità d’aver prodotto quel disincanto della na-tura che ha consentito lo sfruttamento delle risorse naturali e un incontrollato sviluppo demografico.
A questo riguardo sono tornate in auge le filosofie e le religioni orientali: parlan-do in generale, esse infatti concepiscono la realtà come permeata da un grande spirito vitale variamente presente ed estrinsecantesi nei vari esseri; inoltre tro-vano nell’incontro sia fisico che psichico e spirituale con la natura (tale convin-zione è alla base della funconvin-zione catartica, sanatrice e rinnovatrice dei luoghi sacri e dei pellegrinaggi verso di essi) un modo di superare l’alienazione dal fon-damento divino di ogni essere; di con-seguenza, si pensa che le religioni del mondo orientale o comunque antico contengano nei loro sistemi di miti e di
credenze la sapienza necessaria per risol-vere le crisi ambientali e spirituali anche del mondo contemporaneo.
D’altronde ci sembra possibile sostenere, in linea di massima, che il Cristianesimo ha riconosciuto al cosmo una mondanità relativa, cioè creaturale (in quanto opera e dono di un Dio pluri-personale), e una finalizzazione intermedia (non ultima e definitiva, che è solo divina) di chiaro stampo antropologico, che hanno con-sentito l’insorgere e il diffondersi di una mentalità tipicamente scientifico-tecnica. In questa direzione è pur dove-roso riconoscere che v’è stata in Occi-dente un’effettiva opposizione agli eccessi d’incontrollato dominio fintantoché e solo perché risultavano dannosi per l’uomo.
Al presente - tenendo presenti sia l’Oc-cidente che l’Oriente - si tratterebbe dunque di verificare se l’esistenza di fatto di una ecocentrismo di etiche della vita e
dell’ambiente nelle diverse culture apra o
chiuda alla possibilità in linea di prin-cipio di elaborare delle concezioni etiche universali, che trascendano la diversità tra le culture oltre alle diversità all’inter-no delle singole culture.
La difesa e la promozione dell’ambiente, della vita e dell’uomo non sono mono-polio di nessuno, ma compito e respon-sabilità di tutti.
Induismo
In primo luogo è opportuno precisare che l’Induismo non si presenta, propria-mente parlando, come una precisa e
spe-Nuova Secondaria - n. 8 2013 - Anno XXX
80
cifica religione, ma configura una tra-dizione esperienziale e culturale che riguarda praticamente tutti gli aspetti e le componenti della vicenda umana: quindi sia quelli religiosi che quelli scientifici, filosofici, artistici, ecc. Ma ovviamente noi qui considereremo solamente ciò che secondo il nostro pun-to di vista contribuisce ad una chiarifi-cazione del tema dei rapporti tra con-cezioni a valenza scientifica ed espres-sioni tipicamente religiose. In secondo luogo ci sembra legittimo riconoscere che l’Induismo sembra costituire, nella sua configurazione e articolazione ori-ginaria, come un sostrato culturale di tutto il continente euroasiatico. L’Induismo è infatti la religione
tradizio-nale dell’India; ma è anche presente in
Nepal, Bangladesh, Birmania, Cambogia, Indonesia, Malesia, ecc.
Oltre a ciò, si può in effetti evidenziare la pervasività dell’Induismo un po’ in tutte le tradizioni culturali e le religioni
che sin dall’antichità sono comparse nel-l’ambito dell’intero nostro continente euroasiatico.
Ad ogni modo, il termine italiano «in-duismo», connesso ovviamente con il nome dell’India, trova il suo antecedente etimologico nella parola persiana hindu, che originariamente veniva utilizzata per indicare il fiume noto in Occidente come Indo o Indi, per cui già dal V se-colo a.C. il termine «indù» indicava per estensione gli abitanti della terra dell’In-do, e quindi dell’intero subcontinente indiano.
In seguito per l’Islam la parola acquisì una connotazione religiosa, in riferi-mento agli abitanti non mussulmani di quelle terre; in questo stesso senso la lin-gua italiana definisce «indù» i selin-guaci della religione più antica dell’India, presentati invece dalla tradizione locale come «coloro che credono nei Veda» o come «coloro che seguono la legge (dharma)».
Si tenga presente, a questo riguardo, che dal punto di vista induista noi occiden-tali non siamo altro che degli indù che non sanno di esserlo, ma che lo diven-teranno, se praticheranno nel mondo la virtù e non percorreranno le vie dell’er-rore, del vizio e del peccato; in un futuro più o meno lontano, forse fra qualche migliaio di vite terrene, potremo rinascere sul suolo sacro dell’India (l’In-duismo è una religione etnica: si è indù per nascita, non per scelta) e solo allora potremo percorrere il nostro itinerario verso il definitivo incontro coll’assoluto ineffabile, prendendo consapevolezza della nostra identità con una realtà unica e indefinibile.
I non-hindu, fra i quali come s’è detto siamo anche noi occidentali, sono assi-milati ai fuori-casta (avarna) o paria; te-nendo poi presente che, mentre i varna o categorie sociali sono tradizionalmente solo quattro in tutta l’India (sacerdoti e principi, guerrieri, produttori del red-dito, addetti ai servizi), invece le jati o caste sono numerosissime, differenziate su base occupazionale.
L’Induismo non ha avuto fondatori ed ancora oggi non ha un gruppo di auto-rità centrali, né una gerarchia.
Inoltre l’Induismo non possiede una sua dimensione propriamente teologica, seppur caratterizzata da una molteplicità di figure divine; ma conosce ed ammette una pluralità di atteggiamenti devozio-nali, consentiti appunto dall’assenza di un indirizzo dottrinale uniforme para-gonabile a un credo convenzionale. Si può inoltre dire che l’Induismo può anche essere inteso come una religione nella quale le molte divinità convivono sia con l’idea di un Dio assoluto conce-pito in termini personali sia con la concezione di un Sacro impersonale on-nipervadente.
Infine l’Induismo, secondo i suoi stessi seguaci, è concepibile come un insieme o un fascio di religioni, perché amalgama Mausoleo
induista, Dhaki, India.
Nuova Secondaria - n. 8 2013 - Anno XXX
P
ERCORSI DIDATTICI una pluralità di concezioni e credenzereligiose, scuole dottrinali, sette e culti svariati, spesso antitetici.