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Teatro d’inganno e d’auto-inganno (1) Filippo Brunello

Nel documento 8 Nuova Secondaria (pagine 111-114)

P

RIMA PARTE DI UN APPROFONDIMENTO SULLA CELEBRE TRAGEDIA DI

S

HAKESPEARE

:

SI ANALIZZANO

,

IN PARTICOLARE

,

LE FONTI DA CUI IL TRAGEDIOGRAFO PUÒ AVER TRATTO ISPIRAZIONE E I TEMI DELLA CECITÀ E DELLA VANITÀ CHE CARATTERIZZANO IL PROTAGONISTA

.

1. Othello, edited by E.A.J. Honigmann, The Arden

Sha-kespeare, London 1997, pp. 344-350. Le citazioni

del-l’Otello sono tratte da questa edizione critica.

2. G. Melchiori, Shakespeare: politica e contesto

econo-mico, Bulzoni Editore, Roma 1992.

3. Principalmente nella minaccia turca alla veneziana

Cipro. I turchi conquistano Cipro negli anni 1570-73, e, sebbene sconfitti nella Battaglia di Lepanto (1571), do-mineranno in seguito il Mediterraneo orientale, mentre per Venezia la perdita di Cipro segnerà il suo declino. Nel 1600, comunque, Londra considerava Venezia una importante rivale commerciale, mentre altrettanto dif-fusa era la sua fama di capitale della tolleranza sessuale.

Theodore Chasseriau (1819-1856),

Otello e Desdemona a Venezia.

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francese di G. Chappuys, pubblicata nel 1583, ma non si esclude che avesse letto la versione originale italiana o una traduzione inglese andata perduta. Tra le opere individuate come possibili fonti secondarie vale la pena ricordare la traduzione di John Pory della

Descrit-tione de l’Africa di Giovanni Leone

Africano (A Geographical History of

Africa, 1600), nella cui dedica Pory fa

ri-ferimento alla presenza dell’ambascia-tore del re del Marocco a Londra. Un famoso quadro del 1600 che ritrae quest’ultimo, quarantaduenne dallo sguardo intenso e aristocratico, è ritenu-to possibile suggestione per la creazione dell’Otello shakespeariano4.

In quest’opera Leone descrive il carattere dei Mori, rimarcandone l’onestà, l’orgo-glio e la credulità. Essi sarebbero straor-dinariamente soggetti alla gelosia. I grandi viaggi di Leone, i costumi e le usanze esotiche, potrebbero aver fornito a Shakespeare elementi di ispirazione per l’enfatica narrazione di Otello del pro-prio passato avventuroso e spunti per i riferimenti alle sue credenze magiche (il fazzoletto). Sempre a proposito delle sue gesta eroiche ed esotiche, la traduzione (1601) di Philemon Holland della

Na-turalis Historia di Plinio potrebbe aver

ispirato i riferimenti agli antropofagi, agli oggetti preziosi, piante e frutta esotici, e la similitudine del “Pontic Sea”. La struttura del potere a Venezia e delle sue classi sociali sono probabilmente do-vute alla lettura di una terza traduzione, in gran parte tratta dal testo latino del Cardinal Contarini, pubblicata con il ti-tolo The Commonwealth and

Gover-nment of Venice, di Sir Lewis Lewkenor

(1599). L’idea di Venezia come legame dell’Europa con il Nord Africa e l’Orien-te, come baluardo contro i turchi, rivale commerciale e capitale del piacere e della tolleranza sessuale, poteva provenire da più fonti e veniva data per scontata al tempo di Shakespeare, il quale le

at-tribuisce anche la dimensione di

spec-chio mediterraneo delle vicende

politi-che e sociali di Londra. La licenziosità dei costumi sessuali delle donne veneziane era argomento risaputo; viste dal punto di vista di uno straniero, mogli e corti-giane veneziane si vestivano e si compor-tavano allo stesso modo.

Shakespeare sa abilmente sfruttare l’aspetto della differenza culturale ed et-nica, destinato a diventare, nella storia della critica, uno degli elementi chiave nell’analisi dell’opera.

Otello è debitore di Cinzio per l’intreccio,

per i motivi del “vedere”, della razza (o piuttosto, dell’etnicità)5, della reticenza di Iago (fattore chiave della sua strategia seduttiva) e del fazzoletto (“pannicello da naso”). Shakespeare nomina tutti i personaggi (a parte Desdemona, “Disde-mona” in Cinzio, unico personaggio già

Carl L.F. Becker (1820-1900),

Otello racconta le sue avventure a Desdemona.

col nome proprio); aggiunge Roderigo, Brabanzio, il presunto “sogno di Cassio”; rimodella Otello e Iago, dà inedita complessità al personaggio di Emilia. Crea suspense attraverso la strategia psico-linguistico-manipolatoria di Iago. L’epilogo shakespeariano risulta, rispetto al racconto italiano, da una parte – ap-parentemente – semplificato (in Cinzio le punizioni del Moro e dell’Alfiere ap-paiono un po’ sfilacciate), dall’altra ricco di pathos, e, a guardare bene, doppiamente tragico, in quanto Otello muore sì riconoscendo la propria colpa, ma senza aver sostanzialmente capito se stesso e le ragioni che lo hanno spinto all’uxoricidio. Senza vera catarsi.

Othello, o della cecità

Nel confronto tra l’Otello di Shakespeare e la fonte principale si può notare come

4. Queste le informazioni che si ricavano dal dipinto di

autore anonimo: ‘Abdul Guahid’; ‘Legatvs Regis Barba-riae in Angliam’; ‘Aetatis: 42’. Come rappresentante del re del Marocco arriva in Inghilterra, assieme agli altri membri dell’ambasciata, l’8 agosto 1600 e ne ripartirà nel gennaio o febbraio 1601. Durante la stagione inver-nale 1600-1601 i “Chamberlain’s Men”, la compagnia della quale Shakespeare era attore e socio, recitarono a corte. Secondo Honigmann è qui che il tragediografo può aver incontrato i ‘barbarians’. Shakespeare, comun-que, aveva già introdotto nei suoi plays il personaggio del ‘Moor’: nel Tito Andronico (1594) con il machiavellico

Aronne, e nel Mercante di Venezia (1596) con il Principe del Marocco.

5. S. Bassi, in Le metamorfosi di Otello. Storia di un’etnicità

immaginaria (Edizioni B.A. Graphis, Bari 2000, p. 7),

pro-pone un affrancamento dall’idea di razza: «Dove la ‘razza’ […] non riesce a liberarsi dalla sua ossessione biologica, l’etnicità dimostra che la nostra percezione della diffe-renza dipende da un’invenzione culturale più che da quella manciata di geni che determina il nostro aspetto fisico. E dove l’‘alterità’ si limita a prendere atto che x è di-verso dalla norma y, l’‘etnicità’ analizza la forma specifica di x».

la sua caduta non è determinata, come nella tragedia greca, dal Fato o da una colpa familiare e collettiva che gli dei in-tendono punire; in un mondo senza dei com’è quello in cui questi eroi si aggira-no, la loro colpa nasce dal loro non vedere il mondo, dalla loro incapacità o dal loro rifiuto di conoscerlo»7.

Il critico nota come Otello «si muove in Venezia senza nulla vedere veramente: non vede così la propria condizione di diverso […]. Non vede l’uso che Venezia […] fa di lui, la prigione in cui lo tiene. […] E soprattutto non vede l’inganno

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il Bardo tenda ad aprire e lasciare inso-luto ciò che Cinzio chiude e risolve in una trama dal preciso intento morale6, dando così vita a un’opera complessa, pregna di rimandi e simmetrie parados-sali, che mantiene il suo fascino inquie-tante proprio perché non offre soluzioni certe e consolatorie.

In questo senso Otello può essere inter-pretato come itinerario allegorico e pedagogico verso una verità oggettiva e incontrovertibile, disorientante parabola sulla potenzialità ingannatrice della parola e sui pericoli ai quali ci espone una visione della realtà ristretta e sog-gettiva. Le vicende dell’Otello inducono a cercare una condizione in cui parole e fatti possano comunicare un’unica re-altà, l’uomo possa squarciare il velo delle apparenze e la comunicazione non si

trasformi in arte seduttiva e mistifica-toria, che genera caos.

Otello quindi come parabola della cecità

primigenia e strutturale dell’uomo, ri-flessione sulla sua limitatezza – fonte di ironia tragica – e sulla capacità manipo-latoria del linguaggio; in sintesi, vicenda emblematica per percorrere un itinera-rio di ricerca del vero.

In un saggio intitolato L’eroe tragico

mo-derno, Lombardo si sofferma a lungo sul

tema della “cecità” sostenendo che in Shakespeare «l’eroe cade perché non sa leggere e dunque conoscere il mondo:

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

Otello e Iago in un’illustrazione tratta da Charles and Mary Lamb, Tales from

Shakespeare, Henry

Altemus Company, Philadelphia 1901.

6. Sinteticamente la morale in Cinzio è così espressa

da Desdemona: «…da me le donne italiane imparino di non si accompagnare con un uomo, cui la natura, e il Cielo, e il modo della vita disgiunge da noi» (A. Ser-pieri, Otello: l’eros negato, Liguori Editore, Napoli 2003, p. 218). Questo intento moralizzatore verrà non a caso esaltato in un articolo della rivista fascista «La difesa

della razza» (Una interpretazione razzista dell’Otello, 20 ottobre XVIII [1940]): Otello non può «colmare l’abisso che lo separa da un mondo non suo. […] Il barbaro e l’uomo civile non diventeranno mai in lui la stessa per-sona», p. 33.

7. A. Lombardo L’eroe tragico moderno. Faust, Amleto,

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intessuto da Iago e di cui il pubblico è invece pienamente consapevole – deve esserlo affinché la ‘cecità’ di Otello acqui-sti la sua tragicità8. […]

È questa cecità, questa incapacità a di-stinguere il vero dal falso, l’apparenza dalla realtà, che porta Otello alla follia (e la disgregazione del suo linguaggio ne è drammatica testimonianza) e poi al delitto»9. Analogamente Serpieri insiste sul motivo del “vedere” e sulla sua illu-sorietà, complici l’introiezione e la

pro-iezione: «Questo paradigma del vedere

percorre tutta l’opera: Desdemona ha

vi-sto cosa è veramente Otello, il nero, il

barbaro, entrando nella sua mente; Iago ha fatto vedere a Brabanzio, con l’uso del-la ipotiposi, del-la copudel-la bestiale cui è sot-toposta la figlia, e soprattutto ha visto lui stesso da voyeur una ossessiva sconcezza della sessualità e ha contagiato Otello che a sua volta comincia a vedere le stesse oscenità nella sua immaginazione»10. La cecità del Moro, che assume prima-riamente la forma di una eccessiva e rei-terata fiducia nell’honest Iago, potrebbe essere addirittura “fisica”. Le ripetute sol-lecitazioni a vedere da parte del suo al-fiere, il suo stesso impellente desiderio di ottenere una ocular proof alludereb-bero alla sua “impaired vision”, a una “unacknowledged infirmity”: «Shake-speare seems to suggest that Othello sees less clearly than Iago, that he depends on Iago’s eyes»11.

Il motivo del “vedere” è già abbondan-temente presente nella novella di Cinzio. Per esempio, quando l’alfiere, rivolgen-dosi al Moro, insinua che Disdemona è “come colei a cui è venuta a noia questa vostra nerezza”, e continua: “se la donna col mostrar d’amarvi, vi ha così

appan-nati gli occhi, che non abbiate veduto quel che veder dovevate, non è mica per ciò che io non vi dica il vero”. […] Al che il Moro replica cupo: “Se non mi fai, – disse – veder cogli occhi quello che detto mi hai…”12. In Shakespeare l’elusività dell’“ocular proof” si sommerà alle altre pseudo-prove, e mille prove spurie agli

occhi di Otello diverranno certezza.

Quella certezza che, direbbe Nietzsche, toglie al mondo il suo aspetto pauroso. Il vedere, o meglio l’incapacità di vedere in Otello, come in Amleto e Re Lear, di-venta paradigma della condizione tragica dell’uomo moderno, artefice e vittima dei propri inganni.

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