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2.2 Donne che migrano: la femminilizzazione della migrazione e vulnerabilità

2.2.4 Donne migranti irregolari

Il migrante irregolare è colui che si è sottratto ai controlli di frontiera entrando irregolarmente nel territorio di uno stato oppure è arrivato nel Paese regolarmente, seguendo le procedure amministrative per il rilascio del visto, ma per vari motivi come la scadenza del permesso di soggiorno oppure il venir meno le condizioni per il rinnovo o il rilascio dello stesso, non ha più un valido titolo di soggiorno.

Nel primo caso, il migrante irregolare non è mai stato in possesso di un permesso di soggiorno, nel secondo caso invece “lo straniero transita da una condizione di regolarità e di perfetta legittimità della propria permanenza ad una di irregolarità, che determina la perdita di molti benefici che discendono dalla titolarità del permesso di soggiorno”.97

Nel rapporto tra immigrazione e lavoro, come si è scritto precedentemente, l’economia informale gioca un ruolo determinante.

Frequentemente i migranti, in particolar modo le donne, vengono collocati nel mercato dell’economia domestica in occupazioni “scarsamente protette dai sindacati e spesso sommerse, ossia in quella fascia secondaria del mercato del lavoro, fatta di attività eluse dal sistema delle garanzie, il cosiddetto lavoro nero”.98

Per queste donne ottenere un permesso di soggiorno senza avere un lavoro regolare è impossibile.

97A cura di Savino, “La crisi migratoria tra Italia e Unione Europea”, Editoriale Scientifica, 2017, p.

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Qualora le migranti irregolari fossero vittime di maltrattamenti, uscire dalla spirale della violenza viene reso ancora più difficile rispetto alle altre donne in ragione della loro paura di essere espulse o della detenzione amministrativa.

Sugli obblighi di garantire i diritti fondamentali sembra prevalere il desiderio di repressione dell’immigrazione clandestina pertanto subito dopo che la donna sporge querela viene avviata la procedura di espulsione ed eventualmente il trattenimento presso i Centri di permanenza per il rimpatrio.

Le autorità statali, come sancito dal diritto internazionale, avrebbero l’obbligo di “Assicurare adeguata protezione e assistenza alle donne che hanno subito o sono a rischio di subire violenza di genere, anche attraverso l’adempimento di obblighi informativi sugli strumenti che prevede la legge, tra cui il permesso di soggiorno (Ex art. 18-bis D.lgs. 286/1998)”99

Ma tale obbligo sembra andare in secondo piano rispetto al mito della sicurezza. Pertanto uscire dalla violenza è un percorso difficile per tutte le donne ma in questo caso, per le migranti irregolari, gli ostacoli, oltre che psicologici, sono anche di natura giuridica.

Per quanto concerne la detenzione delle donne migranti presso i Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) è stata realizzata una ricerca, rivolta alle donne, in cui vengono analizzate come le esperienze di migrazione e di confinamento amministrativo vengano influenzate dall’essere di genere femminile.

In primo luogo, dalla ricerca si rileva che le difficoltà che le donne migranti vivono nei CIE sono più che altro inascoltate.

Sono rari gli studi in merito alle esperienze di queste donne e questo viene inscritto nel “più ampio processo storico di esclusione delle donne dal processo di produzione della conoscenza attuato attraverso il silenziamento delle nostre voci e l’invisibilizzazione delle nostre esperienze”.100

99Esposito F., “Donne migranti, voci dal CIE”, In Ingenere. Dati, politiche, questioni di genere,

Dicembre 2016. Consultabile all’indirizzo http://www.ingenere.it/articoli/donne-migranti-voci- dal-cie (Consultato il 20/12/2018)

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Ciò che emerge nella suddetta ricerca, attraverso il lavoro sul campo della Dottoressa Esposito F. nei CIE di Roma, è “la natura razzializzata e genderizzata”101 delle esperienze delle donne e della violenza cui le stesse sono esposte.

La ricerca conferma quanto già scritto sopra, ovvero che le migranti irregolari non hanno denunciato una eventuale violenza di genere compiuta ai loro danni per il timore, in quanto irregolari, di essere deportate nel loro paese di origine, nel quale spesso potrebbero subire ulteriore violenza.

Pertanto il loro status di migrante diventa un fattore di vulnerabilità che datori di lavoro o partner sfruttano per affermare il proprio potere, perpetuando abusi, violenze. Le traiettorie di vita di queste donne sono così influenzati dal loro genere, e

“Questo incide anche sulle pratiche e sulle istituzioni coinvolte nel processo di controllo e gestione della loro migrazione. Istituzioni queste ultime che, come nel caso dei centri di detenzione, contribuiscono attivamente a costruire e mantenere le gerarchie razziali e di genere della società tutta”.102

La detenzione amministrativa, in quanto pratica di confinamento, riproduce vulnerabilità e silenzia le soggettività, tentando di conformare le voci delle donne ai criteri di “giustezza” e alle norme patriarcali.

All’interno dei CIE, le donne vengono suddivise in due gruppi: le migranti buone, ovvero coloro che si conformano e rientrano nei parametri di femmina sottomessa, e le migranti cattive, ovvero coloro “le cui identità trasgrediscono i ruoli tradizionali di genere, ad esempio le lavoratrici sessuali e le donne con esperienza di incarcerazione”.103

Si auspica pertanto una maggiore attenzione verso le storie di queste persone, garantire loro ascolto, attenzione e soprattutto solidarietà che va oltre il mito della sicurezza.

101Ibidem

102Ibidem 103Ibidem

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Come scrive la Esposito F. “una solidarietà che deve passare attraverso la condivisione di un progetto politico che abbia al centro l’apertura delle frontiere e l’abolizione dei centri di detenzione”.104

104Ibidem

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CAPITOLO III

LE TUTELE GIURIDICHE A FAVORE DELLE VITTIME

STRANIERE DI VIOLENZA DI GENERE

Nel presente capitolo si andrà ad esaminare i principali documenti di rango internazionale, europeo e nazionale riguardanti la tutela della donna vittima di violenza. Nello specifico si andrà ad individuare all’interno di tali documenti quale attenzione è stata posta nei confronti della donna migrante come soggetto particolarmente vulnerabile e quali forme di tutele giuridiche sono state individuate ai fini della prevenzione e protezione di tali donne.

Data la complessità delle dinamiche umane e dei molteplici fattori che interagiscono tra di loro, nell’ambito della presente indagine la lente utilizzata è pertanto, nei limiti del contesto, intersezionale.

“L’intersezionalità è una prospettiva che esplora le interazioni di marcatori sociali come razza, classe, genere, età e orientamento sessuale che formano l’esperienza di un individuo o i un gruppo”,105 risale alla fine dell’800 e ad oggi è lontana dall’essere una

nuova prospettiva utilizzata dai ricercatori.

Verso la fine degli anni’70, i concetti di discriminazioni multiple e intersezionalità si sono evoluti e sviluppati soprattutto negli Stati Uniti, luogo in cui emerse chiaramente che i movimenti femministi dell’epoca “davano voce prevalentemente alle istanze delle donne bianche (istruite, di classe media, eterosessuali ecc…), mentre i movimenti per i diritti delle persone Black erano rappresentati prevalentemente da uomini”.106

A seguito della Conferenza ONU di Pechino del 1995 e di Durban del 2001, in Europa si è aperto il dibattito sul tema dei fattori intersezionali.

Tali concetti, invece, faticano a permeare nella cultura giuridica italiana in cui si pongono non pochi problemi, soprattutto processuali. Infatti essendoci delle lacune

105Norris A., Murphy Y., Zajicet A., “An intersectional perspective in introductory sociology”, in Race,

Gender & Class: Volume 14, Number 1-2, 2007, p. 2

106Bello B., “Discriminazioni multiple e interesezionalità: queste sconosciute”, Maggio 2015, p. 1.

Consultabile all’indirizzo https://www.asgi.it/.../Approfondimento-Barbara-Giovanna-Bello_- Maggio-2015.pdfhttp://

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normative, si ricorre “in base al fattore discriminatorio per il quale c’è un’alta probabilità di successo di ricevere una pronuncia favorevole, tralasciando gli altri fattori di intersezione…e si presenta ricorsi separati per ciascun diverso fattore discriminatorio”.107

Il termine discriminazione multipla indica che una “persona è discriminata sulla base di più fattori discriminatori, ma ogni discriminazione avviene in momenti diversi e si basa ogni volta su fattori differenti” 108 mentre il termine discriminazione intersezionale

“Ha luogo quando la discriminazione è basata su più fattori che interagiscono tra loro in modo da non poter più essere distinti e separati… ma si tratta di un unico fattore intersezionale poiché c’è commistione tra i vari fattori che si determinano a vicenda e si fondono”.109

Infine ci si riferisce a discriminazione additiva quando “la discriminazione ha luogo nella stessa occasione, ma sulla base di fattori discriminatori diversi che si aggiungono l’uno all’altro, restando separati e mantenendo una propria individualità”.110

Per quanto riguarda il fenomeno della violenza di genere sulla donna migrante si ritiene che tale fenomeno sia più affine ad una discriminazione di tipo intersezionale in quanto i fattori di vulnerabilità della straniera uniti alla disuguaglianza di genere sono fusi come “il bronzo è composto da stagno e rame”.111

Di seguito si va ad analizzare i principali documenti internazionali e, come scritto sopra, si cercherà di capire quale attenzione è stata posta nel corso del tempo alla specificità dei bisogni della donna migrante.

107Ibidem 108Ibidem 109Ibidem 110Ibidem 111Ibidem

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3.1 Gli strumenti giuridici nel panorama internazionale

Il principale documento del diritto internazionale emanato per rispondere al problema della discriminazione nei confronti delle donne è la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna” (CEDAW), adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, entrata in vigore il 3 settembre 1981, firmata dall’Italia il 17 luglio 1980 e ratificata con legge del 14 marzo 1985, n.132.

La Convenzione definisce all’articolo1 l’espressione "discriminazione nei confronti della donna” come

“Ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, o il godimento o l'esercizio, da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di parità tra l'uomo e la donna”.112

Inoltre riconosce e specifica le cause sociali degli agiti discriminatori, che identifica all’art. 5

“Negli schemi e i modelli di comportamento socio-culturale degli uomini e delle donne...nei pregiudizi e nelle pratiche consuetudinarie o di altro genere, che siano basate sulla convinzione dell'inferiorità o della superiorità dell'uno e dell'altro sesso o sull'idea dei ruoli stereotipati degli uomini e delle donne”.113

La Convenzione sottolinea perciò, tenendo “presente l’importanza del contributo delle donne al benessere della famiglia ed al progresso della società, che finora non è stato

112“Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna”, p. 7.

Consultabile all’indirizzo http://www.unicef.it/doc/2033/pubblicazioni/convenzione- sulleliminazione-di-tutte-le-forme-di-discriminazione-nei-confronti-della-donna.htm (Consultato il 10/09/2018)