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Donne richiedenti protezione internazionale e le donne rifugiate

2.2 Donne che migrano: la femminilizzazione della migrazione e vulnerabilità

2.2.3 Donne richiedenti protezione internazionale e le donne rifugiate

In Italia, nell’anno 2016, le domande di protezione internazionale presentate alla Commissione Territoriale sono state complessivamente 123.600.74

Il richiedente risulta essere prevalentemente di origini africane (7 persone richiedenti su 10) e per l’85% di sesso maschile, sebbene il numero di richieste presentate da donne è aumentato dall’11,5% del 2015 al 15% del 2016.75

Questo aumento, “in particolare da paesi che storicamente hanno avuto un flusso quasi totalmente maschile, possono essere letti come un segnale di peggioramento delle condizioni nei paesi di origine e delle loro gravi ripercussioni sulle donne”.76

La fascia d’età prevalente è composta dall’ 80,2% di persone che va dai 18 ai 34 anni e dal 10.4% di persone che vanno dai 35 ai 64 anni.

I Paesi di origine da cui arrivano i richiedenti asilo sono prevalentemente “Nigeria (27.289), Pakistan (13.510), Gambia (9.040), Senegal (7.723) e Costa d’Avorio (7.419), che nel complesso corrispondono ad oltre il 50% del totale, seguiti da Eritrea, Bangladesh, Mali, Guinea e Ghana”.77

74Rapporto sulla Protezione Internazionale 2017. Consultabile all’indirizzo https://www.unhcr.it/wp-

content/uploads/2017/10/Rapporto_2017_web.pdf (Consultato il 17/12/2018)

75Ibidem

76 Lanni A., “Donne rifugiate, la violenza ha molte facce”. Consultabile all’indirizzo

https://www.unhcr.it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/donne-rifugiate-la-violenza-molte-facce,

77Rapporto sulla Protezione Internazionale 2017. Consultabile all’indirizzo https://www.unhcr.it/wp-

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La Nigeria è il luogo da cui arrivano molte donne: nel 2016 le richieste d’asilo da parte di donne nigeriane sono state 7670 mentre quelle da donne eritree sono state 2005.78 Questo dato è significativo del fatto che spesso le nigeriane sono vittime di violenza nella loro terra, infatti

“Secondo le stime dell’OIM, circa l’80% delle donne nigeriane arrivate in Italia nel 2016 sono state verosimilmente vittime di trafficking per lo sfruttamento sessuale nel nostro paese o in altri paesi europei, e di violenze e stupri nei campi di raccolta in Libia e durante l’attraversamento del Mediterraneo”.79

Le istanze esaminate dalle Commissioni territoriali nel 2016 sono state 91.102 di cui per 17.681 richiedenti (19,4%) è stata riconosciuta una forma di protezione internazionale.

In conclusione “l’esito positivo delle domande è stato del 40,2%, in lieve diminuzione rispetto al 41,5% dell’anno precedente mentre la restante parte è invece rappresentata dai dinieghi (51.170 pari al 56,2%) e dalle domande presentate da persone risultate poi irreperibili (3,4%)”.80

Come si evince da i dati sopra citati, tra il numero di persone che richiedono asilo e il numero di coloro a cui effettivamente viene riconosciuto tale status si registra un notevole scarto.

In merito al rapporto tra genere ed esiti della commissione, “nel 2016 le femmine hanno ottenuto il maggior numero di decisioni positive (58,5%) rispetto ai maschi (38,1%)…”.81

Rispetto ai dinieghi, le domande presentate dalla componente maschile dei richiedenti è stata rigettata dalla Commissione Territoriale in misura di 6 domande su 10 mentre le domande rifiutate del genere femminile sono state poco più di 3 su 10.

Ma chi sono i richiedenti asilo e i rifugiati?

78 Lanni A., “Donne rifugiate, la violenza ha molte facce”. Consultabile all’indirizzo

https://www.unhcr.it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/donne-rifugiate-la-violenza-molte-facce,

79Ibidem

80Rapporto sulla Protezione Internazionale 2017. Consultabile all’indirizzo https://www.unhcr.it/wp-

content/uploads/2017/10/Rapporto_2017_web.pdf (consultato il 17/12/2018)

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Come indicato all’articolo 1A della Convenzione di Ginevra (1951) relativa allo status dei rifugiati, il rifugiato è colui che

“Temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.82

Lo status di richiedente asilo, invece, è

“Uno status temporaneo che, potenzialmente, può riguardare chiunque venga a contatto con le autorità di un Paese diverso da quello di origine e faccia espressamente istanza di essere considerato come soggetto “richiedente protezione internazionale”.83

Tale status è riconosciuto, oltre che dalla Convenzione di Ginevra come sopra esplicitato, anche dalla Costituzione all’articolo 10, comma 3.

Fino a che la competente Commissione Territoriale non esamina la domanda di richiesta e non risponde al soggetto, allo stesso permane lo status di richiedente asilo, dopodiché, a seguito di esito positivo, lo status si trasforma da quello di asilante a quello di rifugiato.

Ciò che emerge dalla prima definizione, ovvero la definizione di rifugiato fornita dalla Convenzione di Ginevra, è che il genere (e di conseguenza la persecuzione a causa del genere) non figura nell’elenco dei motivi per vedersi riconosciuta la protezione internazionale.

82Consultabile all’indirizzo https://www.unhcr.it/chi-aiutiamo/rifugiati

83Savino M. (a cura di), “La crisi migratoria tra Italia e Unione Europea” Editoriale Scientifica, 2017,

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Questa mancanza ha fatto sì che le donne non abbiano goduto, nella stessa misura degli uomini, del diritto di protezione internazionale riconosciuto, essendo la Convenzione escludente.

E questo determina un fattore di vulnerabilità per la donna: una violenza perpetuata da parte di chi invece dovrebbe proteggerla.

Nel capitolo tre si va ad affrontare più nel dettaglio il tema della prospettiva di genere applicato al tema della protezione internazionale e si va a vedere cosa la norma mette a disposizione per donne.

Per il momento si affronta in maniera generica quali fattori posso rendere vulnerabile la donna richiedente asilo/ rifugiata.

Secondo alcune fonti scientifiche, dal punto di vista psicologico tutti i migranti richiedenti protezione internazionale, sia uomini che donne, “mostrano un’alta vulnerabilità e Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD)”.84

Il PTSD è un disturbo psicopatologico che “rientra nello spettro dei Disturbi di Ansia ed è l’unico per il quale è richiesto, nella diagnosi, il riferimento ad un evento esterno al quale imputare l’insorgere della sintomatologia”.85

Tale disturbo potrebbe coinvolgere uomini, donne e bambini senza distinzione alcuna, non si riferisce ad un determinato contesto o ad un’epoca particolare ma potrebbe emergere a seguito di un’esperienza traumatica.

La particolarità di questo disturbo è la correlazione con altri disturbi che possono essere “Disturbi Affettivi, Abuso da Sostanze, Disturbi di Ansia, con o senza attacco di panico, Disturbi Somatoformi, Fobie Sociali o Specifiche, Disturbi Depressivi, Disturbi di Personalità con particolare riferimento al Disturbo Borderline...”.86

È stato inoltre rilevato che esiste una correlazione tra il PTSD e l’impulsività o comportamenti antisociali.

Gli eventi traumatici determinano quindi un cambiamento psichico nelle vittime: dal punto di vista cognitivo potrebbe risultare compromesso “l’esame di realtà, il giudizio,

84Caroppo E., Del Basso G., Brogna P., “Trauma e vulnerabilità nei migranti richiedenti protezione

internazionale”, REMHU, n.43, 2014, p. 99

85Ibidem 86Ibidem

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la regolazione degli affetti, le difese e l’organizzazione/ integrazione della memoria”87

mentre a livello somatico le persone possono diventare irritabili, abusare di alcol o sostanze.

Sul versante relazionale, invece, le persone che hanno subito dei traumi potrebbero provare sentimenti di sfiducia, insicurezza. Inoltre potrebbero “rinchiudersi in se stessi con evitamento delle persone o di situazioni che possono ricordare loro l’esperienza traumatica”.88

I richiedenti asilo pertanto

“Vivono nel timore di non essere riconosciuti, di essere rimpatriati, di non ottenere l’asilo. Di non riuscire a integrarsi nel paese che li accoglie per le difficoltà linguistiche, per il colore della pelle; vivono all’interno di centri di accoglienza costretti a condividere i propri spazi con altri stranieri con le loro stesse difficoltà ma spesso con abitudini diverse”.89

E quest’ultimo aspetto viene trascurato dalle politiche. Spesso si pensa che “è già sufficiente offrire un posto dove dormire” non rispettando dunque la dignità della persona.

L’obiettivo delle politiche dovrebbe essere quello di garantire alle persone non un’accoglienza, ma una buona accoglienza.

Inoltre, troppo spesso, viene associata l’immagine del richiedente asilo/rifugiato con quella del criminale, parassita se non addirittura di colui che “scappa da una finta guerra” ed è un “vacanziere”.

Non riconoscere la dimensione umana e negarla in nome di un’ideologia escludente e povera nei contenuti, non permette di poter individuare quali possano essere le strategie funzionali per un’accoglienza che si orienta verso l’integrazione della persona nel tessuto sociale.

87Ibidem

88Ibidem 89Ibidem

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Sarebbe necessario, alla luce delle sopra citate argomentazioni, operare e lavorare insieme ai richiedenti asilo al fine di prevenire che tali traumi diventino, oltre che una sofferenza personale, un ostacolo alla loro capacità di integrarsi.

Le donne richiedenti protezione internazionale o rifugiate sono pertanto suscettibili a vivere tali difficoltà in quanto migranti ma in quanto donne sono “spesso soggette a violenze e oppressioni specifiche sia nei paesi di provenienza, sia durante il viaggio che le porta verso il paese di accoglienza, che all'interno della società che dovrebbe accoglierle”.90

È stato presentato al Parlamento europeo, nel 2016, il Rapporto “Female refugees and

asylum seekers: the issue of integration, scritto da Silvia Sansonetti”91 il quale mette in luce che “le rifugiate sono le più colpite dalla violenza contro le donne rispetto a qualsiasi altra popolazione femminile nel mondo”92 e cerca di determinare pertanto

quali sono i bisogni delle donne richiedenti asilo e rifugiate al fine di individuare le strategie idonee a rispondere a tali bisogni.

Il Rapporto ha analizzato i suddetti bisogni suddividendoli per ambiti all’interno dei quali ruota la vita di queste persone, evidenziando per ciascuna area quali sfide devono essere affrontate, quali buone pratiche sono già state realizzate e quali strategie di inclusione dovrebbero essere implementate per mettere al centro delle azioni proposte la prospettiva di genere.

Le donne richiedenti protezione internazionale o rifugiate sono quindi portatrici di specificità.

Tale specificità emerge sia nei paesi di partenza, sia nei campi in Libia dove le donne vengano abusate dai trafficanti, sia nei paesi di arrivo in cui le donne, per esempio, sono esposte al rischio di subire violenza soprattutto nei centri di accoglienza, da parte di uomini richiedenti asilo. Spesso i maltrattanti sono risultati essere gli stessi operatori

90Capesciotti M., “Rifugiate e richiedenti asilo, la sfida dell’integrazione”, in Ingenere. Dati, politiche,

questioni di genere. Aprile 2016. Consultabile all’indirizzo http://www.ingenere.it/articoli/rifugiate-richiedenti-asilo-sfida-integrazione. Consultato il 15/12/2018

91Ibidem 92Ibidem

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che invece dovrebbero avere la funzione di tutelarle e che invece le sottopongono, talvolta, al rischio di sfruttamento sessuale.

Infine, in tali luoghi, la salute delle donne e l’aspetto riproduttivo o semplicemente di particolarità sessuale femminile delle stesse non viene adeguatamente protetto. Dal Rapporto è emerso che anche la fase successiva alla prima accoglienza è ricca di criticità, soprattutto laddove non vengano predisposti dall’autorità pubblica dei piani per l’accoglienza abitativa.

È stato riscontrato di frequente che i privati non vogliano affittare le loro abitazioni ai non cittadinicostringendo pertanto “le donne ad abitare in contesti di sovraffollamento, spesso con molti uomini non necessariamente loro familiari, esponendole nuovamente al rischio di violenza e sfruttamento”.93

A seguito di tali riscontri, sarebbe opportuno che gli operatori che si occupano di queste donne vengano adeguatamente formati al fine di capire quali esigenze particolari hanno le donne richiedenti asilo/rifugiate.

In merito alla seconda accoglienza invece sarebbe necessario che vengano predisposti dei piani abitativi idonei, in particolare che vengano create case rifugio ad hoc, in supporto a donne che sono uscite dal circolo della violenza domestica, subita nel paese di arrivo o di origine.

Tra le buone pratiche nell’ambito delle politiche abitative, nel Rapporto viene messa in luce l’esperienza “dell’associazione statunitense AWE (Asylee Women Enterprise) che offre soluzioni abitative temporanee alle richiedenti asilo residenti nell’area di Baltimora, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiate”94 e che garantisce sia

una protezione alle donne ma anche un coinvolgimento di queste ultime in attività che permettano loro una più facile integrazione.

La formazione professionale e l’apprendimento della lingua è un altro strumento evidenziato dal Rapporto, necessario per garantire integrazione e indipendenza per le donne richiedenti protezione internazionale o rifugiate.

93Capesciotti M., “Rifugiate e richiedenti asilo, la sfida dell’integrazione”, In Ingenere. Dati, politiche,

questioni di genere. Aprile 2016. Consultabile all’indirizzo http://www.ingenere.it/articoli/rifugiate-richiedenti-asilo-sfida-integrazione (Consultato il 15/12/2018)

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Come è stato scritto precedentemente, tale attività

“Rappresenta un ottimo strumento per veicolare le informazioni essenziali rispetto ai diritti e ai servizi di cui le donne richiedenti protezione internazionale e rifugiate potrebbero godere nel paese di accoglienza e di cui spesso non si avvalgono per mancanza di conoscenza”95

oltre che a permettere una loro collocazione nel mercato del lavoro e quindi un’indipendenza economica che sappiamo essere un fattore di protezione circa la possibilità per la donna di uscire, eventualmente, dal circolo della violenza domestica. Tra le buone pratiche in questo ambito, il Rapporto mette in luce l’esperienza dell’associazione britannica Refugee Women's Association, che fornisce alle donne donne richiedenti asilo e rifugiate “le informazioni necessarie per destreggiarsi nella società britannica e accedere ai servizi a cui hanno diritto: corsi di lingua, percorsi di riqualificazione professionale, orientamento lavorativo, ecc...”.96

Nell’area nel mercato del lavoro, le donne richiedenti protezione internazionale, e più in generale i migranti, come già enunciato, sono suscettibili di subire una doppia discriminazione.

Di fatti, non viene riconosciuto loro il titolo di studio, le esperienze professionali già fatte nel paese di origine, dequalificando quindi la loro capacità lavorativa e le loro mansioni. A questo si aggiunge la condotta di molti datori di lavoro che ricercano persone più vulnerabili da poter sfruttare.

Inoltre, come già espresso precedentemente, il mercato del lavoro è orientato ancora oggi ad una suddivisione per genere, pertanto la sola possibilità per il migrante donna è di inserirsi in lavori di “natura” prettamente femminile.

Infine, un altro ambito relazionato nel Rapporto riguarda la tutela della salute.

Le donne richiedenti protezione internazionale e rifugiate spesso arrivano da paesi dove l’emancipazione femminile è esplicitamente ostacolata e dove vengono poste in essere pratiche quali la mutilazione dei genitali. Queste donne rischiano di subire

95Ibidem

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violenza anche nel paese di arrivo, in Italia, a causa di problematiche di implementazione delle politiche di cui si è scritto precedentemente.

A causa di ciò, sarebbe opportuno che vengano sviluppati dei servizi che garantiscono supporto psicologico e sanitario.

Per concludere, nel suddetto Rapporto, è emerso, l’esigenza di adottare la prospettiva di genere al fine di comprendere quali sono le specificità i bisogni di cui le richiedenti protezione internazionale e rifugiate sono portatici.