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La protezione della donna vittima di violenza di genere nel contesto italiano:

L’ordinamento giuridico italiano è stato “permeato a lungo di violenza, alimentandosi di disvalori considerati valori insopprimibili e di un immaginario patriarcale che ha segnato profondamente la storia e il diritto dell’Europa medievale, moderna e contemporanea”.146

Sembra che le azioni di contrasto al fenomeno della violenza di genere, nonostante sia accresciuta la sensibilità circa il fenomeno, siano ancora deboli e non in grado di smantellare la “cultura della violenza”, cultura che sopravvive grazie al modello stereotipato “dell’uomo forte e autoritario, destinato per natura a possedere e a comandare”147 e all’asimmetria di potere ancora presente nelle relazioni intime tra i

due generi.

Alla base del fenomeno della violenza di genere c’è un retaggio antico che continua a perdurare nei giorni nostri, nonostante il diritto internazionale e la produzione normativa: il patriarcato.

In Italia, per molto tempo, i precetti religiosi hanno giustificato il

145Degani P., Pividori C., “Cedaw, ancora contro la violenza”. Ingenere. Dati, politiche, questioni di

genere, Gennaio 2018. Consultabile all’indirizzo http://www.ingenere.it/articoli/cedaw-ancora- contro-la-violenza, (Consultato il 15/01/2019)

146Cocchiara M.A., “Il diritto e la violenza. Le tappe di una lentissima evoluzione”, in Ingenere. Dati,

politiche, questioni di genere, Novembre 2013. Consultabile all’indirizzo https://vpn.unipi.it/articoli/,DanaInfo=www.ingenere.it+il-diritto-e-la-violenza-le-tappe-di-una- lentissima-evoluzione (Consultato il 17/01/2019)

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“Ruolo sottomesso delle donne al capo-famiglia, prima al padre e poi al marito; i valori, le tradizioni e persino le leggi che consideravano la violenza domestica contro donne e minori un fatto naturale, normale, addirittura giustificabile e socialmente accettato”,148

rendendo invisibile la violenza di genere in quanto coincidente con tale modello propugnato.

Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana viene sancita l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art.29 Cost.) ma sarà soltanto più avanti che le donne otterranno gradualmente alcune conquiste che resteranno (e restano) per molto tempo incerte e travagliate.

Nonostante le disposizioni contenute nella Costituzione, per la società e per la politica, il ruolo della donna era prevalentemente quello di madre e di caregiver. Basti ricordare che, a differenza di quanto citato dagli art. 3 e 37 Cost. non era presente una “specifica legislazione a favore del riconoscimento del principio di parità salariale e di trattamento tra lavoratore e lavoratrice… pertanto la promozione dei diritti delle donne sul posto di lavoro fu delegata alla contrattazione tra parti sociali”.149

Ciononostante la legislazione in materia di sicurezza e tutela della maternità, risalente al periodo fascista, era ben forte e sviluppata.

Gli interventi legislativi dunque sono stati direzionati per molto tempo verso un “paradigma di policy centrato sulla figura della donna come madre piuttosto che come lavoratrice” 150 persino durante gli anni Sessanta, quando si assiste ad una

femminilizzazione del mondo del lavoro in cui “il paradigma patriarcale dominante ostacola la formazione di un robusto corpus di diritti riconosciuti alle donne in quanto individui con ritardi nello sviluppare una efficace politica che andasse oltre le finalità garantista e di tutela”.151

148Ibidem

149Donà A., “Le nuove norme contro la violenza di genere in Italia: possono le pressioni internazionali

superate i vincoli dell’eredità di policy?”, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, Fascicolo 1, Aprile 2015, Il mulino, p. 118

150Ibidem 151Ibidem

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Sarà soltanto il 22 febbraio del 1956 che la Corte di Cassazione farà decadere lo ius

corrigendi (art.517 c.p.) che attribuiva al marito, in quanto pater familias, il potere di

educare e correggere la moglie e i figli utilizzando, se necessario, la coazione fisica. Negli anni 1968 e 1969 la Corte Costituzionale, con la sentenza del 16-19 dicembre 1968, n. 126 (Gazz. Uff., 28 dicembre 1968, n. 329) e successivamente la sentenza del 27 novembre-3 dicembre 1969, n. 147 (Gazz. Uff., 10 dicembre 1969, n. 311), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 559 del c.p. che puniva l’adulterio della moglie.

Con la legge n. 151 del 19 maggio 1975 viene riformato il Diritto di famiglia, che investendo l’intero campo di tale diritto “discende da un progetto di revisione della disciplina codicistica tendente all’adeguamento ai principi costituzionali di eguaglianza tra coniugi”.152

La riforma

“Ha permesso di abbandonare la concezione gerarchica della famiglia… e si adegua ai principi costituzionali, all’evoluzione della società ed a quel modo di intendere la famiglia come società naturale fondata, oltre che sull’eguaglianza, anche sull’autonomia, sul rispetto degli individui e sulla loro comune solidarietà”.153

Grazie a questa riforma, infatti, i valori quali libertà, responsabilità condivise da entrambi i coniugi e partecipazione vengano effettivamente riconosciuti.

Si pensi però che malgrado la riforma, solo con la legge n. 442 del 5 agosto 1981 viene abrogata la rilevanza penale della causa d’onore considerato “un residuo legislativo del Codice Rocco in vigore dal Fascismo e in forte contraddizione con il Nuovo Diritto di famiglia e il divorzio, vigenti da tempo nella legislazione italiana”154 nonché una

disposizione umiliante per le donne.

152Consultabile all’indirizzo https://www.jei.it/approfondimenti-giuridici/54-l-151-1975-la-riforma-

del-diritto-di-famiglia (Consultato il 25/01/2019)

153Ibidem

154 Consultabile all’indirizzo https://www.artapartofculture.net/2013/09/05/5-settembre-del-1981-

abrogati-in-italia-delitto-donore-e-matrimonio-riparatore-ricordando-anche-franca-viola/, (Consultato il 25/01/2019)

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Il delitto di onore è un tipo di reato posto in essere dal marito verso la moglie per salvaguardare il proprio onore o quello della propria famiglia (art. 587 c.p.).

Con la citata legge, le pene rispetto ad uno stesso delitto con diverso movente non sono più attenuate, “cancellando così il presupposto che l’offesa all’onore arrecata da una condotta disonorevole costituisse una provocazione gravissima tanto da giustificare la reazione dell’offeso”.155

Vengano inoltre abrogati gli articoli 544 e 592 del codice penale.

L’articolo 544 istituiva il matrimonio riparatore“che prevedeva l’estinzione del reato di violenza carnale nel caso in cui lo stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l’onore della famiglia”,156 mentre l’articolo 592 rendeva meno

aspre le pene per chi abbandonava un neonato a motivo di onore.

Come si è potuto osservare, considerando che l’umanità esiste da millenni, è solo meno di un secolo fa che il legislatore ha disciplinato norme che dovrebbero essere considerate scontate.

Nonostante le leggi più retrograde siano state abrogate, il tessuto culturale del passato continua a vivere e lo vediamo ogni volta che la donna viene vista come soggetto debole, come proprietà dell’uomo, come oggetto, sebbene grazie alle rivendicazioni femministe, ai cambiamenti di costume, alla costruzione dell’Unione Europea, che ha dato una forte spinta per la promozione dei diritti delle donne, e alle organizzazioni internazionali, Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, il conservatorismo patriarcale del Paese è stato messo in discussione.

Pertanto, in conformità con gli sviluppi comunitari, “in Italia l’obiettivo della parità di genere è andato oltre la tutela della maternità, per riguardare l’ambito lavorativo prima fino a promuovere le pari opportunità tra uomini e donne, intesi come individui che agiscono in molteplici sfere”.157

155Cocchiara M.A., “Il diritto e la violenza. Le tappe di una lentissima evoluzione”, in Ingenere. Dati,

politiche, questioni di genere, Novembre 2013. Consultabile all’indirizzo https://vpn.unipi.it/articoli/,DanaInfo=www.ingenere.it+il-diritto-e-la-violenza-le-tappe-di-una- lentissima-evoluzione (Consultato il 17/01/2019)

156Ibidem

157Donà A., “Le nuove norme contro la violenza di genere in Italia: possono le pressioni internazionali

superate i vincoli dell’eredità di policy?”, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, Fascicolo 1, Aprile 2015, Il mulino, p. 123

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Questo passaggio storico viene riconosciuto nel 1996, quando viene approvata la legge n. 66 che detta le nuove “Norme sulla violenza sessuale” in cui muta l’oggettività giuridica dei reati di abuso sessuale: il reato viene trasferito dalTitolo IX (Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume) del codice penale al Titolo XII (Dei delitti contro la persona), mirando pertanto alla protezione e alla tutela della vittima. Infatti, mediante questa legge, i reati di violenza sessuale “hanno assunto dignità di reati contro la persona, di conseguenza, la libertà sessuale costituisce un corollario insopprimibile di quella individuale”.158

3.2.2 La disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari e

il reato di stalking

La legge 154 del 05 aprile del 2001 intitolata “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” introduce l’istituto giuridico degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, disciplinati dagli articoli 342-bis e 342-ter del codice civile, e la speculare misura in ambito penale ossia la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare.

Tale legge risponde alla fondamentale esigenza di protezione della vittima nei casi di maltrattamento familiare e apporta dunque delle modifiche al codice civile, di procedura civile e penale.

Fino al 2001 non esistevano degli strumenti specifici “per evitare che, nelle more del procedimento penale, l'indagato per delitti commessi contro i componenti del nucleo familiare protraesse la propria condotta criminosa, magari intimidendo le vittime degli abusi”.159

La giurisprudenza, pertanto, ha ricorso all’articolo 283 c.p.p. (con il quale il giudice dispone il divieto e obbligo di dimora) e lo ha adattato alle necessità specifiche del caso.

158 Ministero della giustizia, “percorsi chiari e precisi”. Consultabile all’indirizzo

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_5_1.page (Consultato il 11/02/2019)

159Rusconi D., “La legge n.154/2001: violenze familiari e ordini di protezione”, in Diritto&Diritti,

Giugno 2001. Consultabile all’indirizzo https://www.diritto.it/articoli/famiglia/rusconi.html, (Consultato il 17/02/2019)

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Infatti gli ordini di protezione sono dei provvedimenti che

“Il giudice può adottare nei confronti del coniuge o di altro convivente la cui condotta sia causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale, o alla libertà dell'altro coniuge o convivente, come nei casi di ripetuti episodi di minaccia, violenza o aggressione fisica”.160

Tale norma trova applicazione anche quando la condotta pregiudizievole è posta in essere da un altro soggetto diverso dal coniuge o convivente, per esempio dal figlio o dal fratello della vittima.

Inoltre, affinché questa tutela scatti, non è necessario la sussistenza di una convivenza tra l’aggressore e l’aggredita, così come precisato dal Tribunale di Bari-Monopoli con provvedimento del 21.10.2010.161

Infatti le condotte persecutorie e vessatorie in ambito familiare posso sussistere oltre il semplice coabitare in quanto l’esistenza di relazioni familiari comporta che i soggetti abbiano vicinanza per esempio in merito ai luoghi frequentati.

La norma

“Si articola in due ambiti previsionali, che concernono da una parte l'introduzione di una nuova forma di misura cautelare personale, con gli artt. 291-bis e 282- bis c.p.p., e dall'altra alcuni poteri assegnati al giudice civile, in presenza di situazioni di crisi familiare (artt. 342- bis c.c. e 736 c.p.)”.162

Il Tribunale, mediante decreto emanato su ricorso dell’interessato, emette l’ordine di protezione che si sostanzia nell’ordine di censura del comportamento posto in essere dalla persona querelata, di allontanamento dalla casa familiare ed eventualmente del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima.

160Palmieri G., “Gli ordini di protezione”, Giuffrè Editore Spa , 2013 161Ibidem

162Rusconi D., “La legge n.154/2001: violenze familiari e ordini di protezione”, in Diritto&Diritti,

Giugno 2001. Consultabile all’indirizzo https://www.diritto.it/articoli/famiglia/rusconi.html, (Consultato il 17/02/2019)

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Nel caso in cui il destinatario dell’ordine frequenti gli stessi luoghi dell’istante per esigenze lavorative, l’ordine di protezione è inapplicabile pertanto il giudice può disporre, qualora ne ravvisi la necessità, l’intervento di un mediatore, dei servizi sociali oppure l’inserimento della donna presso strutture di accoglienza.

Il procedimento dell’emanazione dell’ordine di protezione è regolato dall’art. 736-bis del codice di procedura civile denominato “Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.”

Si ottiene il decreto di ordine di protezione mediante istanza di parte con ricorso al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio dello stesso.

Il giudice, sentite le parti, eventualmente fa compiere indagini sul patrimonio, dopodiché dispone il decreto che diventa immediatamente esecutivo.

Contro il decreto emesso dal giudice è ammesso il reclamo entro un termine previsto dall’art. 739 c.p.c. Tale reclamo “non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione.”163

Ove la donna, a seguito dai tale provvedimento, rimanga priva di mezzi di sostentamento, il giudice dispone che l’imputato provveda al pagamento di un assegno periodico (che rappresenta la vera novità della disposizione).

Infatti, precedentemente a tale disposizione, non essendoci altri strumenti idonei a colmare la lacuna, il ricorrente in sede di separazione o divorzio poteva richiedere “il sequestro dei beni ancora in possesso dell'altro coniuge per prevenire la dilapidazione del patrimonio in comune e, nelle situazioni più gravi presentare querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p.”.164

La legge 154/2001 nasce quindi anche come risposta a questo vuoto legislativo. Tuttavia rimangono alcune perplessità: infatti “il giudice potrà disporre l'ordine di pagamento in sede penale come civile soltanto se sia stato disposto anche l'allontanamento dalla casa familiare”,165 ma cosa succede se è il ricorrente a dover

abbandonare l’abitazione domestica?

163Art.736 bis c.p.c. “Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari”,

Libro Quarto, Titolo II, capo V bis.

164Ibidem 165Ibidem

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La ratio della norma è evitare che la coabitazione possa avere effetti nefasti sulla vittima ma non quella di decidere a chi spetta, in via cautelare, l’abitazione. Quindi un provvedimento di allontanamento in base a simili presupposti non sarebbe ammissibile. La legge 154/2001, nella più ampia ricerca di tutela per la donna, presenta pertanto

“Lati oscuri, meritevoli di studi più approfonditi e se necessario di aggiustamenti e modifiche; tuttavia le perplessità ed i dubbi degli operati non possono sminuire l'importanza che questa disciplina riveste, nell'ottica generale di una politica del diritto che deve avere sempre più come obbiettivo l'adeguamento degli strumenti di tutela alle istanze e bisogni della società contemporanea”.166

Di seguito si esaminano alcuni limiti circa l’applicabilità degli ordini di protezione. Un aspetto di criticità riguarda la valutazione discrezionale del pregiudizio posto dinnanzi al giudice. Tale caratteristica comporta che nel panorama italiano l’applicazione degli ordini di protezione non sia omogenea.

In linea generale si può affermare che nell’applicazione e nell’interpretazione della norma si evidenziano notevoli difficoltà in quanto la realtà sociale su cui la legge interviene presenta innumerevoli sfaccettature. Difatti “i temi in materia di maltrattamenti familiari sono di difficile disciplina, poiché si mira a dettare una normativa generale ed astratta, come è quella legislativa, per fattispecie concrete che difficilmente presentano tra di loro tratti comuni”.167

Si registrano significative differenze tra i vari tribunali italiani anche per quanto riguarda le tempistiche dell’emanazione della misura. Per esempio, il Tribunale di Bologna fa attendere circa una settimana tra il momento del ricorso a quello dell’emissione del decreto mentre i Tribunali di Roma, Palermo e Milano allungano i tempi di attesa a oltre 40 giorni, facendo apparire più conveniente iniziare un ricorso per separazione.

166Ibidem

167Miceli M., “Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari: presupposti e contenuto”, in Giuricivile,

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Tuttavia la legge prevede espressamente che, qualora il giudice rilevi una situazione di urgenza tale da non ammettere ritardi nell’emanazione del decreto, una volta assunte informazioni anche per via telefono, lo stesso

“Possa adottare immediatamente un provvedimento inaudita altera parte ossia senza la necessità di convocare previamente le parti in udienza (la valutazione dell’emissione di questo provvedimento è rimessa ad una udienza successiva, fissata non oltre 15 giorni dall’emissione della misura).”168

Un limite rilevato in diversi tribunali italiani circa il provvedimento inaudita altera

parte riguarda la concessione dello stesso conseguentemente alla presenza di

comprovati, mediante referti del Pronto Soccorso, fotografie delle lesioni ecc…, episodi di violenza fisica e non anche altri tipi di violenza di genere. Qualora siano stati posti in essere episodi di violenza psicologica, economica ecc…, il giudice, tendenzialmente, fissa un’udienza per la comparizione delle parti al fine di garantire il principio del contraddittorio.

Quest’ultimo aspetto rappresenta un ulteriore momento di criticità per l’effettiva tutela della donna. La donna, tra il periodo in cui viene notificato il ricorso al maltrattante e quello in cui viene emesso il decreto che stabilisce l’udienza, si trova in una posizione rischio per la propria incolumità. Infatti, lo spazio temporale tra questi due momenti (notifica e decreto) è per la vittima decisamente pericoloso tant’è vero che spesso quest’ultima è obbligata allontanarsi dalla propria abitazione per tutelarsi. Talvolta la donna rinuncia all’azione civile per paura che la notifica provochi ulteriori reazioni violente nel maltrattante.

Un altro limite rilevato concerne il confronto tra la vittima e il maltrattante che viene richiesto durante l’udienza. Difatti il giudice valuta la possibilità, attraverso un’attività di mediazione al conflitto, che il convenuto si allontani spontaneamente dall’abitazione coniugale qualora abiti insieme al ricorrente.

168 “Rapporto Ombra al GREVIO”. Consultabile all’indirizzo

https://www.direcontrolaviolenza.it/pubblicato-rapporto-ombra-al-grevio/, (Consultato il 09/04/2019)

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Questa attività di mediazione, spesso, viene operata dai giudici stessi e non dai mediatori. Inoltre non viene neanche riconosciuta ufficialmente come attività di conciliazione pertanto non viene lasciato riscontro nel verbale.

Si sottolinea che tale attività apertamente è in contrasto con l’art. 48 della Convenzione di Istanbul che “vieta metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione.”169

Si evidenzia come aspetto di criticità dell’istituto, inoltre, la durata dello stesso che può protrarsi fino ad un anno e, su istanza di parte (quindi ad onere della donna di dimostrare il bisogno di un’ulteriore tutela), può essere prorogato “soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.”170

In ambito civile, al di fuori di questa ipotesi, non vengono garantite alla vittima misure che assicurino o prolunghino ulteriormente la di lei protezione.

Qualora invece la persona non rispetti l’ordine di protezione “è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da 103 a 1.032 euro”.171

L’autore del maltrattamento risponde pertanto del reato previsto dall’art. 388 co. 1 c.p ossia “Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”172 perseguibile

solo a querela di parte.

Un altro aspetto che limita l’effettiva tutela della donna, così come evidenziato già nel 2009 dal Consiglio Superiore della Magistratura, concerne “la difficoltà del giudice

169“Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti

delle donne e la violenza domestica”, p. 85. Consultabile all’indirizzo http://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=13A0578900000010110002& dgu=2013-07-02&art.dataPubblicazioneGazzetta=2013-07-

02&art.codiceRedazionale=13A05789&art.num=1&art.tiposerie=SG

170Art.342-ter c.c., Contenuto degli ordini di protezione, Libro primo, Titolo IX-bis ordini di protezione

contro gli abusi familiari

171Palmieri G., “Gli ordini di protezione”, Giuffrè Editore Spa , 2013 172Art. 388 c.p.

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civile ad adottare provvedimenti cautelari, individuando tra le cause principali anche la mancanza di una specializzazione effettiva in seno al giudice civile adito.”173 Infine, per quanto riguarda la protezione della vittima straniera di violenza domestica/di genere si ravvisa che nell’esaminato istituto non ci sono strumenti specifici per la tutela di quest’ultima, pertanto in materia di ordini di protezione il giudice fa riferimento alla disciplina ordinaria mentre l’unica forma di protezione per la donna migrante, che come si vedrà nel paragrafo successivo risulta essere inefficace, è la concessione del permesso di soggiorno per motivi di violenza domestica, ai sensi dell’art. 18-bis del TUIMM.

Come ben si può immaginare, questa mancanza di considerazione dalle Corti delle forme intersezionali di discriminazione rappresenta un fattore che rende la donna straniera, già di per sé potenzialmente vulnerabile come dimostrato nel capitolo 2, più fragile e due volte vittima: da parte del maltrattante e da parte dello Stato.

Inoltre, dal momento che la rilevazione del pregiudizio è discrezionale, la donna straniera potrebbe essere più facilmente, rispetto ad una donna italiana, non creduta, con la conseguenza che il diritto diventa fonte di discriminazione anziché di garanzia. Si ritiene necessario dunque che il Governo si occupi delle discriminazioni verso le donne in una prospettiva intersezionale in modo da tutelare le specificità.

Rispetto ai limiti dell’istituto sopra indicati si suggerisce che per l’emissione degli