UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Sociologia e Management dei Servizi
Sociali
DONNE MIGRANTI E VIOLENZA DI GENERE:
TRA VULNERABILITÀ E TUTELE GIURIDICHE
CANDIDATA:
RELATRICE:
Sara Trotta
Prof.ssa Elena Bargelli
Introduzione ... 3
CAPITOLO I LA VIOLENZA DI GENERE SULLA DONNA MIGRANTE: EVIDENZE STATISTICHE ... 8
1.1 Violenza contro le donne: alcuni dati ... 10
1.2 I numeri e le forme della violenza contro le donne ... 11
1.3 Il maltrattante ... 15
1.4 La richiesta di aiuto ai centri antiviolenza e la messa in protezione presso le Case Rifugio ... 17
CAPITOLO II DONNE MIGRANTI VITTIME DI VIOLENZA DI GENERE: ALCUNI FATTORI DELLA VULNERABILITÀ ... 19
2.1 Quando è la norma a rendere “fragile”: i diritti incompiuti nel settore socio-sanitario ... 22
2.1.1 Il diritto all’assistenza sociale ... 26
2.2 Donne che migrano: la femminilizzazione della migrazione e vulnerabilità ... 31
2.2.1 Donne che migrano per lavoro ... 36
2.2.2 Donne che migrano per motivi familiari ... 39
2.2.3 Donne richiedenti protezione internazionale e le donne rifugiate ... 42
2.2.4 Donne migranti irregolari ... 50
CAPITOLO III LE TUTELE GIURIDICHE A FAVORE DELLE VITTIME STRANIERE DI VIOLENZA DI GENERE ... 53
3.1 Gli strumenti giuridici nel panorama internazionale ... 55
3.2 La protezione della donna vittima di violenza di genere nel contesto italiano: excursus legislativo ... 70
3.3 Le protezioni della donna straniera vittima di violenza alla luce della Convenzione di Istanbul ... 82
CAPITOLO IV
SFIDE E PROSPETTIVE PER UNA EFFICACE TUTELA DELLA DONNA .... 102
4.1 Prevenzione ... 103
4.2 Politiche integrate, ricerca e raccolta dei dati ... 107
4.3 Protezione alle vittime ... 110
4.4 Procedimento contro i colpevoli ... 112
Conclusione ... 115
Bibliografia ... 118
1
Introduzione
La violenza di genere è un fenomeno ampiamente diffuso nelle società contemporanee. Talvolta si pensa che appartenga al passato. Eppure non molto tempo fa, l’ordinamento giuridico nazionale sanciva ufficialmente gravi forme di discriminazione contro le donne.
Talvolta, invece, si cerca di minimizzare il fenomeno individuando la causa nella devianza del singolo individuo oppure nel rapporto di coppia che sfocia in violenza perché “già di per sé patologico”, fino a colpevolizzare le vittime di aver istigato il maltrattante a compiere tali atti. Allo stesso modo, si tende a puntare il dito su chi appartiene ad altre culture o religioni, soprattutto quelle “non occidentali”, che riteniamo siano caratterizzate da una struttura sociale rigida e patriarcale. Differentemente ai luoghi comuni, diversi studi hanno dimostrato che la violenza contro le donne è un fenomeno transculturale che interessa trasversalmente tutti i paesi del mondo, senza distinzione di ceto, reddito o professione.
L’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” viene definita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul, come “qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato”1 in cui il termine “genere” sta a significare l’insieme
di “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”.2
Nella Convenzione viene pertanto posto l’accento sulla dimensione strutturale della violenza, le cui radici affondano nel passato e nei modelli stereotipati che regolano i comportamenti dell’individuo. La discriminazione verso le donne diventa un fattore
1“Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle
donne e la violenza domestica”, pag.73. Consultabile all’indirizzo http://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=13A0578900000010110002&
dgu=2013-07-02&art.dataPubblicazioneGazzetta=2013-07-02&art.codiceRedazionale=13A05789&art.num=1&art.tiposerie=SG
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favorevole agli agiti violenti da prevenire attraverso l’educazione e la riproduzione simbolica di significati che mettano in discussione i presupposti “naturali” delle costruzioni sociali e istituzionali, così come ad oggi sono conosciuti.
“La struttura della società può essere trasformata, infatti, solo se, e solo in quanto, non la si consideri espressione di una non meglio precisata “natura” degli uomini e delle donne inscindibilmente legata alle basi biologiche e fisiologiche della differenza sessuale”.3
Il fenomeno, di per sé multifattoriale, della violenza di genere diventa ulteriormente complesso quando la donna soggetto di violenza è una donna migrante, la quale oltre a vivere in un contesto in cui la parità di genere è individuabile solo sulla “carta”, affronta una serie di difficoltà in quanto migrante.
La donna migrante, come si potrà osservare nel capitolo 1, è predisposta a subire forme di violenza più gravi rispetto alle donne italiane.
Ci sono donne lavoratrici immigrate che risultano maggiormente esposte ad episodi di sfruttamento, in quanto si trovano in una posizione giuridica svantaggiosa non avendo un regolare contratto di lavoro oppure ci sono donne che, nonostante posseggono un regolare contratto di lavoro, temono di perderlo con la conseguenza di perdere il permesso di soggiorno. Altre categorie di donne immigrate vulnerabili sono coloro i cui familiari negano l’accesso al lavoro, nonché le donne richiedenti asilo che vivono per molto tempo in “attesa” di regolarizzare la loro posizione giuridica oppure le donne rifugiate che vengono accolte in un paese, l’Italia, con profonde lacune in merito alla seconda accoglienza e al processo di integrazione.
Per la donna migrante è altresì più difficile uscire dal circuito della violenza per una serie di fattori tra cui per esempio la mancanza di adeguate informazioni circa le possibilità offerte dal territorio, le barriere linguistiche, la concezione differente dei diritti umani, la mancanza di una rete sociale di riferimento oppure al contrario avere una comunità eccessivamente presente, essere in una posizione di irregolarità nel Paese ecc...
3 Parolari P., “La violenza contro le donne come questione (trans)culturale. Osservazioni sulla
Convenzione di Istanbul”, 2014, p. 866. Consultabile all’indirizzo www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2014_n14/25-studi_Parolari.pdf
3
Alla luce delle sopra indicate osservazioni, si ritiene opportuno esaminare il fenomeno della violenza di genere che la donna straniera subisce nel paese di arrivo, ovvero in Italia, (escludendo per questioni di spazio la seppur tristemente grave e degna di osservazione tratta degli esseri umani e le forme di violenza che le donne straniere subiscono prima di giungere nel Paese) e di individuare quali tutele giuridiche sono attualmente poste in essere a favore della donna migrante ossia quali strumenti le vengano forniti dal legislatore al fine di prevenire, proteggere le donne straniere vittime di violenza di genere e violenza domestica.
Nel capitolo 1 si analizzano alcuni dati statistici con lo scopo di individuare se sussiste una correlazione empirica tra lo status di migrante e la propensione a subire violenza di genere. Per tale fine si utilizzano i dati dell’indagine ISTAT condotta nel 2014 “La
violenza dentro e fuori la famiglia “e il “Nono rapporto sulla violenza di genere in Toscana” del 2017.
Va sottolineato che la misurazione della violenza di genere è un terreno complesso in quanto complesso è il fenomeno, a partire dal fatto che le forme di violenza sono di vario tipo, così come gli autori delle stesse e le diverse fonti da prendere in esame. Tutto questo considerando che buona parte del fenomeno resta sommersa.
L’ISTAT ha cercato di analizzare su un campione rappresentativo quante donne hanno subito violenza, in quale forme l’hanno subita, chi è il maltrattante (partner, coniuge, sconosciuto), quante denunce sono state emesse e quante donne straniere sono state vittime di violenza.
I dati, per gli scopi dell’elaborato, non potranno essere completi se si considera inoltre la presenza delle donne straniere irregolari e l’informazione carente delle donne richiedenti asilo e rifugiate che subiscono violenza, così come risulta carente una raccolta sistematica dei dati circa l’effettiva presenza in Italia di queste “categorie” di donne.
Nel capitolo 2 si indagano i più significativi fattori di vulnerabilità che rendono lo straniero, e nello specifico la donna, più fragile.
Per garantire maggior chiarezza espositiva si suddivide per categoria le diverse migrazioni femminili: si scrive pertanto di donne che migrano per lavoro, per motivi familiari, per richiedere asilo e donne migranti irregolari.
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Per ogni categoria si esaminano le specificità e le criticità che la donna può vivere in quanto avente quel determinato status giuridico, con la consapevolezza che la realtà è complessa, sfumata e i passaggi di status possono essere flessibili, soprattutto nel caso del passaggio da migrante regolare a migrante irregolare.
Nel capitolo 3 si esaminano, con uno sguardo intersezionale, i principali documenti di rango internazionale, europeo e nazionale riguardanti la tutela della donna straniera vittima di violenza, ovvero si individua all’interno di tali documenti quale attenzione è stata posta nei confronti della donna migrante in quanto soggetto particolarmente vulnerabile e quali forme di tutela giuridica sono state individuate ai fini della prevenzione e protezione delle stesse.
Si analizzano i principali documenti internazionali in materia di lotta alla discriminazione e violenza di genere ossia la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna” (CEDAW), la “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” (risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993), la Piattaforma d’azione della IV Conferenza mondiale sulle donne tenutasi a Pechino del 1995 e la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, firmata a Istanbul l’11 Maggio 2001.
Per quanto concerne la situazione giuridica italiana in materia di violenza di genere e di protezione della vittima migrante, si effettua un’analisi del percorso legislativo italiano che, a partire dalla Costituzione del 1948, ha cercato di garantire alle donne pari opportunità e uguaglianza. Come si vedrà, l’Italia, nonostante le pressioni sovranazionali, risulta essere ostica al cambiamento a causa di un passato ben radicato nel presente. Tale caratteristica la si potrà osservare mediante l’analisi del D.L. 93/2013 e la successiva legge di ratifica L. n. 119 del 2013, legiferate a seguito della Convenzione di Istanbul e recepite non efficacemente dal legislatore italiano.
A questo proposito e per gli scopi del presente elaborato si esamina dettagliatamente l’art. 18-bis (Permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica) inserito nel Testo Unico in materia di immigrazione dalla sopra citata legge e si osservano i punti di criticità e lo scarso recepimento della Convenzione di Istanbul.
Infine nel capitolo IV si esaminano, alla luce della suddetta Convenzione e dell’analisi svolta nel presente elaborato, quali sfide e quali prospettive di miglioramento possiamo
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trovarci davanti al fine di contrastare (ovviamente senza pretese di esaustività) il fenomeno strutturale della violenza di genere, con un’attenzione specifica alla donna migrante.
6
CAPITOLO I
LA VIOLENZA DI GENERE SULLA DONNA MIGRANTE:
EVIDENZE STATISTICHE
Con l’espressione “donne migranti vittime di violenza di genere” ci si riferisce a tutte quelle donne che, in virtù del loro genere e della loro “condizione di fatto” di straniere, potrebbero essere maggiormente esposte a forme di discriminazione e violenza. Se da tempo oramai le donne hanno ricevuto attenzione da parte del diritto internazionale e, a loro tutela e garanzia, sono state poste in essere norme (considerando comunque che la strada da percorrere è ancora lunga), per quanto riguarda la “vulnerabilità” cui è sottoposto il migrante, in questo contesto socio-politico, la comunità internazionale ne ha preso atto solo di recente.
Nel 1997 la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (sostituita dal Consiglio dei Diritti Umani, UNHCR, istituito con la risoluzione 60/251del 15 marzo 2006 dell'Assemblea generale,) ha nominato un Gruppo di lavoro di esperti sui diritti umani dei migranti, i quali hanno affermato che la debolezza dei migranti
“consiste in una situazione di mero fatto (powerlessness) che caratterizzerebbe la relazione di questi sia con lo Stato (di invio e/o di destinazione) che con le forze sociali, e che si sostanzia in una condizione di emarginazione tale da confinarli alla periferia del sistema di protezione dei diritti, sino al punto di impedire il pieno ed effettivo godimento delle proprie posizioni soggettive”.4
Il Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti (organo di controllo istituito dalla Commissione dei diritti umani nel 1999) ha evidenziato che sussiste la relazione tra la condizione di migrante e le diverse forme di discriminazione, con lo specifico riferimento alla violenza contro le donne, “fenomeno che si manifesta
4 Morrone F., “La violenza contro le donne migranti, tra strumenti normativi di cooperazione e prassi
7
sia tra le mura domestiche, che negli ambienti lavorativi (particolarmente esposti sono i settori dell’economia informale e domestica)”.5
Essere migrante o essere donna non può essere considerato di per sé un fattore di vulnerabilità: non si è vulnerabili in quanto stranieri o in quanto donne, come se essere tali avesse la caratteristica intrinseca della vulnerabilità. Si diventa vulnerabili quando il mondo esterno produce norme, stereotipi, consuetudini che rendono un gruppo sociale o “un genere” maggiormente esposto a fenomeni di iniquità e disuguaglianza. In questa sede, si riconduce l’espressione “vulnerabilità” in questa accezione.
In considerazione dell’argomentazione sopra delineata, tutelare una donna straniera vittima di violenza di genere significa considerare giuridicamente più fattori discriminatori e applicarli in modo non settoriale o rigido ma con la consapevolezza della “complessità” dell’essere umano e dei molteplici volti della discriminazione.
1.1 Violenza contro le donne: alcuni dati
Nel presente paragrafo si analizzano i dati statistici riferiti dall’Istituto Nazionale di Statistica e riportati nell’indagine del 2014 denominata “La violenza dentro e fuori la
famiglia”, condotta tra maggio e dicembre 2014, e i dati regionali della Regione
Toscana individuati nel “Nono rapporto sulla violenza di genere in Toscana” del 2017. L’intento conoscitivo non è solo quello di incrociare i dati statistici, (come si vedrà i dati regionali confermano i dati nazionali), quanto quello di approfondire l’accesso della donna maltrattata (sottolineando la variabile cittadinanza che è, per i fini qui esposti, rilevante) ai Centri antiviolenza e alle Case Rifugio. Tali dati non sono disponibili su scala nazionale pertanto, per completezza di informazioni, si ritiene opportuno inserire le specifiche rilevate dal rapporto regionale.
L’Istituto Nazionale di Statistica, durante gli anni ‘90, ha analizzato il fenomeno della violenza, quale molestie o violenze sessuali, nell’ambito delle indagini del processo di vittimizzazione.
Le indagini multiscopo (edizioni 1997-1998, 2002 e 2008-2009) sulla “Sicurezza dei cittadini”, pur essendo stati molto utili per mettere in luce alcuni aspetti, come il
5 Ibidem
8
fenomeno sommerso della criminalità oppure le caratteristiche delle vittime, non sono stati tuttavia sufficienti per rilevare le forme di violenza domestica.
In considerazione di ciò, l’Istat, a seguito di una convenzione stipulata con il Dipartimento per le Pari Opportunità (2001) e mediante il finanziamento dello stesso, ha condotto, nel 2006, un’indagine sul fenomeno della violenza contro le donne in Italia.
L’obiettivo era pertanto la “conoscenza del fenomeno della violenza contro le donne in Italia in tutte le sue diverse forme, in termini di prevalenza e incidenza, di caratteristiche di coloro che ne sono coinvolti e delle conseguenze per la vittima”.6
Nel 2014 è stata effettuata una seconda rilevazione, “La violenza dentro e fuori la
famiglia”, che rimarca i risultati del 2006 accentuandone alcuni aspetti: se da una parte
emerge che le violenze sono in diminuzione e le donne sono maggiormente disposte a volerne uscire, dall’altra non diminuiscono le forme più gravi di violenza, come stupri o tentatati stupri.
È attualmente in corso la progettazione di una nuova edizione per l’anno 2018.
Ai fini del presente elaborato, si vanno ad analizzare le seguenti variabili:
Le donne italiane e straniere che hanno subito violenza di genere e le fattispecie di violenza subita suddivisa per cittadinanza
Il maltrattante in rapporto alla donna italiana/straniera
L’accesso della donna italiana e straniera ai CAV (Centri antiviolenza) e alle Case Rifugio (case ad indirizzo segreto che garantiscono la messa in protezione della donna vittima di violenza).
1.2 I numeri e le forme della violenza contro le donne
Nell’indagine “La violenza dentro e fuori la famiglia” l’ISTAT ha rilevato che sono 6 milioni e 788 mila (31,5%) le donne che, tra i 16 e i 70 anni, hanno subito almeno una delle forme di violenza nel corso della propria vita. Questo dato è significativo
6 ISTAT, “La violenza dentro e fuori la famiglia, 2014. Consultabile all’indirizzo
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dell’ampiezza e della diffusione del fenomeno della violenza contro le donne. Tuttavia va sottolineato che la violenza di genere, nella fattispecie la violenza domestica, è un fenomeno caratterizzato da una componente sommersa in quanto la donna spesso non è pronta a far uscire fuori gli episodi di maltrattamenti subiti.
Come si evince dal “Nono Rapporto della Regione Toscana”
“Le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza sono per la maggior parte donne che subiscono una violenza reiterata nel tempo e in ambito domestico; alcuni tipi di violenza possano essere sottostimati, in quanto è proprio il percorso di uscita dalla violenza che può portare alla consapevolezza di essere vittime di ulteriori tipi di maltrattamento, che potevano inizialmente non apparire tali. Basti pensare alla violenza psicologica e a quella economica, forme di sopraffazione insite nelle altre forme di violenza, e per questo spesso non riconosciute nell’immediato dalle vittime”.7
Come si evince dalla tabella sottostante, tra le forme di violenza poste in essere dal maltrattante nei confronti della donna l’Istat rileva che
“Il 20.2% delle donne maltrattate ha subito violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% ha subito forme più gravi di violenza sessuale come stupri o tentati stupri (652 mila donne). Tra le donne che hanno subito violenze sessuali, le più diffuse sono quelle fisiche (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).
Le donne subiscono anche molte minacce (12,3%); spesso sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi”.8
7Regione Toscana,“Nono rapporto sulla violenza di genere in Toscana”, 2017, p. 62. Consultabile
all’indirizzo http://www.regione.toscana.it/-/nono-rapporto-sulla-violenza-di-genere-in-toscana-anno-2017 (Consultato il 05/10/2018)
8 ISTAT, “La violenza dentro e fuori la famiglia”, 2017, p. 2. Consultabile all’indirizzo
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TABELLA 1: DONNE DAI 16 AI 70 ANNI CHE HANNO SUBITO VIOLENZA FISICA O SESSUALE NEL CORSO DELLA VITA DA UN UOMO PER TIPO DI AUTORE E TIPO DI VIOLENZA SUBITA Tipo di violenza Partner attuale Ex-partner Partner attuali o ex partner Non partner Totale Violenza fisica o sessuale 5.2 18.9 13.6 24.7 31.5 Violenza fisica 4.1 16.4 11.6 12.4 20.2 Violenza sessuale (incluso stupro/tentat o stupro) 2 8.2 5.8 17.5 21.0 Stupro o tentato stupro 0.5 3.8 2.4 3.4 5.4 Stupro 0.4 3.2 2.0 1.2 3.0 Tentato stupro 0.2 1.7 1.1 2.5 3.5
FONTE: ISTAT, VIOLENZA DENTRO E FUORI LA FAMIGLIA, 2017
Per quanto riguarda la violenza subita dalle donne stranire all’anno 2014, la percentuale di immigrate che dichiara di aver subito violenza fisica o sessuale è simile a quella dichiarata dalle italiane, il 31,5% di loro contro il 31,3% delle donne italiane. Quello che diverge è la forma di violenza subita, la gravità della stessa e l’autore del reato.
Le donne straniere sono più predisposte a subire violenza fisica (il 25,7% contro il 19,6% per le italiane), mentre la violenza sessuale viene subita maggiormente dalle donne italiane (16,2% delle straniere contro il 21,5% delle italiane), con una precisazione da sottolineare: le donne italiane sono sottoposte, in particolare, a subire violenze sessuali meno gravi, quali molestie, soprattutto poste in essere da sconosciuti, mentre le donne straniere sono sottoposte a subire forme più gravi, come stupri e tentati stupri ( 7,7% contro il 5,1%).
In rapporto alla cittadinanza si evince che le donne moldave (37,35) hanno subito più violenze, maggiori stupri o tentati stupri (11,7%). Dopo ci sono le donne rumene (33,9%) ucraine (33,2%), marocchine (21,7%), albanesi (18,8%) e cinesi (16,4%).
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Per tutte le cittadinanze straniere considerate, la violenza fisica è più frequente rispetto a quella sessuale, a differenza delle donne italiane che presentano una maggiore incidenza di violenze sessuali, di cui la maggior parte sono molestie.
Tra le cittadinanze straniere si rileva che le donne moldave hanno subito più frequentemente stupri e tentati stupri (11,7%).9
La violenza psicologica ed economica, definita dalla letteratura internazionale con i termini verbal abuse, emotional abuse e financial abuse, si riferisce a tutte quelle
“Dinamiche quotidiane in cui si manifesta un’asimmetria di potere, che sconfina o può sconfinare in gravi situazioni di limitazione, controllo e svalorizzazione del partner, fino ad arrivare a vere e proprie minacce e intimidazioni. In particolare vengono considerate come forme di isolamento le limitazioni nel rapporto con la famiglia di origine o gli amici, l’impedimento o il tentativo di impedire di lavorare o studiare; tra le forme di controllo, compaiono l’imposizione da parte del partner di come vestirsi o pettinarsi, l’essere seguite e spiate, l’impossibilità di uscire da sole, fino alla vera e propria segregazione; tra le forme di violenza economica, sono evidenziati l’impedimento di conoscere il reddito familiare, di avere una carta di credito o un bancomat, di usare il proprio denaro e il costante controllo su quanto e come si spende; tra le forme di svalorizzazione e violenza verbale vengono descritte le situazioni di umiliazioni, offese e denigrazioni anche in pubblico, le critiche per l’aspetto esteriore e per come la compagna si occupa della casa e dei figli e le reazioni di rabbia se la donna parla con altri uomini; infine tra le forme di intimidazione sono compresi dei veri e propri ricatti come portare via i figli, le minacce di fare del male ai figli e alle persone care o a oggetti e animali, nonché quella di suicidarsi”.10
Secondo l’indagine Istat, le donne che hanno dichiarato di aver subito violenza psicologica da parte del partner, all’anno 2014, sono circa 4 milioni e 400 mila, ovvero il 26,4% della popolazione femminile in coppia, in cui il 22,4% non si accompagna a violenza fisica o sessuale.
9Ibidem
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I dati ci dicono che le donne straniere risultano maggiormente sottoposte a subire violenza psicologica (34,5%). Come nazionalità le più colpite sono le marocchine (50,9%) seguite dalle donne moldave, cinesi rumene e ucraine.
Nello specifico le donne cinesi subiscono alti tassi di violenza psicologica (33,3%) contrariamente a bassi tassi di violenza fisica o sessuale posta in essere dal partner.11 In merito ai dati emersi dal “Nono rapporto sulla violenza di genere nella regione
Toscana” circa le forme di violenza poste in essere dal maltrattante, la cui
classificazione utilizzata individua la violenza fisica, psicologica, economica, stalking, violenza sessuale, molestie sessuali e mobbing, si evince quanto segue.
I dati regionali confermano che le forme di violenza economica e fisica, nella fattispecie della violenza domestica, sono più presenti tra le donne straniere mentre lo
stalking12 è una forma di violenza più diffusa tra le italiane, soprattutto quando queste ultime affrontano la separazione dal partner.
Tuttavia, negli ultimi periodi, sembra che siano in aumento le donne, sia italiane che straniere, che riportano di episodi di violenza verificatisi fuori dalle mura domestiche (ex partner o partner non convivente).
I dati Istat in merito alla forma di violenza dello stalking riferiscono invece che le donne straniere che lo subiscono sono il 19,9% a differenza del 14,8% subito dalle donne italiane. Le donne albanesi sono le più colpite da questa forma di violenza (23,3%) seguite dalle donne moldave (20,3%), cinesi (18,3%) e rumene (18,2%).
L’indagine fa emergere inoltre che le donne che subiscono stalking da persone diverse dai partner sono prevalentemente italiane.13
11Ibidem
12L’art. 612 bis c.p. introdotto con il D.L. 23.2.2009, n. 11, recita al co. 1 “Salvo che il fatto costituisca
più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
13ISTAT, “La violenza dentro e fuori la famiglia, 2014, p. 16. Consultabile all’indirizzo
13
1
.3 Il maltrattante
Dai risultati emersi dall’indagine dell’ISTAT risulta che il maltrattante di violenze fisiche e sessuali è prevalentemente il partner o ex partner (13,6% delle donne) mentre gli sconosciuti sono prevalentemente autori di molestie sessuali (il 76.8% delle violenze esercitate da sconosciuti).14
Di fatti, come scrive Galavotti in “Vittime fragili e servizio sociale”, gli agiti violenti che connotano la violenza di genere e nello specifico la violenza domestica, sono caratterizzati da una forma di aggressività di tipo ”affettivo”, reattiva a una qualche minaccia percepita, reale o presunta, istintiva e difensiva, con un alto grado di coinvolgimento emotivo e una bassa pianificazione del reato, in quanto sarebbe prevalentemente la rabbia e la vendetta la motivazione di avvio a tale violenza.15 Anche in merito alla gravità delle violenze subite, quelle inflitte dai partner o ex partner, risultano essere le più gravi.
L’autore della violenza, sia per le straniere che per le italiane, è prevalentemente il partner, anche se nel caso delle donne straniere, quest’ultimo è artefice di forme di violenza più gravi (le donne cinesi avrebbero invece una situazione più simile a quella delle donne italiane).
Anche per quanto riguarda gli stupri o i tentati stupri (che per le italiane sono violenze compiute da sconosciuti) a scapito delle donne straniere, sono realizzati da partner o ex partner, così come le molestie sessuali, che sono accompagnate da minacce, lancio di oggetti o uso/minaccia di armi.
Nel 68,9% dei casi la violenza che la donna straniera ha subito dal partner o ex partner sarebbe iniziata nel Paese di origine mentre il 20% sarebbe iniziata in Italia.16
14Ibidem
15Galavotti Cristina, Vittime fragili e servizio sociale, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna
(RN), 2016, p. 198
16 ISTAT, “La violenza dentro e fuori la famiglia, 2014, p. 6. Consultabile all’indirizzo
14
I dati del rapporto regionale confermano quanto rilevato su scala nazionale ovvero che il principale soggetto maltrattante risulta essere il partner, specialmente nei confronti delle donne straniere.
Tuttavia l’indagine non sottolinea la nazionalità del maltrattante ma solo la nazionalità della donna maltrattata in quanto tale particolare non è contemplato nella Scheda di Rilevazione che viene compilata al momento che la donna fa accesso al CAV.17
Per quanto riguarda la denuncia posta in essere dalle donne maltrattate, sia i dati ISTAT che il rapporto regionale confermano che le donne straniere sono più propense a sporgere denuncia.
L’indagine ISTAT conferma inoltre che è più facile denunciare l’ex partner o il non partner piuttosto che un maltrattante più vicino alla vittima, anche se le straniere sarebbero più predisposte a denunciare il partner autore di violenza sessuale.
1.4 La richiesta di aiuto ai centri antiviolenza e la messa in protezione
presso le Case Rifugio
Nel “Nono rapporto sulla violenza di genere” della Regione Toscana risulta che le donne straniere che hanno chiesto aiuto ai Centri antiviolenza sono il 30,1% mentre le donne italiane sono il 69,9% e che, nel corso degli anni, questa proporzione non è variata di molto.
“La distribuzione del dato a livello provinciale mostra alcune differenze, non necessariamente proporzionali al tasso di presenza di donne straniere sulla popolazione”.18
Il risultato di tale indagine dimostra che il dato è coerente con quanto rilevato dall’indagine Istat (le donne straniere mostrano più elevati livelli di richiesta di aiuto presso i centri antiviolenza e i servizi, 6,4% contro 3,2%) in quanto “il rapporto tra autoctone e donne con cittadinanza non italiana è proporzionalmente maggiore rispetto
17Regione Toscana,“Nono rapporto sulla violenza di genere in Toscana”, 2017, p. 65. Consultabile
all’indirizzo http://www.regione.toscana.it/-/nono-rapporto-sulla-violenza-di-genere-in-toscana-anno-2017 (Consultato il 05/10/2018)
15
al tasso di donne straniere regolarmente residenti in Toscana che, per la fascia di età oltre i 16 anni, supera di poco il 10%”.19
La spiegazione potrebbe essere riconducibile al fatto che le donne straniere potrebbero avere una rete sociale di supporto inferiore rispetto alle donne italiane spingendole pertanto a chiedere di essere inserite in un percorso di protezione presso le strutture apposite.
Il Rapporto riferisce inoltre quali sono le caratteristiche, in sintesi, delle donne italiane e le donne straniere che fanno accesso ai CAV.
Le donne straniere sarebbero maggiormente di giovane età, in situazione di fragilità economica e in rapporto di dipendenza dal partner mentre le donne italiane avrebbero tra i 30 e i 50 anni una situazione economica variegata e buoni livelli di istruzione. Nel grafico sottostante si mostrano le percentuali di donne che si sono rivolte ai CAV suddivise per cittadinanza a livello territoriale, per età e stato di convivenza/situazione reddituale degli ultimi dodici mesi così come riferite dal summenzionato Rapporto. Le donne straniere che si sono rivolte ai CAV nell’anno 2016 sono 867 (29,4%) mentre le donne italiane sono state 2082 (70,6%).
Tabella 3: DONNE CHE SI SONO RIVOLTE AI CENTRI PER CITTADINANZA
(DAL 2010-11 AL 2016-17). ITALIANA STRANIERA 2010/11 65.8 34.2 2011/12 66.1 33.9 2012/13 72.2 27.8 2013/14 71.4 28.6 2014/15 71.0 29.0 2015/16 70.2 29.8 2016/17 70.6 29.4 2016/17 (v.a) 2.082 867 Totale 2010/17 (%) 68.2 30.1 Totale 2010/17 (v.a) 11.710 5.042
FONTE: NONO RAPPORTO SULLA VIOLENZA DI GENERE IN TOSCANA
Per quanto riguarda la presenza delle donne straniere presso le Case Rifugio risultano essere all’anno 2016 il 67,8% circa 82 su 121 donne. Questo dato si spiega in virtù del
19Ibidem
16
fatto che la donna straniera ha una minor rete sociale di riferimento (amicale/parentale/di vicinato) disposta a sostenerla nel momento in cui la stessa decide di uscire dal circuito della violenza, costringendola pertanto a rifugiarsi presso le case, talvolta anche per sfuggire alle persecuzione della comunità etnica di appartenenza.
In particolare presso tali case si trovano maggiormente le donne rumene, marocchine, albanesi, nigeriane, che sono i paesi a maggior pressione migratoria verso l’Italia. Le case Rifugio che “presentano il maggior numero di donne straniere sul totale di donne presenti nelle strutture sono nei territori di Lucca (20,7%) Firenze (12,4%) e Livorno (9,9%). La fascia di età prevalente delle donne presenti nelle strutture va dai 18 ai 39 anni, rispecchiando l’età prevalente delle donne straniere che si rivolgono ai Centri”. 20
20Ibidem
17
CAPITOLO II
DONNE MIGRANTI VITTIME DI VIOLENZA DI GENERE:
ALCUNI FATTORI DELLA VULNERABILITÀ
Come si è potuto osservare dai risultati emersi dalle statistiche, le donne straniere risultano più suscettibili a subire le più gravi forme di violenza e manifestano una difficoltà maggiore ad uscirne fuori.
In questa sede, tale predisposizione viene identificata nei fattori che rendono vulnerabile la donna migrante, quali per esempio lo status giuridico debole della stessa provocato, per esempio, dalle tempistiche amministrative eccessivamente lunghe per il riconoscimento della protezione internazionale ovvero il fenomeno sommerso delle “badanti” fino alle difficoltà del territorio di saper gestire, organizzare o coordinare la seconda accoglienza (rete SPRAR) quale strumento di integrazione, determinandone la sua frammentarietà e incompiutezza.
La donna migrante subisce pertanto una discriminazione multipla, o più esattamente subisce una discriminazione intersezionale in quanto donna e in quanto straniera, a cui si aggiunge una discriminazione posta in essere da uno Stato che non è, attualmente, in grado di tutelarla efficacemente con gli opportuni strumenti giuridici.
La dimensione socio-giuridica in cui la donna migrante si trova coinvolta, per giunta, si unisce a quella psicologica: migrare ha un costo non solo economico ma anche psicologico, richiede un’energia psichica elevata ed una capacità di riorganizzare la propria identità in quanto “la persona passa da un luogo in cui possedeva un’identità sociale, un storia, legami affettivi solidi, a un altro in cui svanisce totalmente, un luogo in cui diventa improvvisamente nessuno”.21
Il sentimento che spesso il migrante prova, quello di sentirsi straniero, di desiderare di essere da “un’altra parte”, di avvertire le differenze, di nostalgia ecc…, in letteratura psicologica viene identificato come un “lutto migratorio” che, in quanto tale, richiede una rielaborazione della perdita, della separazione, “da tutto quello che ha costituito il
18
mondo oggettuale, affettivo e relazionale fino a quel momento. La nuova realtà distrugge più di un parametro dell’identità dell’immigrato”.22
Per i richiedenti asilo la situazione psicologica può essere ulteriormente precaria, in quanto l’aver vissuto particolari esperienze traumatiche, prima e durante il viaggio rende tali persone particolarmente predisposti al disturbo post-traumatico da stress, che come è noto, si presenta spesso con sintomatologie correlate e pertanto può essere all’origine di difficoltà nel processo di integrazione con il nuovo contesto di arrivo. Inoltre le straniere sono donne che giungono in un Paese, l’Italia, dove la parità di genere, di fatto, è ancora lontana dall’essere raggiunta.
Gli stereotipi di genere che la CEDAW (“Convenzione sull’eliminazione di tutte le
forme di discriminazione nei confronti della donna”) quarant’anni fa riconosceva
all’articolo 5 come “causa sociale degli agiti discriminatori”23 sono ancora lontani dall’essere modificati e la donna, tutt’oggi, viene discriminata in vari settori, tra cui il settore lavorativo.
Infatti, secondo il Rapporto Oxfam, in Italia
“Nel 2017 solo il 48,9% delle donne tra i 15 e i 64 anni aveva un'occupazione, uno dei tassi più bassi dell'Europa. In Italia 3 donne su 4 sono vittime di part-time involontario. Nel 2016 1 donna su 4 era impiegata in lavori al di sotto delle proprie qualifiche professionali o formative. Un dato che evidenzia come l'Italia sia ancora indietro in tema di accesso al mercato del lavoro, retribuzione e avanzamento di carriera per le donne”.24
Si conferma così che la discriminazione di genere è tutt’ora un problema sociale rilevante nel nostro Paese. Le donne sarebbero inoltre più esposte a lavori precari e percepirebbero salari inferiori rispetto a quelli degli uomini.
22Ibidem
23Art. 5 della “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della
donna”. Consultabile all’indirizzo http://www.unicef.it/doc/2033/pubblicazioni/convenzione-sulleliminazione-di-tutte-le-forme-di-discriminazione-nei-confronti-della-donna.htm (Consultato il 10/09/2018)
19
Il rapporto sopra citato individua una serie di motivi per cui le donne vivono questa situazione di povertà lavorativa, tra cui le difficoltà di conciliazione dei tempi di cura-lavoro: di fatto le donne (81%) rispetto agli uomini sarebbero le principali responsabili della gestione dei lavori domestici e del lavoro di cura nei confronti dei figli (“il 97% delle donne contro il 72% degli uomini si prende cura dei propri
Figli”).25
In questo contesto già di per sé critico per le donne, le migranti, le famiglie monoparentali e le giovani donne sono le prime ad essere colpite da questo gap affrontando pertanto un rischio maggiore di povertà, precarietà e povertà lavorativa.
2.1 Quando è la norma a rendere “fragile”: i diritti incompiuti nel settore
socio-sanitario
Per le donne straniere, in particolare le donne provenienti da paesi extraeuropei, lo status di migrante costituisce “un fattore di vulnerabilità prodotto e rafforzato dall’ordinamento stesso che aumenta il rischio di subire violenza di genere, come da tempo hanno segnalato l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e molte organizzazioni della società civile”.26
Le donne migranti, così come dimostrato dall’esperienza di varie associazioni tra cui l’associazione Differenza Donna,27 non ricevono, per esempio, adeguate informazioni
in merito alla “tutela dei diritti fondamentali assicurati a tutte a prescindere dalla regolarità sul territorio italiano, soprattutto in tema di diritto alla salute”.28
Il diritto alla salute, in Italia, si afferma nel 1948, quando è stata approvata la Costituzione. La tutela della salute viene definita all’art. 32 Cost. come un diritto
25Ibidem
26 Boiano I., “Uscire dalla violenza per le migranti è più difficile”, in Ingenere. Dati, politiche, questioni
di genere. Giugno 2018. Consultabile all’indirizzo http://www.ingenere.it/articoli/uscire-violenza-per-donne-migranti-piu-difficile
27 Ibidem 28 Ibidem
20
fondamentale dell’individuo in quanto essere umano e non solo come diritto del cittadino ovvero in quanto titolare della cittadinanza.
A partire dagli anni ‘80, quando il fenomeno migratorio inizia ad interessare l’Italia in quanto paese di arrivo dei flussi e non solo come luogo di emigrazione (come avveniva precedentemente a tale data), si pone il problema al legislatore della garanzia dell’assistenza sanitaria.
Dopo una serie di provvedimenti legislativi parziali, si giunge alla promulgazione del Testo Unico (D.lgs. 25 luglio 1998, n.286) che “sancisce, in modo definitivo il diritto all’assistenza sanitaria anche per gli stranieri presenti sul territorio italiano, pur se non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno”,29 rendendo così l’Italia “la prima nazione al mondo a compiere la scelta del diritto alla salute per ogni individuo comunque presente”.30
Il diritto all’assistenza sanitaria, così come indicato dall’art. 34 del Testo Unico in Materia di Immigrazione, articolo introdotto dalla L. n. 40 del 1998, viene garantito agli stranieri che si trovano in una posizione giuridica di regolarità, i quali hanno l’obbligo di iscrizione al Sistema Sanitario Nazionale e godono pertanto “di parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata in Italia dal SSN e alla sua validità temporale”.31
Lo straniero che è regolarmente soggiornante ma non rientra nelle categorie normative indicate dall’articolo 34 co.1 e 2 del TUIMM è tenuto a stipulare una polizza assicurativa contro il rischio di malattie, infortunio e maternità con un istituto assicurativo, sia italiano che straniero.
L’art. 35 co.3 del TUIMM garantisce agli stranieri non regolarmente soggiornanti le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti ed essenziali, anche continuative, per malattia e infortunio. Sono garantiti inoltre la tutela sociale della gravidanza e della maternità, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale, la profilassi diagnosi e cura di malattie infettive e la bonifica di focolai.
29 Codini E., Cutini R. Ferrero M., Olivani P., Panizzut D.,Pompei D., “I diritti sociali degli stranieri”,
Utet giuridica, Milanofiori Assago (MI), 2009, p. 2
30 Ibidem
21
Al comma 5 del presente articolo, lo Stato tutela la persona non regolare sul territorio garantendo che l’accesso ai presidi sanitari non comporta l’obbligo di segnalazione da parte del personale medico ad eccezione dei casi in cui, così come avviene per i cittadini italiani, i medici abbiano il dovere di referto.
Le prestazioni sopra indicate, infine, sono garantite senza oneri di spesa a carico del richiedente qualora lo stesso sia privo di risorse economiche sufficienti per provvedere autonomamente, in conformità all’articolo 32 Cost. nel quale si scrive che la Repubblica debba garantire le cure agli indigenti, in considerazione del carattere solidaristico e universalistico del Sistema Sanitario Nazionale.
Circa il diritto all’assistenza sanitaria, si registrano una serie di disfunzioni che, nel momento cruciale dell’inserimento dello straniero in un paese diverso dal proprio, costituiscono delle vere e proprie barriere amministrative, organizzative ed economiche.
Si rileva infatti una difficoltà da parte dello straniero circa la reale fruibilità del diritto all’assistenza sanitaria “in quanto condizionata sia dal particolare stato di debolezza giuridica dei destinatari, sia dalle problematiche erogative, aggravate dal decentramento regionale”.32
In merito allo status giuridico debole dei destinatari delle prestazioni si riscontrano da un lato
“Difficoltà dovute alla non conoscenza dei propri diritti, della complessità delle procedure amministrative e dall’impossibilità pratica di difesa dei diritti stessi (per esempio il caso dell’immigrato irregolare), dall’altro dalla difficoltà dei servizi nell’interpretazione della nuova normativa e dalla loro relativa capacità culturale di rispondere alle esigenze dell’utenza straniera”.33
A seguito del percorso di decentramento regionale avvenuto in Italia con la L. n. 59 del 1997, la competenza sanitaria è rientrata nell’ambito delle competenze concorrenti tra Stato e Regioni.
32 Codini E., Cutini R. Ferrero M., Olivani P., Panizzut D.,Pompei D.,“I diritti sociali degli stranieri”,
Utet giuridica, Milanofiori Assago (MI), 2009, p. 18
22
Successivamente, mediante la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione avvenuto con L. costituzionale n. 3 del 2001, all’art. 117 commi b ed m “lo Stato conserva la competenza esclusiva nel promulgare le leggi sull’immigrazione e nel definire i Livelli Minimi di Assistenza (LEA)”.34
Pertanto, essendo i Servizi Sanitari Regionali a farsi carico dell’erogazione delle prestazioni di cura e di assistenza, si è giunti ad una disomogeneità di regole, prassi, trattamento tra una Regione e l’altra, nonché “causa sia di ritardi nell’emissione di documenti applicativi necessari all’erogazione dei servizi, sia di interpretazioni arbitrarie delle leggi dello Stato, che ne condizionano l’efficacia”.35
Agli aspetti normativi-amministrativi si aggiungono caratteristiche “interne” alla medicina stessa che potrebbero essere fattori di rafforzamento della vulnerabilità, in particolare, per la donna migrante.
A questo proposito è stata avviata una ricerca di tipo etnografico-visivo relativa, prevalentemente, alla raccolta delle storie di vita delle donne migranti nel Salernitano. Nello specifico, attraverso la sopra indicata metodologia, il ricercatore ha inteso raccogliere “la percezione e la narrazione della malattia e del benessere di tali donne”36
con lo scopo di “far emergere le difficoltà incontrate (di genere, linguistiche, culturali) delle donne migranti individuate come informatrici, nell’accesso e nella fruizione dei servizi sanitari”.37
L’accesso ai servizi sanitari potrebbe essere reso problematico per la donna migrante, non solo a causa della difficoltà, per esempio, a reperire informazioni sulle modalità di accesso e quant’altro a seguito di barriere linguistiche, ma anche per come il concetto stesso di salute viene declinato dalle stesse.
Potrebbe essere, quindi, che la risposta data dai Servizi Sanitari non sia congrua alla domanda di salute posta in essere dalla migrante, rendendo pertanto tale domanda insoddisfatta e l’integrazione di queste donne più difficoltosa.
34 Ibidem
35Ibidem
36Esposito V., “La narrazione della malattia. Storie di vita delle donne migranti nel Salernitano”, in
L’uomo Società Tradizione Sviluppo, fascicolo 1, gennaio-giugno 2016, p. 141
23
Attraverso la raccolta di narrazioni delle storie di vita, nella sopra menzionata ricerca, potrebbe emergere che, rispetto alla salute e alla percezione della qualità di vita, esistano delle differenze socio-culturali. Potrebbe risultare anche che i fattori di rischio biologici s’intersecano nello sviluppo della malattia con i fattori economici, sociali e culturali, rendendo pertanto la medicina, così come impostata allo stato attuale, inadatta a soddisfare i bisogni di cura e a tutelare il diritto alla salute.
Di fatti,
“La medicina basata sull’evidenza, cioè quella che formula diagnosi a partire dai sintomi che il paziente manifesta, non tiene conto di tutti quegli aspetti culturali, contestuali ed emotivi che caratterizzano la persona e influiscono, più o meno direttamente, sul suo stato di salute, sulla sua condizione di sano o malato”.38
Al contrario, la definizione stessa di “salute” o di “malattia” è influenzata secondo l’antropologia medica dall’aspetto culturale e di contesto in cui vive la persona. In considerazione di queste argomentazioni, si rende opportuno l’implementazione della Medicina Narrativa (Narrative Medicine), che “si propone di inserire all’interno della pratica medica quotidiana l’utilizzo della narrazione quale strumento di raccolta e interpretazione di informazioni sull’esperienza di malattia del paziente”.39
Si potrebbe garantire dunque più efficacia nel percorso di guarigione intesa in senso olistico. Sarebbe opportuno inoltre lo sviluppo e l’applicazione della prospettiva di genere in medicina.
La donna migrante potrebbe essere in tal modo maggiormente tutelata e i suoi diritti, riconosciuti da convenzioni internazionali nonché dalla costituzione italiana, resi effettivamente garantiti.
38Ibidem
39 Smorti A., Fioretti C., “Dalla medicina narrativa alla medicina narrativa basata sull’evidenza, in
24
2.1.1 Il diritto all’assistenza sociale
L’articolo 38 della Costituzione stabilisce che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.40
Questa tipologia di assistenza non è collegata ai requisiti contributivi o assicurativi. Tuttavia si riferisce al solo cittadino e non all’individuo in quanto tale.
Per gli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti il diritto all’assistenza sociale è regolato dall’art. 41 del TUIMM e dall’art.20 della L. n. 133 del 2008. Pertanto, mentre l’assistenza sanitaria è garantita anche agli immigrati irregolari, nella misura delineata nel paragrafo precedente, in quanto il diritto alla salute è un diritto fondamentale, l’assistenza sociale, il cui accesso è significativo del processo di inclusione dello straniero poiché evita di collocarlo automaticamente nell’area di povertà, è garantita agli immigrati in regola con il titolo di soggiorno.
Si evidenzia perciò una differente impostazione ed una frattura nella lettura dei diritti di cittadinanza delle persone immigrate.
Se lo straniero perdesse il lavoro a causa di un infortunio, malattia o gravidanza, emergerebbero bisogni assistenziali a cui lo Stato non potrebbe rispondere in quanto la persona probabilmente non si trova più in una posizione di regolarità.
Di fatti, il permesso di soggiorno è correlato al lavoro; lavoro che però potrebbe essere interrotto a causa delle sopracitate condizioni di rischio comportando, paradossalmente, per la persona straniera la perdita della titolarità per accedere alle prestazioni assistenziali.
Si vanno a creare non pochi problemi in merito all’accesso ai servizi in cui si richiede un livello di integrazione tra il sociale e sanitario, ovvero i servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, soprattutto per gli immigrati “collocati al di fuori dei sistemi di garanzia per quanto attiene le attività lavorative” 41 determinando delle situazioni di
disuguaglianza tra popolazione autoctona e immigrati e tra immigrati con status giuridico differente.
40Art. 38 Cost.
25
Si crea quindi una sorta di “discriminazione istituzionale” ovvero le procedure amministrative diventano fautori di altrettanta discriminazione, accentuando le differenze sociali: in questo caso, il fatto di essere un migrante irregolare comporta l’essere ritenuto immeritevole di ricevere prestazioni sociali a differenza del migrante meritevole in quando titolare del permesso di soggiorno.
Dal punto di vista del senso comune, e mai come nell’attuale periodo storico, gli immigrati irregolari sono considerati criminali, stupratori, rapinatori.
Sappiamo invece che spesso è la stessa persona straniera a subire, durante la sua storia migratoria, dei cambiamenti di status, da regolare a irregolare. E questo crea umiliazione. E la causa è l’incapacità del sistema di garanzia dei diritti dell’uomo. Per esempio, la donna immigrata, clandestina o irregolare, in stato di gravidanza può acquisire il permesso di soggiorno per motivi di salute durante i mesi della gestazione e i successivi sei mesi alla nascita del bambino. In questo periodo, la donna ha diritto alle prestazioni socio-assistenziali oltre che a quelle sanitarie gratuite.
Se la donna trova lavoro non ha la possibilità di vedersi trasformato il titolo acquisito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, comportando che, diventando irregolari, il nuovo nucleo familiare perde il diritto all’assistenza sociale tranne che quella sanitaria.
In merito all’accesso ai servizi socio-sanitari e sociali è emerso quindi che gli immigrati si sono trovati di fronte ad una serie di barriere all’accesso, che provocano una maggiore vulnerabilità degli stessi, quali “barriere giuridico-legali relative alla stratificazione civica, cioè all’assistenza differenziata a seconda dello stato giuridico dell’immigrato che hanno creato confusione e incertezza sul diritto oltre che esclusione”.42
Sono state riscontrate anche numerose e paradossali barriere burocratico-amministrative, per esempio in relazione al requisito di residenza della persona straniera e
“barriere organizzative (lentezza per la documentazione, mancata flessibilità degli orari dei servizi), barriere economiche (difficoltà di pagamento dei ticket sanitari, non
42Ibidem
26
riconoscimento indigenza per STP, rette degli asili nido) e infine barriere di incompetenza e/o del razzismo istituzionale (operatori dei servizi socio- sanitari spesso non formati per capire i bisogni dell’utenza straniera, con ignoranza della legislazione relativa all’immigrazione, a volte giustificativa di pratiche di discriminazione istituzionale)”.43
Un altro fattore di vulnerabilità per la persona immigrata, soprattutto per la donna straniera nel caso in cui la stessa subisca violenza di genere/ maltrattamento, è la difficoltà per quest’ultima circa la conoscenza del servizio e del diritto ad esso collegato.
Affinché la donna ricorra al servizio sociale per chiedere aiuto è necessario che la stessa sia consapevole di questo diritto. Spesso, le migranti provengono da paesi dove non esiste uno Stato di diritto o uno Stato Sociale pertanto non hanno familiarità con gli strumenti da esso preposti.
Alcuni nodi critici, individuati a seguito di studi a proposito dell’organizzazione dei servizi sociali, dell’attuale Welfare italiano riguardano la disinformazione sull’accesso alle risorse offerte dallo Stato la quale è carente per i cittadini italiani e quasi assente per gli stranieri.
L’utilizzo dei servizi comporta la conoscenza della “cultura dei servizi”, pertanto una scarsa informazione ne scoraggia l’uso, soprattutto per la popolazione straniera, comportando disorientamento e cronicità di situazioni che potrebbero essere risolte nella loro fase acuta.
Per la donna straniera si registrano ulteriori difficoltà nella fruibilità dei servizi anche durante il periodo di gravidanza. Spesso effettuano il primo controllo quasi al termine della gestazione, non utilizzano nella stessa misura delle italiane i servizi materno- infantili oppure non effettuano tutti i dovuti controlli a loro prescritti.
Sembra che le cause di tali inadempienze siano dovuti agli orari di lavoro a tempo pieno cui le donne straniere sono sottoposte.
Infatti le donne straniere, prevalentemente quelle provenienti dell’Est Europa, lavorano soprattutto nel mercato del “badantato” e non hanno a causa del loro lavoro
43Ibidem
27
“i benefici che le italiane danno per scontati, come ad esempio il permesso per malattia o il tempo libero per andare a fare una visita medica, o non sono informate sull’esistenza del servizio consultoriale e della sua gratuità”.44
Al contempo, tali difficoltà si collegano alle barriere sopra delineate, ed è questo mix di fattori che crea disagio che, come più volte scritto, viene perpetuato dalla norma stessa.
In caso di violenza, come sopra anticipato, le donne straniere “non ricevono adeguate informazioni sugli strumenti predisposti dalla legge...”45
Per sopperire a questa mancanza sono stati sviluppati una serie di progetti a livello europeo, promossi dall’Associazione Differenza Donna,
“Tra cui il progetto Women Empowerment Integration Partecipation, sostenuto dal Fondo europeo per l’integrazione e la migrazione (AMIF), che mira a potenziare in quattro paesi le possibilità per le donne migranti di integrazione nel tessuto sociale, attraverso attività di empowerment sociale e lavorativo, e il progetto Safetynet realizzato nell’ambito del programma Daphne della Commissione europea, con l’obiettivo di assicurare alle donne migranti vittime di violenza di genere accesso a servizi di protezione adeguati”.46
Un altro fattore importante che può comportare un aumento della vulnerabilità per le persone straniere riguarda la differenza culturale e linguistica che può determinare bisogni particolari nel soggetto, proprio perché ad essere diverso è il modello culturale di riferimento della persona.
La lingua infatti “non è solo parole diverse, ma differenti filosofie, priorità, modi di vivere, una differente cultura, intesa questa come un insieme complesso di simboli,
44Ibidem
45 Boiano I., “Uscire dalla violenza, per le migranti è più difficile”, In Ingenere. Dati, politiche, questioni
di genere. Giugno 2018. Consultabile all’indirizzo http://www.ingenere.it/articoli/uscire-violenza-per-donne-migranti-piu-difficile
28
valori e rappresentazioni in base a cui l’uomo spiega e organizza la sua presenza nel mondo”.47
Sarebbe necessario dunque che gli strumenti professionali utilizzati dall’operatore che lavora nel settore, per esempio, siano adeguati e non “etnocentrici”.
Una chiusura etnocentrica dell’operatore comporta che la persona non si senta accolta e “lì dove le differenze non vengano accolte, possono prevalere nell’immigrato sentimenti che evocano senso di solitudine, isolamento, abbandono, perché significano assenza di collegamento e relazione con altri”.48
2.2 Donne che migrano: la femminilizzazione della migrazione e
vulnerabilità
L’Italia, a partire dagli anni ‘70 del 900, è passata dall’essere un paese con una forte spinta emigratoria ad un paese di immigrazione, mantenendo tuttavia una, seppur diminuita, presenza di emigrazione. Tale flusso migratorio è cresciuto nel corso degli anni.
Sono molteplici i motivi delle migrazioni internazionali. Tra i fattori di spinta si possono individuare
“Squilibri economici internazionali Povertà e degrado ambientale Assenza di pace e sicurezza Violazioni di diritti umani
Livelli diversi dello sviluppo di istituzioni giudiziarie e democratiche
Ricerca di maggiore emancipazione dal contesto familiare, di libertà di espressione, di crescita culturale, nonché curiosità intellettuale”.49
47Spinelli E.,”Immigrazione e servizio sociale”, Carocci faber, Vignate, 2017, p. 105 48Ibidem
49Jura Gentium, in Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale. Consultatabile
29
L’Italia, così come gli altri paesi dell’area mediterranea, è a partire dagli anni ‘90 che risulta maggiormente interessata del fenomeno migratorio.
I cittadini stranieri residenti in Italia al 1 Gennaio 2017 sono oltre 5 milioni ovvero l’8,3% del totale dei residenti, con un incremento di circa 21 mila unità (+0,4%) rispetto all’anno precedente. Il 52,4% del totale della popolazione straniera è di sesso femminile (un punto in meno rispetto all’anno 2012).
I permessi di soggiorno che sono stati rilasciati, sono principalmente per motivo di lavoro o per motivi familiari.
Per quanto concerne il mercato del lavoro, il tasso di occupazione degli stranieri rilevato all’anno 2017 è del 63,9% contro il 62,2% degli italiani “mentre il tasso di disoccupazione diminuisce in maniera più intensa tra gli stranieri, che però continuano a presentare una disoccupazione più elevata; il tasso di inattività è invece più basso per gli stranieri (29,2%) rispetto agli italiani (35,2%), con divari più forti nel Mezzogiorno".50
Attualmente, come sopra scritto, la componente femminile dell’immigrazione rappresenta il 52,4 % delle persone immigrate.
La donna ha quindi acquistato nel tempo più centralità nel percorso migratorio tanto che in letteratura si parla di “femminilizzazione dei flussi migratori” per indicare non solo che le donne partono di più rispetto al passato ma che sono protagoniste del percorso migratorio.
"Tali flussi corrispondono ad una crescente domanda di manodopera femminile immigrata… per due principali settori: le occupazioni tradizionalmente femminili – domestiche, infermiere, prostitute, e i settori produttivi così detti labour intensive".51 Secondo la letteratura classica di ambito, il protagonista del processo migratorio nelle migrazioni internazionali, a partire dal dopoguerra, era l’uomo mentre la donna appariva solo successivamente al marito, a seguito del ricongiungimento familiare.
50 Noi Italia, consultabile all’indirizzo
http://noi-italia.istat.it/index.php?id=3&tx_usercento_centofe%5Bcategoria%5D=4&tx_usercento_centofe %5Baction%5D=show&tx_usercento_centofe%5Bcontroller%5D=Categoria&cHash=015f1be0ca 6693e56b80c16b4e35ea54 (Consultato il 25/10/2018)
51 Jura Gentium, in Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale. Consultabile
30
Inoltre la donna non partecipava attivamente nel paese di arrivo al mercato del lavoro ma prevalentemente svolgeva lavori in ambito domestico.
Tale mutamento, all’interno del fenomeno migratorio, è correlato ai cambiamenti sociali del Paese ospitante, così come avvenuti in molti Paesi d’Europa a partire dal secondo dopoguerra, tali da far appartenere questi Paesi al cosiddetto “modello mediterraneo di immigrazione”.
Le caratteristiche del suddetto modello sono le seguenti:
“Tasso negativo di crescita della popolazione;
Alta percentuale di disoccupazione relativamente alla media europea; Alta domanda di lavoratori immigrati;
Ruolo determinante dell’economia informale; Crescente femminilizzazione dei flussi migratori;
Opinione pubblica che risulta divisa a metà: una parte aperta alla nuova presenza e opportunità che offre, una parte – quasi altrettanto consistente- chiusa, che considera l’immigrazione un’invasione pericolosa, priva di benefici e non dettata dagli squilibri economici dei paesi di origine e dalle esigenze demografiche e occupazionali”.52
Questi elementi di mutamento nel contesto socio-politico italiano hanno comportato sia un cambiamento nei percorsi migratori sia nei ruoli di genere e nelle composizioni delle famiglie di oggi.
Non potendo essere esaustivi su tale tematica, si presenterà di seguito una breve panoramica.
L’Italia, a seguito del “processo di modernizzazione e di secolarizzazione sociale da un lato e il progresso medico scientifico dall’altro”53 è diventata un Paese che
invecchia rapidamente.
52Spinelli E.,”Immigrazione e servizio sociale”, Carocci faber, Vignate, 2017, p. 44
53 ISTAT, consultabile all’indirizzo http:/www4.istat.it/it/anziani/popolazione-e-famiglie, (Consultato
31
Tale struttura per età, definita spesso in letteratura a piramide rovesciata, è principalmente causata dall’aumento della sopravvivenza media e dalla riduzione della fecondità.
Accanto a questo mutato trend negativo di crescita della popolazione si aggiunge l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, che fino ad allora erano relegate prevalentemente al lavoro domestico e di cura, lasciando pertanto un “vuoto assistenziale” e un “indebolimento delle reti di sostegno formale”54 (si ricorda che
l’Italia è caratterizzata da un modello di politica sociale di tipo familistico).
Anche il mercato del lavoro subisce dei cambiamenti: il settore industriale declina lasciando il posto al settore dei servizi, al settore terziario e al lavoro domestico. È prevalentemente in quest’ultimo settore che le donne straniere diventano protagoniste come “risorse” per sopperire a quel vuoto assistenziale sopra delineato e come protagoniste del loro percorso migratorio.
Infatti, come in questo caso “la donna costituisce l’anello primario della catena migratoria o comunque parte attiva nel mercato del lavoro e nel processo decisionale del progetto migratorio”.55
In merito ai ruoli di genere, si è scritto che le donne hanno abbandonato la loro unica veste di casalinghe per entrare nel mondo del lavoro.
Tale scelta ha contribuito a creare un effetto domino che va dal
“Declino della famiglia tradizionale, quella in cui il marito ha un lavoro remunerato e la moglie svolge attività di casalinga all’aumento di matrimoni nell’ambito della stessa categoria sociale, alla posticipazione della prima gravidanza, a livelli di natalità inferiori agli auspicati, all’accresciuta instabilità coniugale, all’infittirsi delle famiglie atipiche, molte delle quali economicamente vulnerabili”56 fino, come già scritto, alla
necessità di individuare un sostegno per il lavoro domestico e di cura.
54Spinelli E.,”Immigrazione e servizio sociale”, Carocci faber, Vignate, 2017, p. 45 55Ibidem
32
Si può dire che le donne hanno, in un certo senso, “mascolinizzato le loro preferenze in termini di scelte di vita”57 a cui però non corrisponde una femminilizzazione dei
percorsi maschili, tanto che l’autore Esping- Andersen, nel libro Oltre lo stato
assistenziale, parla di “rivoluzione incompiuta” in quanto “riflette una stratificazione
sociale”.58
Una delle problematiche che diventa concausa dei mutamenti demografici è proprio la difficoltà per le donne a conciliare i tempi di carriera e quelli di cura/maternità in quanto sono presenti tutt’oggi asimmetrie all’interno della coppia circa il lavoro domestico. Inoltre non vengono garantite politiche sociali di conciliazione.
Di fatto, in un contesto sociale dove le donne hanno acquisito elevati livelli di istruzione e sono entrate nel mondo del lavoro a partire dagli anni ‘70, la divisione dei ruoli tipica del passato che viene riprodotta comporta iniquità di genere.
È in questa iniquità e all’interno di questa cultura del patriarcato che la violenza di genere, e nello specifico la violenza domestica, si perpetua.
Ed è questa cultura che, attraverso opportuni strumenti giuridici ed educativi, va abbattuta.
Nel presente elaborato, i sopra citati elementi saranno i fattori intersezionali di cui spesso si scrive.
La migrante è
“Prima di tutto una donna, e per questo vittima di una società maschilista; in aggiunta la migrante è una straniera portatrice di un bagaglio culturale sconosciuto, percepita come l'altro, come il differente, irriducibile alle identità che una cultura considera come acquisite e non rimettibili in discussione”.59
Di seguito si va ad esaminare le donne migranti a seconda “della categoria normativa” che lo Stato le dà.
In questa sede si prenderà in esame quattro diverse situazioni:
57Esping- Andersen G., “Oltre lo stato assistenziale”, Garzanti, Varese, 2010 58Ibidem
59Jura Gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale. Consultabile