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Procedimento contro i colpevoli

In merito al procedimento contro i colpevoli, si discute gli artt. 29 e 30 della Convenzione di Istanbul, nella loro applicazione in Italia, concernenti rispettivamente i “Procedimenti e vie di ricorso in materia civile” e i “Risarcimenti”.

L’art. 29 co. 2 della Convenzione obbliga le Parti ad adottare misure legislative, in conformità del diritto internazionale, “per fornire alle vittime adeguati risarcimenti civili nei confronti delle autorità statali che abbiano mancato al loro dovere di adottare le necessarie misure di prevenzione o di protezione nell’ambito delle loro competenze.”222

In Italia, circa la materia di risarcimento da parte delle autorità statali, si fa riferimento alla legge Vassalli (L.117/1988, modificata dalla L.18/2015).

La suddetta legge riconosce il risarcimento del danno a seguito di una danno ingiusto “causato da un comportamento, atto o provvedimento giudiziario emesso con dolo o colpa grave o conseguente a diniego di giustizia.”223

222“Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti

delle donne e la violenza domestica”. Consultabile all’indirizzo http://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=13A0578900000010110002& dgu=2013-07-02&art.dataPubblicazioneGazzetta=2013-07-

02&art.codiceRedazionale=13A05789&art.num=1&art.tiposerie=SG.

223 Rapporto Ombra al GREVIO. Consultabile all’indirizzo

https://www.direcontrolaviolenza.it/pubblicato-rapporto-ombra-al-grevio/ (Consultato il 09/04/2019)

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La legge n. 18 del 2015 ha apportato alcune modifiche, tra cui ha aumentato il termine per proporre l’azione a tre anni, “ha ridefinito le ipotesi di colpa grave e ha eliminato il filtro di ammissibilità dei ricorsi.”224

A seguito della sopracitata legge, è stato registrato un aumento delle azioni contro i magistrati ma questi ultimi non avrebbero risposto in modo diretto del loro operato. Difatti, tale azione risarcitoria, va esperita nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri e risulta ammissibile successivamente all’esercizio, da parte dell’Attore, di tutti gli strumenti ordinari di impugnazione dei provvedimenti ritenuti lesivi. Attualmente l’unica sentenza che ha riconosciuto la responsabilità civile della magistratura è stata quella del Tribunale di Messina, I sez.civile con sentenza del 30 Maggio 2017. I giudici hanno infatti

“riconosciuto la responsabilità della Procura della Repubblica per non aver disposto alcun atto di indagine e non aver adottato nessuna misura volta a neutralizzare la pericolosità dell’autore del reato davanti a plurime denunce presentate da una donna vittima di maltrattamenti da parte del marito, che l’aveva infine uccisa.”225

Tale sentenza ha riconosciuto pertanto la negligenza non scusabile posta in essere dai magistrati e ha condannato gli stessi al pagamento di una somma come risarcimento del danno patrimoniale.

Altri casi simili, al momento, non sono rinvenuti.

È raccomandabile quindi che vengano introdotte misure legislative che permettano di favorire l’azione risarcitoria nei confronti dei magistrati che arrecano un danno ingiusto nell’esercizio delle loro funzioni.

Per quanto concerne il risarcimento del danno richiesto verso l’autore del reato, nell’ordinamento giuridico italiano sono contemplate due possibilità per la vittima di violenza di genere: quello richiesto in sede civile e quello chiesto in sede penale mediante la costituzione di parte civile nel processo contro il colpevole.

In sede civile si può chiedere il risarcimento del danno a seguito di un fatto illecito subito, con onere del richiedente di dimostrarlo e con il nesso causale tra il fatto e il

224Ibidem

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danno pervenuto alla vittima. Nella pratica, nonostante l’assenza di una raccolta dati in merito, si registra una difficoltà nell’utilizzo di questo strumento.

I motivi sarebbero riconducibili, per esempio, ai costi del procedimento, ai tempi lunghi per giungere all’emissione di una sentenza e alla macchinosità del sistema probatorio.

Uno dei principali ostacoli alla protezione della donna in sede penale e al relativo risarcimento del danno, riguarda il rischio di vittimizzazione secondaria che la vittima potrebbe subire, nonostante la Corte di Cassazione abbia più volte affermato che “le dichiarazioni della vittima del reato possano da sole fondare la condanna.”226

DI fatto, tendenzialmente, la donna viene scrupolosamente vagliata circa l’attendibilità del suo racconto.

Nel caso in cui la vittima sia straniera la possibilità che quest’ultima sia creduta è ridotta dal pregiudizio che la stessa abbia dei secondi fini. In questo modo, il centro dell’indagine processuale si sposta dall’indagato alla vittima.

In conclusione, ancora una volta, si è dimostrato come la discriminazione di genere e di razza sia tutt’oggi presente nel tessuto socio-giuridico italiano.

Trasversale all’attuazione gli obiettivi delle “Quattro P”, obiettivi che in Italia sono lungi dall’essere realizzati, dovrebbe essere l’utilizzo della prospettiva di genere in migrazione e quindi l’attenzione verso la specificità del bisogno della donna straniera, che come si è ampiamente scritto, è soggetta ad una discriminazione internazionale, in quanto donna e in quanto straniera. Pertanto nell’analisi sarebbe opportuno che tali bisogni siano discussi, analizzati ed infine soddisfatti mediante opportune disposizioni.

226Ibidem cit. Cass, 45920/14. Cassazione penale, sez. VI 06/06/2011 n.22281, Cass. Penale, sez.III sent.

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Conclusione

Alla luce di quanto emerso dalla ricerca delle principali fonti in materia di violenza di genere verso le donne migranti si può trarre alcune conclusioni

Come è stato verificato dalle indagini statistiche in tema di violenza contro le donne, le donne straniere subiscono violenza di genere in misura simile a quella subita dalle italiane. Ciò che diverge tra le due donne è la forma della violenza e la gravità della stessa.

A seguito dell’indagine Istat analizzata, infatti, le donne straniere sembrano subire, rispetto alle donne italiane, le forme più gravi di violenza, quali violenza fisica, stupri o tentati stupri, ma anche violenza psicologica ed economica.

Per quanto riguarda l’autore del reato, sia per le donne straniere che per le donne italiane, risulta essere prevalentemente il partner o l’ex partner. Infatti la violenza di genere, fenomeno tristemente diffuso nelle società contemporanee, è caratterizzata da una forma di aggressività di tipo “affettivo” e con un alto grado di coinvolgimento emotivo.

La differenza tra le due donne è che nel caso delle straniere, le violenze da loro subite da parte di questi uomini risultano essere più gravi.

Secondo le Convenzioni internazionali, l’origine della violenza è di tipo strutturale, ovvero nasce dal modello di comportamento socio-culturale, dagli schemi mentali, dagli stereotipi e dai pregiudizi che nascono, si sviluppano e si radicano all’interno delle società e che sono caratterizzati prevalentemente dalla convinzione dell’inferiorità di un sesso rispetto ad un altro.

La violenza è pertanto una discriminazione di genere e la discriminazione è la principale causa della violenza contro le donne.

L’Italia, a seguito delle pressioni sovranazionali, ha cercato di individuare degli strumenti che potessero eliminare il fenomeno della violenza.

Ma come si è potuto osservare dalla ricerca proposta, i tentativi di cambiamento posti in essere dal legislatore si sono scontrati con una lunga tradizione di policy centrata sul ruolo della donna come regina del focolare, che ha affievolito ogni proposta innovativa.

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Anzi, a mio avviso, il periodo storico che stiamo vivendo è caratterizzato da una serie di tentativi di “ritorno al passato”.

Parlare di “violenza di tipo strutturale”, parlare di “modelli comportamentali e stereotipati che sono all’origine della violenza di genere”, significa riflettere sul concetto di genere, che non è la semplice differenza biologica/sessuale tra uomo e donna ma è una costruzione sociale di atteggiamenti e comportamenti che sin dalla primissima infanzia vengono insegnati dalle varie agenzie di socializzazione ai bambini, con lo scopo di garantire un determinato ordine sociale.

Generalmente i bambini vengano educati all’essere maschio, per esempio attraverso giochi prettamente maschili, attraverso le pareti di camera colorate di blu e talvolta essi vengano incitati a “non piangere” perché tale atto è da femmine.

Le bambine, spesso, ricevono giochi che fanno riferimento al mondo domestico, hanno le pareti di camera rosa e talvolta vengano tristemente educate alla sottomissione del potere maschile.

Ma sappiamo bene che i bambini sognano, sognano modi e mondi diversi che se osano applicare, molto spesso vengano riportati sulla retta via da adulti coscienziosi che cercano appunto di indicare loro la strada del ruolo affidato dalla società, non anche dalla natura, del maschio e della femmina.

Educare alla parità di genere significa pertanto compiere una rivoluzione nel modo di pensare, e di conseguenza di comportarsi, che dovrebbe partire da ognuno di noi e dovrebbe essere sostenuta da chi detiene il potere, da i mass-media, dalle scuole. Aggiungo anche la necessità di educare al “noi” e alla comunità piuttosto che alla competizione, l’individualismo e all’arrivismo che sono a mio avviso i mali della nostra epoca. Talvolta si confonde il femminismo con l’esasperazione del maschilismo: parlo del desiderio di alcune donne di essere super efficienti, indipendenti, forti, che non hanno bisogno di chiedere aiuto e che odiano la dipendenza.

Ma ahimè, credo che l’indipendenza esasperata sia solo l’altra faccia della medaglia di un attaccamento morboso.

Individuate le cause primarie e strutturali della violenza, l’elaborato invita ad agire nella protezione e nel sostegno delle donne vittime di violenza, individuando dal punto di vista socio-giuridico, alcune categorie di donne che sono rese dalla società ancora più vulnerabili: le donne migranti.

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Si è discusso pertanto quali sono i fattori che rendono la migrante così esposta a diventare vittima e si è visto che non sono, ovviamente, fattori intrinsechi della migrazione o della donna migrante.

Sono ancora una volta chiusure da parte di chi detiene il potere, da parte di chi avrebbe il compito di tutelare una persona attraverso norme efficaci e non solo propagandistiche, mere perpetuatrici del potere stesso e fine a se stesso.

Queste norme devono nascere dopo studi approfonditi, analizzando quali sono i punti di criticità e quali sono le buone prassi che vengano proposte o realizzate in altri paesi. Sarebbe necessario quindi un maggior approfondimento della prospettiva di genere in migrazione.

Questa lacuna conoscitiva è riscontrabile anche nel semplice fatto che solo recentemente la normativa internazionale ha preso atto delle difficoltà che le donne migranti vivono nel loro percorso migratorio e la produzione scientifica riguardante il tema è molto scarsa.

Possiamo dire che soltanto con la Convenzione di Istanbul del 2011 l’umano ha pensato allo strumento giuridico del permesso di soggiorno per le donne straniere che subiscono violenza di genere.

Il nostro Paese, purtroppo e ancora una volta, ha peccato di insufficienza e, nonostante la legge di ratifica della Convenzione e la legge 119/2013 che prevedeva il rilascio di tale titolo, non ha saputo organizzare una normativa efficiente, a garanzia e tutela della donna migrante.

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