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c) Dopo lo Statute of Uses: la genesi dello Statute of Wills (1540) e lo sviluppo dello Use upon Use.

Come si è avuto modo di vedere, l’adozione, seppur ottenuta attraverso un iter travagliato e di forte impatto sociale, dello Statute of Uses sembrava aver accontentato tutti: la Corona, che se ne era fatta promotrice con l’obiettivo di ottenere la conservazione dei privilegi (di natura tributaria) feudali era riuscita ad assicurare la buona salute della tesoreria reale; la grande nobiltà terriera, anch’essa soddisfatta dalla conservazione del vecchio sistema immobiliare a struttura piramidale, in parte per le medesime ragioni della monarchia e in parte perché ciò le consentiva di mantenere influenza politica sul potere centrale; i common lawyers che sistemandosi nella cabina di regia della riforma avevano acquisito favore agli occhi del monarca e avevano assicurato continuità e ampliato gli ambiti della propria professione. Tuttavia, gli uses avevano lasciato un tratto che si rivelerà indelebile nella trattazione immobiliare e, più in generale, nei rapporti sociali del popolo inglese. Proprio per questo il divieto di utilizzo fu particolarmente pesante per quelle parti della società che non avevano partecipato al processo di formazione dello Statute e che, paradossalmente, ne subirono di più gli effetti: la gentry (piccola nobiltà di campagna) e i commoners. Queste due componenti saranno protagoniste di quei processi che rappresenteranno la

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prosecuzione di quel percorso che porterà al superamento definitivo dell’assetto sociale, politico ed economico inglese di stampo medievale. Questa evoluzione avrà conseguenze sia a livello politico-normativo sia nella semplice realtà pattizia che porteranno, rispettivamente, all’emanazione dello Statute of Wills (1540) e, successivamente, allo sviluppo della figura dello use upon

use.

Proprio esaminando le vicende che si pongono a monte dell’adozione dello Statute of Wills emerge il preponderante contributo della piccola nobiltà terriera allo svolgimento dei sommovimenti sociali che nel biennio 1536 e 1537 rappresenteranno un forte attacco al potere centrale e che vengono generalmente indicati come

Pellegrinaggio di Grazia 139 . Queste rivolte nacquero

principalmente per il forte dissenso creato, soprattutto

139 Sotto il nome di Pellegrinaggio di Grazia si raccolgono le rivolte ad

opera delle comunità di profonda fede cattolica del Lincolnshire e dello Yorkshire in seguito all’opera di riforma religiosa intrapresa da Enrico VIII, concretizzatasi nello scioglimento e nella spoliazione (con conseguente incameramento dei patrimoni ecclesiastici da parte della tesoreria reale) dei monasteri dell’Inghilterra settentrionale. Di queste rivolte, a differenza di quella del Lincolnshire che venne facilmente repressa dall’armata reale, quella dello Yorkshire guidata da Robert Aske (un semplice avvocato), assunse dimensioni preoccupanti giungendo ad occupare York e costringendo il Re a scendere a patti, almeno apparentemente, coi rivoltosi. Tuttavia, dopo aver promesso concessioni e aver garantito il perdono reale, Enrico fece arrestare e giustiziare per alto tradimento gran parte dei capi della rivolta, Aske incluso.

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nello strato basso della popolazione, dalla svolta riformista della politica religiosa di Enrico VIII in netto contrasto con la Curia di Roma. All’interno di queste vicende si inserirono per l’appunto anche le gentries del Nord che erano state duramente colpite dalle disposizioni dello Statute of Uses (il quale aveva interrotto l’ormai da tempo consolidato sistema di trasferimento delle proprietà immobiliari) poiché avevano perso completamente la possibilità di disporre delle proprie concessioni dopo la loro morte che erano destinate a tornare al concedente. Con la sua partecipazione alle rivolte, la gentry sperava, non mancando di esternare la sua insoddisfazione verso le élite politiche di corte, di riottenere la capacità di poter trasferire il proprio patrimonio immobiliare agli eredi. Inoltre, questa partecipazione della nobiltà di campagna contribuì a dare spessore ed efficacia alla rivolta che è generalmente considerata come la più minacciosa di tutto il regno di Enrico VIII; infatti, benché egli riuscì a venirne a capo esercitando allo stesso tempo diplomazia e tattica militare repressiva, la rivoltà dimostrò al Re come la situazione creatasi con l’adozione dello Statute of Uses non fosse più sostenibile nel lungo periodo sul piano sociale e come fosse importante ingraziarsi la piccola nobiltà per tenere sotto controllo lo scacchiere militare del nord del paese.

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Risulta quindi molto difficile escludere che questi eventi e soprattutto la piattaforma di rivendicazioni della gentry siano alla base dell’adozione, solo tre anni dopo, dello

Statute of Wills. Questo statuto disponeva che, anche

secondo la common law, tutte le terre detenute in regime di

non military tenure e i due terzi delle terre detenute in knight service fossero liberamente disponibili. Gli use, in

definitiva, rimanevano stipulabili solo a condizione che al legal owner venissero attribuiti precisi obblighi nei confronti del beneficiario e comunque ulteriori al mero trasferimento (c.d. active uses); venne così raggiunto un duplice obiettivo: da un lato si assicurava una certa libertà in materia testamentaria, dall’altro venne ridimensionata l’estensione della precedente riforma. Si può inoltre notare che questo risultato introdusse nelle transizioni terriere di

common law un certo grado di flessibilità precedentemente

conseguibile solamente attraverso l’utilizzo dello use. Ciò segnò una svolta epocale per il common law terriero in cui si passò dalla concezione feudale al concetto più moderno secondo cui la proprietà della terra dovesse integrare un più o meno illimitato potere di disporne, al di là delle prescrizioni del Lord posto al di sopra nella catena feudale. Il margine di adattamento degli atti di disposizione di

common law, con particolare riferimento a quelli destinati a

produrre effetti post mortem divenne quindi maggiore140.

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Se la gentry influì col proprio peso economico e politico allo smantellamento del sistema costituito con la promulgazione dello Statute of Uses, è nella normale quotidianità pattizia dei commoners che verrà a svilupparsi quella fattispecie che consentirà l’avvicinamento definitivo alla forma odierna del trust e che costituirà il collegamento con la successiva parte della presente analisi.

Fu infatti la necessità pratica che creò i presupposti per la nascita del cosiddetto use upon (a) use. Il tentativo di individuazione del momento e della causa genetici di questa particolare forma di use ha originato una duplicità di visioni sull’argomento; da una parte degli studiosi che ritiene che la fattispecie si sia sviluppata per uno scorretto utilizzo del già citato istituto del bargain and sale che mirava ad cercare un nuovo modo per disporre liberamente dei beni di proprietà post mortem, dall’altra coloro che ritengono che tale soluzione sia stata elaborata col preciso intento di eludere l’efficacia dello Statute of

Uses141. Nonostante questa divergenza di opinioni, c’è

141 Del primo gruppo fa parte P

LUCKNETT che afferma “The origin of

the situation, we suspect was a misunderstanding of the effect of the Statute of Uses upon a bargain and sale, which by now had become so common a conveyance that the true mechanism of it was sometimes forgotten by careless attorneys…”; A Concise History, p. 599. A questa teoria si contrappone invece N.G.JONES “…the ignorant conveyancers

and the careless attorneys who limited a second use upon use implied in a bargain and sale have become familiar figures…But, as the facts show, far from beeing foolish, people were capable of putting a double

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assoluta concordia nell’osservare come questa fattispecie fu decisamente la più efficace nel consentire la disposizione dei beni in via testamentaria e non solo, stante anche un quadro normativo che, sebbene fosse stato reso più flessibile dalla promulgazione dello Statute of

Wills, nulla prevedeva a riguardo delle proprietà site al di

fuori dell’ormai inefficace sistema feudale di conferimenti fondiari.

Il sistema adottato nello use upon use era semplice ma al tempo stesso molto efficace: si stipulava uno use attribuendo al primo beneficiario, che diveniva automaticamente legal owner in virtù dell’execution operata dallo Statute of Uses sullo use stesso, obblighi nei confronti di un ulteriore cestui que use che altri non era nelle intenzioni del feoffor che il vero beneficiario dell’intera operazione; in sostanza si creava un doppio use cosicché il primo era “sacrificato” all’azione dello Statute in modo da salvaguardare il secondo.

In questo scenario si ebbero anche i primi utilizzi del termine trust; se già lo Statute of Uses lo utilizzava per indicare i rapporti sottoposti all’execution (“use, confidence

or trust), il termine si sostituì sempre più al termine use che

si rivelò inadeguato alla natura dei rapporti che esso determinava, poiché al centro di queste ipotesi negoziali

use to work for their own ends.”; Tyrrel’s Case (1557) and the Use upon

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non vi era più la concreta destinazione del fondo. Questa era adesso compresa in una dimensione puramente soggettiva, ossia nelle aspettative di colui che disponendo dei propri beni, ponga fiducia nell’ottenimento di un determinato obiettivo.

Si vennero così ad indicare come uses quei rapporti che ricadevano nel campo di applicazione della normativa statutaria mentre col nome di trust erano descritti i rapporti che se ne ponevano al di fuori. In definitiva il successo del termine trust fu dato dal fatto che esso aveva (ed ha ancor oggi) un significato più generico e, soprattutto, aperto; questo meglio si applicava ad ogni caso in cui una persona fosse soggetta ad un dovere d’origine morale su di una proprietà attribuitagli a beneficio di un terzo.

2.4. L’evoluzione giurisprudenziale: la

decisiva svolta verso il Trust

a) Lo Use upon Use e il suo mancato riconoscimento