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Le evidenti fragilità delle precedenti teorie ha alimentato il dibattito tra gli studiosi intorno all’origine del trust,

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questo ha portato allo sviluppo di un’ulteriore ipotesi che attribuisce la nascita dello use in Inghilterra al suo succitato impiego ad opera dei Francescani che sarebbe stato ispirato non da istituti di derivazione romana o germanica, bensì dalla pia fondazione islamica che prende il nome di waqf. Questa teoria merita particolare attenzione poiché oltre ad essere la più moderna è anche quella supportata dalla maggiore quantità di argomentazioni.

Esaminando quelle che si pongono su di un piano prettamente storico, è necessario subito evidenziare come nel periodo in esame (XIII secolo) la cultura islamica fosse decisamente più avanzata di quella europea-occidentale e ciò costituisce una prima condizione a favore della teoria dell’importazione del modello giuridico islamico. Ponendo l’attenzione su di una prospettiva decisamente più ristretta, sembra appropriato concentrarsi sugli autori di detta importazione: i frati francescani. Questi erano indiscutibilmente molto presenti nel medio Oriente durante il XII e XIII secolo (lo stesso fondatore dell’ordine, San Francesco, trascorse due anni in quei territori) e la causa di questa attività è da ricercarsi nelle Crociate: queste infatti spinsero una grande quantità di fedeli in pellegrinaggi più o meno bellicosi verso la Terrasanta177. A tale periodo corrisponde anche quello di maggior

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popolarità e utilizzo del waqf nel mondo islamico178. Dette condizioni rendono praticamente certa la possibilità che i cristiani siano venuti a contatto con il waqf179. Tornando ai

francescani, questi lo avrebbero utilizzato come ispirazione per aggirare il loro voto di povertà, il quale gli impediva di avere proprietà, che, tuttavia, erano quanto mai necessarie per il loro sostentamento e per svolgere la loro attività missionaria. I benefattori quindi istituivano uno use “ad opus Franciscanorum” (a beneficio dei Francescani), con i monaci che beneficiavano dei beni attraverso l’opera di un nuntius poiché, per l’appunto questi non ne potevano disporre direttamente.

Passando alle argomentazioni più prettamente giuridiche, è impossibile non notare come un istituto concettualmente affine al waqf avrebbe avuto un particolare successo in un paese dove le terre non erano trasmissibili in eredità o, più generalmente, alienabili. Volendo effettuare una comparazione tra il waqf e lo use emerge un notevole numero di similitudini. La prima somiglianza risiede nello scopo per cui erano impiegati e cioè quello di aggirare le

178 Il waqf era così diffuso e utilizzato che persino Saladino, dopo che

ebbe riconquistato Gerusalemme creo un gran numero di fondazioni pie per attirare in città le maestranze necessarie al suo sviluppo. A. AVINI,The Origins, p. 1160 nota n. 176

179 Gaudiosi trae come esempio di questi profondi contatti anche la

teoria secondo cui gli ordini cavallereschi crociati, che grande influenza ebbero nella creazione delle Inns Of Court nel XIV secolo, avrebbero modellato queste istituzioni ad imitazione delle scuole legali islamiche che avevano avuto modo di osservare durante le crociate. M.GAUDIOSI, The Islamic Law, p. 1245

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restrizioni relative alla proprietà fondiaria riguardante l’alienazione della stessa180. Inoltre, vi è una totale identità strutturale: in entrambe vi è la presenza di un disponente che effettua il conferimento (waqif / feoffor-settlor), di un soggetto che funge da amministratore (mutawalli / feoffee-

trustee) e di beneficiari (mustahiqqun / cestui que). Le

analogie si presentano a livello concettuale: entrambi, infatti, potevano essere istituiti, a favore di specifici beneficiari o per un più generico scopo caritatevole; entrambi potevano essere istituiti in perpetuo (per il trust ci si riferisce alla sua forma arcaica, lo use) con lo scopo di creare una rendita vitalizia ed erano privi (in origine) di qualsivoglia tutela giuridica.

Anche in questo caso però vi sono diverse significanti distinzioni che meritano di essere evidenziate: in primis, il il waqf può essere istituito solamente con uno scopo caritatevole, sia diretto che indiretto (infatti anche se viene istituito con uno scopo o beneficiario specifico, quando questo viene meno si ha un’automatica conversione a fini caritatevoli), l’istituto inglese, invece, fu subito esteso ben oltre lo scopo caritatevole; in aggiunta, il feoffee risultava essere formalmente, a differenza del mutawalli, il proprietario dei beni conferiti anche se ufficiosamente era legato all’obbligo morale di amministrazione degli stessi a beneficio del cestui que use; infine, nello use-trust vi è la

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totale assenza di una figura corrispondente al qadi islamico (il giudice davanti al quale veniva fatto il conferimento costitutivo del waqf e che aveva poteri di supervisione e controllo sull’amministrazione dei beni che ne costituivano l’oggetto).

In definitiva, anche se presenta delle criticità come le teorie precedentemente descritte, la teoria della derivazione islamica dello use risulta quella più solida e di difficile contestazione, tuttavia, anch’essa non riesce a trarsi fuori dal groviglio di semplici indizi che caratterizza tutte le teorie esposte e che non permette un’identificazione certa di un antenato del trust.

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4. CONCLUSIONI

Giungendo infine al termine di quest’analisi sulla storia del trust, che ha cercato di tracciarne un percorso storico- evolutivo e ha esaminato tutte le alternative elaborate nel tempo dalla dottrina, resta sospeso l’interrogativo che ne è stato la ragione fondante: Qual è l’origine storica del

trust?

Ripercorrendo velocemente l’intero ampio quadro delle argomentazioni presentate e mettendolo a confronto con la storia dell’istituto probabilmente si perverrebbe ad una scelta, ma questa sarebbe comunque viziata da una seppur minima percentuale di parzialità. Infatti, ci si scontra con un dato di fatto: ad ogni teoria manca l’elemento decisivo, la prova che permette di escludere “oltre ogni ragionevole dubbio” la veridicità delle altre; perfino quella più moderna, quella che vanta le migliori argomentazioni, è gravata dal peso di una mancanza di un riscontro definitivo.

Verrebbe allora da pensare che tale interrogativo sia destinato a rimanere senza soluzione; tuttavia, così come potrebbe essere tacciata di superficialità l’affermazione con cui si vorrebbe attribuire un legame storico esclusivo

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e diretto del trust con uno degli istituti che lo hanno preceduto, la stessa qualifica cadrebbe sulla risposta tendente a sostenere l’esatto contrario. Risulta infatti molto difficile escludere totalmente influenze giuridiche estere in un contesto, come quello inglese, in cui storia, politica e diritto si condizionano a vicenda in una forma che ha del simbiotico. Parrebbe quindi che questa ricerca sia destinata ad arrestarsi in un vicolo cieco, a meno che non la si stia affrontando da un punto di vista che preclude una parte del campo delle soluzioni; detto ciò si potrebbe riformulare l’interrogativo iniziale in questo modo: È possibile inquadrare il trust in un percorso storico- giuridico più ampio?

Posto questo nuovo punto di partenza, ecco che si apre una prospettiva totalmente diversa, che riesce a coniugare tutte le teorie esaminate assieme all’evoluzione che è stata trattata precedentemente.

Come già detto, se risulta molto difficile indicare una delle teorie come corretta, a priori, risulta altrettanto complesso escluderne una totalmente; ed è proprio l’eliminazione della necessità della scelta singola e preclusiva delle altre che potrebbe permettere l’emersione di una prospettiva totalmente diversa.

Tornando al secondo interrogativo, per “inquadrare” il trust in un filone storico giuridico serve ricercare degli elementi comuni tra più istituti che si sono succeduti nel

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tempo e, ad un’analisi più attenta, ciò sembra più che possibile in questo caso.

Tutti i fenomeni giuridici presi in esame presentano dei tratti in comune: nascono per soddisfare un’esigenza non tutelata, se non altrimenti ostacolata dal diritto positivo; vi è una generale identità dei soggetti facenti parte dei vari istituti (disponente, fiduciario, beneficiario); e, infine, in tutti si ha come elemento cardine del rapporto il concetto di fiducia.

Proprio quest’ultima similitudine potrebbe essere la chiave di inquadramento del trust: verrebbe così a porsi come elemento più moderno e, per così dire, più completo, di quel fenomeno fiduciario che più volte si è riproposto nel corso dei secoli e in filoni giuridici diversi.

Un rapido riesame della storia evolutiva del trust sembrerebbe confermare questa conclusione. Infatti, tutti gli altri istituti, pur facendo uso della metodologia fiduciaria, non riescono ad estere il loro raggio d’azione al di fuori delle particolari situazioni che ne avevano stimolato la nascita. Il caso inglese, invece, nella sua trasformazione da use a trust, pur originatosi in condizioni simili, ad ogni cambiamento si va a liberare dei limiti che impedivano la piena esplicazione di quel concetto di fiducia che ne diviene la caratteristica principale esprimendone, grazie alla sua flessibilità, l’ampiezza del campo di applicazione. Questa trasformazione perdura

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tutt’oggi ed è al centro delle più recenti novelle legislative (vedi supra § 2.5.).

In definitiva, è possibile affermare come il trust si ponga come punto di massima realizzazione di quel fenomeno fiduciario, costantemente ripropostosi nella storia giuridica occidentale, di cui oggi costituisce la principale ragione di successo.

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