Università di Pisa
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
TESI DI LAUREA
DAL PACTUM FIDUCIAE AL TRUST. EVOLUZIONE STORICA E
ASPETTI PROBLEMATICI DEL FENOMENO FIDUCIARIO.
Relatore:
Chiar.mo Prof. A. Landi
Candidato:
Lorenzo Bernini
I INTRODUZIONE
1. I RAPPORTI FIDUCIARI NELLA STORIA. 1.1. Diritto romano.
a) L’alienzione fiduciaria dei beni: il pactum fiduciae.
b) La successione testamentaria: il familiae emptor e il fedecommesso.
1.2. Il Salmannus nel diritto germanico.
1.3. La fondazione pia di diritto islamico: il waqf.
2. L’ORIGINE DEL TRUST.
2.1. Il quadro storico: Inghilterra giuridica tra anglosassoni e normanni.
2.2. La genesi dello use.
a) “Ad opus”: un precedente anglosassone? b) La proprietà fondiaria nel diritto feudale
inglese: il peculiare concetto di appartenenza dei diritti nel common law.
c) Il sistema dello use of lands. Evoluzione e tutela nelle corti di equity.
d) Lo use e la Chiesa inglese. Dagli Statutes of Mortmain alla dottrina dell’utilitas Ecclesiae.
2.3. L’Inghilterra dopo gli uses. L’intervento normativo reale.
II
a) L’impatto sul sistema feudale e la reazione della Corona: il primo tentativo di riforma (1529).
b) Lo Statute of Uses (1535 – 1536).
c) Dopo lo Statute of Uses: la genesi dello Statute of Wills (1540) e lo sviluppo dello Use upon Use.
2.4. L’evoluzione giurisprudenziale: la decisiva svolta verso il Trust.
a) Lo Use upon Use e il suo mancato riconoscimento nei tribunali. Casi.
b) Il caso Sambach v. Daston (1635).
2.5. Evoluzione moderna dell’istituto (cenni). Il trust a Jersey.
a) Il trust e il droit coutumier. La Trust (Jersey) Law del 1984.
3. TEORIE SULL’ORIGINE DEL TRUST. 3.1. La teoria dell’origine romanistica.
3.2. La derivazione dal Salmannus germanico. 3.3. La teoria sull’origine mista romano-germanica. 3.4. Lo use come rielaborazione cristiana del waqf
islamico.
4. CONCLUSIONI.
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INTRODUZIONE
Nello studio della storia della scienza giuridica è impossibile non notare come il fenomeno individuato col nome di fiducia si ripresenti in ambienti giuridici lontani e diversi, seppure non è raro che tenda a manifestarsi per ragioni molto simili.
Tra tutti gli istituti giuridici riconducibili a tale fenomeno, particolare interesse suscita quello inglese del trust: in primis, per il massiccio successo che sta riscuotendo nei paesi definiti di civil law specialmente dopo l’introduzione di normative che hanno recepito quanto disposto dal testo della Convenzione internazionale sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja nel 1985, senza dimenticare lo spazio dedicatogli all’interno del
Draft Common of Reference redatto nell’ottica di un futuro
codice civile europeo. Un altro argomento che ha dato vita ad una estesa trattazione, e al conseguente vivace dibattito di durata ormai secolare, da parte di giuristi e storici del diritto è stato quello dell’individuazione, o per meglio dire della ricostruzione, delle origini dell’istituto stesso.
Approfondendo quest’ultimo aspetto ci si trova di fronte ad una letteratura senza dubbio corposa ma che spesso tratta il tema in modo frammentato, senza dar conto in maniera approfondita di tutte le teorie sull’argomento.
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Scopo di questa trattazione tende quindi ad essere, senza alcuna pretesa di completezza, quello di dare un quadro quanto più ampio e schematicamente organizzato della materia esaminando le caratteristiche della genesi e dell’impianto originario del trust e dei suoi antecedenti giuridici.
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1. I RAPPORTI FIDUCIARI
NELLA STORIA.
1.1. Diritto romano.
a) L’alienzione fiduciaria dei beni: il pactum fiduciae.
I primi istituti fiduciari nel diritto romano, di cui abbiamo notizia sorgono per adempiere a finalità sottese a figure contrattuali non ancora esistenti.
L'alienazione della res (specificatamente res mancipi) avveniva attraverso i meccanismi della mancipatio o della
in iure cessio. Il trasferimento della proprietà dall'alienante
all'acquirente era corredato con un esplicito accordo, denominato pactum fiduciae, in base al quale l'acquirente si impegnava a restituire la cosa ricevuta al momento stabilito1.
Inizialmente il pactum fiduciae non aveva rilevanza giuridica né tutela, in sostanza, riposava principalmente sulla fides dei contraenti. Successivamente si constatò la crescente frequenza degli episodi in cui avveniva la violazione del pactum da parte del fiduciario e si ebbe
1 C.SANFILIPPO, Istituzioni di diritto romano, Soveria Mannelli 2002, p.
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l'intervento della giurisprudenza pretoria introducendo con un editto l’actio fiduciae, finalizzata a sanzionare il fiduciario che avesse violato la fides2.
La fiducia si presentava nelle due modalità della fiducia
cum amico e della fiducia cum creditore, ed entrambe erano
utilizzate per realizzare scopi per i quali lo ius civile non prevedeva mezzi idonei.
La fiducia cum amico, ritenuta originaria, veniva utilizzata per trasferire temporaneamente la proprietà sulla cosa dall’alienante all'acquirente, con l’eventuale autorizzazione all’utilizzo del bene, qualora si verificassero eventi capaci di turbare e rendere difficoltosa la conservazione o il godimento del bene da parte del primo. In questo modo si perseguivano gli scopi che successivamente verranno realizzati dalle figure del
depositum (deposito) e del commodatum (comodato), che
progressivamente le si sostituiranno sempre più fino alla sua definitiva scomparsa nel periodo postclassico.
La fiducia cum creditore, invece, soddisfaceva scopi prettamente di garanzia, poiché la cosa, trasmessa a garanzia di un credito, veniva restituita soltanto dopo la soddisfazione di questo. Anche questa figura fu successivamente sostituita da istituti più peculiari quali
2 L.SOLIDORO MARUOTTI – S. PULIATTI – A.LOVATO, Diritto privato
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l'hypothèca (ipoteca) e il pignus (pegno), fino a scomparire del tutto in epoca giustinianea3.
b) La successione testamentaria: il familiae emptor e il
fedecommesso.
Anche nell'ambito della successione testamentaria i rapporti fiduciari sorsero e vennero utilizzati per ottenere risultati troppo complessi da ottenere con le normali procedure dello ius successionis romano oppure esplicitamente proibiti da questo.
Nella Roma antica l'unico modo di testare era soltanto attraverso il testamentum calatis comitiis4: di fronte al
popolo riunito in assemblea (ciò avveniva solo due volte l’anno) si svolgeva un rito dal grande rigore formale; il
testamentum era presentato dal pontefice massimo e
sottoposto al popolo per l'approvazione (almeno in origine, poi il ruolo sarà solo di valenza testimoniale5). In tal modo un individuo poteva designare un successore cui lasciare il proprio patrimonio. Questa formula poneva delle limitazioni: infatti il testatore poteva essere solo un
3 C.FLORIO, Trust: dalla fiducia come concetto pregiuridico al trust inglese,
Bergamo 2017
4 In ambito civile, in ambito militare era possibile anche il testamentum
in procintu, reso dal soldato prima della battaglia di fronte all’esercito
e all’imperator, A.SCHIAVONE ed altri, Storia giuridica di Roma, Torino 2016, p. 41
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pater familias e l'erede poteva essere solamente un uomo
pubere, non era infatti ammessa la presenza di fronte ai comizi di donne o impuberi; inoltre, si realizzava così una speciale forma di adrogatio, cosicché il soggetto acquistava lo stato di filius del testatore ma con efficacia differita al momento della sua morte6.
Per evitare tali complicazioni di natura formale e contenutistica si affermò la prassi della cosiddetta
mancipatio familiae, dove si simulava l'alienazione del
patrimonio (familia pecuniaque) che si voleva formasse oggetto di lascito al cosiddetto familiae emptor, che sulla base del vincolo della fiducia si obbligava a destinare tali beni alle persone prescelte dal dante causa.
Col passare del tempo la mancipatio familiae diverrà un nucleo fondamentale del testamento cosiddetto per aes et
libram, non venendo più utilizzato autonomamente. In
seguito a questa evoluzione si passerà dunque da un negozio inter vivos ad un negozio mortis causa. In concreto il familiae emptor non acquistava più effettivamente il patrimonio alienato e diveniva centrale la nuncupatio del disponente, che assumeva immediata efficacia «senza richiedere attività del familiae emptor»7.
Altra figura che venne a formarsi per aggirare i limiti imposti dalle numerose leges volte a salvaguardare
6 A.SCHIAVONE ed altri, Storia giuridica di Roma, Torino 2016, p. 41 7 Ibidem, p. 154
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l'integrità dei patrimoni familiari è quella del
fideicommissum.
Infatti, ad esempio, la Lex Cincia del 204 a. C. e poi la Lex Voconia del 169 a. C.8, avevano stabilito dei limiti alla possibilità per le donne (di fatto escludendole) di essere qualificate come eredi dei grandi patrimoni: un tentativo di aggirare quest’ultima fu quello di disporre un certo numero di legati che non superassero singolarmente la quota attribuita all'erede, tuttavia questo implicava una dispersione del patrimonio.
Il fedecommesso invece consisteva nell’istituire come erede nel testamento un uomo, pregandolo a voce o per iscritto di trasferire l’eredità al soggetto indicato dal de cuius. Tale preghiera era basata unicamente sull'affidamento che il testatore faceva sulla fides del fiduciario; infatti, come è stato detto riguardo al pactum
fiduciae, anche nel fedecommesso in origine non si aveva il
carattere vincolante dell'attività del fiduciario. Tale rimarrà la situazione fino all'età augustea, quando si riconobbe non solo l'efficacia vincolante delle disposizioni di siffatta natura ma si rese anche disponibile la tutela,
8 La Lex Cincia de donis et muneribus poneva dei limiti alle donazioni:
vietava quelle tra coniugi e quelle al di sopra di una determinata misura, cfr. E. ALBERTARIO – E. VOLTERRA, s. v. “Donazione” in
Enciclopedia Italiana – I Appendice, Roma 1938; mentre la Lex Voconia de hereditatibus mulieribus sanciva l’incapacità delle donne ad essere
qualificate come eredi di patrimoni appartenenti alla prima classe di censo, cf. L.MONACO, Hereditas e mulieres: riflessioni in tema di capacità
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prima consolare poi pretoria 9 (di fronte ai pretores
fideicommissarii), dell’adempimento dell'obbligo derivante
dal fedecommesso attraverso una procedura che si collocava all'infuori dell’ordo iudiciorum e che verrà quindi a costituire la prima delle cognitiones denominate extra
ordinem10. Si compie così il passaggio dall’originario fedecommesso “fiduciario” (in cui l’obbligo dell’erede di ottemperare alle volontà del testatore è meramente morale) al fedecommesso “potestaivo”, che trasforma il fedecommesso «in un tipo speciale di legato»11.
In epoca giustinianea, le fonti consentono di distinguere due tipologie di fedecommesso: quello con sostituzione di erede, ove il testatore nomina un erede stabilendo espressamente che questo dovrà restituire il patrimonio ad un terzo e avvantaggiando patrimonialmente l’istituito tramite l’attribuzione dei commoda, e quello dove l’erede si qualificava come heres fiduciarius, un nudus minister che non riceva alcun vantaggio patrimoniale e che doveva
9 Il primo riconoscimento avviene nel caso di un certo Lucio Lentulo,
che in punto di morte chiese allo stesso Augusto di farsi esecutore delle sue volontà contenute in alcuni codicilli, fino a quel momento privi di efficacia giuridica. Quest’ultimo deciderà quindi di dare valore legale ai fedecommessi, affidandone la giurisdizione ai consoli. Il passaggio alla giurisdizione pretoria avverrà invece sotto l’imperatore Claudio; cf. F. BERTOLDI, “L’heres fiduciarius in una
prospettiva storico-comparativistica” relazione presentata al convegno “Dalla fiducia (attraverso il trust) verso gli affidamenti”, Urbino 2014, p.
163-164
10 A.SCHIAVONE ed altri, Storia giuridica di Roma, Torino 2016, p. 303 11 F.TREGGIARI, La fiducia testamentaria prima dei codici, Studi Urbinati,
A - Scienze giuridiche, politiche ed economiche: Fiducia, trusts, affidamenti. Un percorso storico comparatistico, 66 (2015), p. 262
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restituire tutto quanto aveva ricevuto ad un terzo (realizzando così una semplice interposizione di persona)12.
L'istituto ebbe particolare successo soprattutto nella forma del cd. fedecommesso di famiglia, il quale precludeva all’erede la possibilità di alienare la parte di patrimonio che la volontà del testatore indicava come trasmissibile solo all’interno del nucleo familiare e seguendo i criteri indicati, onde garantire l’integrità del patrimonio familiare alla discendenza13; inoltre si poneva come valida alternativa al legato, grazie al fatto che, a differenza di quest’ultimo, non era soggetto a particolari vincoli formali e permetteva di disporre anche in favore di coloro che fossero privi della capacità testamentaria passiva (testamenti factio passiva)14.
12 M. GIULIANO, Contributo allo studio dei trust “interni” con finalità
parasuccessorie, Torino 2016, pp. 101-102; F.TREGGIARI, Minister ultimae
voluntatis. Esegesi e sistema nella formazione del testamento fiduciario, I,
Napoli 2002, p. 54
13 C.FLORIO, Trust
14 Sotto Giustiniano si porterà infine a compimento l’opera di
parificazione tra legati e fedecommessi e si limiterà le disposizioni del fedecommesso di famiglia sino alla 4° generazione, cf. F.BERTOLDI,
“L’heres fiduciarius in una prospettiva storico-comparativistica” relazione
presentata al convegno “Dalla fiducia (attraverso il trust) verso gli
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1.2. Il Salmannus nel diritto germanico.
Differentemente dai popoli di tradizione e cultura giuridica latino-romana, i popoli germanici mancavano della concezione dell'istituto testamentario e quindi non disponevano di figure come quella del fedecommesso, tuttavia presso di loro si può riscontrare come ve ne fossero di affini. Un esempio è quello del cd. salmannus (italianizzato in salmanno), ritenuto da molti come il diretto progenitore dell'esecutore testamentario. Il termine deriva dal germanico “sala” che significa “trasferire”15.
La presenza di questo soggetto si riscontra nei procedimenti che avevano ad oggetto lasciti ereditari ma soprattutto nell'istituto, regolato dalla Lex Salica e avente scopi adottivi, della affatomia.16
Questo si sostanziava in una procedura composta da tre atti consecutivi, il cui compimento portava al perfezionamento del negozio giuridico: il primo atto si svolgeva davanti al mallum, tribunale germanico che simboleggiava l’intervento dell’autorità pubblica, dinnanzi al quale si presentavano l’adottante e il salmanno (necessariamente una persona libera e non soggetta alla
15 C.E.ROUNDS JR., Loring and Rounds: A trustee’s handbook, New York
2016, p. 1376
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potestà dell’adottante), dove il primo trasmetteva il proprio patrimonio al secondo tramite la simbolica consegna di una festuca (piccola verga); l’atto successivo prevedeva che il salmanno si recasse nella casa dell’adottante e in una sessio triduaria offrisse da mangiare a tre o più persone alla presenza di testimoni, simboleggiando così la presa di possesso del patrimonio trasmesso; infine, il terzo atto si svolgeva dopo la morte dell’adottante e consisteva nella consegna simbolica da parte del salmanno all’adottato (e quindi erede) della
festuca ricevuta dal de cuius17.
In sintesi, l’adottante contraeva un contratto in cui obbligava il salmanno a consegnare l'eredità dopo la propria morte ad una determinata persona, di contro, il salmanno svolgeva un ruolo da intermediario, secondo alcuni da mandatario18, divenendo proprietario formale dei beni dell'adottante e assumendo l'obbligo di trasmetterli alla persona designata da quest’ultimo. Al momento della morte dell'adottante, il salmanno trasmetteva la proprietà dei beni all'erede spogliandosi
17 S.CIERKOWSKI, L’impedimento, pp. 147-149
18 In particolare, C. Nani afferma che «La tradizione fatta al salmanno
più che un trasferimento della proprietà stava a designare l’intenzione dell’ereditando di eleggerlo a suo mandatario, perché dopo la sua morte consegnasse l’eredità a quella persona che l’adottante avesse già prima indicata» e ancora «Ciò che vi si accentua con maggiore energia è una devoluzione di beni dall’ereditario all’erede, che si opera mediante il ministero di una terza persona, il salmanno»; C. NANI, Storia del diritto privato italiano, Torino 1902, pp. 567-568 citato in S. CIERKOWSKI, op.cit, p. 150
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totalmente del titolo di proprietario; tuttavia tale titolo aveva limitazioni molto pesanti in quanto mancava totalmente al salmanno la facoltà di disporre di tali beni. Questa figura risenti dell’eccessiva complessità della procedura di cui faceva parte, e con l'andare del tempo, questa fu semplificata e il ruolo del salmanno fu sostituito dalla semplice traditio cartae, cioè una convenzione scritta. Una figura molto corrispondente al salmanno era presente presso i Longobardi con il nome di gisel. Secondo l’opinione maggioritaria in dottrina19, questi svolgeva un ruolo da intermediario, similmente al salmanno, partecipando all’atto formale dell’affatomia (che presso i Longobardi prendeva il nome di thinx) di fronte alla
gairethinx, la tradizonale assemblea del popolo
longobardo in armi. Compiute le formalità, l’adozione acquistava i suoi effetti giuridici.
In conclusione, come il salmanno, il gisel assumeva un ruolo da intermediario e otteneva il diritto di titolarità dei beni in oggetto non correlato, però, da alcun diritto di godimento e/o disposizione dei beni stessi.
19 G. Barni se ne discosta, attribuendo al gisel un ruolo testimoniale e
di garanzia, tramite il proprio patrimonio, della buona riuscita dell’atto formale; G.BARNI, I Longobardi in Italia, Novara 1987, p. 412 citato in S. CIERKOWSKI, L’impedimento, p. 151
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1.3 La fondazione pia di diritto islamico:
il waqf.
La definizione accettata di waqf (plurale: awqaf) dalla scuola hanafita20 lo descrive come «l’immobilizzazione di un cespite patrimoniale di proprietà di qualsiasi persona e la destinazione del suo reddito o usufrutto, sia esso presente o futuro, per scopi caritatevoli»21.
Le origini dell’istituto sono contornate da numerose leggende, una tra tutte è quella che narra del profeta Maometto, il quale, alla ricerca di un terreno per edificare una moschea, si offrì di acquistarlo, ma il proprietario, rifiutando qualsiasi compenso, donò l’appezzamento per “l’amore di Dio”.
Da un punto di vista storico è generalmente accettato che il waqf non avesse alcun corrispettivo nel diritto consuetudinario dell’Arabia preislamica22. Ciò ha spinto gli studiosi ad elaborare numerose teorie: tra gli istituti indicati come possibili fonti di influenza vi sono quello
20 La più antica scuola giuridica islamica sunnita.
21 “The detention of the corpus from the ownership of any person and the gift
of its income income or usufruct either present or in the future, to charitable purpose”. H.CATTAN, The Law of Waqf, in Law in the Middle East: Origin
and Development of Islamic Law, a cura di M. KHADDURI e H. H.
LIEBESNY, Clark 2006
22 A.AVINI, The Origins of the Modern English Trust Rivisited, in Tulane
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persiano del pat ruvan o l’ebraico hekdesh, anche se la teoria che è stata sostenuta con più forza è quella che vede il waqf come trasposizione islamica delle piae causae giustinianee23 (le quali erano costituite da attribuzioni fatte a istituzioni caritatevoli come chiese, orfanotrofi o ospedali24); tuttavia queste non ebbero tempo di consolidarsi nei territori bizantini conquistati dagli arabi (ad es. l’Egitto) dove si suppone che sarebbe avvenuta tale contaminazione giuridica.
In assenza di prove decisive quindi si può quindi più agilmente affermare che l’istituto sia un prodotto dell’attività dottrinale e giurisprudenziale durante i primi tre secoli d’espansione dell’Islam25.
Il waqf è istituito tramite dichiarazione, chiara e inequivocabile, del proprietario (waqif) dei beni che generano il reddito che si vuole destinare in modo permanente ad uno specifico scopo; non è necessario che la dichiarazione sia fatta in forma scritta, anche se questa è la forma più utilizzata26.
Il waqif è libero di determinare i termini e le condizioni del
waqf, tuttavia, deve rispettare tre requisiti: in primis deve
rendere inalienabili i beni in oggetto, quindi la destinazione degli stessi deve essere fatta in perpetuo;
23 C.FLORIO, Trust
24 C.SANFILIPPO, Istituzioni, p. 65
25 C.E.ROUNDS JR.,Loring and Rounds, p. 1377 26 A.AVINI, The Origins, pp. 1155-1157
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inoltre il waqf deve acquisire efficacia immediata, non potendosi apporre termini su di esso, l’unica eccezione è rappresentata dal caso in cui la dichiarazione sia contenuta in un testamento; infine, la dichiarazione dev’essere irrevocabile, infatti, l’unica condizione affinché un waqf si estingua e che il waqif abbandoni l’Islam27. Le tipologie in cui il waqf può presentarsi sono essenzialmente due e si distinguono per la finalità che perseguono: si hanno quelli per finalità pubbliche e caritatevoli (waqf khairi) e quelli per finalità private e successorie (waqf ahli o dhurri). Quest’ultimi sono creati per assicurare l’integrità intergenerazionale del patrimonio familiare sino a che sia presente una discendenza diretta; se questa si estingue e quindi la ragion d’essere della destinazione viene a mancare, il waqf
ahli si converte in un waqf khairi28.
Il waqif è inoltre responsabile dell’individuazione sia del gestore dei beni (mutawalli o nazir)29 sia di uno o più beneficiari (mustahiqqun) e può anche riservarsi il diritto di sostituire o di revocare la nomina del gestore, può anche ricoprire egli stesso quello specifico ruolo30.
27 A. AVINI, The Origins, pp. 1155-1157 28 C.E.ROUNDS JR., Loring and Rounds, p. 1377
29 Questo dev’essere “a Muslim, legally responsible, and able to carry out
his functions with knowledge and experience”; G. MADKISI, The Rise of
Colleges: Instituions of Learning in Islam and The West, Edinburgo 1981,
p. 44, citato in A. AVINI, op. cit., pp. 1155-1157
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Il mutawalli è tenuto a rispettare le volontà e le istruzioni dettate dal waqif nella dichiarazione istitutiva; solitamente queste prevedono tutta una serie di condotte volte ad assicurare la manutenzione e la conservazione dei beni, la distribuzione degli introiti, il pagamento dei beneficiari e la risoluzione di dispute riguardanti la proprietà dei beni31.
L’attività di gestione del mutawalli è sottoposta alla sorveglianza del giudice (qadi) che ha giurisdizione sui beni componenti il waqf, quest’ultimo, inoltre, può nominare direttamente il gestore nel caso in cui il waqif non abbia indicato nessuna persona per il ruolo o non abbia determinato alcun criterio di selezione per lo stesso; in questo caso il qadi può revocare la nomina del mutawalli senza motivazione che invece è richiesta se questo è stato designato dal waqif32.
Per quanto riguarda i mustahiqqun, questi sono titolari di una quota del reddito dei beni secondo quanto stabilito dal waqif. Tale quota non deve essere assegnata qualora questi non rispettino le condizioni stabilite nella dichiarazione e, in questo caso, il mutawalli può sostituirgli anche un altro soggetto come destinatario della quota; ciò tuttavia avviene solo nei casi in cui il beneficiario abbia
31 A. AVINI, The Origins, pp. 1157-1158 32 C.E.ROUNDS, Loring and Rounds, p. 1378
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violato una condizione espressa in modo chiaro ed inequivocabile33.
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2. L’ORIGINE DEL TRUST.
2.1 Il quadro storico: Inghilterra giuridica tra
anglosassoni e normanni.
Gli studi sull’origine del trust, di fronte al compito di definire l’intero processo evolutivo che ne sta alla base, in maggioranza tendono ad adottare le categorie comparativistiche del «trapianto giuridico» o del «flusso
giuridico»; queste, seppur in diversa misura, prevedono la
presenza di influssi esterni sull’istituto in esame, che quindi deve considerarsi il risultato finale di una progressiva rielaborazione di elementi costitutivi tratti da ambiti giuridici situati oltremanica, piuttosto che «il più
originale e importante contributo del diritto inglese alla scienza giuridica» così come viene definito fa F. W. Maitland34. I citati influssi esterni sono di matrice perlopiù continentale e la loro presenza nel quadro giuridico inglese si deve, in aggiunta ai numerosi sconvolgimenti etnico-culturali che interessarono le isole britanniche fino al secolo XII, alla massiccia influenza culturale esercitata
34 M. GIULIANO, Contributo allo studio dei trust “interni” con finalità
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dalla Chiesa su quel processo di formazione che avrà come risultato la nascita del common law.
Nel cosiddetto periodo anglosassone (il quale si estende dall’abbandono romano della Britannia sino alla conquista normanna, passando per l’Eptarchia e la parentesi delle incursioni e dei regni vichinghi – tra i quali fu particolarmente importante l’esperienza di quello che fu chiamato Danelaw), l’incisiva azione dell’Ecclesia Anglorum si sviluppava attraverso funzionari civili e giudiziari, incarichi ricoperti esclusivamente da chierici, essendo questi l’unico ceto sociale in grado di leggere e scrivere. Il loro ruolo fu fondamentale nella redazione in forma scritta e in lingua latina delle leggi dei re anglosassoni e del diritto di matrice consuetudinaria fino ad allora trasmessi esclusivamente attraverso la tradizione orale; alcuni esempi possono aversi nella compilazione del Liber
Judicialis (871-899) risalente ad Alfredo I il Grande (detto
anche legum Anglicanarum conditor), nel Code of Cnut di Canuto I del 1029 e nelle Leges Edwardii Confessoris (1066)35 36. Una conferma dell’attribuzione di tale compito al clero viene fornita anche da Chaplais, il quale ritiene decisamente improbabile che i re anglosassoni si avvalessero per la redazione dei «Latin diplomas»,
35 M.FERRANTE, L’apporto del diritto canonico nella disciplina delle pie
volontà fiduciarie di diritto inglese, Milano 2008, pp. 12-13
36 Per i testi anglosassoni il Ferrante si rifà a W. BLACKSTONE,
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predecessori dei writs, di «a permanent staff for the sole
purpose of producing diplomas» essendovi disponibili
«ecclesiastics around who could be asked to do the work», concludendo che «Anglo-Saxon kings did not find necessary
or economic to set up a royal chancery in orders to deal with their Latin charters; they preferred to use instead bishops and a few favoured abbots»37.
Tale attività di redazione dei chierici non è da considerarsi di carattere meramente compilativo, ma vide il tentativo del clero di adattare all’etica cristiana gli assai risalenti e rozzi concetti legali germanici e di introdurre nuovi istituti giuridici nel sistema di norme anglosassone38; nondimeno si ritiene che alcune leggi fossero redatte sotto l’influenza diretta dei vescovi, venendo così a servire fini propri della Chiesa39.
Passando a trattare della funzione giurisdizionale, stante la commistione delle giurisdizioni secolare ed ecclesiastica, l’amministrazione della giustizia era affidata
37 “un gruppo permanente di addetti al solo scopo di redigere i diplomas”,
“ecclesiastici a cui poteva essere affidato tale lavoro”, “i re anglosassoni non
ritenevano necessario o economicamente vantaggioso istituire una cancelleria reale che si occupasse dei documenti in latino; preferivano invece avvalersi di vescovi o di pochi abati a loro favoriti.”
P. CHAPLAIS, The Royal Anglo-Saxon “Chancery” of the tenth century
revisited, in AA. VV., Studies in medieval history presented to R. H. C. Davis, a cura di H.MAYI-HARTING e R.I.MOORE, Londra 1985, pp. 41-51, citato in M. FERRANTE, L’apporto, p. 14
38 Ibidem.
39 R.H.HELMHOLZ, The Oxford History of the laws of England: vol.1, The
Canon Law and Ecclesiastical jurisdiction from 597 to the 1640s, Oxford
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prevalentemente al vescovo, in concerto e non raramente in contrapposizione con gli aldermanni (ealdormen, nobili locali) e gli sceriffi (shire-reeve), che influenzava con la propria autorità morale l’esito delle controversie quali che fossero l’oggetto del contendere e i soggetti in giudizio. In queste corti dalla natura “mista”40 si applicava un diritto ecclesiastico frutto dell’unione tra le consuetudini della Chiesa locale (vernacular church law) e una serie di legge ecclesiastiche carolinge, importate grazie ai significativi contatti che vi furono tra il clero locale e quello continentale41.
Il suddetto diritto ecclesiastico locale era elaborato in appositi concili provinciali, che non si svolgevano seguendo una cadenza prestabilita, cosicché si ottenne involontariamente una certa uniformità al complesso normativo canonistico anglosassone; questi concili svolgevano un’attività allo stesso tempo legislativa e giurisdizionale42.
40 W.BLACKSTONE nei già a citati Commentaries (p. 165) sostiene che
“non vi era alcuna sorta di distinzione tra la giurisdizione laica ed
ecclesiastica: la corte della contea era allo stesso tempo un tribunale spirituale e temporale: il diritto ecclesiastico veniva esposto ed esaminato nello stesso momento e dagli stessi giudici che giudicavano il diritto laico” e ancora
sostiene che tale unione “era vantaggiosa per entrambi: la presenza del
vescovo aggiungeva peso e valenza morale ai procedimenti dello sceriffo; e l’autorità dello sceriffo era ugualmente utile al vescovo per ottenere coercitivamente obbedienza ai suoi decreti”.
41 M.FERRANTE, L’apporto, pp. 14-15 42 Ibidem, p. 18
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Un ulteriore apporto del clero è identificabile nell’ossatura del diritto penale canonico, grazie all’opera svolta dai monasteri inglesi, con la diffusione dei c. d. Libri penitenziali; questi erano cataloghi di penitenze da comminarsi al peccatore pentito (basati sul principio
diversitas culparum diversitatem facit paenitentiarum) che
segnarono il passaggio dalla penitenza pubblica a quella privata, adattandosi particolarmente al contesto inglese poiché “their contents were in harmony with the early
Aglo-Saxon laws” e “their method was virtually the same”43.
Infine, concentrandosi sui rapporti di diritto privato, e in particolare sulle modalità che consentivano la nascita di obbligazioni, è importante esaminare l’istituto dell’oath, un giuramento da farsi invocando Dio come testimone che vedeva il promittente impegnare la propria salvezza spirituale in funzione di garanzia dell’adempimento dell’impegno assunto. Ciò è decisamente rilevante, soprattutto alla luce del presente esame di un istituto come il trust che nelle sue forme ancestrali si fondava su una sorta di nuda promissio e sul conseguente affidamento ingeneratosi, poiché dimostra che già prima della conquista normanna veniva considerato giuridicamente rilevante per la Chiesa lo spergiuro (e la conseguente fidei
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laesio), anche in caso di promesse riguardanti rapporti inter privatos44.
I primi sovrani normanni, cominciando da Guglielmo I il Conquistatore (al potere dal 1066, dopo aver trionfato ad Hastings su Aroldo II, ultimo re anglosassone), innovarono solo marginalmente il patrimonio normativo e consuetudinario anglosassone, che transitò, praticamente inalterato, nell’ordinamento giuridico normanno, mentre furono numerosi e importanti gli interventi che andarono profondamente ad innovare il sistema giudiziario anglosassone.
Proprio per contrastare la già citata influenza clericale nella corti di giustizia, Guglielmo I si prodigò, tra i suoi primi provvedimenti (1072), nella separazione delle giurisdizioni ecclesiastica e secolare. Vennero così istituite le corti ecclesiastiche (denominate Ordinary Ecclesiastical
Courts) completamente separate dalle corti laiche regie
(Lay courts): si vennero così a creare in Inghilterra due circuiti di corti di giustizia formalmente indipendenti ma che spesso cadevano in conflitti di competenza45.
Questo tipo di politica, escludendo la parentesi del regno di Enrico I dove si restaurarono le corti di giustizia miste46,
44 M.FERRANTE, L’apporto, p. 20 45 M.GIULIANO, Contributo, p. 81 46 W.BLACKSTONE,Commentaries, p. 244
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rispecchiava perfettamente un tendenza tipica dei governanti normanni che si sostanziava nel tentativo di ridurre costantemente l’influenza delle autorità ecclesiastiche in questioni di particolare interesse per il potere politico centrale, come, ad esempio, la giurisdizione in materia fondiaria (elemento che in seguito si dimostrerà particolarmente importante ai fini della presente indagine)4748.
Tuttavia, tali disposizioni vennero ad avere un’efficacia solo temporanea, in quanto le corti ecclesiastiche (ora dette
Church Courts o Curiae Chistianitatis) riaffermarono
rapidamente la loro indipendenza ed espandendo la loro competenza, adducendo giustificazioni spirituali (ratio peccati) spesso estese al di fuori dei confini del loro vero significato, su questioni di natura civile e penale originariamente di pertinenza delle giurisdioni laiche. Inoltre, gli ecclesiastici, essendo l’unico ceto sociale in possesso di un’istruzione adeguata, mantennero anche il controllo del corti di common law, ma soprattutto fornirono gli uomini destinati a comporre la Royal
47 M.FERRANTE, L’apporto, p. 24
48 Sul punto M. Ferrante richiama G.Criscuoli il quale sostiene che a
seguito della conquista normanna il common law venne imposto come “sistema di diritto tipicamente nazionale” e si impedì “la ricezione
non solo del diritto canonico continentale, ma anche del diritto romano che di quello stava alla base”; G.CRISCUOLI, Introduzione allo studio del diritto
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Chancery e in particolare a ricoprire l’ufficio di
Cancelliere49.
Quest’ultimo (membro anche del King’s Council) poteva esercitare di una grande influenza, soprattutto nella sua veste religiosa di confessore del re e keeper of the king’s
coscience, e poteva decidere le questioni che gli si
ponevano secundum coscientiam et non secundum allegata il che implicava un riferimento costante ai principi cardine del diritto canonico, nell’interpretazione esclusiva data loro dalla Chiesa.
I Cancellieri furono particolarmente importanti perché attraverso l’esercizio di un’opera di giurisprudenza creativa, mediante lo strumento dei writs50, vennero a
rappresentare il correttivo quanto mai necessario per rimediare all’eccessiva rigidità del common law. Questo esercizio di potere venne tuttavia a scontrarsi con interventi legislativi volti a limitarne la portata creativa: difatti, prima con le Provisions of Oxford del 1258 e poi con lo Statute of Gloucester (1278), si vietò la concessione di
49 M.GIULIANO, Contributo, p. 81
50 Il writ (o breve, detto anche writ of right) era lo strumento grazie al
quale era possibile accedere alla giustizia regia. Consisteva in un ordine del re destinato allo sceriffo o al Lord che presiedeva una corte locale, e mirava a sottrarre a questi la trattazione di una causa. Il writ, nella corretta form e sotto adeguato pagamento, era fondamentale per l’instaurazione del giudizio e costituiva il presupposto dell’azione.
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nuovi writs e se ne limitò l’utilizzo5152; solo in seguito, con lo Statute of Westminster (1285), se ne permise l’utilizzo per analogia in consimili casu.
Ancora una volta però tali interventi furono aggirati dalla prassi giurisdizionale: i Cancellieri per colmare le lacune del sistema legislativo fecero affidamento alla loro formazione canonistica e in particolare applicarono il principio dell’aequitas; in questo modo si venne a creare «un sistema giuridico autonomo all’interno del diritto inglese»53 che prenderà il nome di equity, che si completerà con la nascita della Court of Chancery nel XIV secolo. Questa nuova forma di giurisdizione permetterà, sebbene indirettamente, di proseguire l’applicazione dei principi di diritto canonico, anche quando l’intervento della legislazione statutaria (in questo caso lo Statute of Praemunire, 1392) eliminò le vecchie corti ecclesiastiche estinguendone la giurisdizione 54. Tra questi principi
51 In particolare, lo Statuto di Gloucester limitò la possibilità di fare
ricorso alla personal action del writ of covents (azione grazie alla quale si poteva ottenere l’adempimento coattivo di qualsivoglia accordo che la controparte non intendesse rispettare), facendo sì che potesse essere esercitata solo a tutela di accordi formali (atti covenant under seal o deed)
52 Cfr. anche G.L
EPORE, “Trust nel modello inglese ed internazionale”, in
Il trust, a cura di M.MONEGAT – G.LEPORE – I.VALAS, Torino 2010, p.
11
53 M.FERRANTE, L’apporto, Milano 2008, p. 90
54 Questo effetto venne ottenuto sanzionando chi intendeva appellarsi
al Papa (e per esteso alle corti ecclesiastiche) nelle materie di competenza della giustizia reale o chi in qualsiasi modo agiva riconoscendo l’autorità papale come superiore a quella del Re. I rei erano “put outside the King’s protection”, i loro possidementi venivano
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risulta di particolare interesse quello che prevede l’obbligo di adempiere a qualsiasi promessa o accordo senza alcuna distinzione di forma (omne verbum de ore fidelis cadit in
debitum), che fu fondamentale per ottenere la tutela
dell’affidamento (fidei laesio) nei casi riguardanti i
promissory oaths (promesse nude giurate) tra le quali
rientreranno anche le prime rudimentali forme del trust55.
2.2 La genesi dello use.
a) “Ad opus”: un precedente anglosassone?
Tra le molte differenze presenti nelle teorie che hanno come scopo l’individuazione dell’origine del percorso genetico del trust, vi è una pressoché totale concordia nel ritenere lo use come suo diretto antecedente giuridico nel diritto inglese; tuttavia non pochi autori, sia britannici che stranieri, hanno ritenuto di doversi soffermare ad analizzare una locuzione, «ad opus» presente nei documenti anglosassoni risalenti al IX secolo e quindi di molto precedenti la conquista normanna. L’interesse degli studiosi è giustificato dal fatto che se si venisse a considerare tale locuzione come perfettamente coerente
requisiti dalla Corona e dovevano rispondere dei loro atti di fronte ad un corte regia; R.H.HELMHOLZ, op. cit., pp. 177 ss.
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col percorso evolutivo che comprende sia lo use, sia il trust, si assisterebbe ad un radicale arretramento cronologico per quanto riguarda l’accertamento della presenza di istituti fiduciari in territorio inglese, sin dall’abbandono romano della Britannia. Tuttavia, tali analisi, pur convenendo sulla singolarità di tale fenomeno nel quadro giuridico anglosassone, pervengono a considerazioni di fondo diverse sul suo valore storico-giuridico: se F. W. Maitland, primo a porlo in relazione con lo use, lo considera il ponte tra la tradizione germanico-salica e l’istituto inglese del trust56, G. P. Verbit viene invece a
negare l’esistenza di un legame evolutivo57, mentre ancora M. Ferrante lo considera un elemento che, pur non ponendosi come antecedente diretto dello use, dimostra l’influenza del diritto canonico sulla creazione dello stesso anche attraverso un’analisi del processo semantico che avrebbe come partenza i termini latini opus ed usus58.
Andando con ordine, possiamo notare come la locuzione in esame sia contenuta in frammenti a noi pervenuti di quelli che erano definiti charters (lat: diploma, privilegi). In questa classificazione rientrano tutti quegli atti, redatti su pergamena, che contenevano la registrazione di
56 F.W.MAITLAND, The Origin of Uses, Harvard Law Review, Vol. VIII
(3), 1894
57 G.P.VERBIT, “Ad Opus”, in The Origins of Trust, Bloomington 2002 58 M.FERRANTE, L’apporto, p. 137
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concessione di terre o altri privilegi solitamente di provenienza reale.
Ai fini della presente indagine risulta utile esaminare il contenuto di due frammenti presi anche in considerazione da Maitland per il suo studio59:
• «Item in alto loco dedit eidem venerabili viro ad opus
praefatas deo servientium terram.»
(809 d. C.)
(Allo stesso modo, dono, in un altro posto, tera allo stesso venerabile uomo a beneficio dei servitori di Dio.) • «Rex dedit ecclesiae Christi ex Wulfredo episcopo ad opus
monarchorum…villam Godmeresham.»
(822 d. C.)
(Il re dona alla chiesa di Cristo e al vescovo Wulfredo a beneficio dei governanti del villaggio di Godmeresham.)
Ad un primo sguardo si nota subito che entrambe queste attribuzioni sono fatte a ordini religiosi o alla Chiesa in generale; infatti, i charters erano originariamente in gran parte destinati allo scopo del sostentamento del clero, solo in epoca più tarda si diffusero in ambienti laici.
Il semplice dato letterario in relazione a queste attribuzioni immobiliari porterebbe quindi ad affermare
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che la locuzione ad opus è legittimamente considerabile come il primo passo giuridico verso il trust; tuttavia, questa deduzione, si scontra con il parere della maggioranza degli storici del diritto che lo vuole come frutto del giurisprudenza di corti civili, che però non avrebbero avuto competenza su beni clericali e non sono conosciuti frammenti in cui l’attribuzione non sia direttamente o indirettamente destinata a soggetti diversi da quelli religiosi60.
Sino alla conquista normanna le poche attribuzioni «ad opus» disponibili sembrerebbero confermare la tesi di Maitland; tuttavia, quest’ultimo prende in esame anche l’utilizzo della stessa locuzione all’interno del Domesday Book61, redatto nel 1086 su ordine di Guglielmo I il Conquistatore, cercando di rafforzare il proprio punto di vista attraverso due esempi costituiti da altrettanti frammenti62:
• «Inter totum reddit per annum xxii. libras…ad firmam
regis…Ad opus reginae duas uncias auri…»
60 G.P.VERBIT, “Ad Opus”
61 Il Domesday Book rappresenta in pratica un grande censimento
catastale, in cui vennero censite le proprietà determinandone anche l’appartenenza alle varie classi sociali. Il censimento verrà effettuato in ogni contea da un ufficiale regio, un rappresentante del clero e quattro agricoltori. Da questo viene tratto «il quadro della società inglese dell’epoca utilissimo a fini fiscali, giudiziari, di polizia, militari ed amministrativi». V.BARSOTTI – V.VARANO, La tradizione giuridica
occidentale. Testo e materiali per un confronto civil law common law, Torino
2014, p. 269
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(In totale, paga 22 libbre…alle rendite del Re…due once d’oro ad uso della Regina).
• «Non geldabant quia de firma regis erant et ad opus regis
sunt.»
(Non sono stati pagati alle tasse perchè facevano parte delle rendite del Re; sono destinati ad uso63 del Re.) Maitland trae questi due esempi da un gruppo più ampio e li utilizza per evidenziare come la locuzione ad opus non solo sia sopravvissuta allo sconvolgimento politico e giuridico causato dall’invasione normanna, ma inoltre ritiene che ciò dimostri come si fosse estesa anche per indicare conferimenti non solo ad organi religiosi ma pure a soggetti laici.
Tuttavia, esaminando più attentamente il contenuto di questi frasi, si può facilmente notare come l’ad opus sia utilizzato non per indicare una divisione tra quelle che nel
common law sono indicate come legal property e equitable property64: nel primo frammento si parla di rendite del Re e di entrate destinate al mantenimento della Regina, mentre nel secondo frammento si evidenzia come il
63 Nella traduzione originale di G.P. Verbit si utilizza il termine “use”
(King’s use, Queen’s use) in sostituzione del termine utilizzato da Maitland “work” (King’s work, Queen’s Work)
64 Tali termini saranno oggetto di analisi approfondita nei paragrafi
successivi; per la trattazione in oggetto è sufficiente considerare che essi indicano rispettivamente il diritto proprio di chi riveste la posizione del trustee e il diritto che è attribuito al beneficiario del trust.
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terreno non è soggetto a tassazione poiché facente parte dei possedimenti reali. Nella traduzione si è preferito utilizzare il termine “ad uso” indicare chi è il destinatario delle rendite.
G. P. Verbit teorizza che il destinatario delle rendite ne sia anche il proprietario feudale: infatti ritiene che la locuzione in oggetto sia da attribuirsi al lavoro dei redattori del Domesday Book. Questi erano incaricati di stabilire chi fosse il proprietario dei terreni soggetti a censimento per determinare chi dovesse essere tassato in ragione dei suddetti. In alcuni casi la proprietà dei terreni era contestata e allora si procedeva ad assegnarla direttamente «for the King’s use»65.
Questa è l’applicazione dell’ad opus più frequente (oltre ai seppur rari utilizzi a vantaggio di enti religiosi, che potrebbero rimandare alla succitata maniera anglosassone) che si ritrova nel Domesday Book: lo user, il destinatario delle rendite, è anche il proprietario ai fini del censimento. Ciò non esclude che vi possa essere qualcun altro che detenga il legal title della terra, ma questo non risulta dal dato testuale pervenutoci.
Alla luce di questi elementi non si ritiene di poter seguire l’orientamento delineato da Maitland in quanto, la forte
65 “In some cases “ownership” is contested and in these cases the land is
“adjudged” for the King’s use.”
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differenza di significato che si delinea tra la locuzione presa in questo contesto e in quello precedentemente esaminato, non permette di affermare con assoluta certezza che la stessa in epoca normanna sia stata impiegata in via generale per gli stessi fini che ne motivavano l’utilizzo precedente66.
Tuttavia, si può concludere che l’ad opus anglosassone originario si avvicina molto, se non altro per il soggetto che ne fa uso e che ne è anche il beneficiario, a quello che sarà lo use sviluppato dalla Chiesa inglese dal XIII secolo per eludere lo Statute of Mortmain. Tale somiglianza, quantomeno contenutistica, può trarre in inganno, ma esaminando i frammenti del Domesday Book si evidenzia come manchi l’elemento della continuità tra i due istituti che spinge a ipotizzare che la locuzione avesse perso il significato originale e che quindi non possa ritenersi diretto antenato dello use e, di riflesso, del trust; risultato viene a concordare perfettamente con l’opinione storiografica dominante che vede, come sarà approfondito in seguito, lo use come conseguenza giuridica della particolare qualificazione della proprietà immobiliare inglese.
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b) La proprietà fondiaria nel diritto feudale inglese: il
peculiare concetto di appartenenza dei diritti nel
common law.
A questo punto dell’analisi è opportuno concentrarsi su quello che viene ritenuto, con parere quasi unanime degli studiosi, l’elemento scatenante di quel fenomento socio-giuridico che ha come suo prodotto finale lo use: la peculiarità del diritto proprietario inglese (a sua volta frutto dell’originario sistema feudale normanno).
Bisogna tenere innanzitutto presente che, come ricorda Ferrante, «in Inghilterra la trasmissione iure successionis dei
beni fondiari ricadeva sotto il dominio esclusivo del common law ed era soggetta alle rigide regole proprie del diritto feudale che s’imposero a partire dalla conquista normanna»67, infatti, prima dell’anno mille sul territorio britannico erano presenti sia norme di origine germanica sia norme di origine romano-canonica che erano state introdotte al momento della cristianizzazione dell’isola (664 d. C.) e che erano destinate a restare in vigore sino ai giorni nostri in materia matrimoniale e successoria68. Inoltre, sebbene vi sia grande discussione tra i vari autori (Maitland è tra i più critici), alcuni giungono addirittura a sostenere che durante il periodo anglosassone si fosse sviluppato un sistema che già vedeva presenti i principali caratteri del
67 M.FERRANTE, L’apporto, p. 118 68 M.GIULIANO, Contributo, p. 88
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feudalesimo (sostenendo quindi che la conquista normanna non abbia introdotto il sistema feudale in Inghilterra, ma che abbia largamente contribuito al suo sviluppo)69; tuttavia, spesso tale sviluppo risulta arduo da notare vista la scarna mole di fonti pervenutaci e richiederebbe uno studio non coerente con gli scopi della presente analisi.
Tornando ad esaminare il sistema feudale normanno, non è difficile notare come alla sua struttura originaria abbiano concorso principalmente delle ragioni storico-politiche: al momento dell’invasione Guglielmo il Conquistatore intravide la possibilità di far suo l’intero territorio inglese, quindi il normanno arrivò a concepire la battaglia di Hastings come «un giudizio di Dio, un’ordalia che avrebbe
dovuto indicare il futuro padrone dell’Inghilterra»70; in questo modo egli riuscì a proclamarsi dominus (Lord) esclusivo del regno. L’unità politica dell’isola (Scozia esclusa) ebbe come diretta conseguenza l’unificazione del diritto; questo diritto venne chiamato diritto comune, common law71,
perché si sostituiva ai diritti particolari precedentemente in vigore.
69 T.F.T.PLUCKNETT, A concise history of the common law, Indianapolis
1956, pp. 516 - 517
70 M.G.LOSANO, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei
ed extraeuropei, Torino 1978, p. 149
71 E come sostiene G. P. Verbit citando R. C. Van Caenegem: “In the
beginnings the Common law was essentially feudal land law”. G.P.VERBIT, “Feudal Land law”, in The Origins
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Così facendo Guglielmo riuscì esercitare un penetrante controllo del proprio regno, instaurando anche un legame particolarmente forte coi propri feudatari, questi, infatti, non avevano alcun radicamento locale di base ma dovevano il possesso dei loro feudi unicamente alla conquista e al beneplacito del Re72.
Il carattere fortemente accentrato del sistema feudale inglese ebbe anche uno scopo prettamente militare. Infatti, in un momento storico in cui invasioni e conquiste militari provocavano continui ribaltamenti dei sistemi di potere, era proprio grazie alla concessione di terre, la cui proprietà spettava solo al sovrano (il suolo era terra regis), che ci si assicurava la fedeltà della nobiltà in armi e si esercitava una stretta sorveglianza sul territorio.
Cercando di esaminare più a fondo lo schema feudale, si possono intuire le ragioni per cui questo modello si rivelò così vantaggioso.
Come già accennato, l’origine di tutto il sistema è il Re (Lord of land), che esercita la proprietà su tutte le terre del
72 Sul punto M. Ferrante è particolarmente specifico: “Guglielmo prese
possesso di quasi tutti i boschi e di un settimo del terreno coltivabile, disponendo in tal modo di gran parte del territorio dell’isola. Questi possedimenti erano sparsi in modo uniforme in tutta l’Inghilterra, poiché l’appropriazione avveniva man mano che questi venivano conquistati”; e
ancora sui feudatari: “Nessuno di loro possedeva un territorio compatto nel
quale poter impiantare un forte potere politico; inoltre nessuno di essi possedeva terreni più estesi di quelli in possesso del re, il quale avendo terreni sparsi ovunque, era in grado di controllare costantemente le mosse dei baroni”. M.FERRANTE, L’apporto, p. 118
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regno (ultimate ownership) e da questa posizione, con unilaterali atti di concessione detti tenure, infeudava (enfeoffment) i terreni ai nobili locali, che assumevano il nome di tenants in chief (tenentes in capite), che lo detenevano (hold) in nome del Re. In questo modo ogni proprietario terriero (landowner) viene a ricoprire la posizione formale di colui che possiede “alle dipendenze”, dirette o indirette, del sovrano73.
Può dunque affermarsi che l’atto di concessione tra Lord e tenant non dava luogo ad un trasferimento della titolarità del fondo, ma solo all’attribuzione di un ampio potere di godimento sul medesimo che viene detto free tenure, free
hold (liber tenementum) o estate in land. L’aggettivo free o liber viene qui utilizzato per indicare che la sottoposizione
al Lord era priva di qualsiasi connotazione servile essendo fondata sul rapporto gerarchio nobiliare feudale, e, proprio per questo, si distingueva da quella che era detta
unfree tenure (villenagium), disciplinata dalla consuetudine
locale, che dava origine ad una serie di obblighi imposti ai contadini del villaggio che ricadeva nella proprietà del signore: il Lord anziché sub-infeudare una certa land poteva decidere di affidarla ai contadini, che la lavoravano
73 Questo legame andrà ulteriormente a rafforzarsi con l’abolizione,
sul finire del XIII secolo, dei rapporti di sub infeudazione e con essi delle signorie intermedie (mesne lordship), rendendo tutte le terre detenute in rapporto di dipendenza (concessione) con la Corona (tenants holding either directly or indirectly from the Crown).
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in cambio del loro sostentamento (in una forma molto simile alla tradizionale servitù della gleba)74.
Il diritto di godere del fondo veniva attribuito a tempo indefinito, ma era limitato alle condizioni presenti nell’atto di concessione; queste potevano configurare tre tipi di rapporto:
• Il fee simple, in cui il godimento era attribuito al tenant e ai suoi eredi;
• Il fee (o life) estate, che attribuiva il godimento al tenant per tutta la durata della sua vita;
• Il fee tail, che era caratterizzato dalla predeterminazione dei soggetti che potevano succedere al tenant (se, ad esempio, questa riguardava il sesso si venivano a configurare il fee male o il fee
female, mentre se riguardava indistintamente tutti i figli
si parlava di general tail)75.
Dal rapporto nascente dalla concessione venivano a svilupparsi, quali effetti naturali dello stesso tutta una serie di diritti ed obblighi che prendevano il nome di
incidents of tenure (detti anche services) 76 , questi si
74 M.F
ERRANTE, L’apporto, pp. 120 - 121
75 Ibidem, cfr. anche G. LEPORE, “Trust nel modello inglese ed
internazionale”, in Il trust, a cura di M.MONEGAT – G. LEPORE – I. VALAS, Torino 2010, p. 11
76 Infatti, come afferma A. Miranda, la tenure era “un rapporto personale
dove, da un lato, veniva concesso il diritto di godimento e sfruttamento del fondo, in cambio di una promessa di fare - i cosiddetti services - dall’altro, lo scambio delle due prestazioni giustificava la concessione rendendola assolutamente dipendente dalla fiducia personale che veniva riposta in quel
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differenziarono col tempo assumendo forme diverse anche in ragione dei diversi contesti storici a cui si dovettero adattare.
Il principale e più antico incident fu il cosiddetto Knight
service, la cui evoluzione viene solitamente riassunta dalla
letteratura tradizionale (Pollock, Maitland) in periodi ben distinti77. La struttura originaria del rapporto prevedeva che il tenant dovesse servire il Re nelle sue campagne assieme ad un gruppo di cavalieri di numero proporzionato all’estensione della propria tenure 78 ; teoricamente, il servizio era limitato ad un periodo di quaranta giorni e doveva svolgersi all’interno dei confini del regno. Col passare del tempo e con l’evolversi della scienza militare, i cavalieri divennero progressivamente meno importanti ed efficaci sul campo di battaglia venendo man mano sostituiti dall’impiego di mercenari professionisti. L’impiego di questi nuovi soldati fece lievitare i costi di mantenimento di un’armata e, in quest’ottica, i Lord iniziarono a sostituire la presenza fisica, loro e dei loro cavalieri, sul campo di battaglia con il pagamento al Re di una somma che permettesse a quest’ultimo di arruolare e mantenere il suo esercito. I
particolare vassallo”; A. MIRANDA, Il testamento nel diritto inglese.
Fondamento e sistema, Padova 1995, p. 37
77 T.F.T.PLUCKNETT, op.cit., p. 531
78 Il Lord si assicurava il supporto dei cavalieri richiesti,
sub-infeudando questi come tenants nei propri domini col medesimo tipo di rapporto che lo legava al Re. Cfr. Ibidem p. 532
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tenants, dal canto loro, potevano rifarsi della stessa grazie
al contributo dei propri sub-tenants che potevano permettersi di pagare e non intendessero servire in guerra di persona. Si venne così a modificare l’originale rapporto dato dal Knight service e il pagamento che lo sostituì prese il nome di scutage; inoltre spesso per tanti tenants era impossibile far fronte al pagamento ogni qualvolta il Lord lo richiedesse, quindi si sviluppò la prassi di versare un’unica somma alla Corona per adempiere ai propri obblighi. Questo sistema entrò progressivamente in declino sin dalla fine del XIII secolo 79 e venne definitivamente rimosso solo con la restaurazione degli Stuart nel 1660, quando si spostò l’onere del mantenimento dell’esercito sulla popolazione con l’imposizione di una tassa sulla birra80.
Altro incident di notevole importanza era il wardship (o
wordship), che si scindeva concettualmente in wardship of the land e in wardship of the body. Tale incident assumeva
rilevanza qualora il tenant fosse morto lasciando un erede di minore età: in questo caso il signore lo poneva sotto la propria tutela assumendo il nome di guardian (wardship of
the body), inoltre amministrava il fondo oggetto della tenure e poteva godere delle rendite che questo generava
79 Dove si perpetuò “as only a troublesome but lucrative anachronism”. T.
F.T.PLUCKNETT, A Concise History, p. 533
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senza essere obbligato ad alcun rendiconto (wardship of the
land)81.
Decisamente legato allo wardship era il marriage, il quale dava diritto al Lord, guardian del minore erede del defunto
tenant, di scegliere per lui la sposa82. Se poi questo si fosse rifiutato di accettare la scelta del Lord, o, se peggio, avesse scelto e si fosse sposato con un’altra donna senza aver ottenuto l’assenso del Lord alle nozze, sarebbe stato sanzionato con la perdita di tutte le rendite della tenure83. Particolarmente utile ai fini della presente indagine risulta il cosiddetto relief (o relevium); difatti il tenant solitamente non poteva liberamente disporre per testamento delle terre a lui concesse e spesso l’erede era obbligato a pagare al superior Lord la rendita di un anno del fondo oggetto della concessione per garantirsi e conservare il privilegio della successione 84. In origine questo contributo era arbitrario poi fu regolamentato da tutta una serie di
81 In origine, così come riportato nella Charter of Liberties di Enrico I,
era anche possibile che l’erede del defunto fosse assegnato alle cure di “the widow or other kinsman” che avrebbero dovuto occuparsene allo stesso modo dei “sons or daughters or widows of their men”. T. F.T. PLUCKNETT, A Concise History, p. 535
82 Sempre nella Charter di Enrico I si legge che il Re doveva essere
consultato dai suoi baroni quando questi erano intenzionati a maritare le proprie figlie e, se questi morivano, il Re poteva far sposare le figlie e disporre delle loro terre. Ibidem.
83 G.LEPORE, Trust, p. 13