allargamento del concetto di discriminazione
3. LA STRATEGIA EUROPEA PER PROMUOVERE L ’ UGUAGLIANZA DI GENERE : APPROCCI E STRUMENT
3.2 La doppia strategia dell’Unione europea e l’Impegno strategico a favore della parità di genere 2016-2019, prospettive
pluraliste
L’Unione europea ha attualmente assunto quella che essa stessa, all’interno dei suoi documenti ufficiali, definisce “doppia strategia” (dual
approach), ovvero una modalità operativa finalizzata alla sistematica
realizzazione delle pari opportunità in tutte le politiche europee, basata sull’utilizzo integrato di due concetti di fondamentale importanza. Da un lato troviamo il gender mainstreaming (che, è il caso di ricordarlo, l’UE stessa ha contribuito a implementare come strumento chiave nel corso della Conferenza di Pechino); dall’altro le cosiddette misure specifiche, che comprendono un’ampia gamma di dispositivi: l’utilizzo dei mezzi legislativi, le campagne di sensibilizzazione, il ricorso a determinati programmi di finanziamento e così via (European Commission 2011). Questa nuova agenda comunitaria si colloca in continuità con l’evoluzione strategica dell’approccio alle disuguaglianze e costituisce pertanto un superamento delle precedenti politiche dell’Unione, concentrate in maniera pressoché esclusiva sulla parità salariale o sulla parità di trattamento sul posto di lavoro. Servendosi di un concetto rivoluzionario come il mainstreaming, l’UE ha espanso il potenziale delle precedenti e più tradizionali politiche di pari opportunità (Pollack, Hafter-Burton 2000; Directorate-General for Employment, Social Affairs and Equal Opportunities 2008). Bisogna sottolineare come la strategia perseguita dall’Unione sia proprio binaria, “doppia”, nel senso che il mainstreaming è sempre affiancato e supportato da azioni specifiche, ma nessuno dei due approcci sostituisce o prevarica l’altro.
Spesso i critici hanno infatti sottolineato come l’approccio del
mainstreaming possa conseguire nell’abbandono delle misure specifiche di
intervento, dando luogo a un fenomeno di deresponsabilizzazione collettiva: se il genere diventa responsabilità di chiunque, allora non è responsabilità di nessuno in particolare (Pollack, Hafter-Burton 2000). Altri hanno sottolineato
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come un eccessivo accorpamento delle questioni di genere all’interno delle altre politiche potrebbe portare a quanto è stato definito come “degenderizzazione”, ovvero una perdita del focus della donna in sé all’interno del processo politico, spostando l’interesse principale verso altri attori (Verloo 2007).
In funzione del mainstreaming, la questione dell’uguaglianza ha finito per permeare molti documenti programmatici, strategie e piani di finanziamento comunitari: l’equità di genere nella vita politica, economica e sociale costituisce uno degli obiettivi fondamentali dell’UE per la crescita, l’occupazione e la coesione sociale e la sottorappresentanza femminile è percepita come un grande spreco di capitale umano che l’Unione non può assolutamente permettersi (Pollack, Hafner-Burton 2000; OECD 2012). L’inclusione delle donne e il miglioramento delle loro condizioni sociali ed economiche sono posti al centro dell’attenzione politica comunitaria perché ingredienti necessari all’effettivo funzionamento umano che rende l’economia efficiente, controbilanciando gli effetti dell’invecchiamento della popolazione e favorendo la competitività, mentre gli obiettivi di inclusione politica all’interno dei processi decisionali servono a garantire una certa stabilità politica e sociale (Walby 2004; Biancheri 2012b).
In tale ottica, l’Unione europea ha adottato a partire dagli anni Ottanta una serie programmi d’azione pluriannuali (attualmente sono quinquennali, ricalcando quindi la durata del mandato della Commissione e della legislatura del Parlamento), che hanno concorso a definire di volta in volta gli obiettivi prioritari dell’UE e che in prospettiva storica costituiscono un utile strumento di misura per seguire gli sviluppi delle politiche di genere non solo comunitarie, ma anche internazionali. I programmi d’azione sono centrali nella vita comunitaria in quanto costituiscono la base per le proposte legislative, il finanziamento di progetti, di studi, di ricerche, finalizzati alla realizzazione degli obiettivi generali previsti dai trattati in tutta l’Unione europea e a ogni livello: locale, nazionale e comunitario. I piani sono solitamente elaborati dalla Commissione, che collabora attivamente con un gran numero di stakeholders
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(in italiano, “portatori di interesse”): dalle lobbies ai sindacati, dall’ambiente dell’associazionismo femminile alla commissione FEMM del Parlamento (che si occupa dei diritti della donna e dell’uguaglianza di genere), agli Stati membri, per poi presentare una proposta di programma al Consiglio, insieme a un’indicazione generale di bilancio (Di Sarcina 2010).
A partire dal 1982 sino ad oggi sono stati adottati otto diversi programmi d’azione; l’ultimo documento prodotto dalla Direzione generale Giustizia, consumatori e parità di genere (DG Justice, Consumers and Gender
Equality) della Commissione europea è l’Impegno strategico a favore della
parità di genere 2016-2019 (Strategic engagement for Gender Equality). Questa nuova tabella di marcia si propone di ribadire e rafforzare la precedente strategia per la parità 2010-2015, integrandola con i risultati di indagini e sondaggi compiuti in diversi Stati membri; pur riconoscendo i progressi indubbiamente compiuti, la nuova strategia ha dovuto prendere realisticamente atto di come la totale uguaglianza di genere sia un affare incompiuto, particolarmente alla luce degli eventi socio-economici che hanno ulteriormente complicato il terreno d’azione dell’Unione nell’ambito della parità; la crisi economica, la rapida diffusione delle tecnologie digitali, l’impatto delle migrazioni e dell’integrazione sono tutti elementi che hanno profondamente interagito con le questioni di genere. L’azione dell’Unione continua a concentrarsi in cinque settori di intervento prioritari, al cui interno sono individuate poi trenta azioni chiave da mettere in atto, specificando i rispettivi termini e gli indicatori di monitoraggio:
1) accrescere la partecipazione delle donne all’interno del mercato del lavoro e garantire pari indipendenza economica per donne e uomini; obiettivo essenziale per poter conseguire un tasso di occupazione pari al 75% per donne e uomini entro il 2020. Per riuscire a raggiungere questo traguardo, l’Unione si impegna a favorire l’equilibrio nelle responsabilità domestiche e professionali e a garantire una ripartizione del tempo più bilanciata tra queste diverse esigenze tanto per gli uomini quanto per le donne, offrendo ad esempio migliori servizi di assistenza all’infanzia e ad altre persone a carico;
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2) ridurre il divario di genere in termini di retribuzioni, introiti e pensioni e combattere quindi la povertà femminile. Per poter ridurre le disparità del settore economico e occupazionale sarà necessario accrescere le ore lavorative retribuite delle donne, svolgere attività di sensibilizzazione e dare effettività alla legislazione esistente in materia di parità di retribuzione, con particolare riguardo ai soggetti come le donne migranti, le donne a capo di famiglie monoparentali e le donne in età avanzata (queste ultime a causa del divario pensionistico), che sono maggiormente esposte a un fenomeno di doppia discriminazione e conseguentemente al rischio di povertà;
3) promuovere la parità nel processo decisionale, migliorando l’equilibrio tra il numero di donne e uomini che occupano posizioni apicali nelle principali società quotate in borsa, ad esempio come direttori esecutivi, ma anche che si trovano in posizioni decisionali per quel che riguarda gli enti di ricerca, la vita pubblica e le istituzioni comunitarie stesse, nonché all’interno del cosiddetto “vivaio di talenti” (talent pool).
4) lottare contro la violenza di genere a favore della dignità e integrità delle donne, dando sostegno alle vittime, una priorità che rimane costante. Il documento sottolinea soprattutto come sia necessaria una vasta attività di sensibilizzazione che riesca a cambiare gli atteggiamenti e prevenire tale forma di violenza, oltre a ovviamente garantire un sostegno sempre migliore e un accesso alla giustizia più immediato alle vittime, in particolar modo impegnando gli Stati membri a recepire e attuare la pertinente legislazione comunitaria;
5) promuovere la parità di genere e i diritti delle donne in tutto il mondo, per quel che riguarda gli impegni e le relazioni esterne dell’Unione, soprattutto in un momento storico in cui la crescente radicalizzazione e l’estremismo causano un inasprimento della denigrazione della donna, anche all’interno dell’Unione stessa.
L’ultima strategia comunitaria per l’uguaglianza tra donne e uomini si richiama ovviamente alla necessità di integrare una prospettiva di genere, il
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preparazione, progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche, nelle misure giuridiche e nei programmi di spesa, adattandoli eventualmente al rispetto del principio di uguaglianza tra donne e uomini. Il documento presenta inoltre, accanto alle azioni chiave e all’impegno al
mainstreaming, anche un richiamo allo stanziamento di fondi comunitari
pertinenti, affinché essi offrano risorse utili a promuovere la parità e l’integrazione nei diversi ambiti politici.
A chiusura del documento strategico è presente un richiamo alla necessità della cooperazione con tutte le istituzioni e gli attori attivi nel settore della parità di genere: gli Stati membri, il Parlamento europeo, il Servizio europeo d’azione esterna (EEAS), le parti sociali, le organizzazioni della società civile, gli organismi operanti nel campo della parità, le organizzazioni internazionali e le varie agenzie dell’UE , come ad esempio l’Istituto europeo per la parità di genere 37. In primo luogo, questa fitta intesa è molto importante al fine del monitoraggio e della valutazione delle politiche, per riuscire a determinare se esse stiano procedendo nella giusta direzione, ottenendo quindi gli effetti desiderata; ciò soprattutto in considerazione del fatto che l’uguaglianza di genere è un bersaglio in costante movimento. In secondo luogo la partecipazione e l’implementazione della collaborazione con la società civile è una modalità essenziale attraverso cui il dibattito politico riesce a trasformarsi, diventando più aperto e inclusivo e riuscendo a realizzare un
empowerment effettivo; non per nulla uno degli scopi del gender mainstreaming è proprio quello di avvicinare il processo politico alla
quotidianità e all’esperienza dei cittadini comunitari. In particolar modo, è necessario integrare all’interno del dibattito pubblico anche quelle voci considerate più alternative e certamente non egemoniche: se gli attori sociali vengono interpellati solamente per puntellare le posizioni ufficiali delle
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L’Istituto europeo per la parità di genere (European Institute for Gender Equality, EIGE) è stato investito della missione di mettere a disposizione l’esperienza richiesta per elaborare misure a favore dell’uguaglianza tra donne e uomini in tutta l’Unione europea – fornendo le proprie competenze tecniche e raccogliendo, analizzando e diffondendo dati oggettivi, affidabili e comparabili a livello europeo. Per approfondire si rimanda al sito dell’Istituto: http://eige.europa.eu/.
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istituzioni, si perde automaticamente il potenziale e l’innovatività di certe correnti di pensiero. Se si parte infatti dalla considerazione che è proprio il Terzo settore38 quello più vicino alle esigenze della cittadinanza (che è da esso rappresentata), allora è immediatamente intuitivo come, grazie all’impegno del mondo dell’associazionismo, gli obiettivi delle politiche di livello superiore potranno penetrare il territorio a livello locale o regionale – motivo per cui escludere il loro punto di vista costituirebbe un lampante errore di miopia politica. Cercando un certo grado di inclusione e di mediazione tra l’apporto tecnocratico fornito dalle istituzioni e dagli esperti e l’apporto partecipatorio, cioè la voce degli attivisti delle organizzazioni non governative, si potrebbe costruire una cerniera tra le strategie politiche dell’Unione e una loro più fluida ed effettiva diffusione sul territorio.
È da tale prospettiva che il presente lavoro analizza l’apporto fornito dalle associazioni di cittadini alle azioni comuni intraprese dalle istituzioni, come ad esempio l’esperienza dei progetti cofinanziati dalla Commissione europea, di cui si discuterà nel seguente capitolo.
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Con la locuzione Terzo settore si indicano quegli enti operanti in settori non riconducibili né allo Stato, né al Mercato. Mentre il primo eroga beni e servizi pubblici, e il secondo denota un settore economico forprofit che produce beni privati, il Terzo settore rimanda al pluralismo delle cooperative sociali, delle associazioni di volontariato, delle organizzazioni non governative (ONG), delle ONLUS e così via – il cui lavoro è basato sul coinvolgimento personale degli operatori del settore.
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