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L’uguaglianza nel lavoro: la parità di retribuzione e di trattamento nel settore dell’occupazione

allargamento del concetto di discriminazione

2. D IRETTIVE DELL ’UE: STRUMENTI PER AVVICINARE LE LEGISLAZIONI NAZIONAL

2.2. L’uguaglianza nel lavoro: la parità di retribuzione e di trattamento nel settore dell’occupazione

La prima categoria di direttive comprende quelle adottate dalla metà degli anni Settanta fino alla metà degli anni Ottanta, che si pongono come principale obiettivo la parità di trattamento sul lavoro e altre questioni sempre concernenti l’impiego (Walby 2004), dietro al convincimento che l’uguaglianza fosse uno scopo raggiungibile attraverso il paradigma dell’identicità. Come vedremo, le direttive sulla parità di trattamento si sono peraltro riaffacciate nella legislazione comunitaria anche nei primi anni del Duemila, nell’intento di migliorare la normativa vigente ed estendere la garanzia di uguaglianza ad altri soggetti, come ad esempio le donne occupate in forme atipiche e non standard di impiego.

La storia delle prime direttive è esemplare nell’illustrare il vitalismo della giurisprudenza comunitaria: l’Articolo 119 del Trattato di Roma aveva adottato, come sappiamo, il principio di parità di retribuzione a livello comunitario; un simile obbligo sarebbe dovuto essere rispettato entro il 1964, ma tale impegno fu chiaramente disatteso, senza che si provvedesse a realizzare alcuna azione effettiva per applicarlo. In quel caso fu l’attivazione della giurisprudenza della CGUE per mezzo di una cittadina, Gabrielle Defrenne26, che diede finalmente un nuovo impulso al dibattito sulla parità di remunerazione tra donne e uomini. Anche se il caso ebbe un esito negativo per la Defrenne (la Corte deliberò infatti a suo sfavore), esso generò comunque una grande eco, dando un segnale della necessità del principio di parità

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Causa 43/75: Gabrielle Defrenne contro SABENA. Al seguente link il testo completo della sentenza: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A61975CJ004 3.

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all’interno dell’ordinamento comunitario. Al caso Defrenne seguirono così le prime tre direttive di equità. La prima direttiva è la 75/117/CEE del Consiglio e il suo intento è rafforzare le disposizioni legislative di base con norme volte a facilitare l’applicazione fattiva del principio della parità da parte degli Stati membri. Ecco che il titolo della direttiva rimanda al “riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”. Uno dei punti principali della direttiva è l’introduzione del concetto di “uguale retribuzione per lavori di uguale valore”, che affianca e amplia il riferimento di “stesso lavoro” precedentemente usato. La direttiva sancisce inoltre l’utilizzo di criteri comuni per lavoratrici e lavoratori nei sistemi di classificazione professionale, al fine di calcolare le retribuzioni.

La seconda direttiva è la 76/207/CEE del Consiglio e concentra il suo interesse sull’occupazione e l’impiego, attuando il principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Questo principio è rafforzato dall’assoluto divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, sia essa diretta o indiretta, particolarmente in riferimento allo stato matrimoniale e di famiglia. Inoltre la direttiva, così come anche le altre che seguiranno, invoca la prerogativa del cittadino che si ritiene leso dalla mancata applicazione del principio di parità a far valere i propri diritti per via giudiziaria, tutelando il lavoratore dai rischi di un licenziamento che rappresenti una ritorsione da parte del datore di lavoro a una sua rimostranza.

La terza direttiva, la 79/7/CEE del Consiglio si impegna a estendere e attuare gradualmente il principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quel che riguarda le prestazioni previdenziali; implica quindi l’assenza di qualsiasi discriminazione all’interno dei regimi che regolano malattia, invalidità, vecchiaia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, disoccupazione e assistenza sociale. Tali regimi stabiliscono che i benefici di cui i lavoratori possono godere non debbano necessariamente derivare dal loro rapporto contrattuale, ma che invece entrino a far parte di una vera e propria

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politica sociale. Ciò implica una condizione di parità nell’applicazione di tali regimi e nelle condizioni di ammissione agli stessi, nell’obbligo a versare contributi e nel loro calcolo, così come anche nel calcolo delle prestazioni e nelle condizioni per la loro durata e per il loro mantenimento.

Nel corso degli anni Ottanta si adottano altre due direttive, sempre legate al mondo del lavoro. La differenzazione tra regimi legali e regimi professionali di sicurezza sociale ha portato alla realizzazione della direttiva 86/378/CEE: essa richiama le disposizioni della direttiva precedente e le estende appunto ai regimi professionali di sicurezza sociale, cioè quelli che forniscono ai lavoratori riuniti nell’ambito di un’impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico, o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni che servono a integrare quelle fornite dai regimi legali di sicurezza sociale.

La direttiva 86/613/CEE sostanzia il principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma, comprese le attività nel settore agricolo, e ai loro coniugi che eventualmente contribuiscano all’esercizio dell’attività stessa. La direttiva accenna inoltre per la prima volta al tema della tutela della maternità, segno che il legislatore sta mutando il suo iniziale approccio egualitario per andare verso forme di tutela specificatamente commisurate ai bisogni della donna. Si prevedono infatti alcune disposizioni favorevoli alle lavoratrici autonome che devono interrompere la loro attività per gravidanza o maternità, garantendo loro l’assistenza di un regime di previdenza sociale o di un sistema di tutela sociale pubblica.