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3. C ARATTERISTICHE , CRITICITÀ E NUOVE PROSPETTIVE PER LA PROGETTAZIONE EUROPEA : UN ’ ANALISI QUALITATIVA
3.6 Il futuro della progettazione europea, alcune prospettive
Un’ultima area tematica è costituita dalle prospettive future per la progettazione europea. È generalmente riconosciuto come, attraverso numerosi progetti attivati nell’ambito del genere nella scienza e nella ricerca, si sia ormai arrivati ad accumulare un notevole bagaglio di conoscenze, cui i finanziamenti europei hanno contribuito in modo significativo, ad esempio attraverso le numerose linee guida e toolkit prodotti e diffusi attraverso PRAGES e WHIST; un’esigenza stringente in questo momento sarebbe di monetizzare e far fruttare in termini economici e di capitale umano tali esperienze, per poter così ottenere risultati concreti.
Quando un organo di pari opportunità investe comunque sia in termini economici che di capitale umano su un argomento così importante come l’avanzamento delle carriere delle donne nel campo degli STEM, lo fa con un preciso intento, quello di accumulare un certo bagaglio di conoscenze per poi fare qualcosa di concreto. Il nostro percorso inizia tanti anni fa con il progetto PRAGES poi con WHIST (…). Adesso stiamo chiedendo alle amministrazione coinvolte di fare dei cambiamenti strutturali e duraturi. Quello che vogliamo avere adesso sono risultati buoni che, attraverso azioni di cambiamento strutturale e durature nel tempo, riescano a portare a quei risultati che vogliamo avere noi: più donne nel settore tecnico scientifico più donne nelle equipe di ricerca, più donne negli alti livelli della scienza e della tecnologia (Di Nardo, Falcomatà; DPO).
Di certo c’è molto sapere accumulato, molte linee guida e molti toolkit; sono stati spesi molti soldi affinché i risultati di questi progetti fossero tangibili e a disposizione (Declich; ASDO).
L’ottica dei progetti di cambiamento strutturale è proprio quella di chiedere alle amministrazioni coinvolte di fare dei cambiamenti duraturi; gli istituti di ricerca e le università hanno sì inizialmente bisogno di uno stimolo esterno, ma dopo averlo ricevuto possono andare avanti anche da soli e quindi
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non devono essere più dipendenti da quei finanziamenti europei che supportano singoli progetti. Questa prospettiva sembrerebbe peraltro confermata da certe recenti tendenze dell’Unione – nel passaggio dal Settimo programma quadro a Horizon 2020, i documenti ufficiali hanno cominciato a dismettere la dicitura di “cambiamento strutturale” e la Commissione sta gradualmente assottigliando i finanziamenti in tale ambito, provocando una messa in secondo piano della prospettiva di genere.
Non credo che l’Unione europea insista sulla questione del cambiamento strutturale (…). Anche la questione del sostegno di
Horizon 2020 alla genderizzazione è un sostegno debole (…). Ha
una premialità, ma forse non basta (Cervia; UNIPI).
Simili mutamenti potrebbero indicare che in un futuro entro poco tempo si abbandonerà la pratica del finanziamento diretto a progetti di cambiamento strutturale. Ciò nell’ottica di rilanciare invece una concezione di sostenibilità progettuale che trascenda il vincolo temporale ed economico del finanziamento europeo (in quattro anni non è possibile realizzare una vera trasformazione strutturale e culturale) e venga raccolta e ottimizzata dai singoli Stati membri. Questi hanno infatti beneficiato del denaro proveniente dalla Commissione e devono pertanto essere responsabilizzati a continuare autonomamente l’azione dell’Unione sul proprio territorio. Un tale percorso sembra essere, a rigor di logica, in armonia con l’idea stessa di progettazione europea; favorire la diffusione di standard elevati in tutti i Paesi, fornendo a questi ultimi la giusta strumentazione per lavorare poi in autonomia.
E poi ci aspettiamo (…) la sostenibilità; interventi di questo tipo devono essere finanziati con fondi nazionali (…). Accanto alle campagne della Commissione vorremmo che fosse il governo italiano, e quindi il DPO, a garantire la sostenibilità dei progetti, in modo che la diffusione dei messaggi di progetti come FIVE MEN, STAGES e TRIGGER non debba concludersi con l’esaurimento dei finanziamenti europei (Di Nardo, Falcomatà; DPO).
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Ora si pensa di compiere un passo ulteriore, responsabilizzando maggiormente gli Stati membri a continuare l’azione dell’Unione in questo settore (Declich; ASDO).
Ma ciò non può non destare qualche animosità circa la scarsa continuità istituzionale del nostro Paese. Sarebbe di fondamentale importanza che i contributi apportati da questi progetti vadano a costruire una strategia strutturata e anche legally binding, rendendo quelle policies che oggi sono ancora sperimentazioni e piccoli cambiamenti in singoli enti, delle vere e proprie strategie nazionali. In un contesto come quello italiano si renderebbe necessaria un’azione politica più forte, così come l’introduzione di regolamenti o strumenti simili che fungano da cappello a tutte le iniziative, per garantire un cambiamento strutturale a tutti gli effetti.
[Servirebbe] una strategia un po’ più strutturata, ma anche legally
binding, che sia vincolante, per rendere quelle policies, che a oggi
sono ancora sperimentazioni o piccoli cambiamenti in piccoli enti, in strategie nazionali (Di Nardo, Falcomatà; DPO).
(…) il vero valore aggiunto è quello di cercare di fare un’azione politica che sottolinei la necessità di introdurre regolamenti o strumenti simili che sostengano questo tipo di attenzione (…). Forse è il caso di trovare un grimaldello che ci permetta di accelerare questo processo. Probabilmente quando si vedranno risultati di un certo tipo diventerà anche facile promuovere l’equità di genere. In un contesto come quello italiano serve un’azione politica più forte (Cervia; UNIPI).
L’eredità che il progetto FIVE MEN lascia è certamente molto significativa. In primo luogo, come abbiamo già rilevato, ha rafforzato l’attitudine collaborativa tra i soggetti promotori; prima di tutto tra D.i.Re e Maschile Plurale e poi tra le associazioni e il Dipartimento. Le nuove attività di sensibilizzazione che verranno progettate in futuro raccoglieranno i frutti della riflessione avviata da FIVE MEN; il DPO continuerà infatti a integrare la dimensione maschile nelle prossime campagne di sensibilizzazione. L’idea di
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comunicazione innovativa rivolta agli uomini sarà peraltro al centro del Piano nazionale antiviolenza, che il Dipartimento sta attualmente discutendo.
Il progetto ha lasciato un impatto di due tipi. Uno sui soggetti promotori, sul Dipartimento e le associazioni, che penso andranno a progettare le nuove attività di campagne tenendo conto di queste esperienze. Ma anche un impatto significativo sui soggetti locali, sulle scuole e le associazioni locali, che producono anch’esse campagne di comunicazione (Ciccone; MP).
Il DPO, parallelamente alle campagne che porterà avanti contro la violenza sulle donne rivolte alle donne (come ad esempio “Riconosci la violenza”), avrà un occhio di riguardo anche per l’aspetto maschile di queste campagne, vale a dire che continuerà a rivolgersi anche agli uomini (Di Nardo, Falcomatà; DPO)
Il governo italiano, a detta degli intervistati, dovrebbe comprendere che il coinvolgimento degli uomini nel processo di miglioramento di tutte le sfere della vita femminile e l’educazione e l’istruzione rappresentano canali fondamentali per innescare un cambiamento culturale che porti al rispetto reciproco tra i sessi.
Come sviluppi futuri ci aspettiamo un maggiore coinvolgimento del mondo dell’istruzione nella lotta contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere che ne stanno alla base che porti al rispetto reciproco tra i sessi, così come un maggiore coinvolgimenti degli uomini in tutte le sfere della vita femminile, dalla lavorativa a quella puramente morale (Di Nardo, Falcomatà; DPO).
Così come per STAGES e TRIGGER, anche qui è molto importante la dimensione di sostenibilità della progettazione; ciò implica che la diffusione dei messaggi lanciati dai progetti europei venga ripresa e sostenuta dalle istituzioni italiane. Interventi di questo tipo dovranno essere finanziati con fondi nazionali, non solo per il venti percento come è successo con questi progetti, bensì interamente – in modo che simili esperienze non debbano necessariamente concludersi con l’esaurimento dei finanziamenti europei.
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Le interviste hanno permesso di comprendere da un lato i punti di forza e dall’altro le debolezze dei progetti. Gli/Le intervistati/e riconoscono unanimemente nei progetti un’occasione di confronto e di arricchimento per tutti i partner, anche se le modalità della loro collaborazione dovrebbero essere approfondite e diversificate. Concordano anche sul fatto che il testimone in fatto di promozione della donna debba essere raccolto dai governi nazionali, che essi si facciano cioè carico di diffondere il bagaglio conoscitivo prodotto dai progetti. Alcune caratteristiche negative riguardano l’eccessiva rigidità dei parametri e dei vincoli progettuali europei, che a volte non tengono conto della diversità dei partner; un altro nodo critico è lo scarso interesse dimostrato verso l’aspetto del genere nella dimensione della scienza e della ricerca nei progetti futuri, come gli assottigliamenti finanziari di Horizon 2020 dimostrano. Attraverso un ripensamento degli aspetti negativi della progettazione si potrebbe arrivare a un suo netto miglioramento, avvicinando quelle che sono le dichiarazioni di principio e gli obiettivi che ci si pongono a livello europeo a una loro concreta attuazione e diffusione, affinché non rimangano disposizioni sostanzialmente prive di valore.
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ONCLUSIONIL’Unione europea si è dimostrata essere, nel tempo, un attore di primo piano nella lotta alle discriminazioni di genere e nella promozione delle differenze tra uomini e donne, dal momento che ha abbracciato il valore dell’uguaglianza come obiettivo e come valore fondante dello spirito comunitario. Una lettura delle politiche dell’UE attraverso la categoria analitica del genere ha reso possibile tracciare la storia evolutiva delle normative e dei programmi d’azione, che partono dalla garanzia dei diritti fondamentali, passano poi alla trasposizione di tali principi in prassi e in miglioramenti tangibili per le biografie femminili, arrivando infine alla rivalutazione delle individualità e delle differenze di genere come valore aggiunto per la vita dell’intera società.
Nonostante questi grandi progressi, l’obiettivo dell’edificazione di un’Europa democratica e paritaria per donne e uomini non è stato ancora raggiunto. Anzi, gli ultimi sviluppi internazionali non lasciano intravedere una soluzione a breve termine. La crisi economico-finanziaria mondiale, che ha investito anche l’Europa a partire dal 2008, ha contribuito a marginalizzare la prospettiva dell’uguaglianza delle donne e l’ha allontanata dall’orizzonte di azione delle agende governative. La recessione e i conseguenti regimi di austerità sono stati in seguito adottati dalla classe dirigente quali scuse, utili a nascondere la mancanza di visione politica e a dissimulare il fallimento dell’implementazione di quelle misure concrete a supporto dei diritti delle donne, della loro rappresentanza politica e delle risorse a loro disposizione. Rispetto alla finalità dell’uguaglianza di genere, la crisi e la conseguente stretta di austerità hanno rappresentato un notevole passo indietro, essenzialmente per due ordini di motivi: prima di tutto hanno determinato una progressiva disaffezione dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni democratiche; in secondo luogo hanno spinto sempre più donne in condizioni di povertà, disoccupazione e lavori precari e scarsamente retribuiti. Questa situazione, non certamente inevitabile come spesso viene dipinta dalle narrazioni ufficiali, è il
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frutto di una serie di scelte politiche operate da istituzioni scarsamente controllabili e a maggioranza maschile. L’impatto sociale della recessione avrebbe richiesto estensivi e incisivi interventi a sostegno del crescente numero di disoccupati e di persone a rischio povertà, tra cui appunto molte donne, invece si è deciso di percorrere la strada opposta. La rigida ortodossia neoliberista ha condannato proprio quello strumento che poteva attutire gli impatti negativi della crisi economico-finanziaria, additando l’eccessiva generosità dello Stato sociale e l’assoluta rigidità dei mercati del lavoro quali principali ostacoli alla crescita e alla competitività dell’Unione. Molti governi hanno conseguentemente deciso di accanirsi contro queste forme di tutela, con ingenti tagli alla spesa sociale e attraverso la massiccia deregolamentazione e flessibilizzazione del mercato. Una simile idea di politica, costruita su vincoli di bilancio e tagli alla spesa pubblica mirati a ridurre il deficit e il debito pubblico degli Stati membri, risulta però palesemente inconciliabile con l’idea di modello sociale europeo e con le indicazioni specificate all’interno dei programmi dell’Unione per combattere gli svantaggi di genere; il risultato è una situazione profondamente statica, in cui l’assenza di sufficienti risorse blocca il processo di cambiamento e di sviluppo cui l’Europa suole richiamarsi.
La marginalizzazione delle politiche di genere chiama in causa anche i limiti strutturali della governance dell’Unione europea: sostanzialmente si denuncia un tipo di organizzazione istituzionale che relega il Parlamento, organo rappresentativo della cittadinanza europea per eccellenza, a un ruolo secondario e lascia invece ampia discrezionalità alla volontà degli Stati membri nell’adottare alcune normative, tra cui anche quella riferita all’uguaglianza di genere. Non è infatti insolito assistere a un’indebita e informale estensione dei poteri del Consiglio, organo intergovernativo e storicamente poco women-friendly, mentre la Commissione rinuncia al suo ruolo istituzionale sovranazionale per allinearsi passivamente sulle posizioni del Consiglio stesso. Il risultato è che naturalmente si mantiene la preminenza degli interessi nazionali dei governi più potenti, a scapito delle voci critiche e
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alternative, e che si favorisce la subordinazione delle politiche agli interessi economici forti, finalizzati alle ragioni della competitività e della
deregolamentazione anziché al principio democratico dell’uguaglianza,
anzitutto di genere, come obiettivo di giustizia sociale e radicale rinnovamento (Di Sarcina 2014).
Il cambiamento strutturale auspicato dall’Unione europea e dai suoi cittadini e dalle sue cittadine sarà possibile solo se si metteranno nuovamente al centro del dibattito pubblico tematiche come l’uguaglianza di genere, cioè una componente essenziale dei diritti fondamentali degli individui e un ingrediente imprescindibile per uno sviluppo che sia in grado di valorizzare le identità dei popoli europei. Il movimento delle donne, “sdoganato” dal pregiudizio che spesso lo rende sgradevole ai più e da intendersi invece come empatia per una battaglia a favore della civiltà, deve riassumere la centralità che aveva un tempo, diventando compito di tutti, e tornare a interessarsi allo Stato come obiettivo per sviluppare nuove opportunità politiche, inclusive e partecipative: ciò aumenterà le capacità di donne e uomini nel costruire le forme organizzative necessarie per un simile intervento, aiuterà a creare nuovi regimi di genere e permetterà di sviluppare un discorso politico inquadrato all’interno della nozione di uguaglianza e di diritti umani (Walby 2014). Un passo fondamentale da compiere è quello di riuscire a far fruttare le notevoli esperienze e conoscenze accumulate negli anni sul tema dell’uguaglianza di genere, investendo maggiormente in quest’ambito; ciò significa ampliare ulteriormente il ruolo di codecisore del Parlamento europeo e aumentare le aree di voto a maggioranza del Consiglio, nonché dare effettività alla democrazia paritaria e rafforzare l’agency delle reti associative femminili (Rossilli 2009). Le istituzioni si potranno considerare veramente libere e democratiche solamente quando le donne, uscendo dalla loro “assenza morale”, contribuiranno alla loro formazione e alla loro amministrazione (Zumbi, Lupidi 2013). D’importanza primaria è anche imparare a investire nuovamente e rimodulare il welfare state europeo, dismettendo la falsa ideologia dell’austerità e promuovendo forme di assistenza sociale che
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forniscano più servizi gratuiti di cura e assistenza e che consentano a ognuno di condurre un’esistenza che concorra al progresso materiale e spirituale dell’intera società europea e mondiale.
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