D) Il canone dell’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” 1 Il canone dell’interpretazione conforme
8. Il potere della Corte costituzionale e dei giudici di interpretare la legge e i suoi limiti L’“invenzione” delle sentenze interpretative (di rigetto e di accoglimento).
8.4. La dottrina del diritto vivente e le sentenze interpretative di accoglimento (e le altre tipologie di sentenze di accoglimento, parziali e additive)
725 R. Romboli, ult. op. cit., cit., § 3.
726 E. Lamarque, La fabbrica delle interpretazioni conformi, op. cit., § 4. 727 Ibidem.
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Si avvia pertanto una nuova fase, in cui la c.d. <<dottrina del diritto vivente>>729 tende a prevalere sul vincolo all’interpretazione conforme a Costituzione, situazione che viene a crearsi a conclusione della c.d. “guerra tra le Corti” (1965), e si consolida poi nel corso degli anni settanta.
Nel 1965 la Corte costituzionale si scontrò con l’indirizzo invalso nella giurisprudenza comune, e avallato dalla Cassazione penale, sul tema delle garanzie di difesa nella fase dell’istruzione sommaria del procedimento penale, disciplinata dal codice di procedura penale allora vigente: la prima pronunciò una sentenza interpretativa di rigetto (n. 11 del 1965) nella quale sostenne una lettura delle disposizioni legislative impugnate contrastante con quella generalmente invalsa nella giurisprudenza. In particolare, secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza comune, le garanzie di difesa previste per l’istruzione formale dal codice di procedura penale (introdotte con una legge del 1955) non sarebbero state estensibili all’istruzione sommaria: facendo proprio questo indirizzo, <<confortato da sentenze della Corte di cassazione a Sezioni unite>>730, il giudice rimettente sollevò una eccezione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 24 della Costituzione. La Corte costituzionale, innanzitutto, affermò preliminarmente la propria competenza a stabilire il contenuto della norma impugnata, <<inderogabile presupposto del giudizio di legittimità costituzionale (…) l'uno e l'altro essendo parti inscindibili del giudizio che è propriamente suo>>731. La Corte, dunque, esperì un autonomo iter interpretativo che, attraverso il riferimento ai lavori preparatori e all’intenzione del legislatore del 1955, al contesto sistematico nel quale la disposizione impugnata si inseriva e all’analisi della ratio dell’istituto dell’istruzione sommaria, portava ad escludere la lettura restrittiva del giudice rimettente e, dunque, a considerare estensibili alla istruzione sommaria le garanzie di difesa previste dal codice di rito per l’istruzione formale: pertanto, la Corte dichiarava non fondata la questione <<nei sensi di cui in motivazione>>. Tuttavia, in seguito alla tempestiva riproposizione della questione da parte del Pretore di Imola, constatato che la disposizione impugnata continuava <<a vivere nella realtà concreta in modo incompatibile con la Costituzione>>732, il giudice delle leggi, richiamando il precedente del 1961 (sent. n. 26), fu costretto ad adottare lo strumento della sentenza interpretativa di accoglimento (n. 52 del 1965), al fine di colpire la disposizione del codice di procedura penale così come interpretata dalla consolidata giurisprudenza comune: dunque, la Corte dichiarò, <<in riferimento all'art. 24 della Costituzione, la illegittimità costituzionale dell'art. 392, primo comma, del Codice di procedura penale nella parte in cui, con l'inciso "in quanto sono applicabili", rende possibile non applicare all'istruzione sommaria le disposizioni degli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater dello stesso Codice>>.
A conclusione di tale primo scontro giurisprudenziale si consolidò, pertanto, come una sorta di “armistizio”733 tra Corte costituzionale e Corte di Cassazione, la c.d. <<dottrina del diritto vivente>>.
729 L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, cit., pagg. 153 e ss.; M. R. Morelli, Il «diritto vivente» nella
giurisprudenza della corte costituzionale (materiali per una ricerca sulle dinamiche evolutive della norma giuridica e per una rilettura del ruolo della «interpretazione» dei giudici in chiave di certazione e non di creazione del diritto vivente), Giust. civ., fasc.4, 1995, pag. 169 e ss.
730 Corte cost. sent. 11/1965, § 1 Considerato in diritto. 731 Ibidem.
732 Corte cost. sent. n. 52/1965, Considerato in diritto.
733 G. Sorrenti, La costituzione “sottintesa”, relazione presentata al Seminario dal titolo “Corte costituzionale,
giudici comuni e interpretazioni adeguatrici”, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009, pag. 7, nt. 16; idem, Diritto vivente, in Dizionario diritto pubblico, diretto da Cassese S., III, Milano, 2006, pag. 1977.
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Essa poneva un limite riguardo alla praticabilità, da parte della Corte costituzionale, dell’interpretazione adeguatrice della legge: in base a tale <<dottrina>> la Corte costituzionale, di fronte ad orientamenti giurisprudenziali costanti e generalizzati in merito alla interpretazione- applicazione di una determinata disposizione legislativa, rinunciava a proporre proprie letture alternative, pronunciandosi solamente riguardo alla costituzionalità dell’interpretazione, sottoposta al suo scrutinio dal giudice rimettente, che assurgeva a indirizzo “consolidato” e “costante”: pertanto, <<il significato giudiziario applicato del diritto diventa così un dato del problema costituzionale da risolvere, un elemento della fattispecie, anzi la fattispecie stessa, e non più un aspetto argomentativo della decisione>>734. Già in precedenti sentenze, come si è visto, era emersa la figura del <<diritto vivente>>: nella sentenza n. 3 del 1956 si faceva riferimento alla <<norma non
quale appare proposta in astratto, ma quale è operante nella quotidiana applicazione dei giudici>>. Il
<<diritto vivente>>, in tal modo configurato, <<vale così a definire ciò che forma propriamente
oggetto del sindacato di costituzionalità>>735. La <<dottrina del diritto vivente>>, che su tali basi viene definendosi, serve a fondare una corretta soluzione del problema dei rapporti tra giurisdizione costituzionale e funzione esegetica dei giudici ordinari>>736. In precedenza, come si è visto, <<pur muovendo dal riferito presupposto di effettività e concretezza conferita alla norma giuridica dalla applicazione dei giudici>>, la Corte si riservava <<la facoltà di reinterpretare, quando lo ritenesse, la disposizione sindacata>>737. Negli anni sessanta e soprattutto negli anni settanta, la Corte, di fronte ad indirizzi qualificabili come <<diritto vivente>>, si attiene, invece, ad un atteggiamento di <<self-
restraint>>738, col quale il giudice costituzionale rinuncia ad esercitare la libertà interpretativa sulla
legge, in precedenza rivendicata, e giudicava della legittimità costituzionale della disposizione censurata così come interpretata ed applicata nella costante e consolidata prassi invalsa nelle aule giudiziarie, anche se, eventualmente, tale lettura le apparisse meno plausibile e convincente rispetto ad una alternativa interpretazione astrattamente enucleabile dall’enunciato legislativo, tale da evitare la dichiarazione d’incostituzionalità.
La Corte costituzionale, in base a tale <<dottrina>>, si riappropriava della facoltà di procedere ad autonome interpretazioni della legge soltanto qualora fossero assenti, nella giurisprudenza comune, e in primis in quella della Corte di Cassazione, indirizzi consolidati o dominanti, oppure nei casi in cui questi non potessero dirsi ancora formati, ad esempio per la sussistenza di contrasti interpretativi tra sezioni semplici e/o tra queste ultime e le sezioni unite della Cassazione; pertanto, entro questi limitati casi, la Corte costituzionale procedeva ad immettere le proprie interpretazioni nel “circuito giurisdizionale”, partecipando anch’essa alla formazione del diritto vivente739. Invece, in presenza di interpretazioni costanti e consolidate da essa ritenute
734 G. Laneve, L’interpretazione conforme a Costituzione: problemi e prospettive di un sistema diffuso di
applicazione costituzionale all’interno di un sindacato (che resta) accentrato, in La giustizia costituzionale in trasformazione: la Corte costituzionale tra giudice dei diritti e giudice dei conflitti, Atti del Convegno di Roma Facoltà di Scienze politiche Sociologia, Comunicazione 11 luglio 2011, a cura di Beniamino Caravita, pag. 17.
735M. R. Morelli, Il «diritto vivente» nella giurisprudenza della corte costituzionale (materiali per una ricerca
sulle dinamiche evolutive della norma giuridica e per una rilettura del ruolo della «interpretazione» dei giudici in chiave di certazione e non di creazione del diritto vivente), in Giustizia civile, fasc.4, 1995, § 5.
736 Ibidem. 737 Ibidem.
738 M. R. Morelli, ult. op. cit., § 7.
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incompatibili con la Costituzione, la Corte faceva ricorso allo strumento demolitorio, ossia alla decisione di accoglimento (interpretativa, parziale o additiva)740.
Quindi, in tal caso, la Corte, invece di emettere una sentenza interpretativa di rigetto in base a un’interpretazione adeguatrice, alternativa a quella <<vivente>>, <<che vincolerebbe soltanto il giudice a quo>>, pronunciava una sentenza di accoglimento, <<con l’effetto di impedire che la disposizione continui a “vivere nella realtà concreta in modo incompatibile” con un principio costituzionale>>741.
In questo quadro, dunque, il ricorso alle sentenze interpretative di rigetto diventava tendenzialmente residuale, in quanto la Corte costituzionale vi ricorreva soltanto in assenza di un diritto vivente, oppure, in sua presenza, per dichiararne la conformità costituzionale, respingendo la lettura contraria del giudice a quo742: in tale ultimo caso, pertanto, il giudice delle leggi dava una
sorta di avallo a un diritto vivente già in atto, apponendogli il “crisma” della costituzionalità743. Se invece esisteva un diritto vivente plausibile ma incostituzionale, la Corte lo dichiarava costituzionalmente illegittimo indipendentemente dalla possibilità di un'altra ipotetica interpretazione, che potesse rendere la disposizione armonica con la fonte superprimaria744.
Il giudice comune, invece, in presenza di un diritto vivente da egli sospettato d’incostituzionalità, avrebbe avuto davanti a sé due opzioni: seguire una interpretazione alternativa al diritto vivente, da egli ritenuta maggiormente plausibile, ma assumendo con ciò il rischio di vedersi annullare la sentenza dai giudici superiori; oppure “impugnare” il diritto vivente davanti alla Corte costituzionale, nel caso lo reputasse una lettura plausibile e <<corretta>> del dettato legislativo, anche se evidentemente di dubbia costituzionalità745.
Come afferma L. Mengoni, <<nei confronti del testo normativo il limite posto alla libertà dell’interprete dal diritto vivente, rappresentato dal modello interpretativo-applicativo prevalente nella giurisprudenza, ha natura diversa e più debole del vincolo primario derivante dalla costruzione linguistica del testo. La sua rilevanza, di ordine processuale, consiste in un onere di argomentazione: a chi intende rompere la continuità con i preiudicia incombe l’onere di giustificare la pretesa di superiorità con argomenti seri e adeguati>>746. Quindi, mentre la forza del vincolo derivante dalla costruzione linguistica del testo dipende dal fatto che questo è stato concepito all’interno di una legge, il diritto vivente trae la sua forza, essenzialmente, dagli argomenti sui quali esso è basato: tant’è che il giudice che se ne voglia discostare, avrà l’onere di opporre a quelli, altri argomenti che possano essere considerati maggiormente <<seri e adeguati>>. Infatti, ad avviso dell’Autore, il <<diritto vivente>> è il prodotto di una <<valutazione intersoggettiva, che ne ha riconosciuto la coerenza col sistema giuridico e quindi l’universalizzabilità>>747, ottenendo perciò un’<<autorità
740 G. Laneve, ult. op. cit., pagg. 17.18.
741 L. Mengoni, Il diritto vivente come categoria ermeneutica, in Ermeneutica e dogmatica giuridica, cit., pag.
155; E. Lamarque, La fabbrica delle interpretazioni conformi, cit., § 4, pag. 10.
742 M. R. Morelli, ult. op. cit., § 7.
743 G. Sorrenti, Corte costituzionale, giudici e interpretazione ovvero … l’insostenibile leggerezza della legge, in
A. Ruggeri (cur.), La ridefinizione della forma di governo attraverso la giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, pag. 472.
744 Ibidem.
745 R. Romboli, ult. op. cit., § 3. 746 L. Mengoni, ult. op. cit., pag. 153. 747 Ibidem, pag. 152.
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istituzionale>>, che lo fa assurgere, quindi, allo status di <<argomento ab auctoritate di grande peso ancorché non vincolante>>, e sottoposto, come ogni altro argomento, al <<controllo critico di falsificabilità>>748: esso, pertanto, nel momento in cui viene <<falsificato>>, può essere soppiantato da un’altra regola di decisione, qualora questa venga posta su argomenti più convincenti, in relazione al sistema giuridico di riferimento.
In base alla dottrina in esame, <<nei confronti del giudice che promuove il giudizio il diritto vivente è rilevante nel senso di esonerarlo dal vincolo dell’“interpretazione adeguatrice”>>749. Il giudice a quo, insomma, <<può proporre validamente la questione di legittimità costituzionale del significato normativo attribuito dalla giurisprudenza dominante alla disposizione applicabile nel giudizio principale, anche se mostra di non condividerlo e di ritenere possibile un’altra interpretazione conforme alla Costituzione>>750. Di conseguenza, <<solo se l’interpretazione denunciata come contraria ai principi costituzionali non si è ancora consolidata, l’ammissibilità della questione è subordinata alla prospettazione, con argomenti adeguati, dell’impossibilità di una lettura diversa rispondente ai detti principi>>751. D’altra parte, nell’ipotesi inversa, <<se la norma elaborata dal diritto vivente in via di interpretazione adeguatrice è reputata dal giudice a quo incompatibile con la lettera o con la ratio della disposizione contestata, tale interpretazione, come non lo vincola ai fini dell’applicazione, così non gli preclude la possibilità di domandare la verifica di costituzionalità di una diversa interpretazione prospettata come la sola rispettosa dei canoni ermeneutici>>752.
La <<dottrina del diritto vivente>> si pone dunque come “antitesi” della <<dottrina dell’interpretazione adeguatrice>> che, basata sul principio di supremazia della Costituzione e di <<conservazione degli atti legislativi>>, stabilisce che <<nel conflitto tra due interpretazioni possibili, l’una conforme, l’altra contraria a Costituzione, il giudice della legittimità costituzionale dovrebbe sempre scegliere la prima e dichiarare infondata la questione, anche se l’altra interpretazione, prospettata dal giudice a quo, fosse prescelta dal diritto vivente>>753.
Premessa della dottrina del diritto vivente è <<la distinzione tra interpretazione della legge ai fini della sua applicazione e interpretazione della legge ai fini dell’apprezzamento della sua costituzionalità>>754: alla Corte costituzionale, nell’attività diretta ad identificare la norma di cui è chiamata a valutare la costituzionalità, viene riconosciuta una funzione normativa, ossia elaboratrice della norma (applicabile al caso concreto) <<soltanto se manca una interpretazione consolidata nella giurisprudenza>>755; altrimenti, la sua attività si riduce a una <<mera ricognizione storica>> volta a riconoscere <<il significato della disposizione impugnata quale “risulta considerando le concrete applicazioni effettuate”>>756. Secondo tale dottrina, insomma, <<il giudizio di costituzionalità avrebbe quindi la struttura di un sillogismo (analogamente alle sentenze dei giudici ordinari), nel quale il termine medio per scoprire la concordanza o la discordanza che si cerca è dato dal diritto vivente inteso come fatto storico, cioè come diritto (già) applicato>>757. In quanto “fatto storico”, il 748 Ibidem. 749 Ibidem, pag. 154. 750 Ibidem. 751 Ibidem. 752 Ibidem. 753 Ibidem, pag. 155. 754 Ibidem, pag. 156. 755 Ibidem. 756 Ibidem. 757 Ibidem, pag. 156-157.
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<<diritto vivente>> non è, perciò, modificabile in via interpretativa dalla Corte costituzionale, ma dev’essere da essa accertato e come tale ne dev’essere valutata l’incostituzionalità o la non incostituzionalità.
Come osserva G. Sorrenti, dunque, l’affermarsi della dottrina del diritto vivente ha determinato una serie di effetti benefici sul nostro sistema di giustizia costituzionale: il più immediato è quello di aver posto fine agli scontri istituzionali intercorsi tra giudice delle leggi e giudice della nomofilachia; in secondo luogo, essa ha assicurato il <<più vasto “impatto” possibile della funzione di giurisdizione costituzionale sull’esercizio quotidiano dell’attività di applicazione delle leggi, che ne accresce il grado di “espansione effettiva” nell’ordinamento>>758; poi, ha garantito <<la predeterminazione dell’oggetto del giudizio, la cui costruzione viene così sottratta alla discrezionalità della Corte>>, impedendo così che questa perdesse i connotati dell’organo giurisdizionale e venisse esposta, dunque, al rischio di <<un’eccessiva politicizzazione>>759; l’ulteriore pregio, rilevato dall’Autrice, della <<dottrina>> in esame, è quello della <<maggiore certezza della garanzia costituzionale, che non rimane prevalentemente affidata alla collaborazione dei giudici, collaborazione che peraltro può non sempre essere accordata>>760.
Più avanti verranno esaminati i fattori, interni ed esterni alla dottrina del diritto vivente, che ne hanno prodotto la “crisi” e la conseguente degradazione a criterio ermeneutico tendenzialmente “residuale” rispetto a quello dell’interpretazione conforme a Costituzione.