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La progressiva valorizzazione dei poteri interpretativi del giudice comune nella individuazione della interpretazione della legge conforme a Costituzione Il rapporto tra interpretazione conforme

D) Il canone dell’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” 1 Il canone dell’interpretazione conforme

11. La progressiva valorizzazione dei poteri interpretativi del giudice comune nella individuazione della interpretazione della legge conforme a Costituzione Il rapporto tra interpretazione conforme

e diritto vivente: la tendenziale prevalenza della prima e il carattere residuale del secondo. I fattori di crisi della <<dottrina del diritto vivente>>

Come si è in precedenza evidenziato, la <<dottrina del diritto vivente>> ha avuto un ruolo fondamentale nel determinare il superamento della fase di “conflitto” tra Corte costituzionale e Magistratura, denominata “prima guerra tra le due Corti” (vicenda cui sono legate le sentt. nn. 11 e 65 del 1965), in cui l’oggetto della contesa era il potere, rivendicato dalla Corte costituzionale fin dall’inizio della sua attività (v. sentenza n. 3 del 1956) di interpretare (o “reinterpretare”) la disciplina legislativa oggetto del sindacato di costituzionalità, disattendendo la lettura effettuata dal giudice rimettente.

L’esito di quello scontro, conclusosi come noto con la sentenza di illegittimità costituzionale n. 52 del 1965, definibile come “interpretativa di accoglimento”, fu la fissazione di un “obbligo”, a carico della Corte costituzionale, di assumere, come dato di partenza (relativamente) fermo del giudizio di costituzionalità e, comunque, come punto di riferimento imprescindibile, l’orientamento interpretativo sulla legge impugnata che eventualmente si fosse consolidato nella giurisprudenza comune, in particolar modo in quella della Corte di Cassazione (specialmente se a Sezioni Unite), nella sua funzione di assicurare <<l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale>> (art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario).

A proposito della <<dottrina del diritto vivente>>, consolidatasi a metà degli anni settanta, vi è chi ha posto l’attenzione sui <<rischi derivanti dall’omaggio, ritenuto eccessivo, fatto dalla Corte al diritto vivente, potendo ciò spingere il giudice ad essere accondiscendente verso interpretazioni seguite dalla giurisprudenza prevalente, creando una sorta di appiattimento verso la giurisprudenza della Cassazione ed il rischio di porre in essere una sorta di gerarchizzazione dell’ordine giudiziario>>965. Secondo G. Sorrenti, il carattere preminente attribuito alle decisioni della Suprema Corte nell’ambito della dottrina del diritto vivente, ha fatto <<temere per la spinta, che ne potrebbe scaturire, verso una gerarchizzazione dell’interpretazione della legge, estranea ad un sistema che non conosce il principio del precedente vincolante né quello dello stare decisis, ma al più un vincolo istituzionale gravante sui giudici in funzione dell’uniformità di trattamento delle situazioni analoghe>>966.

D’altra parte, vi è chi al contrario ha affermato che <<il rischio suddetto sarebbe insussistente, stante la libertà di interpretazione riconosciuta dalla Costituzione ad ogni giudice ed il carattere necessariamente “diffuso” del diritto vivente>>967.

964 G. Sorrenti, ult. op. cit., § 8.

965 R. Romboli, Qualcosa di nuovo, op. cit., § 6. 966 G. Sorrenti, Diritto vivente, op. cit., pag. 1979.

967 R. Romboli, ult. op. cit., nt. 35, che cita la tesi di A. Pugiotto, esposta in La problematica del "diritto vivente"

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A partire dalla seconda metà degli anni ’80 <<si assiste progressivamente, e dapprima quasi inavvertitamente, ad una minore valorizzazione del diritto vivente>>, inteso quale categoria ermeneutica vincolante, tanto che si è venuti a parlare, appunto, di una sua <<crisi>>968.

Un elemento empirico-fattuale che ha concorso a produrre, indirettamente, la “crisi” della dottrina del diritto vivente è costituito, innanzitutto, dalla eliminazione, avvenuta negli anni tra il 1987 e il 1989, dell’arretrato, ossia dell’accumulo di ricorsi pendenti che gravava sulla Corte costituzionale, attraverso una drastica riduzione dei tempi del giudizio. Lo smaltimento dell’arretrato ha posto la Corte costituzionale <<nella condizione di poter decidere una questione di costituzionalità sollevata dal giudice nel termine di quattro-sei mesi dalla data in cui la questione stessa è pervenuta alla cancelleria della Corte, anziché, come si verificava negli anni precedenti, nel termine di tre-cinque anni>>969.

Lo smaltimento dell’arretrato ha permesso alla Corte di pronunciarsi anche su leggi appena entrate in vigore e sulle quali, evidentemente, non si era potuto consolidare alcun orientamento giurisprudenziale.

Questa circostanza, da un lato, pone più agevolmente la Corte nella condizione di poter affermare proprie interpretazioni delle leggi prima ancora che le giurisdizioni superiori (ordinaria o speciali) possano fare altrettanto. Ciò fa in modo che il giudice delle leggi possa assumere un ruolo decisivo nella formazione di indirizzi interpretativi, ai quali naturalmente può conferire il carattere di interpretazioni costituzionalmente conformi, non sindacabili sotto questo profilo da nessun soggetto, in quanto poste dall’organo cui è conferito, in via esclusiva, il controllo “finale” di costituzionalità delle leggi. Dall’altro lato, il fatto che la Corte costituzionale possa arrivare abbastanza agevolmente a sindacare la costituzionalità di leggi recenti o recentissime, approvate da maggioranze parlamentari ancora presenti al momento in cui la Corte si pronuncia, può determinare una accentuazione del ruolo <<contro-maggioritario>> della stessa, aumentando notevolmente il tasso di “politicità” delle relative decisioni e dunque gli attriti col potere legislativo970. Come osserva E. Lamarque, a seguito dello smaltimento dell’arretrato, unitamente al delinearsi nel 1994 di un assetto politico di tipo maggioritario, <<si verifica una forte esposizione della Corte costituzionale nei confronti degli organi politici, con conseguente necessità per la Corte di condividere il più possibile con altri soggetti le pesanti responsabilità connesse alla funzione di controllo di costituzionalità>>971. Quest’ultima situazione sembrerebbe aver indotto la Corte costituzionale ad intensificare l’obbligo per i giudici di preferire possibili interpretazioni conformi rispetto alla sollevazione di questioni di costituzionalità.

L’esigenza di scongiurare un’eccessiva esposizione politica della Corte costituzionale, determinata dai tempi relativamente brevi con i quali arriva a pronunciarsi sulle leggi, potrebbe in parte spiegare l’accentuazione, compiuta in maniera sempre più intensa dagli anni novanta, del dovere del giudice comune di indagare sempre in maniera approfondita, prima di sollevare una questione di costituzionalità, la possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione della legge di cui deve fare applicazione e, se tale interpretazione è presente, privilegiarla e farne senz’altro applicazione: evitando pertanto di rivolgersi alla Corte. Quest’ultima avrebbe dunque posto l’accento sugli elementi di “diffusione”, già impliciti nel meccanismo incidentale di attivazione del giudizio di

968 Ibidem, § 6.

969 E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, op. cit., pag. 342. 970 V. G. Sorrenti, ult. op. cit., § 9 e 12.2.

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costituzionalità, anche al fine <<responsabilizzare>> maggiormente il giudice nella decisione del caso concreto, esortandolo a risolvere “in proprio”, sul piano interpretativo-applicativo, ove possibile, i dubbi di legittimità costituzionale972.

Questa tendenza della Corte a coinvolgere in maniera sempre più intensa i giudici nella realizzazione dei principi costituzionali, è alla base anche della “invenzione”, già rilevata in precedenza, delle pronunce “additive di principio”, tramite le quali la Corte, come si è visto, ha valorizzato sempre di più il momento interpretativo-applicativo di inveramento dei principi costituzionali, enfatizzando in particolare il seguito della pronuncia costituzionale che indica i principi costituzionali che i giudici, attraverso operazioni di bilanciamento e concretizzazione degli stessi nei singoli casi concreti, sono chiamati ad utilizzare per interpretare una certa disciplina legislativa o per individuare la norma concreta da applicare a casi non regolati dal legislatore.

La differenza tra questa tendenza e quella, che verrà esaminata nel prosieguo della tesi, che sta, ad esempio, alla base delle pronunce di inammissibilità “per mancato o insufficiente tentativo di interpretazione conforme” è che, nel secondo caso, la Corte valorizza, non tanto (e non solo) il momento successivo a una sua pronuncia che afferma una certa interpretazione adeguatrice o un certo principio, ma il momento che immediatamente precede il giudizio di costituzionalità.

In altri termini, la Corte, ha affermato, con sempre maggiore costanza a partire dagli anni Novanta, che il giudice deve utilizzare i propri poteri interpretativi per prevenire, e non già per provocare, l’incidente di costituzionalità, ricercando esso stesso, nell’ambito del giudizio concreto, l’interpretazione della legge che permetta di armonizzarla con i principi costituzionali rilevanti: evitando così, ove non strettamente necessario, di attivare il sindacato di costituzionalità della legge da applicare al caso concreto. Insomma, sembra venire a porsi <<una vera e propria incompatibilità tra l’obbligo di interpretare conformemente a Costituzione e l’obbligo di sollevare la questione dinanzi alla Corte>>973.

11.1. Il problema dell’identificazione del diritto vivente e i vaghi contorni del relativo concetto Tornando all’analisi dei “fattori di crisi” della categoria ermeneutica974 del <<diritto vivente>>, vi è da evidenziare che il relativo concetto appare, fin dall’inizio, abbastanza vago nel suo contenuto e nei suoi limiti975, per cui il relativo accertamento era sostanzialmente affidato ad una valutazione ampiamente discrezionale del giudice delle leggi.

Come è stato già in precedenza evidenziato, il <<diritto vivente>>, nella definizione che esso ha assunto nella giurisprudenza italiana, può essere descritto come la concreta, costante e consolidata prassi interpretativo-applicativa della legge, messa in atto dalla giurisprudenza, e in particolar modo da quella di legittimità. M. R. Morelli lo definisce come una <<giurisprudenza

consolidata, intesa però in una accezione più ampia di giurisprudenza “costante” qualificata da una

sequenza continua di pronunzie uniformi>>976.

972 Ibidem.

973 I. Ciolli, Brevi note in tema d’interpretazione conforme a costituzione, su rivistaaic.it, 2012, § 3. 974 Così L. Mengoni, Il diritto vivente come categoria ermeneutica, op. cit., pagg. 141 e ss.

975 R. Romboli, ult. op. cit., § 6.

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Come osserva R. Romboli, tuttavia, la Corte costituzionale non ha utilizzato sempre in modo coerente l’ampio margine di discrezionalità ad essa spettante nella identificazione di un orientamento giurisprudenziale costante e consolidato977.

Come ha evidenziato L. Mengoni, nell’accertamento di un indirizzo qualificabile come <<diritto vivente>>, <<la Corte si riserva un’ampia discrezionalità, evitando di impegnarsi in definizioni precostituite e senza ritenersi rigorosamente tenuta a giustificare i casi in cui decide di procedere direttamente all’interpretazione delle norme denunciate>>978.

G. Amoroso rileva che la nozione di diritto vivente presenta, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, una certa <<flessibilità>>, in quanto <<talora viene fatta coincidere anche con l’unica pronuncia della Corte di cassazione in materia, talaltra identificata solo in presenza di una significativa continuità di pronunce conformi della medesima corte>>979.

Infatti, uno dei criteri attraverso cui viene solitamente valutata la vera e propria sussistenza di un “diritto vivente” è quello <<quantitativo>>, intendendo perciò il diritto vivente come una <<giurisprudenza consolidata>>980 e <<costante>>, e dunque <<qualificata da una serie continua di pronunce uniformi>>: il carattere ricorrente può essere dedotto dalla presenza di un <<orientamento concorde dei giudici di merito o dei giudici amministrativi, eventualmente manifestato dalla proposizione di una questione di legittimità costituzionale da parte di una pluralità di giudici, tutti convergenti su una medesima linea interpretativa>>981.

Altro criterio di identificazione del diritto vivente è quello <<qualitativo>>, dipendente dal <<grado e dalla funzione rivestiti dall’autorità giudiziaria da cui promana la scelta interpretativa>>, cioè in particolare dalla Corte di Cassazione, in ragione dell’assegnazione alla medesima della funzione nomofilattica (art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario e art. 111 Cost.). Tale ultimo criterio tende a prevalere su quello <<quantitativo>>: infatti, <<può bastare anche una sola decisione della Corte di legittimità, in presenza di interpretazioni contrastanti, per determinare il vincolo del diritto vivente, se pronunciata a sezioni unite>>982. D’altra parte, <<è stata ritenuta sufficiente una “isolata” recente sentenza contraria, che abbia “interrotto il corso della giurisprudenza della Cassazione”, per togliere la qualità di diritto vivente a un indirizzo interpretativo pur nettamente prevalente>>983. Nella sentenza n. 55 del 1996, la Corte costituzionale si è riferita al <<diritto vivente, fissato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione […] anche se una diversa ricostruzione sistematica sia ritenuta possibile da una parte della giurisprudenza di merito e dalla dottrina>>984.

D’altra parte, nell’ordinanza n. 410 del 1994, la Corte non ha ritenuto sufficiente il criterio qualitativo: infatti ha dichiarato che <<il giudice a quo contesta non una interpretazione (a suo avviso illegittima) consolidata in termini di "diritto vivente" ma, di fatto, un'unica pronuncia della

977 R. Romboli, op. ult. cit., § 6.

978 L. Mengoni, Il diritto vivente come categoria ermeneutica, op. cit., pag. 159

979 G. Amoroso, L'interpretazione «adeguatrice» nella giurisprudenza costituzionale tra canone ermeneutico e

tecnica di sindacato di costituzionalità, op. cit., pagg. 95 e ss.

980 Corte cost., sentenza n. 108 del 1986, § 7; sentenza n. 326 del 1994 e n. 32 del 1995.

981 L. Mengoni, ult. op. cit., pag. 159, che cita a proposito la sent. n. 113 del 1986, per quanto riguarda i giudici

di merito; la sent. n. 52 del 1986, per quanto riguarda i giudici amministrativi; la sent. n. 113 del 1986, § 3, per quanto riguarda l’ipotesi di giudici tutti convergenti sulla medesima linea interpretativa.

982 Ibidem, pagg. 159-160, v. sentenza n. 26 del 1984, § 4. 983 Ibidem.

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Cassazione, che non gli preclude ove possibile - ed anzi gli impone in ogni caso come prioritaria - una "interpretazione adeguatrice">>985.

Come esempio dell’ampia discrezionalità che la Corte si riserva nella qualifica, come vero e proprio <<diritto vivente>>, di un indirizzo interpretativo, può essere citata poi l’ordinanza n. 466/2000: in essa viene negata l’esistenza di un diritto vivente in merito all’obbligo di esplicita motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione alla professione forense; diritto vivente, invece, ritenuto sussistente dal giudice a quo e di cui viene chiesta la dichiarazione d’incostituzionalità; l’assenza di un chiaro orientamento viene invece affermata dalla Corte costituzionale, nonostante sia rinvenibile “un indirizzo pressoché unanime del Consiglio di Stato”, contrastato solo da alcune pronunce dei Tribunali amministrativi regionali. La Corte costituzionale conclude la pronuncia affermando <<che la questione è palesemente inammissibile, perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito (v., tra le varie, le ordinanze nn. 70 del 1998 e 436 del 1996), tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati>>986.

Vi è da ricordare che, nella sentenza n. 350 del 1997, la Corte aveva affermato che <<pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), è altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza - al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente" - è ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di

legittimità e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalità, poiché la norma

vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte>>987. Per cui, << in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre è in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali>>988.

11.2. Diritto vivente e interpretazione conforme.

È abbastanza chiaro, come già accennato, il potenziale conflitto tra la <<dottrina del diritto vivente>> e il canone dell’interpretazione conforme, elevato dalla Corte a dovere ineludibile di ciascun giudice, pena il rifiuto di pronunciarsi sul merito della questione di costituzionalità.

Come ha osservato A. Anzon, a partire dagli anni ’90, la Corte costituzionale è venuta ad elaborare e di fatto a “imporre” una <<dottrina>> dell’interpretazione conforme come dovere, prioritariamente posto in capo al giudice comune, che <<se espressa e soprattutto se letta in termini assoluti può apparire difficilmente conciliabile , se non addirittura in contraddizione, con altre dottrine e tecniche cui è tradizionalmente ispirata la giurisprudenza costituzionale, e cioè, in

985 Decisione segnalata da G. Amoroso, ibidem. 986 Corte cost., ord. n. 466/2000.

987 Corte cost., sent. n. 350/1997, § 2 Considerato in diritto, corsivo mio. 988 Ibidem.