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L’interpretazione conforme come monopolio della Corte costituzionale

D) Il canone dell’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” 1 Il canone dell’interpretazione conforme

8. Il potere della Corte costituzionale e dei giudici di interpretare la legge e i suoi limiti L’“invenzione” delle sentenze interpretative (di rigetto e di accoglimento).

8.2. L’interpretazione conforme come monopolio della Corte costituzionale

Vi è da precisare di nuovo che bisognerà attendere gli anni novanta affinché la posizione di G. Azzariti, riguardo alla doverosità dell’interpretazione adeguatrice, diventasse <<un punto fermo, unanimemente accolto, del tema trattato>>716.

Nella storia della giurisprudenza costituzionale italiana, volendo, si possono distinguere alcune fasi: la prima di esse vede la Corte “monopolizzare” di fatto l’interpretazione conforme, sul presupposto per cui i giudici, per la maggior parte “funzionari” del precedente regime fascista, non avessero ancora assimilato e fatti propri i principi costituzionali: quindi si ha in questa prima fase una sostanziale sfiducia verso la <<sensibilità costituzionale>> dei rappresentanti del potere giudiziario717. Già si è visto in precedenza718 che, alla base della scelta dei Costituenti per un sindacato accentrato, non vi fosse soltanto una certa concezione della Costituzione (come fonte di norme indirizzate ai pubblici poteri, e specialmente al legislatore), ma vi fosse anche il proposito di sottrarre ai giudici la possibilità, attraverso interpretazioni lontane dalla lettera o “manipolative”, di disapplicare caso per caso le leggi ordinarie, mettendo pertanto in discussione l’autorità del Parlamento.

All’inizio dell’attività della Corte costituzionale si afferma, pertanto, in modo assolutamente prevalente, la tesi secondo cui l’interpretazione conforme è affidata in via esclusiva alla stessa Corte, tesi che trova sostegno, appunto, nell’argomento per cui, avendo i Costituenti optato per un sistema di giustizia costituzionale di tipo accentrato, invece che diffuso, ciò avrebbe implicato, consequenzialmente, la riserva al giudice costituzionale dell’utilizzo della Costituzione, non solo come criterio di validità delle leggi, ma anche come strumento interpretativo di queste719.

La tesi del monopolio della Corte costituzionale (organo ad hoc cui era stato affidato il controllo di costituzionalità delle leggi) sull’interpretazione conforme era basata, dunque, anche sulla considerazione per cui la stessa, data la sua peculiare composizione720, fosse un organo dotato di maggiore sensibilità “politica” rispetto ai giudici comuni, i quali d’altra parte, essendosi quasi tutti

715 M. Ruotolo, ult. op. cit., § 3.

716 R. Romboli, Qualcosa di nuovo, op. cit., § 2.

717 E. Lamarque, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione tra Corte costituzionale e giudici

comuni, op. cit., § 4.

718 V. cap. 7, Modello “diffuso” e modello “accentrato-incidentale” di controllo di costituzionalità. 719 R. Romboli, Qualcosa di nuovo, ult. op. cit., § 3.

720 Com’è noto, infatti, <<la Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal

Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative>> (art. 135 Cost.).

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formati nel passato regime, non erano considerati sufficientemente sensibili ai valori della nuova Carta costituzionale. La scelta del sindacato accentrato avrebbe, insomma, garantito maggiormente il Parlamento rispetto all’annullamento delle leggi da questo approvate, evitando di lasciarle in balìa di possibili disapplicazioni giudiziali.

Inoltre, un altro argomento a favore del monopolio del giudice costituzionale sull’interpretazione adeguatrice, era che esso avrebbe garantito in misura maggiore le esigenze di certezza del diritto, <<evitando che una stessa legge fosse ritenuta da alcuni giudici in contrasto con la Costituzione, e quindi disapplicata e da altri invece costituzionalmente corretta e quindi vigente e applicata>>721. Si voleva, pertanto, scongiurare il rischio che, affidando ai giudici comuni l’interpretazione conforme della legge, questi potessero giungere, di fatto, a disapplicarla, in particolare nei casi in cui l’interpretazione conforme fosse difficilmente riconducibile al testo della legge, e quindi l’operazione ermeneutica avesse un elevato tasso di creatività: ciò anche in considerazione della specificità del interpretazione costituzionale, presupposto dell’interpretazione adeguatrice, la quale ha a che fare con un testo contenente, in ampia misura, disposizioni di principio, ossia formulazioni aperte ed largamente indeterminate. È evidente infatti che, a seconda di come si interpreta il testo della Costituzione, una stessa legge può risultare conforme alla prima oppure no: la previa interpretazione del parametro influisce in maniera decisiva sulla valutazione della possibilità o meno di un’interpretazione adeguatrice. Si temeva dunque che, riconoscendo ai giudici la possibilità di utilizzare i due testi, costituzionale e legislativo, per conformare il secondo al primo in via interpretativa, si sarebbe agevolmente giunti, nei fatti, a sovvertire il sistema di giustizia costituzionale accentrato, voluto dai Costituenti proprio al fine di evitare l’affermarsi di un sindacato diffuso: impedendo dunque alla Corte di esercitare la sua funzione costituzionale.

Affidare ai giudici comuni l’interpretazione conforme, secondo la dottrina allora prevalente, appariva, pertanto, una scelta comportante gli stessi rischi che i Costituenti avevano voluto evitare stabilendo un controllo di costituzionalità accentrato. Il pericolo principale era dato dal fatto che i giudici comuni, <<attraverso i più audaci mezzi ermeneutici>> avrebbero sempre potuto ricondurre, anche attraverso forzature del testo, ogni disposizione di legge nell’alveo dei principi costituzionali, così impedendo alla Corte di operare, determinando con ciò <<un vero e proprio esautoramento delle funzioni e dei poteri>> ad essa attribuiti722.

I rischi che si evocavano, relativamente alla possibilità di un uso da parte dei giudici comuni della Costituzione, erano, dunque, i seguenti: l’elusione della giurisdizione costituzionale accentrata, il mantenimento in vita di leggi sempre suscettibili di esprimere norme incostituzionali, la compromissione delle esigenze di certezza del diritto.

8.3. Il congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati di Gardone del 1965

Tappa importante nel cammino del canone dell’interpretazione conforme a Costituzione, e nella sua progressiva diffusione presso i giudici comuni, fu il Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati (composta in quel momento soltanto dai magistrati di merito723) tenutosi a Gardone nel 1965, nel corso del quale venne approvato un ordine del giorno da cui emergeva chiaramente l’idea

721 R. Romboli, Qualcosa di nuovo, ult. op. cit., § 3.

722 Ibidem, § 3. Cfr. C. Lavagna, Considerazioni sulla inesistenza di questioni di legittimità costituzionale e sulla

interpretazione adeguatrice (1959), ora in Ricerche sul sistema normativo, Milano, 1984, 604.

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della superiorità ed immediata precettività della Costituzione, e dunque della possibilità di utilizzare i principi da questa affermati tanto come criteri d’interpretazione della legge, quanto come norme direttamente applicabili per dirimere le singole controversie giudiziali. Ecco il testo completo dell’ordine del giorno:

<<Il congresso afferma che il problema dell'indirizzo politico nell'ambito della funzione giurisdizionale non si pone, ovviamente, in termini di indirizzo politico contingente, che spetta alle forze politiche, titolari della funzione legislativa ed esecutiva, bensì in termini di tutela dell'indirizzo politico-costituzionale, in quanto la Costituzione ha codificato determinate scelte politiche fondamentali, imponendole a tutti i poteri dello Stato, ivi compreso quello giudiziario e attribuendo a quest'ultimo, oltre che al Capo dello Stato e alla Corte costituzionale, il compito di garantirne il rispetto; sottolinea che la retta consapevolezza di questi principi da parte del giudice è necessaria ai fini di una sempre più completa attuazione della Costituzione; afferma che spetta pertanto al giudice, in posizione di imparzialità e indipendenza nei confronti di ogni organizzazione politica e di ogni centro di potere: 1) applicare direttamente le norme della Costituzione, quando ciò sia tecnicamente possibile in relazione al fatto concreto controverso; 2) rinviare all'esame della Corte costituzionale, anche d'ufficio, le leggi che non si prestino ad essere ricondotte, nel momento interpretativo, al dettato costituzionale; 3) interpretare tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione, che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell'ordinamento giuridico statale. Si dichiara decisamente contrario alla concezione che pretende di ridurre l'interpretazione ad un'attività puramente formalistica indifferente al contenuto ed all'incidenza concreta della norma nella vita del paese. Il giudice, all'opposto, deve essere consapevole della portata politico- costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, una applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione>>724.

Quindi, innanzitutto, si afferma il carattere immediatamente precettivo delle norme costituzionali, in quanto espressione di scelte politiche fondamentali, che spetta a tutti i poteri dello Stato, compresa la Magistratura, attuare ed applicare. Il singolo giudice, in primo luogo, deve dare applicazione diretta, quando sia tecnicamente possibile, alle norme costituzionali nel caso concreto: dietro questa affermazione sta evidentemente una concezione della Costituzione come documento normativo capace non soltanto di disciplinare il funzionamento e i rapporti reciproci tra i poteri dello Stato e le relazioni di questo coi cittadini, ma anche come fonte di norme direttamente applicabili ai singoli casi della vita, ossia di norme capaci di “conformare” i rapporti tra i cittadini, e non soltanto tra poteri dello Stato o tra Stato e cittadini. Si affermava dunque il dovere del giudice di interpretare la legge in conformità al dettato costituzionale, e sollevare questione incidentale davanti alla Corte, anche d’ufficio, solo nel caso in cui l’interpretazione conforme non fosse praticabile, ossia quando la legge non si prestasse in alcun modo all’adeguamento interpretativo. Si assumeva poi una nuova concezione dell’interpretazione giuridica, nel momento in cui veniva respinta una visione dell’interpretazione giudiziale come attività puramente formalistica <<indifferente al contenuto ed all’incidenza concreta della norma nella vita del paese>>, e si affermava, al contrario, che il giudice dovesse essere consapevole del carattere politico-costituzionale della propria funzione di garanzia,

724 Si può leggere in Associazione Nazionale Magistrati, Atti e commenti, XII congresso nazionale, Brescia –

Gardone, 25-28 settembre 1965, Roma, 1966, 309 e anche in http://www.associazionemagistrati.it/public/File/gardone.pdf

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così da assicurare, <<pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, una applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione>>.

In generale, sembra che da questo ordine del giorno emerga una tensione tra una concezione del giudice come soggetto partecipe, insieme alla Corte, nell’opera di garantire l’effettività della Costituzione, cioè come garante dell’applicazione (diretta o indiretta, come criterio di interpretazione della legge) dei principi costituzionali (che costituiscono diretta esplicazione di scelte di valore del costituente) nei concreti rapporti sociali, e una visione del giudice come soggetto (soltanto) alla legge ordinaria del Parlamento (art. 101, comma 2, della Costituzione), che, in quanto tale, non ha il potere di disapplicare a proprio piacimento, ma deve, qualora abbia dubbi sulla sua costituzionalità, e tali dubbi non possano essere sciolti coi mezzi ermeneutici, sottoporla al giudizio della Corte costituzionale. Del resto, è esattamente la posizione che il giudice ricopre nel nostro ordinamento costituzionale, il quale può e deve utilizzare la Costituzione come fonte di norme direttamente applicabili e come criterio d’interpretazione della legge, ma al contempo non può in alcun modo disapplicare quest’ultima qualora ne sospetti l’incostituzionalità o ne abbia la “certezza”.

Tuttavia, <<la magistratura continuò, anche negli anni successivi, a preferire la proposizione della questione di costituzionalità rispetto alla interpretazione conforme, anche e soprattutto allorché si poneva il problema, specie per la magistratura più giovane, di superare certe interpretazioni restrittive seguite dalla Corte di cassazione che, senza l’ausilio della Corte costituzionale, avrebbe finito per prevalere in una logica di controllo diffuso di costituzionalità>>725. Come osserva E. Lamarque, gli inviti della Corte ai giudici di servirsi direttamente della Costituzione, come strumento d’interpretazione della legge, in particolare negli anni dal 1956 al 1965, trovano <<terreno poco fertile presso le supreme magistrature, a causa soprattutto della scarsa sensibilità costituzionale di quei giudici, anziani d’età e formati in epoca prerepubblicana; e anche gli stessi giudici di merito, più giovani e sensibili alla novità costituzionale, non osano in quel periodo procedere da soli a interpretare la legge in senso conforme alla Costituzione temendo, e a ragione, che i giudici superiori, conservatori, provvedano a riformare le loro pronunce più innovative, e preferiscono quindi sempre attivare l’incidente di costituzionalità>>726.

Tuttavia, come osserva la stessa Autrice, e il Congresso di Gardone del 1965 ne è un chiaro segno, iniziano a farsi avanti, nel ricorso all’interpretazione conforme, <<anche i giudici comuni, prima quelli di merito, poi, progressivamente, grazie al ricambio generazionale e agli stessi mutamenti della società italiana, anche le giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative>>727. Secondo l’Autrice, in questa fase <<constatando il sempre più diffuso utilizzo delle norme costituzionali da parte dell’autorità giudiziaria, la Corte sembra accontentarsi dei risultati raggiunti e non vuole forzare troppo la mano della magistratura, e quindi propone nuove interpretazioni conformi a Costituzione, con sentenze interpretative di rigetto, solo quando non si è già formato un diritto vivente incostituzionale>>728.

8.4. La dottrina del diritto vivente e le sentenze interpretative di accoglimento (e le altre tipologie