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Modello “diffuso” e modello “accentrato-incidentale” di controllo di costituzionalità.

D) Il canone dell’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” 1 Il canone dell’interpretazione conforme

7. Modello “diffuso” e modello “accentrato-incidentale” di controllo di costituzionalità.

Come abbiamo già visto, l’interpretazione conforme a Costituzione è legata a <<due esigenze fondamentali della statualità contemporanea>>: <<la garanzia dell’unità dell’ordinamento attraverso il primato della costituzione e la regolazione pacifica del passaggio dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale di diritto>>. L’interpretazione adeguatrice o conforme è fondata, da un lato, sul principio di supremazia della Costituzione rispetto a tutte le altre fonti del diritto presenti 627 Ibidem, pagg. 47-48. 628 Ibidem, pag. 48. 629 Ibidem, pag. 49. 630 Ibidem, pag. 50. 631 Ibidem. 632 Ibidem, pag. 49.

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nell’ordinamento giuridico e, dall’altro, sull’esigenza di adeguare, in via interpretativa, il significato della legge alle norme ricavabili dal testo della Costituzione, evitando, ove possibile, di creare <<vuoti legislativi>> o lacune, tramite la caducazione di disposizioni o norme: quindi, in altre parole, si tratta di conciliare di rigidità della Costituzione, come fonte superiore del diritto, che dovrebbe condurre all’annullamento di qualsiasi legge incostituzionale (o che esprima anche un solo significato incostituzionale), col principio di conservazione degli atti normativi collocati in posizione inferiore rispetto ad essa, sulla base della considerazione che l’eliminazione (retroattiva) della legge, travolgendo le eventuali aspettative o i rapporti giuridici che sulla sua base si erano formati, possa comunque comportare una lesione di (altri) interessi costituzionalmente rilevanti. Dunque, si potrebbe affermare che il canone dell’interpretazione conforme rappresenti una sorta di bilanciamento tra il principio di superiorità e rigidità della costituzione, che nei sistemi accentrati si esprime innanzitutto con l’annullamento delle leggi incostituzionali, e il principio di conservazione degli atti legislativi.

Le due esigenze, come ragione giustificativa del criterio interpretativo in esame, hanno una diversa importanza nei sistemi “diffusi” e nei sistemi “accentrati”. Osserva infatti M. Luciani che <<nelle esperienze di controllo diffuso di costituzionalità la mancanza delle declaratorie di illegittimità con effetti erga omnes prodotti de iure ha fatto pensare che l’interpretazione conforme fosse logico e piano corollario della supremacy of the Constitution, in funzione di ripristino della unità e della coerenza dell’ordinamento>>634. Nei sistemi accentrati, invece, il principio di supremazia della costituzione è assicurato primariamente attraverso l’annullamento con efficacia erga omnes, dunque sarebbe necessaria un’ulteriore ragione giustificativa dell’interpretazione conforme: essa è appunto l’esigenza di evitare la creazione di vuoti legislativi, ma anche quella di garantire la penetrazione dei principi costituzionali ai livelli ordinamentali più bassi, pur lasciando questi formalmente invariati.

Perciò è opportuno analizzare molto brevemente le caratteristiche essenziali del sistema “diffuso” di controllo di costituzionalità, il cui modello paradigmatico è quello degli Stati Uniti d’America. In esso, com’è noto, vi è la possibilità per il singolo giudice di disapplicare leggi contrarie alla Costituzione con efficacia inter partes. Nel modello a controllo diffuso statunitense, dunque, ad ogni giudice (da noi diremmo “comune”) spetta il judicial review of legislation: il giudice applica la legge nel caso in cui la norma, da egli ricavata in via d’interpretazione in relazione alla fattispecie concreta, sia, secondo la sua valutazione, costituzionalmente compatibile, oppure la disapplica, applicando direttamente la Costituzione, nel caso in cui non ritenga sussistente la prima condizione635.

Come si legge nella celebre decisione Marbury vs Madison (1803), della Corte Suprema statunitense, <<Se c’è un conflitto fra due leggi, le corti devono decidere l’operatività di ciascuna. Allo stesso modo se una legge è in contrasto con la Costituzione; se sia la legge che la Costituzione trovano applicazione in un determinato caso, in modo che la Corte possa decidere il caso in conformità alla legge, senza considerare la Costituzione, oppure in conformità alla Costituzione, senza considerare la legge, la Corte dovrà determinare quale di queste regole contrastanti deve essere applicata. Questa è l’essenza stessa della funzione giudiziaria. Se poi, le corti devono considerare la Costituzione, e la Costituzione è legge superiore a qualsiasi altra legge dell’ordinamento, sarà la Costituzione, e non la legge ordinaria, ad essere applicata al caso in

634 M. Luciani, ult. op. cit., § 14.

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questione>>636. Quindi, il judicial review statunitense delinea un tipo di controllo “incidentale”, poiché l’occasione del controllo di costituzionalità della legge sorge dall’esigenza di applicazione del diritto ad un concreto caso giudiziario; inoltre, è un modello a carattere “diffuso”, poiché la decisione finale sul merito della questione di costituzionalità spetta allo stesso giudice competente a definire il giudizio concreto, con efficacia limitata al singolo giudizio, salva la possibilità che una giurisdizione d’appello ribalti la decisione sulla stessa questione: eventualità che comunque può riguardare qualunque altra questione sorta all’interno del giudizio. La decisione definitiva sulla costituzionalità o meno della legge, come su ogni altra questione che possa sorgere nel processo, dunque, è teoricamente rimessa a una pronuncia non più impugnabile della Corte Suprema, che decide in via definitiva sulla costituzionalità o meno della norma di legge: salva la possibilità di questa di modificare la propria giurisprudenza. Inoltre, vige negli Stati Uniti (come negli altri sistemi di common

law), la regola dello <<stare decisis>>, che impone il rispetto del precedente giudiziario, in particolare

da parte dei giudici inferiori, anche se tale regola non ha carattere assoluto, potendo essere derogata a certe condizioni, e riguarda soltanto le rationes decidendi (ossia le regole che fondano le decisioni stesse) e non gli obiter dicta (qualsiasi altra regola non decisiva per la risoluzione del caso)637. La regola dello <<stare decisis>> assicura dunque, nel sistema statunitense, una relativa stabilità delle decisioni inerenti alla costituzionalità delle leggi, e dunque il valore della certezza del diritto.

Il sistema di controllo di costituzionalità, negli Stati Uniti d’America, non è espressamente previsto dalla Costituzione federale, ma risale alla celebre decisione del 1803, sopra citata, redatta dal chief justice della Corte Suprema John Marshall (Marbury v. Madison). Il potere di judicial review

of legislation fu dedotto, attraverso un procedimento logico, da due premesse fondamentali,

“implicite” nel sistema: poiché tutti i giudici applicano il diritto, preferendo le norme superiori a quelle inferiori; poiché la Costituzione è higher law, diritto superiore rispetto a qualsiasi altro atto normativo; allora, deve concludersi che tutti i giudici applicano la Costituzione e disapplicano qualunque atto inferiore con essa contrastante. La prima premessa è insita nel concetto stesso di “funzione giurisdizionale”. La seconda sarebbe stata dedotta da un argomento di carattere, per così dire, storico-etico, in base al quale l’intenzione dei padri costituenti, diretti rappresentanti della “volontà del popolo” di statuire le regole fondamentali della convivenza, non poteva che essere quella di attribuire, al documento da essi solennemente redatto e approvato, un valore normativo superiore rispetto a tutte le leggi future approvate di volta in volta dalle contingenti maggioranze presenti nel Congresso. Su queste basi logiche e storico-etiche fu edificato, negli Stati uniti d’America, il controllo giudiziale diffuso sulla validità costituzionale della legislazione, tuttora vigente. Il <<potere costituente popolare>> sarebbe la base della superiorità della Costituzione statunitense, e dunque della legittimazione del judicial review of legislation638.

L’assenza di una espressa previsione costituzionale che affidi ad un organo ad hoc la salvaguardia della rigidità della Costituzione, costituirebbe, dunque, la ragione per cui il potere giudiziario, negli Stati Uniti d’America, esercita allo stesso tempo una funzione giurisdizionale “ordinaria”, risolvendo giuridicamente concrete controversie materiali, e una funzione di controllo di costituzionalità delle leggi, giudicando queste alla luce relativi parametri costituzionali. E nell’esercizio di queste due

636 http://www.giurcost.org/casi_scelti/marbury.pdf 637 G. Sartor, Il precedente giudiziale, disponibile online su

https://www.docenti.unina.it/downloadPub.do?tipoFile=md&id=268258

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funzioni il giudice utilizza, come materiale da cui trarre le singole norme di decisione dei casi concreti, tanto la legge quanto la Costituzione.

Si può affermare che in un modello “diffuso” l’alternativa che si pone davanti al giudice è tra l’applicazione della legge, nel caso in cui questa fornisca, secondo il suo giudizio, una regola del caso conforme a Costituzione, e la disapplicazione della prima con conseguente diretta applicazione della seconda, nell’ipotesi in cui non si verifichi la prima condizione. È probabile, pertanto, che il “tentativo” di interpretazione conforme della legge sia un “naturale portato” del judicial review of

legislation diffuso, e si basi sull’esigenza, fondata sull’idea unità e coerenza del sistema, di assicurare

la superiorità della Costituzione rispetto alle fonti sottordinate, adattando, ove possibile, il significato di queste ultime alle norme ricavate dall’higher law. Non essendo previsto il potere di un organo giurisdizionale di annullare, con efficacia erga omnes, la legge ritenuta incostituzionale, ma soltanto il potere giudiziale di disapplicazione di essa con efficacia limitata al singolo caso (pur col “correttivo” della regola <<stare decisis>>), non sembra porsi in maniera evidente l’esigenza di <<conservazione>> dell’atto legislativo dichiarato incostituzionale, dato che vi sarebbe teoricamente la possibilità di applicarlo in un singolo giudizio andando contro il “precedente”, oppure una cambiamento di giurisprudenza da parte della Corte Suprema che dichiari legittima, e dunque applicabile ai casi concreti, una legge in precedenza dichiarata incostituzionale.

Nei sistemi accentrati, in cui il principio di supremazia della costituzione è assicurato istituzionalmente dall’istituto dell’annullamento con efficacia generale delle leggi incostituzionali, invece, il ricorso all’ermeneutica, per la soluzione del conflitto (reale o potenziale) tra Costituzione e legge, non sembra potersi giustificare soltanto in base al principio gerarchico, ma necessita di un ulteriore fondamento. Vi sono una serie di valori in gioco. Da un lato, vi è l’esigenza, tramite l’eliminazione delle disposizioni di legge che possono produrre significati incostituzionali, di garantire un maggior tasso di certezza del diritto, impedendo per il futuro il rischio che i giudici possano trarre da quelle disposizioni significati diversi e incostituzionali, ma a prezzo di una dilatazione temporale del singolo processo a quo, e quindi di un possibile danno nei confronti del singolo diritto controverso; dall’altro, invece, attraverso l’adeguamento in via interpretativa della disposizione di legge ai relativi paradigmi costituzionali, si soddisferebbe al meglio l’esigenza di offrire una tutela più immediata e tempestiva alle concrete situazioni giuridiche di vantaggio rivendicate nel singolo caso, ma scontando il rischio che un altro giudice (dello stesso o di altro processo), non condividendo la soluzione interpretativa adottata dal primo, sollevi la questione di costituzionalità, sospendendo dunque il proprio processo o, molto peggio, applichi una norma di dubbia costituzionalità, pregiudicando, pertanto, le situazioni costituzionalmente tutelate.

Alla base del ricorso al canone dell’interpretazione costituzionalmente orientata vi è, quindi, il riconoscimento della precettività delle norme costituzionali: esse sarebbero non soltanto applicabili dal giudice, ove tecnicamente possibile e in assenza di una normativa legislativa di attuazione, per decidere concreti casi controversi, ma anche criteri d’interpretazione delle legge, ossia di ascrizione di significato o di scelta, tra i vari significati possibili, di quello costituzionalmente conforme.

Dunque, vi è la considerazione del carattere non solo superiore, ma anche precettivo, della Carta costituzionale: ai valori e ai principi in essa positivizzati dev’essere consentito di penetrare in profondità nell’ordinamento, permeando tutti i livelli del medesimo e tutti i concreti rapporti vitali e sociali, non essendo concepibile un loro confinamento al vertice della piramide normativa e ai rapporti tra poteri dello Stato. L’interpretazione conforme a Costituzione, così come l’applicazione

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diretta della stessa, permette a quei valori di conformare i concreti rapporti sociali, disciplinati o meno dalla legge, e di <<vivere nella quotidianità dell’ordinamento>>639. F. Modugno afferma che <<il metodo dell’interpretazione adeguatrice privilegia il valore superiore della Costituzione, in quanto, applicabile non solo dalla Corte, ma ancor prima e indipendentemente dal giudice comune, permea l’intiero ordinamento ad ogni livello di interpretazione-applicazione delle norme costituzionali>>640.

Una ragione che sembra negare la legittimità, o quantomeno l’opportunità, di un utilizzo diretto della Costituzione da parte del giudice, sia come criterio di decisione dei rapporti materiali sia come canone di interpretazione delle fonti normative sottordinate, è la seguente: uno dei motivi che ha spinto i Costituenti a scegliere di introdurre il sindacato accentrato di costituzionalità, in cui l’ultima parola sulla costituzionalità della legge spetta ad un organo specializzato, sarebbe stata quella di evitare che i singoli magistrati, seguendo il sopra citato sillogismo di Marshall, si (auto)riconoscessero il potere di disapplicare le leggi che reputassero contrarie a Costituzione, partendo dalla semplice premessa che quest’ultima fosse diritto vincolante e superiore. Quindi, l’intento dei Costituenti di introdurre espressamente un controllo di tipo accentrato sembra essere stato quello di scongiurare il rischio che, nel silenzio della Costituzione, si formasse “spontaneamente” un sistema di controllo di costituzionalità a carattere diffuso. Il modello accentrato sarebbe stato espressamente introdotto nella Costituzione italiana allo scopo di scongiurare l’affermarsi, per via giurisdizionale e tramite lo sviluppo delle potenzialità logiche insite nel sistema, di un sindacato di legittimità delle leggi totalmente affidato alla Magistratura: dunque, in funzione di prevenzione rispetto al pericolo di un <<attivismo>> dei giudici, che potesse porre nel nulla l’efficacia delle decisioni del Parlamento641. Come nota G. Zagrebelsky, <<in presenza di una Costituzione concepita come norma superiore alla legge, l’alternativa è fra la “naturale” competenza dei giudici a sindacare la legge incostituzionale e l’“artificiale” previsione di sistemi di controllo previsti ah hoc e che il silenzio che la Costituzione tenga in proposito significa non l’assenza del controllo, ma il suo esercizio da parte dei tribunali>>642.

Il controllo di costituzionalità accentrato sarebbe stato concepito dunque come una sorta di <<privilegio del legislatore>> nei confronti del potere giudiziario, privilegio in base al quale le leggi del Parlamento possono e devono essere giudicate in via definitiva soltanto da uno organo ad hoc avente una speciale composizione, che lo renda una sorta di “arbitro” dei conflitti tra i poteri dello Stato, e che segua procedure ad hoc che garantiscano la partecipazione anche di soggetti istituzionali interessati alla difesa della legittimità della legge. Secondo G. Zagrebelsky, l’espressione <<privilegio del legislatore>> starebbe ad indicare <<che il legislatore ha il suo giudice speciale, operante attraverso procedimenti particolari e formato con personale non esclusivamente giudiziario, capace di tenere in debito conto, accanto alle esigenze dei diritti costituzionali, le esigenze propriamente politiche che si esprimono nella legge (lex e ius sono anche qui all’opera); in secondo luogo, indica

639 M. Luciani, ult. op. cit., § 14.

640 F. Modugno, Metodi ermeneutici e diritto costituzionale, in Scritti sull’interpretazione costituzionale, cit.,

pag. 79.

641 O. Chessa, ult. op. cit., pag. 54, vi è da precisare che la proposta kelseniana di sindacato accentrato, invece,

era concepita come un rimedio nei confronti della temuta <<inerzia>> dei giudici nel far valere l’invalidità di una legge formalmente promulgata e pubblicata, cioè nella possibile e probabile riluttanza degli stessi ad utilizzare la Costituzione come criterio d’individuazione del diritto valido, v. O. Chessa, ult. op. cit., pagg. 52 e ss.

642 G. Zagrebelsky, G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2009, edizione Kindle, parte terza,

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che la legge deve essere obbedita e applicata dai giudici (e quindi da tutti i “giustiziabili”) fino a quando essa non sia dichiarata incostituzionale dall’unica istanza competente, con effetti erga

omnes. L’efficacia obbligatoria della legge, nei sistemi di controllo ad hoc – efficacia che, nella nostra

dottrina, è stata definita “esecutorietà” -, può dirsi sostenuta da una “presunzione di legittimità”, condizione del non dissolvimento del diritto come ordine, o ordinamento giuridico>>643. Insomma, una istanza giurisdizionale centralizzata per dirimere il conflitto sulla validità della legge tra il giudice comune e il legislatore, impedendo al primo di accertare l’incostituzionalità della legge e dunque disapplicarla nel proprio giudizio.

Come nota E. Lamarque, alla base della scelta del sindacato accentrato, non vi sarebbe stata soltanto una sorta di <<sfiducia nella sensibilità costituzionale dei magistrati, funzionari del passato regime fascista>>, ma vi era anche una determinata concezione della Costituzione, <<che sarebbe stata sì legge superiore, ma non propriamente normativa del senso in cui lo è la legge, o lo sono le costituzioni dei paesi con sindacato di costituzionalità diffuso, che operano direttamente nella sfera dei rapporti materiali e vincolano l’operato dei giudici>>: insomma, nell’Assemblea Costituente <<agiva la convinzione di fondo, retaggio delle concezioni proprie dell’età statutaria, che le norme costituzionali avessero come destinatari quasi esclusivi i pubblici poteri, e in particolare il legislatore, e non dovessero invece operare nei rapporti tra consociati>>644. A dimostrazione di tale approccio, allora dominante tra i Costituenti, vi sarebbe stata la decisione di mantenere in vita la Corte di cassazione. Vi è stata, dunque, la creazione di un <<sistema diarchico>>, nel quale alla “legalità legale”, la cui <<vestale>> continuava ad essere la Corte di cassazione, veniva semplicemente accostata e sovrapposta la legalità costituzionale, la cui <<vestale>> doveva essere la Corte costituzionale, secondo l’espressione utilizzata dal primo presidente della Corte Enrico De Nicola, nella conferenza inaugurale della prima seduta pubblica della Corte, il 23 aprile del 1956645.

Pertanto l’avvento di una nuova e superiore sfera di legalità, quella costituzionale, non avrebbe dovuto determinare l’abolizione o l’assorbimento in essa della “legalità legale”, ma, appunto, la creazione di un sistema “diarchico”, nel quale la cura due livelli ordinamentali fosse affidata a diversi custodi, e la prevalenza del piano costituzionale sul piano legislativo fosse assicurata tramite il sindacato accentrato e l’annullamento delle singole leggi di cui fosse stata accertata, da parte dell’organo ad hoc a ciò espressamente abilitato, l’illegittimità costituzionale.

Il sistema di giustizia costituzionale che è stato introdotto in Italia è accentrato quanto alla decisione, ma incidentale quanto alla sua attivazione: infatti, il giudizio costituzionale delle leggi ha origine da una questione di costituzionalità che sorge nell’ambito di un giudizio “comune” (civile, penale, amministrativo, ecc.) e inerente a una legge che in esso può o deve trovare applicazione. Infatti, se la norma è <<rilevante>> per il caso (ossia applicabile ad esso) e il giudice reputa la questione di costituzionalità <<non manifestamente infondata>>646, ossia esclude che vi siano indici evidenti che inducano ad affermarne senza alcun dubbio la costituzionalità, egli deve sospendere il processo principale, per sollevare l’eccezione di incostituzionalità davanti alla Corte. È evidente, perciò, che anche in un sistema accentrato come il nostro, il giudice a quo debba necessariamente compiere, pena l’inammissibilità della questione, un confronto tra norma di legge e norma

643 G. Zagrebelsky, ult. op. cit., ibidem.

644 E. Lamarque, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione tra Corte costituzionale e giudici

comuni, in Astrid Rassegna, www.astrid-online.it, 2009, pagg. 6-7.

645 Ibidem, pag. 6.

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costituzionale, seppur a livello di primaria delibazione. Il giudice comune, in altre parole, deve, nei limiti di un giudizio sommario di non infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata, non solo interpretare la legge, definendo il possibile oggetto del giudizio di costituzionalità, ma anche necessariamente interpretare le disposizioni della Costituzione, il cui significato dev’essere confrontato col significato ricavato dalla disposizione di legge sospettata d’incostituzionalità.

Se la disposizione di legge, in quanto enunciato linguistico, può dar vita a diverse interpretazioni, a seconda delle peculiarità del caso, del sistema normativo e della “sensibilità” dell’interprete, è evidente che, tra tutti i significati normativi prospettabili per la disposizione, la scelta potrebbe e dovrebbe cadere preferibilmente su quella che la rende conforme al parametro di validità.

Il “dovere” dell’interpretazione conforme, sia esso adempiuto dal giudice comune, sia esso