D) Il canone dell’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” 1 Il canone dell’interpretazione conforme
5. Le varie tipologie di interpretazione conforme.
L’interpretazione conforme a Costituzione ha, nell’ordinamento italiano, un raggio d’azione che non si limita alla regolazione del rapporto tra legge e Costituzione. Infatti, la stessa Costituzione prevede che l’ordinamento giuridico italiano debba conformarsi a norme appartenenti ad altri ordinamenti: innanzitutto, l’art. 10 della Cost., stabilisce l’adeguamento automatico dell’ordinamento interno alle norme del diritto internazionale generale (diritto consuetudinario internazionale); l’art. 11 (che afferma che l’Italia <<consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo>>), al quale è stato collegato, dalla giurisprudenza costituzionale, il diritto comunitario (ora “eurounitario”), che, in base all’ordine di esecuzione alla ratifica del Trattato di Roma e delle successive modificazioni, prevale sulle norme nazionali con esso contrastanti, a condizione che sia rispettoso dei principi fondamentali e dei diritti inalienabili della persona umana stabiliti dalla Costituzione italiana; l’art. 117 Cost., che impone il rispetto da parte della legge (statale e regionale) del diritto internazionale pattizio al quale l’Italia si è vincolata (<<obblighi internazionali>>), oltre che della stessa Costituzione e dei <<vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario>>.
Di fronte alle diverse tipologie di interpretazione conforme, si pone, dunque, il problema di stabilire “a quale conformità” il giudice italiano debba dare preferenza, a quale di esse il sistema dia priorità. Questo sarebbe un interrogativo a risposta obbligata, <<perché: a) il giudice italiano deriva la propria legittimazione dalle norme dell’ordinamento giuridico italiano; b) le altre interpretazioni conformi vi hanno ingresso solo in forza di una scelta di tale ordinamento (oggettivatasi, s’è visto, negli art. 10, 11 e 117 cost.) (…) c) il “sistema” reca in capite la Costituzione italiana, che decide dell’an, del quomodo, del quantum e anche del quia delle possibili conformità; d) la “priorità”, di conseguenza, non è in discussione>>543.
È lecito chiedersi, dunque, se l’apertura dell’ordinamento a fonti esterne ad esso possa incidere sull’interpretazione della Costituzione e, se sì, in quale misura.
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A proposito, M. Luciani prende come esempio paradigmatico il caso delle norme costituzionali sui rapporti economici, che la Corte costituzionale ha cominciato <<a leggere con occhiali diversi a fronte della giurisprudenza eurounitaria e convenzionale>>. Rispetto tali norme costituzionali si sarebbe verificata, secondo l’Autore, <<una duplice e non sostenibile rottura analitica dell’unità della Costituzione>>, attraverso la <<valorizzazione di una delle due “anime” della “costituzione economica” italiana>>, specialmente quella di <<impronta liberista>>544. Questa operazione, secondo l’Autore, è stata argomentata <<dando per scontato ciò che scontato non è>>, cioè che esista una “costituzione economica” concettualmente autonoma, quasi scissa, rispetto alla Costituzione nella sua interezza. Inoltre, attraverso tale rottura dell’unità della Costituzione si identificano nella stessa <<anime diverse e giustapposte, quasi che il compromesso costituzionale fosse “impuro”, “insincero” o “apparente”>>.
Diversa, come si già visto, la posizione di A. Ruggeri, il quale afferma che le norme costituzionali
di apertura (in particolare artt. 10 e 11, ma anche 117, primo comma) sollecitano <<una lettura internazionalmente conforme della stessa Costituzione>> e che, “circolarmente”, l’art. 2 Cost. <<spinge a dare un’interpretazione costituzionalmente conforme a quelle formule delle Carte dei diritti e delle disposizioni sovranazionali in genere che dovessero sembrare meno avanzate, in prospettiva assiologica, rispetto a quelle costituzionali (e nazionali in genere)>>545. In particolare, per questo Autore, sussisterebbe una <<metanorma fondamentale dei rapporti intersistemici>>, in base alla quale ogni giudice, nella ricerca della norma da porre a base della soluzione del caso, deve reperire quella che offra la <<tutela più intensa>> dei diritti fondamentali, ossia in primis dei principi di uguaglianza e libertà, entrambi espressione del valore supremo della <<dignità della persona umana>>. Secondo A. Ruggeri, non vi sarebbe <<alcun ordine gerarchico d’ispirazione formale- astratta tra le fonti, l’ordine stesso piuttosto stabilendosi tra le loro norme, in ragione delle “coperture” di valore di cui possono farsi vanto di essere dotate, siccome serventi ora in maggiore ed ora in minore misura i valori di libertà ed eguaglianza, secondo riscontri che solo in ragione delle pretese del caso possono aversi>>546. Sostiene ancora l’Autore che, <<una volta ambientate le relazioni internormative al piano assiologico-sostanziale, puntandosi cioè a stabilire dove si situi il miglior servizio prestato alla tavola dei valori costituzionalmente protetti, nessuno spazio possa più residuare per sistemazioni d’ispirazione formale-astratta>>547; in tal modo, secondo A. Ruggeri, la stessa <<teoria dei “controlimiti” … ne risulta in radice scardinata, i “controlimiti” stessi non potendo valere per sistema e dovendosi piuttosto verificare di volta in volta se possano essere, o no, azionati, in ragione del modo con cui le norme in campo si riportano ai valori, disponendosi al loro (ora maggiore ed ora minore) appagamento>>548. Perciò, la ricerca dell’interprete, volta ad identificare la regola del caso, non sarebbe realmente guidata dai criteri formali e astratti che regolano i rapporti tra le fonti e gli ordinamenti, come quello gerarchico o quello di competenza, ma dal criterio sostanziale, assiologicamente orientato, della “massimizzazione” della tutela dei diritti. Il giudice, pertanto, avendo la possibilità di scegliere tra le varie normative derivanti da diverse fonti applicabili (nazionale, eurounitaria, convenzionale), opterebbe per quella che comparativamente offre una tutela maggiore del diritto, costituzionalmente protetto, oggetto del giudizio. Di conseguenza,
544 Ibidem.
545 A. Ruggeri, Principio di ragionevolezza e interpretazione costituzionale, § 4, su rivistaaic.it.
546 A. Ruggeri, L’interpretazione conforme e la ricerca del “sistema di sistemi” come problema, su rivistaaic.it,
pag. 5.
547 Ibidem, pag. 7. 548 Ibidem.
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nell’opzione tra i vari tipi di interpretazione conforme (a Costituzione, diritto eurounitario o convenzionale), il giudice effettuerebbe una sorta di <<bilanciamento tra interpretazioni>>549, dando attuazione al suddetto <<metacriterio>> della massima soddisfazione del valore della dignità della persona umana.
Critico nei confronti di tale impostazione è M. Luciani, secondo il quale, la stessa, oltre a non offrire <<alcuna indicazione operativa nei casi di conflitto>, rischia di aprire all’<<assoluto arbitrio dell’interprete>>, poiché sembrerebbe affidare totalmente a quest’ultimo, in definitiva, la scelta di quale “prospettiva assiologica”, o “scala di valori” assumere, <<senza attingere – come dovrebbe, da giurista – all’una o all’altra di quelle positivizzate>>550.
5.1 (segue) interpretazione conforme al diritto “eurounitario”
Com’è noto, a seguito della sentenza Simmenthal (1978) della Corte europea di giustizia e, soprattutto, a seguito del suo accoglimento nelle giurisdizioni costituzionali dei paesi membri, i giudici comuni sono autorizzati a <<controllare la validità degli atti legislativi interni alla luce delle norme di diritto comunitario>>551.
Nella sentenza n. 183 del 1973, la Corte costituzionale aveva già statuito che <<esigenze fondamentali di eguaglianza e certezza giuridica postulano che le norme comunitarie - , non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno -, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari>>552. In questa decisione, quindi, la Corte ha affermato per la prima volta la <<prevalenza del regolamento comunitario nei confronti della legge nazionale>>553. Nella sentenza n. 170/1984 (Granital) la Corte costituzionale ha, poi, ricostruito i rapporti tra diritto nazionale e diritto comunitario in termini di separazione delle attribuzioni. Sebbene <<autonomi e distinti>>, i due ordinamenti sono <<coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato>>554: lo strumento per garantire tale coordinamento è la <<pregiudiziale comunitaria>>. Invero, l'accoglimento di tale principio, come si è costantemente delineato nella giurisprudenza della Corte, presuppone che la fonte comunitaria appartenga ad altro ordinamento, diverso da quello statale. Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell'art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: <<se così è, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento>>555. La Corte ha poi statuito che <<l'esercizio del potere trasferito a detti organi [comunitari] viene qui a manifestarsi in un "atto", riconosciuto nell'ordinamento interno come "avente forza e valore di legge" (cfr. sentenza n. 183/73) … Le norme poste da tale atto sono, invero, immediatamente applicate nel territorio italiano per forza propria. Esse non devono, né possono, essere riprodotte o trasformate in corrispondenti disposizioni dell'ordinamento nazionale. La distinzione fra il nostro ordinamento e
549 Ibidem, pag. 10.
550 M. Luciani, op. ult. cit. § 11.
551 O. Chessa, I giudici del diritto, pag. 91. 552 Sent. n. 183/1973, § 7, Considerato in diritto.
553 Come ha affermato la stessa Corte nella sent. 170/1984, § 4 Considerato in diritto. 554 § 4, Considerato in diritto.
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quello della Comunità comporta, poi, che la normativa in discorso non entra a far parte del diritto
interno, né viene per alcun verso soggetta al regime disposto per le leggi (e gli atti aventi forza di
legge) dello Stato>>; dunque, <<l'ordinamento italiano - in virtù del particolare rapporto con l'ordinamento della CEE, e della sottostante limitazione della sovranità statuale - consente, appunto, che nel territorio nazionale il regolamento comunitario spieghi effetto in quanto tale e perché tale. A detto atto normativo sono attribuiti "forza e valore di legge", solo e propriamente nel senso che ad esso si riconosce l'efficacia di cui è provvisto nell'ordinamento di origine>>556. Di conseguenza, la Corte ha affermato che <<le disposizioni della CEE, le quali soddisfano i requisiti dell'immediata
applicabilità devono, al medesimo titolo, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza
che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato. Non importa,
al riguardo, se questa legge sia anteriore o successiva>>557. Ciò determina, altresì, un’ulteriore conseguenza: <<la norma interna contraria al diritto comunitario non risulta - è stato detto nella sentenza n. 232/75, e va anche qui ribadito - nemmeno affetta da alcuna nullità, che possa essere accertata e dichiarata dal giudice ordinario. Il regolamento, occorre ricordare, è reso efficace in quanto e perché atto comunitario, e non può abrogare, modificare o derogare le confliggenti norme
nazionali, né invalidarne le statuizioni>>558. In seguito, nella sentenza n. 168 del 1991, la Corte afferma, coerentemente, che l’accertato contrasto tra norma interna e norma comunitaria impone al giudice non già la <<disapplicazione>>, bensì la <<non applicazione>> della prima, e ciò in quanto <<mentre la prima consegue sempre da un giudizio di validità e quindi dall’accertamento di un vizio, invece la seconda – pur non differendo dalla precedente dal lato pratico – prescinde da ipotesi d’invalidità>>559. Dunque, ove il giudice accerti, nel singolo caso, il conflitto tra norma interna e norma comunitaria immediatamente applicabile, deve <<non applicare>> la prima e applicare la seconda, proprio perché le due norme appartengono ad ordinamenti distinti e la loro validità è regolata dai rispettivi sistemi di appartenenza, e non deve sottoporre perciò il conflitto al giudizio della Corte.
A proposito di tale ultimo problema, è possibile affermare poi che <<la via incidentale, in particolare, è percorribile … solo quando il giudice comune si trova ad applicare una legge contrastante con una norma europea sprovvista dell’effetto diretto>>: e questa, tra l’altro, <<l’occasione più importante in cui la Corte costituzionale può suggerire di tentare, prima di ogni altra cosa, l’interpretazione conforme>>560.
Dunque, ordinamento italiano e ordinamento comunitario (ora “eurounitario”) sono stati configurati dalla Corte come ordinamenti “autonomi e distinti”: come ha osservato R. Bin, in questo modo, <<la Corte costituzionale italiana ha negato risolutamente che le fonti comunitarie si compongano in un unico sistema giuridico con quelle interne e che quindi si possano prospettare relazioni di gerarchia tra di esse. È il criterio della competenza il principio ordinatore dei rapporti tra i due sistemi di fonti, a suo modo di vedere: criterio che guida la scelta della norma competente da applicare, ma non produce l'invalidità della norma scartata>>561.
556 § 4, Considerato in diritto. 557 Ibidem, corsivo mio. 558 § 5, Considerato in diritto.
559 O. Chessa, op. ult. cit., pagg. 91-92.
560 E. Lamarque, L’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea secondo la Corte costituzionale
italiana, in giurcost.org, 2014, § 2.
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Lo strumento processuale per realizzare il coordinamento tra i due ordinamenti è la <<pregiudiziale comunitaria>>, che assicura <<la prevalenza del diritto europeo>> immediatamente applicabile (non bisognoso dell’interposizione di una normativa di recepimento interna), sul diritto legislativo nazionale562. Nella sentenza n. 216 del 2014, la Corte costituzionale ha ricostruito il rapporto tra pregiudiziale comunitaria (o “eurounitaria”) e pregiudiziale costituzionale, affermando la priorità della prima rispetto alla seconda: 1) <<i giudici nazionali le cui decisioni sono impugnabili hanno il compito di interpretare il diritto comunitario e se hanno un dubbio sulla corretta interpretazione hanno la facoltà e non l’obbligo di operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia […]>>; 2)<<Il giudice di ultima istanza, viceversa, ha l’obbligo di operare il rinvio, a meno che non si tratti di una interpretazione consolidata e in termini o di una norma comunitaria che non lascia adito a dubbi interpretativi>>; 3) <<la questione pregiudiziale di legittimità costituzionale “sarebbe invece inammissibile, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ove il giudice rimettente chiedesse la verifica di costituzionalità di una norma, pur esplicitando un dubbio quanto alla corretta interpretazione di norme comunitarie ed un contrasto con queste ultime; il dubbio sulla compatibilità della norma nazionale rispetto al diritto comunitario va risolto, infatti, eventualmente con l’ausilio della Corte di giustizia, prima che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale, pena l’irrilevanza della questione stessa”>>563.
M. Luciani afferma che, <<così ragionando, lo spazio del giudizio costituzionale incidentale si riduce e che specularmente si amplia quello del giudizio europeo, che può plasmare direttamente il diritto interno prima ancora che si ponga un qualsivoglia dubbio di costituzionalità>>564. Secondo E. Lamarque, il rifiuto della Corte costituzionale <<di adire direttamente la Corte di giustizia con rinvio pregiudiziale e di chiedere ai giudici di farlo al posto suo, non ha certo favorito il sorgere di occasioni per il giudice delle leggi di confrontarsi con il diritto europeo>>565: ciò ha prodotto <<la massima devoluzione ai giudici comuni, in eventuale connessione con la Corte di Giustizia, dei problemi di compatibilità comunitaria, con la conseguenza di privare la Corte costituzionale della stessa possibilità di pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale nel confronto con quello europeo. Veri e propri ‘giudici comunitari’, in altre parole, e in quanto tali invitati dalla Corte di Giustizia a occuparsi anche dell’interpretazione conforme al diritto europeo, sono stati fino a ieri solo quasi in esclusiva i giudici comuni, mentre la Corte costituzionale, nella sua posizione di volontario isolamento, ha per forza di cose avuto scarsa voce in capitolo anche su questo aspetto>>566. Infatti, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 207 del 2013, ha per la prima volta effettuato un rinvio pregiudiziale alle Corte di giustizia, ma poi nella pronuncia dell’anno successivo, sopra citata, ha ribadito l’atteggiamento di chiusura.
Per quanto riguarda l’interpretazione conforme a diritto comunitario, nella stessa sentenza
Granital la Corte costituzionale ha stabilito che, poiché il diritto comunitario (direttamente
applicabile) prevale sulle norme di legge interne con esso confliggenti, <<sul piano ermeneutico, vige la presunzione di conformità della legge interna al regolamento comunitario: fra le possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionali va prescelta quella conforme alle
562 M. Luciani, Interpretazione conforme a Costituzione, § 12. 563 Sent. n. 216/2014, § 3.1.
564 M. Luciani, ult. op. cit., § 12. 565 E. Lamarque, ult. op. cit., § 2. 566 Ibidem.
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prescrizioni della Comunità, e per ciò stesso al disposto costituzionale, che garantisce l'osservanza del Trattato di Roma e del diritto da esso derivato>>567.
Secondo E. Lamarque, questa decisione dimostra come l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea venga intesa dalla Corte <<come una specie del genere interpretazione conforme a Costituzione>>: insomma, essa risponde all’<<esigenza puramente interna di assicurare l’adeguamento della legislazione alle superiori norme costituzionali: un’esigenza che implica anche l’adeguamento al diritto comunitario nel momento in cui la necessità di rispettare i vincoli derivanti dall’adesione dell’Italia alla Comunità europea viene fatta discendere appunto dall’art. 11 Cost>>568
Vi è poi il già citato art. 117, comma 1, Cost. che, dopo la revisione del 2001, <<dispone che le norme dell'UE – comprese quelle prodotte dalla Corte di giustizia in via di interpretazione - prevalgano sulle leggi ordinarie italiane, che sono soggette al rispetto "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". In questo "obbligo di rispetto" rientra senza dubbio anche l'obbligo di interpretazione conforme>>569
Come afferma O. Chessa, la nuova formulazione dell’art. 117, comma 1, sembra mettere in discussione la dottrina, affermata dalla giurisprudenza costituzionale, degli ordinamenti <<autonomi e separati, ma comunicanti>>: ciò perché il nuovo testo configura il diritto comunitario come <<condizione di validità del diritto interno>>570. Dunque, si può dire che, a seguito della riforma costituzionale del 2001, il diritto comunitario potrebbe assurgere a parametro <<interposto>> nel giudizio di costituzionalità delle leggi.
Di conseguenza, <<le leggi ordinarie italiane, perciò, sono soggette a (almeno) due diversi vincoli di interpretazione conforme: uno nei confronti della Costituzione (che discende dal rapporto di gerarchia), uno nei confronti delle norme dell'UE, comprese quelle prodotte dall'interpretazione della Corte di giustizia (in applicazione del criterio della competenza)>>571.
Per quanto riguarda la possibilità (o doverosità) dell’interpretazione conforme al diritto “eurounitario” della normativa interna, si possono evidenziare una serie di ipotesi problematiche.
Il primo è quello di un possibile conflitto tra interpretazione conforme a diritto eurounitario e interpretazione conforme a Costituzione572: in altri termini, può ipotizzarsi il caso in cui il risultato interpretativo ricavato da una disposizione di legge interna sia conforme al primo, ma in contrasto con la seconda. Ad avviso di R. Bin, almeno per la Corte costituzionale, dovrebbe prevalere l’interpretazione conforme a Costituzione573.
Un problema che si pone, tuttavia, è quello di stabilire quali siano, in tal caso, i parametri costituzionali in base ai quali scrutinare la legittimità di un’interpretazione della legislazione interna conforme al diritto eurounitario: tutte le norme della Costituzione (siano essi principi o regole) o soltanto i c.d. <<principi supremi>>?
567 Ibidem, § 3. 568 Ibidem.
569 R. Bin, L’interpretazione conforme, cit., § 3. 570 O. Chessa, I giudici del diritto, cit., pag. 92. 571 R. Bin, ult. op. cit., § 3.
572 M. Luciani, Interpretazione conforme, cit., § 12; R. Bin, ult. op. cit., § 3. 573 Ibidem.
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Come sappiamo (in base alle già citate sentenze n. 183/1973 e n. 170/1984), le fonti eurounitarie, o meglio <<le fonti interne che hanno immesso del nostro ordinamento i Trattati in base ai quali le prime sono prodotte>>, incontrano al livello dell’ordinamento nazionale il solo sbarramento dei principi costituzionali fondamentali e dei diritti inalienabili della persona umana, che valgono da <<controlimiti>>. Quindi, in pratica, la normativa europea deroga non soltanto al diritto legislativo interno, ma anche a quelle norme costituzionali che non assurgono a <<principi supremi>> (<<controlimiti>>): questi ultimi costituiscono, appunto, l’unico “baluardo” contro le “limitazioni di sovranità” (art. 11 Cost.), che il diritto comunitario è abilitato, attraverso l’ordine di