D) Il canone dell’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” 1 Il canone dell’interpretazione conforme
4. Le ragioni giustificative dell’interpretazione conforme
Dunque, le ragioni fondamentali che giustificano l’applicazione del canone ermeneutico dell’interpretazione conforme a Costituzione sono la garanzia dell’unità e coerenza dell’ordinamento giuridico e la precettività e superiorità delle norme costituzionali; per quanto riguarda, invece, l’interpretazione conforme al diritto sovranazionale (in particolare, dell’Unione europea) e a quello internazionale (in particolare alla Convenzione europea dei diritto dell’uomo), vi sono le esigenze della coerenza e non incompatibilità tra ordinamenti diversi e tra loro collegati e del rispetto del principio di competenza che ne regola i rapporti 519
Il principio di unità e coerenza del sistema può rendersi però effettivo, sia attraverso la via interpretativa, evitando dunque, per quanto possibile, l’applicazione dei criteri di risoluzione delle antinomie (cronologico, gerarchico, di competenza), e dunque “conservando” la fonte o la norma che risulterebbe “recessiva”, sia attraverso l’applicazione dei criteri stessi, determinando, dunque, l’annullamento, l’abrogazione o la disapplicazione (o non applicazione) della fonte (o della norma) recessiva520. Entrambe le tipologie di rimedi, interpretazione conforme, da un lato, annullamento, abrogazione, disapplicazione, dall’altro, permettono, quindi, di garantire o ripristinare la coerenza e le gerarchie normative interne del sistema. Dunque, la scelta del rimedio di carattere interpretativo, per prevalere su quello che incide sull’esistenza o sull’operatività della fonte, dev’essere fondata su un'altra esigenza: ossia, sul <<principio di conservazione degli atti giuridici>>521. Afferma un altro Autore che, come vedremo meglio in seguito, alla base delle decisioni interpretative di rigetto della Corte costituzionale italiana, e anche delle pronunce di inammissibilità per mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme, <<si scorge con evidenza quell’esigenza di tendenziale massima conservazione del sistema legislativo>>, che appunto sta alla base del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice522.
In relazione a tale principio, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 559 del 1988 ha chiaramente affermato che <<In base ad un elementare canone ermeneutico, le disposizioni contenute in atti sottordinati alle leggi devono essere interpretate adeguandone, per quanto possibile, il senso alle norme legislative vigenti. Questa è la conseguenza tanto dell’assioma per il quale l’ordinamento normativo dev’esser postulato […] come una totalità unitaria, quanto del principio di conservazione dei valori giuridici>>523. In altri termini, qualora la formulazione testuale della fonte “sottordinata” permetta di adattare il significato di questa a quello desunto dalla fonte sovraordinata, il principio di unità dell’ordinamento giuridico, insieme a quello di <<conservazione dei valori giuridici>>, dev’essere garantito in via interpretativa, evitando, per quanto possibile, la creazione di <<vuoti legislativi>>, anche in considerazione del fatto che il legislatore, come si desume dall’art. 136 della Costituzione, non è obbligato, ma ha soltanto la facoltà di intervenire per colmare
518 Ibidem, pag. 40.
519 V., tra gli altri, R. Bin, Interpretazione conforme, § 3. 520 Luciani, ult. op. cit. § 9.
521 Ibidem.
522 G. Serges, Interpretazione conforme e tecniche processuali, in Giurisprudenza italiana, 2010, pag. 1973. 523 Sent. 559/1988, § 4.1.2., in giurcost.org.
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le lacune determinate dalle sentenze d’incostituzionalità del giudice delle leggi524. E tale facoltà, spesso, non è stata dal legislatore esercitata. Questa è la ragione, tra le altre, che ha spinto la Corte costituzionale ad “inventare” nuove tipologie di decisione, tra le quali innanzitutto le sentenze interpretative di rigetto, che le permettessero di svincolarsi dalla rigida e “secca” alternativa tra accoglimento e rigetto525.
Il canone dell’interpretazione conforme o adeguatrice, perciò, può essere configurato come <<un meccanismo di regolazione del rapporto tra conservazione e innovazione>>526. La <<conservazione>> è legata, secondo M. Luciani, a esigenze primarie di certezza del diritto e della stabilità dei rapporti sociali che caratterizzano l’<<esperienza storica della statualità>>, ma anche all’<<esigenza della massima valorizzazione della volontà degli autori degli atti e quella della generale capacità di “autoriparazione” dei sistemi sociali, che pare essere una loro costante>>527.
Secondo A. Pace, l’unica esigenza alla base dell’interpretazione adeguatrice sarebbe proprio quella della conservazione degli atti giuridici, prevista dall’art. 1367 del codice civile. Ma tale principio non potrebbe trovare applicazione per gli atti ad efficacia generale, quali le leggi e gli atti aventi forza di legge, ma soltanto per quelli ad efficacia particolare (amministrativi o privati): infatti, <<stante la possibilità della più impensabile serie di applicazioni da parte delle più disparate persone, una loro interpretazione “conservatrice” al fine di “adeguare” il loro significato a Costituzione sarebbe possibile solo se la decisione “adeguatrice” di rigetto della Corte costituzionale avesse efficacia erga omnes>>528. Ma questo non è il caso delle sentenze interpretative di rigetto, poiché
l’efficacia generale è collegata soltanto alle sentenze d’incostituzionalità (art. 136 Cost.), e inoltre <<la giurisdizione della Corte costituzionale non è d’interpretazione ma di dichiarazione di nullità, sicché è inibito a quel Collegio di imporre un determinato significato alle disposizioni legislative generali ad esso sottoposte>>529.
M. Luciani dissente rispetto alla posizione di A. Pace secondo la quale il <<principio di conservazione degli atti giuridici>> varrebbe soltanto per gli atti ad efficacia particolare. Egli afferma, innanzitutto, che <<il ragionamento non varrebbe per le leggi-provvedimento, con la singolare conseguenza che i criteri dell’interpretazione muterebbero non già in ragione della forma/forza dell’atto, bensì del suo contenuto, che tuttavia è compiutamente ricostruibile solo grazie all’interpretazione, la definizione dei cui criteri deve dunque logicamente prescindere dagli elementi contenutistici>>; inoltre, <<anche per stabilire se un atto negoziale, amministrativo o legislativo
524 F. Modugno, La “supplenza” della Corte costituzionale, pag. 114, in Scritti sull’interpretazione costituzionale,
cit.
525 Ibidem.
526 Luciani, op. ult. cit. § 10.
527 Ibidem. Basti pensare al principio di conservazione dei contratti, previsto dall’art. 1367 del codice civile:
<<nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno>>: ovviamente tale ultima disposizione va letta anche in combinato disposto con l’art. 1362 c.c., che riguarda il canone interpretativo dell’intenzione dei contraenti. Nel nostro ordinamento il principio della conservazione degli atti giuridici è positivizzato in plurime disposizioni (artt. 159 c.p.c.; 1367, 1419, 1420, 1446 c.c.; art 21-octies l. 241/ 1990).
528 A. Pace, I limiti dell’interpretazione <<adeguatrice>>, in Giur. Cost., 1963, 1072; cfr. M. Ruotolo,
Interpretazione conforme a Costituzione e tecniche decisorie della Corte costituzionale, § 3, 2009, in gruppodipisa.it, ora anche in M. Ruotolo, Interpretare. Nel segno della Costituzione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, pag. 77 e ss.
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abbia o meno efficacia generale occorre interpretarlo, sicché pure per questo profilo i criteri dell’interpretazione vanno definiti prima e non dopo l’accertamento della portata dell’atto>>530.
Dunque, un’interpretazione della fonte inferiore conforme a quella superiore evita la conseguenza dell’annullamento, con efficacia ex tunc, e consente alla prima di conservare, grazie alla dimostrata validità, la propria vigenza, aumentando perciò il tasso di stabilità dell’ordinamento. Lo stesso accade allorché si interpreti una incompetente fonte di diritto interno in modo conforme a una competente fonte di diritto eurounitario: in tal caso si evita la disapplicazione della fonte interna. Più precisamente, nella prima ipotesi si evita, tramite il mancato annullamento, di dichiarare la norma inferiore invalida/non vigente, nel secondo, tramite la mancata disapplicazione, di dichiarare la norma “incompetente” invalida/inapplicabile531.
Il ricorso al canone ermeneutico in esame consente il soddisfacimento di tutte queste esigenze perché impedisce che si producano le tipiche conseguenze demolitorie dell’applicazione dei cosiddetti criteri di composizione delle antinomie.
Validità ha qui l’accezione di “conformità a un paradigma”, definita da alcuni come validità in senso “forte”, per distinguerla dalla validità in senso “debole”, come “conformità almeno apparente a un modello procedimentale di produzione”, che i costituzionalisti chiamano comunemente “vigenza”532
L’esigenza di innovazione, invece, permette all’ordinamento giuridico di rispondere ai bisogni della società e di adattarsi ai mutamenti sociali: essa è implicita, ad esempio, negli artt. 11 e 15 delle Disposizioni preliminari al codice civile, che con riferimento esplicito alla legge, fanno operare il criterio cronologico in senso “unidirezionale”, verso il futuro, dando preferenza, pertanto, alla lex
posterior (art. 11, primo comma: <<la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto
retroattivo>>; art. 15: <<le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore>>. Esigenze di innovazione, ovviamente, stanno alla base, in generale, di tutte quelle norme (costituzionali e non) che regolano la produzione normativa, stabilendone forme e procedure. Secondo A. Ciervo, il canone dell’interpretazione adeguatrice (e in generale dell’interpretazione giuridica intesa come conferimento/ascrizione di significato) avrebbe proprio la funzione primaria di assicurare il <<continuo adeguamento della norma positiva alla realtà sociale, in una prospettiva diacronica e in funzione cronologica>>533.
Ad avviso di M. Luciani, il canone dell’interpretazione conforme può e deve essere applicato anche nel caso in cui criterio di regolazione dei rapporti tra due fonti non sia quello gerarchico, ma quello cronologico (lex posterior derogat priori), il quale <<comporta l’abrogazione delle disposizioni meno recenti ad opera di quelle emanate successivamente>>534. Come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 63 del 1970, <<l’abrogazione, limitando ai fatti verificatisi fino a un
530 M. Luciani, op. ult. cit., § 10. 531 Ibidem, § 10.
532 Ad esempio, G. Pino, Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna,
2010, distingue tra validità formale, che riguarda le disposizioni e il rispetto delle meta-norme procedurali e di competenza di formazione delle stesse, e validità materiale, che riguarda le norme e dunque i contenuti di significato delle stesse, pagg.25 e ss
533 A. Ciervo, Saggio sull’interpretazione adeguatrice, cit., pag. 279.
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certo momento la sfera di operatività della legge abrogata, incide su questa nel senso che, originariamente fonte di una norma riferibile ad una serie indefinita di fatti futuri, essa è oramai fonte di una norma riferibile solo ad una serie definita di fatti passati>>535. Dunque, l’abrogazione è un fatto che determina la cessazione dell’efficacia della norma giuridica precedente, di regola a partire dal momento in cui entra in vigore la fonte-atto successiva che esprime la norma incompatibile: l’abrogazione, dunque, opera ex nunc (“da ora”).
Dunque, il criterio dell’interpretazione conforme dev’essere applicato anche per prevenire il possibile conflitto tra norme appartenenti allo stesso grado gerarchico (e con lo stesso grado di generalità, altrimenti potrebbe essere applicato il criterio di specialità), conflitto che troverebbe rimedio tramite l’applicazione del criterio cronologico, e col conseguente accertamento della abrogazione della legge anteriore incompatibile. Si pone, pertanto, in modo particolare il problema del “verso”, della “direzione” in cui dovrebbe agire la “conformazione”, stante in tal caso l’assenza tra le due norme di un rapporto gerarchia materiale o di separazione di competenze tra le relative fonti (come nel rapporto tra norme espresse da leggi nazionali e norme espresse da fonti euro- unitarie).
M. Luciani sostiene che l’interprete, in tal caso, dovrebbe essere guidato tanto dal principio di conservazione, quanto da quello di innovazione, <<essendo conseguentemente tenuto a dare della fonte anteriore un’interpretazione armonica con la fonte successiva, relegando l’abrogazione ad ipotesi ultima, cui ricorrere solo in caso contrasto non componibile, dovendo in tale ipotesi la fonte anteriore cedere alla posteriore>>536.
Dunque, il principio di conservazione e il principio di innovazione si combinano, <<l’uno e l’altro delimitano reciprocamente il margine – e definiscono le modalità – della rispettiva applicazione>>. Tale combinazione <<spiega anche l’apparente contraddizione che alcuni avevano creduto di ravvisare nell’avvento dell’interpretazione adeguatrice nelle pronunce della Corte costituzionale>>. Per quella dottrina <<mentre il giudice sarebbe tenuto a sollevare la questione di costituzionalità e sarebbe quindi tenuto a un’interpretazione non adeguatrice, la Corte sarebbe tenuta a un’attitudine opposta, dovendo salvare il testo finché se ne possa trarre un’interpretazione costituzionalmente compatibile>>. Questa è, appunto, la teoria del monopolio della Corte costituzionale sull’interpretazione adeguatrice della legge alla Costituzione, che veniva professata nei primi anni di vita della Corte. In realtà, sul piano dell’interpretazione della legge, e quindi anche dell’interpretazione conforme, Corte costituzionale e giudici comuni avrebbero le medesime prerogative, potendo entrambi interpretare tanto la legge quanto la Costituzione, e dunque entrambi conformare, entro i limiti del possibile, le prima con la seconda: <<escludendo cioè che solo ad uno di essi (la Corte) spettino, attraverso le pronunce di rigetto interpretative, poteri “creativi” e “manipolativi”, non esercitabili invece da parte del giudice secondo le regole comuni dell’interpretazione>>537.
535 Sent. n. 63 del 1970, § 4, Considerato in diritto, in giurcost.org. 536 M. Luciani, op. ult. cit. § 10.
537 R. Romboli, Qualcosa di nuovo... anzi d’antico: la contesa sull’interpretazione conforme della legge,
Relazione presentata al Convegno “La giustizia costituzionale fra memoria e prospettive (a cinquant’anni dalla pubblicazione della prima sentenza della Corte costituzionale), Roma 14 e 15 giugno 2006, in Studi in memoria di Giuseppe G. Floridia, disponibile oniline su
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In realtà, A. Pace sosteneva anche che <<l’interpretazione sulla conformità delle leggi a Costituzione va condotta tanto dal Giudice del processo principale che dalla Corte costituzionale non al fine di “adeguare” la disposizione alla Costituzione, ma al fine di rilevarne l’incompatibilità o, meglio, la effettiva pericolosità di tale incompatibilità>>538.
L’interpretazione conforme è <<un’esigenza sistemica di qualunque ordinamento>>. Infatti, anche ipotizzando un ordinamento semplice (con un solo “tipo” di fonte di produzione), vi sarà comunque l’esigenza di regolare il rapporto tra le singole fonti che si succedono nel tempo; per gli ordinamenti più complessi, ossia che prevedono <<fonti sulla produzione normativa>>, vi sarà, comunque, l’esigenza di regolare il rapporto tra fonti collocate su piani gerarchici diversi; infine, per gli ordinamenti “aperti”539, che prevedono non solo una pluralità fonti collocate su piani gerarchici e di competenza diversi (riflesso del pluralismo sociale e istituzionale), ma che ammettono anche, a determinate condizioni (v. artt. 10 e 11 della Costituzione italiana, dottrina dei contro-limiti elaborata dalla Corte costituzionale), l’ingresso di norme appartenenti ad ordinamenti diversi, la necessità di regolare la dialettica tra conservazione e innovazione (presente in tutti gli ordinamenti) è ancora più evidente, per via dell’estrema complessità del sistema.
Osserva M. Luciani, in particolare, che il paradigma dell’interpretazione conforme a Costituzione dev’essere osservato per garantire l’armonizzazione di due distinte sfere di legalità: quella costituzionale e quella legale540. Rappresenta un modo per assicurare, nelle concrete controversie sottoposte al potere giurisdizionale, l’effettività e la pervasività dei principi costituzionali.
Analoga funzione armonizzante ha il canone in esame quando è impiegato per regolare i rapporti tra diritto nazionale e diritto sovranazionale (eurounitario e internazionale). Quello che cambia, in tal caso, è che le fonti e le norme, da mettere in relazione, appartengono ad ordinamenti distinti e separati benché connessi: i diversi soggetti istituzionali appartenenti a tali sistemi (i rispettivi “custodi”: giudice nazionale, Corte costituzionale, Corte di giustizia UE, Corte di Strasburgo), di conseguenza, non hanno competenze interpretative “sovrapponibili”: la Corte di Lussemburgo e quella di Strasburgo detengono il monopolio sull’interpretazione, rispettivamente, del diritto eurounitario e della CEDU, dovendo i giudici nazionali e la Corte costituzionale “accettarli” secondo i significati loro attribuiti dai giudici sovranazionali. Quindi, le norme euro-unitarie o della CEDU hanno ingresso nel nostro ordinamento per come interpretate dai rispettivi giudici, dotati di una sorta di potere di interpretazione “autentica”. Come osserva A. Longo, infatti, <<l’interpretazione conforme a diritto comunitario è, nei fatti, un meccanismo più stringente, meno mite, meno conciliativo, che non l’interpretazione conforme a Costituzione>>541: si ha in tal caso, come prima accennato, una certa attenuazione della “circolarità ermeneutica” che caratterizza, entro certi limiti, ogni fenomeno d’interpretazione conforme.
Ricorrere all’interpretazione conforme, dunque, per M. Luciani, non significa tradire il testo, ma consente semplicemente di optare, tra le varie alternative aperte dal testo, per quella capace di non comportare la conseguenza dell’illegittimità. D’altra parte, nemmeno le tecniche alternative all’interpretazione conforme assicurano l’espunzione dall’ordinamento di tutte le norme
538 A. Pace, ult. op. cit., pag. 1073.
539 Come il nostro, cfr. Corte cost. n. 349 del 2007, § 6.2. 540 M. Luciani, op. ult. cit. § 10.
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potenzialmente illegittime. Si pensi, per ciò che riguarda il processo costituzionale, alle declaratorie di incostituzionalità: esse, a meno che non abbiano ad oggetto la disposizione nella sua interezza, la colpiscono solo o in una sua parte o nella misura in cui se ne desume una certa interpretazione, ma lasciano intatto il resto (e cioè il testo rimanente, ovvero la disposizione per come altrimenti interpretata): tale è il caso delle sentenze di accoglimento (parziali o interpretative).
Una tesi che, invece, mette in dubbio la legittimità, o quantomeno l’opportunità, dell’utilizzo del canone dell’interpretazione conforme, in particolare a Costituzione, è oggi sostenuta con forza da R. Guastini, il quale afferma che la tecnica interpretativa in esame, almeno quando non è rispettosa dei classici criteri di interpretazione della legge, è altamente inopportuna, non solo quando vi ricorra giudice comune, ma anche quando la adotti il giudice delle leggi. R. Guastini afferma, in particolare, che <<l’interpretazione adeguatrice – almeno ogniqualvolta non sia conforme al senso comune delle parole e/o all’intenzione del legislatore – è frutto di una scelta discrezionale: altamente discutibile, peraltro, sia sotto il profilo della legalità, sia sotto quello della opportunità politica>>. Egli, dunque, fonda la sua critica sul presupposto del carattere vincolante, per il giudice comune, dei criteri d’interpretazione stabiliti dall’art. 12, comma 1, delle disposizioni preliminari al codice civile. Infatti, <<l’interpretazione adeguatrice, lungi dall’essere doverosa, è anzi giustificata solo quando si accorda con il significato comune delle parole o con l’intenzione del legislatore>>. Essa viene giustificata, talora, sulla presunzione di legittimità costituzionale della legge (che potrebbe essere considerata funzionale al principio di conservazione), che l’Autore considera senza <<alcun plausibile fondamento>>: dunque, per R. Guastini <<è lecito sostenere che, di fronte ad una disposizione di legge che ammetta anche una sola interpretazione difforme dalla costituzione, il giudice – lungi dall’avere l’obbligo di fare interpretazione adeguatrice – abbia anzi l’obbligo di sollevare questione di legittimità costituzionale di fronte alla Corte>>. Infatti, <<non può dirsi “manifestamente infondata” (…) una questione di legittimità costituzionale suscettibile di esprimere anche una sola norma in contrasto con la costituzione. Sotto il profilo della opportunità politica, è anche lecito ritenere che l’interpretazione adeguatrice (specie se compiuta dai giudici comuni, ma anche se compiuta dalla Corte costituzionale con decisioni “interpretative di rigetto”) non solo sia non doverosa, ma sia anche dannosa per chi abbia a cuore la legalità costituzionale. Tale tecnica interpretativa, infatti, non sortisce altro esito se non quello di conservare in vita disposizioni legali che possono esprimere norme incostituzionali, e la cui interpretazione conforme a Costituzione da parte della generalità dei giudici e (soprattutto) della pubblica amministrazione non può dirsi assicurata. Le decisioni di rigetto, infatti, sono prive di efficacia generale, erga omnes: i loro effetti sono circoscritti al caso deciso>>542. Ovviamente, queste tesi radicali sembrano, al giorno d’oggi, assolutamente minoritarie in dottrina. Le critiche all’utilizzo (sia da parte della Corte sia da parte dei giudici) di questa tecnica, riguardano generalmente i suoi possibili abusi, ossia casi nei quali, ad esempio, il giudice comune, nell’adeguare la legge alla Costituzione, superi il limite dell’interpretazione, ricavando delle “interpretazioni” che non sono in alcun modo riconducibili al testo della prima, e quindi disapplicando di fatto la legge (con violazione dell’art. 101, secondo comma, Costituzione), oppure allorquando, sempre il giudice comune, pur ritenendo impossibile o impraticabile un’interpretazione adeguatrice della disposizione, e dunque essendo convinto dell’incostituzionalità della stessa, ometta, tuttavia, di sollevare davanti