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L’accoppiamento strutturale fra soggetti economici, nelle loro diverse specifica- zioni funzionali, e l’ambiente produce una molteplicità di forme organizzative il cui emergere e consolidarsi rappresenta il prodotto di una sintesi dialettica fra tendenza am- bientale all’entropia e tendenza sotto-sistemica alla sintropia. L’obiettivo di numerosi teorici evolutivi è di impiegare il concetto di entropia in alternativa a quello di equili- brio come vincolo per l’elaborazione dei modelli economici. Una delle questioni aperte, a cui ogni studioso fornisce una sua interpretazione, è la modalità con cui applicare alle variabili economiche e sociali il concetto di tendenza al disordine. Come si è detto, si tratta di una lettura particolare del rapporto dialettico fra soggetti ed ambiente; rapporto che non è unidirezionale ma di codeterminazione, nel senso che l’ambiente è modificato e condizionato di processi decisionali messi in essere dai soggetti economici. Ciò che emerge è la valenza del ruolo attivo dell’uomo come soggetto elaboratore di informa- zioni, che produce ed accumula conoscenza ma nello stesso tempo, in virtù di limiti co- gnitivi intrinseci, è costretto ad accrescere la conoscenza specializzandola, creando quindi le condizioni per una differenziazione dei protocolli conoscitivi. Si tratta di una tematica che può essere affrontata significativamente con l’approccio della razionalità limitata, quale intersezione fra il campo di produzione dei simboli ed il limite della loro utilizzazione.

In questo contesto è di fondamentale importanza fornire una definizione rigorosa del concetto di istituzione e spiegare la dinamica dell’evoluzione delle istituzioni in re-

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Jacques Lesourne, The Economics of Order And Disorder: The Market as Organizer and Creator, Ox- ford, Clareton Press, 1992.

lazione al comportamento dei singoli individui. Non bisogna confondere il concetto di istituzione, con quelli di organizzazione, di convenzione e di routine. Kurt Dopfer11 si concentra sulla relazione tra le prime due e sostiene che le istituzioni sono definibili come: “sistemi di comportamento correlato degli individui che le compongono”. La dif- ferenza tra organizzazioni e istituzioni è che le prime sono definite da norme di intera- zione astratte, mentre le seconde sono individuate come effettive regolarità di compor- tamento correlate da parametri d’ordine che si costituiscono autoreferenzialmente. Per questo motivo possiamo dire che, nella realtà economica, l’organizzazione a cui fa rife- rimento la teoria dei sistemi è individuata da un intreccio di istituzioni. L’evoluzione i- stituzionale è endogena ed è causata dall’adozione su larga scala di novità di comporta- mento generate da singoli individui. In questo processo si possono creare discontinuità e biforcazioni nell’evoluzione dei sistemi; da questo punto di vista anche Dopfer, come Foster, va al di là del concetto di selezione naturale per spiegare l’evoluzione.

La difficoltà delle politiche economiche nel gestire con successo le moderne e- conomie può essere spiegata, secondo Stefano Solari12, dalla relativa autonomia dei si- stemi economici umani e dall’impossibilità di distinguere il sistema economico da quel- lo socio-politico. L’informazione e l’autonomia delle aspettative sono variabili molto importanti per il funzionamento del sistema economico, che quindi richiede forme com- plesse di analisi. Analizzare l’economia in riferimento a dette variabili può fornire spun- ti interessanti anche per la politica economica, ma è necessario fare attenzione ai diversi fondamenti ontologici delle diverse teorie dell’informazione. Un primo imprescindibile passo, verso forme di gestione economica più efficienti, è quello di migliorare “l’accoppiamento strutturale” tra amministrazione pubblica e le altre organizzazioni, o- rientando i sistemi verso una collaborazione costruttiva e non verso la ricerca competi- tiva di posizioni di rendita. Per Bob Jessop13 la presente fase di transizione da regimi “fordisti” a regimi di “workfare schumpeteriani” rende inevitabile una revisione sia del-

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Benedetti E., et al. (1997). 11

Kurt Dopfer, “Toward a Theory of Economic Institution: Synergy and Path-Dependency”, Journal of Economic issues, 25, 535-550, 1991.

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Stefano Solari, Equilibrio ed Evoluzione dei Sistemi Economici: i Distretti Industriali, Mimeo 1993. 13

Bob Jessop, “Towards a Schumpeterian Workfare state? Preliminary remarks on Post-Fordist Political Economy”, Studies in political Economy, 40, 9-48, 1993.

le strutture del “welfare” che dei modi di negoziazione degli interessi. In ambienti com- plessi e turbolenti è necessario innanzitutto definire l’oggetto su cui intervenire. Le dif- ficoltà consistono nel segnare la giusta proporzione tra cooperazione e competizione, tra apertura e chiusura del sistema rispetto all’ambiente, tra governabilità e flessibilità. In- fine, il problema di mantenere una responsabilità ed un’efficienza delle strutture gover- nate genera il rischio di rendere labile il confine tra pubblico e privato. Per affrontare la complessità non strutturata è quindi preferibile una pluralità di forme di gestione dell’economia, in quanto anche a queste attività si applicano i principi sistemici di cui si è parlato.14

§5. Conclusioni

Se le attuali teorie della complessità sono largamente usate nella biologia mo- derna, le nozioni distintive di ordine e disordine, la definizione di casualità e l’idea di tempo irreversibile che le caratterizza, sono profondamente radicate nella tradizione del- la fenomenologia termodinamica. Quindi, superando l’opposizione fra il riferimento alla fisica o alla biologia come modelli per la scienza economica, le teorie della complessità potrebbero unificare entrambe le discipline in una grande struttura scientifica.

Secondo una prima interpretazione, la generalità delle teorie complesse è un punto a favore per considerarle un vero e proprio nuovo paradigma scientifico, valido dunque anche per l’economia. Per il fisico ed epistemologo J. Ziman, “la spiegazione dei fenomeni come emergenza di nuovi livelli di ordine fuori da un sistema vicino al raggiungimento del caos richiede degli strumenti matematici e computazionali generali, come la teoria della complessità, il cui campo di applicazione è molto più vasto che quello della tradizionale scienza sociale come l’economia”: la complessità vorrebbe de- signare le frontiere di una nuova scienza globale di ordini e disordini nel naturale come nel mondo sociale. Molto di più: la vera distinzione tra oggetti naturali e oggetti umani tende a scomparire, classificati come entità informazionali e organizzate. Quindi, essa vorrebbe essere la combinazione delle nuove possibilità formali e le nuove tecniche

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computazionali che vorrebbero delineare un nuovo paradigma, sia per le scienze natura- li che per quelle sociali.

Secondo un’altra visione, diversamente dal programma walrasiano, e dalla ricer- ca di un’alternativa istituzionalista alla teoria standard, le teorie della complessità non sono ancora riuscite a produrre un consenso generalesulla creazionedi una teoria gene- rale dell’informazione e dei prezzi nel campo economico e sono correntemente ristrette ad aree locali di ricerca.

È una sfida tutta da giocare, quella della complessità, che deve tener conto di un fattore fondamentale: il tempo. Il problema dell’entropia infatti si valuta solo nel lungo periodo.

Capitolo V