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Nella storia del pensiero economico possono essere individuate due “svolte” nel modo di definire il concetto di utilità. La prima è collocabile negli anni Trenta ed è as- sociata all’affermazione della cosiddetta “nuova economia del benessere” (new welfare

economics) fortemente influenzata dal pensiero di Robbins38. Mentre i padri dell’economia riconoscevano che i beni materiali e il reddito non sono gli unici fattori che contribuiscono a creare l’utilità ed erano convinti che essa, considerata assimilabile alla soddisfazione, al benessere e alla felicità, potesse essere misurata, a partire dagli anni Trenta in economia si è affermata la convinzione che l’utilità, in quanto stato sog- gettivo della mente, non possa e non debba essere misurata poiché può essere sempli- cemente inferita dalle scelte che gli individui operano, assumendo che essi siano piena- mente informati, consapevoli delle loro scelte e abbiano desideri e preferenze stabili.

38

L.C. Robbins, An Essay on the Nature and Significance of Economic Science, Macmillan, London 1932.

In altre parole la prima svolta, che Frey e Stutzer39 definiscono rivoluzionaria, ha privato il concetto di utilità di qualunque significato sostanziale, riducendolo a un indice di preferenze.

La seconda svolta, più recente e ancora minoritaria in ambito economico, costitui- sce di fatto un ritorno alla visione originaria secondo la quale alla nozione di utilità deve essere dato un contenuto in termini di felicità e in tali termini essa può e deve essere mi- surata.

Questo nuovo orientamento può essere visto, secondo gli autori, come il risultato di diversi sviluppi teorici e di ricerca sia in ambito economico che psicologico, riassu- mibili nei seguenti punti:

- si è accumulata notevole evidenza empirica che suggerisce che preferenze indivi- duali e felicità possano in molti casi non coincidere e che molti dei comportamenti os- servati non siano riconducibili a motivazioni di tipo utilitaristico;

- diversi economisti hanno proposto di dare un contenuto al concetto di utilità; il primo e il più influente è stato Tibor Scitovsky, il quale in The Joyless Economy ha so- stenuto che l’accesso alle risorse materiali può accrescere il nostro livello di comodità (comfort) ma non sembra soddisfare un altro fondamentale bisogno umano, quello di un livello ottimale di stimolazione o di novità; più recentemente Robert Frank40 ha ripreso e sviluppato la tesi che ciò che produce utilità soggettiva non è reddito in assoluto ma piuttosto il reddito relativo, derivante dal confronto con quello di vicini, conoscenti e amici;

- in psicologia sono state elaborate misure attendibili e valide della felicità, che so- no considerate accettabili anche da alcuni economisti41;

- gli sviluppi della psicologia economica hanno dimostrato che le persone non sono sempre in grado di scegliere l’alternativa che garantisce loro la massima utilità perché

39

B.S. Frey e A. Stutzer, Happiness and Economics: How the Economy and Institutions Bureau of Eco-

nomic Research, Princeton University Press, Princeton 2002.

40

Robert Frank, Luxury Fever: Why Money Fails to Satisfy in an Era of Excess, Free Press, New York 1999.

41

R.A. Easterlin, Does Economic Grow Improve the Human Lot? Some Empirical Evidence, in P.A: David et al., Nations and HouseHolds in Economic Grow: essay in Honor of Moses Abramovitz, Aca- demic Press, New York 1974, pp. 89-125.

ostacolate da fattori contestuali, limitazioni cognitive e affettive nonché dall’incapacità di prevedere i propri gusti futuri.

Questa svolta ha, di fatto, aperto un nuovo filone di ricerca in ambito economico, caratterizzato da palesi sovrapposizioni con la ricerca psicologica sulle emozioni e sulla felicità in particolare, come è evidente dal tipo di misure che tali indagini utilizzano in sostituzione o in associazione a indicatori economici classici come il prodotto interno lordo. Al momento tale ricerca individua tre fattori economici in grado di influenzare la felicità: il reddito, l’occupazione, inflazione.

Per quanto riguarda il reddito è opportuno ricordare che la visione economica classica assume, come un dato di fatto, che la felicità sia positivamente correlata con il reddito. In ambito psicologico, al contrario, diverse indagini indicano come, al di sopra di un livello di reddito minimo, la felicità dipenda da diversi fattori riconducibili alla qualità delle relazioni interpersonali42.

Nell’area delle ricerche economiche sulla felicità vengono citati in modo partico- lare due processi psicologici: i processi di adattamento e quelli di confronto sociale. Tali processi possono spiegare quello che viene chiamato il “paradosso della felicità”.

La teoria dell’adattamento parte dall’assunto che le persone non siano in grado di formulare giudizi di tipo assoluto ma valutino gli stimoli presenti con riferimento al passato o alle aspettative circa il futuro. Per quanto riguarda il reddito, quindi, il reddito presente verrebbe valutato rispetto a quello passato e a quello atteso (desiderato) in futu- ro. La teoria dell’adattamento, inoltre, prevede che le aspettative relative al futuro ven- gano riviste sulla base dell’esperienza. In genere tali aspettative, dette anche livelli di aspirazione, tendono a innalzarsi se l’esperienza passata è stata caratterizzata da un trend crescente. Per esempio, nel caso dei requisiti tecnici di un apparecchio televisivo, le aspettative del consumatore odierno sono certamente molto più elevate di quelle di un consumatore degli anni Sessanta. Per questa ragione i nuovi prodotti, che inizialmente producono soddisfazione e piacere, dopo un periodo relativamente breve non danno più alcuna emozione: il meccanismo che fa sì che la ripetizione di uno stimolo induca rea-

42

E. Diener et al., Subjective Well-being: Three Decades of Progress, in “Psychological Bullettin”,

zioni sempre meno intense è detto adattamento. Esso si verifica sia per le reazioni posi- tive che per quelle negative.

La scarsa corrispondenza fra incremento della ricchezza e incremento del benesse- re soggettivo è stata spiegata anche con l’ipotesi del “reddito relativo” avanzata inizial- mente da Duesenberry43, secondo la quale le persone confronterebbero il proprio reddi- to con quello degli altri e in particolare con quello di alte persone di status superiore. In psicologia sociale Festinger44 è stato uno dei primi a sostenere che i soggetti cercano nel confronto con gli altri un parametro di riferimento per valutare se stessi. La teoria del confronto sociale prevede, inoltre, che il confronto sociale verso l’alto produca maggio- re insoddisfazione. Se effettivamente le persone valutano la propria condizione econo- mica in termini relativi basandosi su confronti verso l’alto, man mano che il loro reddito aumenta tenderebbero a cambiare gruppo di riferimento “distruggendo” il potenziale ef- fetto che tale aumento potrebbe produrre in termini di benessere soggettivo.

Come questi brevi cenni suggeriscono, gli studi che alcuni economisti hanno co- minciato a condurre, recuperando un significato di utilità in termini di benessere sogget- tivo e felicità, possono ispirare una diversa considerazione delle politiche economiche in diversi modi: evidenziando l’impatto che l’economia ha sulla felicità dei cittadini; fa- vorendo l’individuazione dei fattori che realmente contano per migliorare la felicità; fornendo nuove risposte a questioni “calde” come gli effetti del reddito, della disoccu- pazione e dell’inflazione.

Si tratta di un settore in cui la collaborazione fra economia e psicologia si dimo- stra possibile e proficua.