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Educational Coach: Nicoletta Quagliarella

INDUSTRIES 3.1 L’azienda

4) METODOLOGIA DI LAVORO

4.5 Educational Coach: Nicoletta Quagliarella

Cos’è per lei il coaching?

Per me il coaching è innanzitutto una metodologia di vita. I miei pilastri del coaching sono il precetto socratico “Conosci te stesso” e l’esortazione “Divieni ciò che sei” di Pindaro dai quali ho sviluppato un metodologia di coaching educazionale per e-ducare: tirare fuori dalle persone quello che sono e accompagnarle dove vogliono arrivare. Essere coach vuol dire avere la capacità di ascoltare gli altri senza interpretare, giudicare o sovrastare, ma semplicemente accoglierli. Vuol dire capacità di focalizzare l’obiettivo e volontà di agire per raggiungerlo, sfidando se stessi e gli altri. Essere coach vuol dire trovare delle opzioni: avere in ogni situazione, problematica o meno, almeno tre strade possibili per arrivare al risultato. Vuol dire avere la capacità e la volontà di mettersi costantemente in discussione, di essere uno specchio per riflettere le altre persone così come sono in profondità e accompagnarle a toccarsi con mano.

Quali sono secondo lei i requisiti necessari per intraprendere un percorso di coaching?

Chiunque desideri con tutto se stesso raggiungere un qualcosa è un potenziale cliente del coaching.

Cliente nel coaching, coachee nel gergo, è colui che ha un sogno nel cassetto ma che mai ha avuto il coraggio o ha osato aprire quel cassetto; è colui che vuole arrivare da qualche parte ma non sa come fare; o ancora è colui che vuole conoscersi; è colui che vuole raggiungere un obiettivo, un progetto ma sente e vede solo difficoltà; è colui che vuole velocizzare il raggiungimento di una meta; è colui che è in difficoltà ma ha ancora dentro di sé la scintilla a voler superare le difficoltà; è colui che comprende di non essere felice; è colui che desidera essere felice; è colui che vuole inserire la sesta marcia e viaggiare sempre al massimo del proprio potenziale; è colui che vuole imparare a scegliere; è colui che desidera imparare a decidere…è colui che, di fatto, vuole raggiungere se stesso, vuole andare oltre i condizionamenti che non più gli appartengono ma che soprattutto gli stanno stretti per spiccare il volo nella sua vita; è colui che chiede al suo coach di accompagnarlo a liberare le sue ali.

E ancora è colui che è nel panico perché blocca il cambiamento o perchè neanche lo vede; è colui che vuole uscire da situazioni che lo trattengono o, peggio, che gli fanno male facendolo soffrire; è colui che vuole decollare…e ciascuno decolla quando si realizza, quando trova se stesso, quando trova cosa lo gratifica…e il coach va a comprendere cosa anima ciascuna persona che chiede il suo aiuto, qual è la sua scintilla, cosa davvero lo rende felice. All’interno di un rapporto basato sull’intimità, la fiducia, l’incoraggiamento (mette in moto il cuore del suo coachee), ma anche sulla sfida (comunicando sempre con il suo essere che lui è il primo vero tifoso del suo cliente).

Quali sono invece i requisiti necessari per intraprendere un percorso di team coaching?

L’unico requisito è che ci sia il team nella sua essenza, non inteso come un gruppo di persone che lavorano insieme. Team vuol dire che il gruppo ha superato le fasi di forming e storming, in cui le persone, volenti o nolenti, si mettono a lavorare

insieme, e inizia a sentire che la collaborazione è un valore aggiunto. Nelle mie esperienze non ho mai incontrato un team in fase di performing all’inizio di un percorso di team coaching, solitamente infatti precedo al team coaching il team building. Solo quando un gruppo di persone si percepisce come squadra può iniziare il percorso di team coaching con il quale si spinge il team nella fase di performing: azione, decisioni condivise ma anche potenza sinergica (1 + 1 = 3). Lavorando da soli si raggiunge solo ciò che ci permettono le nostre potenzialità, mentre in due, se funziona la sinergia, si sommano le potenzialità di ciascuno e il risultato viene triplicato.

Quali erano le criticità all’interno del Team di Controllo di Gestione?

Prima che incontrassi il team mi era stato detto che non c’era un senso di squadra al suo interno e questa percezione l’ho poi confermata dal primo incontro: solo due persone si assumevano totalmente la responsabilità delle loro azioni, non c’era dedizione e spirito di appartenenza al team e all’azienda da parte delle collaboratrici.

Cosa è per lei la responsabilità?

Responsabilità è abilità di rispondere quindi scegliere delle azioni focalizzate a raggiungere il proprio obiettivo. Responsabilità è strettamente collegato al change management: cambiare determinate azioni se non portano alla meta auspicata.

Che ruolo ha per lei la responsabilità in azienda?

La responsabilità ha un’importanza totale e determinante nella vita privata delle persone così come in azienda. Responsabilità è prendersi a cuore, rispettarsi, mettersi al centro con i propri desideri e bisogni sapendo però che siamo in mezzo agli altri.

In azienda la responsabilità vuol dire prendere a cuore le persone. Vuol dire anche non dare mai niente per scontato: i colleghi e l’azienda stessa in quanto detentrice di opportunità a realizzarci. Questo significa considerare qualsiasi situazione come una possibilità di crescita; agire con locus interno e di conseguenza domandarsi sempre “Cosa posso fare io?”. A volte capita che le persone rifuggano

da questa domanda che in realtà permette a loro di crescere ulteriormente. La responsabilità non è un favore all’altro, ma è un dono a se stessi.

Quali erano gli obiettivi del percorso?

Il percorso era volto alla creazione di sinergia all’interno del team e alla responsabilizzazione delle sue risorse per far sì che potessero lavorare focalizzate sugli obiettivi comuni con dedizione, sostegno e collaborazione.

Che approccio hanno avuto le componenti del team durante il percorso? Quando ho incontrato il team durante il primo incontro di team building l’approccio iniziale delle collaboratrici è stato “vediamo un po’ che succede”: curiosità e al tempo stesso diffidenza. All’inizio del percorso la mia percezione era che si fossero messe in gioco quanto bastasse, perché stimolate da me e non perché lo sentissero dentro. Via via ho percepito sempre più coinvolgimento, tanto che durante l’ultima sessione di teamcoaching ho riscontrato volontà totale e padronanza nella metodologia della consapevolezza.

Ci sono state resistenze da parte del team durante il percorso? Se sì, come sono state affrontate e risolte?

All’inizio del secondo incontro di team building c’è stata la chiusura da parte di una collaboratrice perché nella prima giornata avevo fatto fare delle attività profonde sulla fiducia nelle quali lei aveva avuto delle difficoltà. Il giorno dopo appariva turbata, confusa; decisi di stoppare col lavoro di gruppo e di approfondire con lei alcune sue motivazioni ed ad un certo punto ho riscontrato in lei uno switch, quello che nel gergo del coaching definiamo salto quantico: ha compreso cosa davvero desiderasse da se stessa e da quel momento il percorso è stato per lei in discesa.

Durante le sessioni di teamcoaching, quando si è trattato di accompagnare le persone ad agire concretamente e coerentemente a quanto emerso durante i teambuilding, sono invece emerse resistenze da parte dell’altra collaboratrice. Un altro aspetto delicato è stato fare il percorso con la responsabile stessa del Team: di solito nei percorsi di team coaching l’autorevolezza la prende il coach,

in questo caso non era corretto per cui continuavo a trasferirla alla responsabile, per farla crescere in termini di leadership e per fare in modo che venisse considerata sempre e comunque il punto di riferimento del team.

In generale le resistenze sono state affrontate attraverso la metodologia stessa del coaching, danzando con il momento, vivendo passo dopo passo come unico, prezioso e come un’opportunità per accompagnare il team alla destinazione che desiderava raggiungere attraverso il percorso: essere da esempio per l’azienda, diventando un punto di riferimento autorevole.

Quali sono i risultati raggiunti ad oggi dal team?

Hanno imparato la metodologia della consapevolezza, attraverso l’attività del coach che rispecchia, fa domande ma non dà risposte, sfida ma non dà consigli, accoglie e a volte mostra la parte che proprio non si vuol vedere.

Il cammino verso l’autoconsapevolezza è un viaggio infinito e i risultati andranno sicuramente monitorati. Durante il percorso hanno lavorato tutte e tre le risorse creando qualcosa insieme. Aspirando al 10 oggi siamo alla sufficienza: esiste il team, ciascuna ha la propria identità che se messa insieme diventa esclusiva in termini di risultati. Con il supporto costante e continuo da parte della responsabile che se, per quello che la riguarda, continuerà ad allenare la propria leadership in quanto autorevolezza, determinazione, autenticità e incisività per permettere alle proprie collaboratrici di continuare a crescere e lavorando tutte insieme lungo questa traiettoria, allora faranno in modo che questo percorso anche se terminato le porti ad esprimere il loro massimo sia in quanto persone singole che come team.

Quali sono i benefici che una persona ottiene attraverso un percorso di coaching?

Secondo me il vantaggio più grande è restituire alle persone loro stesse: chi sono davvero, non chi hanno dovuto diventare per evitare colpi, ferite e dolori. Quando nasciamo siamo meravigliosi, poi la parte più egoica prende piano piano spazio, altrimenti non potremmo sopravvivere da piccoli. Il coach riporta ad essere chi

siamo davvero, restituisce la nostra bellezza originale, ce la mostra come uno specchio e ci permette di riabbracciarla e accoglierla in pieno.

E invece quali sono i benefici che un’azienda ottiene attraverso un percorso di coaching?

Il principale beneficio è avere al suo interno persone autentiche e responsabili che remano tutte nella stessa direzione, crescono senza aspettarsi che l’azienda li faccia crescere, agiscono senza aspettarsi che l’azienda agisca per loro. L’azienda, se coltiva i valori di ciascuna persona, può essere la leva per un mondo migliore diventando così un luogo bello dove vivere e non solo lavorare, un microcosmo, fatto da mille o da due persone, alle quali viene insegnato ad essere il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

Per quali tipologie di obiettivi ritiene che sia utile ricorrere al coaching in azienda?

• ALLINEAMENTO tra i valori personali e quelli aziendali con conseguente miglioramento del clima interno, della volontà di remare uniti per gli obiettivi aziendali;

• MOTIVAZIONE, aumento di fiducia nel singolo collaboratore e nell’organizzazione;

• CHIAREZZA di obiettivi e ruoli a favore dello sviluppo delle persone e del business;

• SOSTEGNO per tutti coloro che CAMBIANO MANSIONE/RUOLO, che passano da un ruolo esecutivo ad uno manageriale, facilitando il passaggio soprattutto accompagnando a scoprire dentro di sé le competenze trasversali legate al saper essere (che sono quelle che pre-occupano maggiormente); • SUPPORTO INSERIMENTO NEOASSUNTI, facilitando l’inserimento dei neoassunti si ottimizzano energie, talenti, tempo;

• SUPPORTO NEL CAMBIAMENTO, accompagna a restare focalizzati sull’opportunità e non sul disagio;

• SUPPORTO nel FACILITARE l’assunzione di nuove RESPONSABILITÀ;

• SUPPORTO nel liberare la LEADERSHIP delle persone, allenando la ri- scoperta di tutte le competenze trasversali (relazione, comunicazione, gestione del tempo, focus obiettivo, problem solving);

• SOSTEGNO per sviluppare POTENZIALE e TALENTI e TRATTENERLI;

• SOSTEGNO per migliorare le RELAZIONI;

• FOCALIZZAZIONE nel raggiungimento degli OBIETTIVI;

• SUPPORTO per POTENZIARE le PERFORMANCE di un SINGOLO COLLABORATORE o di TEAM.

Sento che il coaching sia necessario per lavorare innanzitutto sulla consapevolezza delle persone accompagnandole a guardarsi dentro, a conoscersi per relazionarsi con se stessi e poi con gli altri. Il coaching serve anche a livello di team per andare a creare l’essenza della squadra, non ego ma tanti “io” messi insieme nella loro unicità che, rispettandosi l’uno con l’altro e collaborando tra loro, portano a dei risultati meravigliosi.

Conclusioni

Dalle testimonianze raccolte in azienda emerge che il percorso svolto dal Team di Controllo di Gestione dello stabilimento Watts Industries di Biassono è un esempio della strategia aziendale dell’accountability teorizzata da Connors, Smith e Hickman ne Il principio di Oz. Come è stato illustrato nel primo capitolo la strategia si basa sulla scelta personale di sollevarsi al di sopra delle proprie circostanze e di essere capaci dell’assunzione di responsabilità necessaria per ottenere i risultati desiderati attraverso quattro passi: Vedere, Assumersi la responsabilità, Risolvere e Agire. In questo caso la Controlling & Compliance Manager ha in primis riconosciuto la realtà problematica del Team di Controllo di Gestione e individuato delle aree di miglioramento. Roberta Visentin si è poi effettivamente assunta la responsabilità del proprio team e ha elaborato un progetto per risolverne le problematiche. Un progetto che è stato successivamente approvato e appoggiato dall’HR Manager Paolo Dolezzal e dal Finance Director Roberto Mora. Successivamente tutto il team è passato all’azione durante il percorso ottenendo dei risultati considerevoli.

La responsabilità messa in atto nel percorso svolto dal Team di Controllo di Gestione può essere letta innanzitutto come ascolto e attenzione ai bisogni dei lavoratori. La Controlling & Compliance Manager ha infatti accolto il malessere e i problemi interni al suo team e ha scelto di affrontarli come un’opportunità per la crescita individuale e del team stesso. Ha richiesto perciò di utilizzare la metodologia del coaching per mettere in atto un percorso che coinvolgesse tutto il team, mettendosi in discussione e in gioco in prima persona assieme alle sue collaboratrici. Ha scelto la strada più impegnativa in termini di investimento di energie e risorse ma anche quella potenzialmente più fruttuosa. L’HR Manager, da parte sua, è stato anch’egli un attento ascoltatore delle necessità del team, sia nel momento iniziale, quando ha accolto la richiesta bottom-up di Roberta Visentin e ha creato le condizioni per l’effettiva realizzazione del percorso, sia durante lo svolgimento dello stesso, quando ha investito tempo ed energie per accogliere le resistenze di Stefania Denti.

Il percorso riflette inoltre un altro aspetto fondamentale della responsabilità: la capacità di sviluppare la fiducia negli altri e di delegare. Agire responsabilmente richiede anche il saper riconoscere quando lasciare l’autonomia di azione, e quindi la responsabilità, agli altri. Il Finance Director, responsabile di Roberta Visentin, nonostante i dubbi iniziali sulla metodologia del coaching ha scelto di dare fiducia alla proposta della Controlling & Compliance Manager, sostenuta dall’HR Manager, e ha affidato la responsabilità dello svolgimento del progetto nelle mani del team: un comportamento, a detta dello stesso HR Manager, effettivamente da responsabile. Allo stesso modo il Dott. Dolezzal ha delegato a Roberta Visentin la definizione degli obiettivi del percorso e ha creduto nella possibilità di miglioramento del team. La messa in circolo della responsabilità nella realtà aziendale produce l’effetto straordinario di attivare un meccanismo virtuoso: i responsabili attraverso la fiducia nelle proprie collaboratrici e la delega nello svolgimento di determinate attività stimolano la responsabilizzazione di queste ultime. Le collaboratrici da parte loro si sentono effettivamente investite di una responsabilità reale delle attività e di conseguenza si impegnano al massimo nel proprio lavoro.

Ma come si è riusciti esattamente a realizzare attraverso il percorso gli obiettivi prefissati, quindi la creazione di sinergia, coesione, migliore interazione e collaborazione all’interno del team? Grazie alla metodologia del coaching, dettagliatamente descritta nel secondo capitolo, il cui obiettivo è proprio l’attivazione della responsabilità nelle persone. Come sostiene Roberta Visentin «con il coaching nasce un senso di responsabilità dentro le persone (…) nel momento in cui capisci che la responsabilità della tua vita è nelle tue mani e non fuori, ti metti in discussione, cambi, vedi i tuoi limiti e ci lavori per superarli». Durante il percorso le componenti del team hanno raggiunto un livello più profondo di autoconsapevolezza e di fiducia in se stesse ma anche una maggiore conoscenza delle altre nella propria unicità e differenza. Hanno imparato ad accogliersi per ciò che sono e, anzi, a poter utilizzare le proprie differenze all’interno del team come un valore aggiunto. La consapevolezza e la responsabilità, pilastri della metodologia del coaching, riprendendo le parole del Dott. Dolezzal consentono «alle persone di ragionare su se stesse, capire in che

direzione vogliono andare, riprendere in mano la propria vita, nel caso aziendale con il fine di performare meglio e contribuire al successo dell’azienda per la quale si lavora». Per un’azienda avere al proprio interno persone responsabili significa avere lavoratori/collaboratori totalmente focalizzati sugli obiettivi aziendali, proattivi, impegnati nel proprio lavoro come parte di un sistema complesso, quindi sinergici con gli altri.

Per quanto riguarda la metodologia del coaching dalle interviste emerge un’ulteriore considerazione sul fatto che è al giorno d’oggi una metodologia poco conosciuta, sulla quale vi è molta confusione e, spesso, molti pregiudizi. Questo percorso dimostra però come, nonostante i dubbi iniziali, sia le collaboratrici Manuela Lissoni e Stefania Denti, che ne hanno sperimentato in prima persona le potenzialità, che il Dott. Mora, che ne ha visto indirettamente i risultati, hanno cambiato idea rispetto al coaching, arrivando a definirlo come «un’attività volta alla cura e sviluppo del personale, fondamentale per l’azienda».

Il percorso svolto dal Team di Controllo di Gestione non è stato tuttavia “una passeggiata”: è andato a toccare tematiche profonde, a stimolare un dialogo diretto spesso sfidante, vi sono stati momenti di sconforto e resistenze da parte delle collaboratrici. Come sostengono gli autori de Il Principio di Oz la strada verso la responsabilità è tortuosa, richiede impegno e coraggio ma porta a grandi soddisfazioni. In termini di risultati ottenuti attraverso il percorso dalle interviste emerge un curioso allineamento di opinioni su due punti di vista: da un lato le componenti del team e il Dott. Mora condividono il riconoscimento di aver raggiunto dei miglioramenti già importanti all’interno del team, da stabilizzare nel prossimo futuro. Dall’altro lato l’HR Manager e la Educational Coach considerano positivamente i risultati ottenuti dal team ma vedono il potenziale per un’ulteriore crescita. In ogni caso il percorso ha fornito degli strumenti, ha gettato le basi per l’inizio di un cammino di crescita che le singole collaboratrici porteranno poi avanti, sia individualmente che nel team, se la volontà di mettersi in gioco continuerà a sostenerle.

Questo percorso mostra quindi un management illuminato che ha scelto per la propria azienda la strategia dell’accountability investendo sui propri lavoratori e sul loro benessere. Citando le parole del Dott. Dolezzal «le aziende sono fatte di

persone che stanno bene con se stesse e poi con gli altri, se non si sviluppa questo tipo di alchimia le aziende stanno male. (…) Le persone sono e devono essere al centro dell’attenzione se le aziende vogliono crescere». E ancora le parole del Dott. Mora: «è la capacità di sviluppare il capitale umano che fa la differenza tra le azienda vincenti e quelle che galleggiano».

L’analisi di questo caso mi ha permesso di toccare con mano e vedere direttamente i risultati, che a questo punto posso definire tangibili, della responsabilità in azienda. Ho ancora ben chiara nella mente l’immagine di Roberta Visentin che mi racconta con entusiasmo il percorso e mi mostra, con l’orgoglio tipico di chi crede profondamente in quello che fa e vi ha messo passione, i lavori fatti dal team. Fin da quando ho scoperto la metodologia del coaching durante le lezioni della Dott.ssa Quagliarella nel corso di Gestione delle risorse umane ho trovato il concetto di responsabilità come fondamentale nella vita delle persone per la propria realizzazione e il proprio benessere. Vedere il coinvolgimento all’interno del Team di Controllo di Gestione durante le interviste me ne ha convinto ancora di più. Per me la responsabilità è scegliere di vivere pienamente. Così desidero concludere il mio elaborato con un’esortazione, citando ancora una volta gli autori de Il principio di Oz: che ci si trovi in un contesto aziendale o di qualsiasi altro tipo «solo se sceglierete una piena accountability per i vostri pensieri, sentimenti, azioni e risultati potrete decidere del vostro destino; altrimenti qualcun altro o qualcos’altro lo farà per voi»63.