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La responsabilità come strumento vincente in azienda: il caso Watts Industries.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in

Comunicazione d’impresa e politica delle risorse umane (LM 59)

LA RESPONSABILITÀ COME STRUMENTO VINCENTE IN

AZIENDA: IL CASO WATTS INDUSTRIES

CANDIDATA DOCENTE RELATORE

Margherita Marini Chiar.mo Prof. Giancamillo Palmerini

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Indice

Introduzione 4

1 IL RUOLO DELLA RESPONSABILITÀ

NELLA VITA DELLE PERSONE 6

1.1 Cos’è la responsabilità? 6

1.1.1 La responsabilità nel XXI secolo 6

1.1.2 Alla ricerca del significato profondo di responsabilità 7

1.2 Chi ha la responsabilità della nostra vita? 8

1.2.1 Locus of control 8

1.3 Essere responsabili in azienda 10

1.3.1 Il Principio di Oz: che cos’altro posso fare? 10

1.3.2 Sotto la linea: il gioco delle accuse 12

1.3.3 Sopra la linea: l’accountability 13

1.3.4 I benefici della responsabilità in azienda 15

2 IL COACHING: UNO STRUMENTO PER ATTIVARE

LA RESPONSABILITÀ 17

2.1. Cos’è il coaching? 17

2.1.1 Origini 17

2.1.2 Definizione 19

2.2 Coaching e responsabilità 23

2.2.1 I principi del coaching 23

2.3 Com’è strutturato un percorso di coaching? 27

2.3.1 La metodologia 27 2.3.2 Il rapporto coach-coachee 29 2.3.3 Il modello G.R.O.W. 31 2.3.4 Tipologie di coaching 36 2.4 Il Team Coaching 37 2.4.1 Cos’è un team? 37

2.4.2 Sviluppo e performance di un team 39

(3)

3 QUANDO UN TEAM SI METTE IN GIOCO PER LA PROPRIA

RESPONSABILTÀ: IL CASO WATTS INDUSTRIES 47

3.1 L’azienda 47

3.1.1 Storia 47

3.1.2 Mission, vision, valori 49

3.2 Il Team di Controllo di Gestione 50

3.2.1 Le attività 50 3.2.2 I componenti 51 3.2.3 Le criticità 51 3.3 Il percorso 52 3.3.1 Obiettivi 52 3.3.2 Team Building 53 3.3.3 Team Coaching 57 4 INTERVISTE 66

4.1 HR Manager: Paolo Dolezzal 66

4.2 Finance Director: Roberto Mora 74

4.3 Controlling & Compliance Manager: Roberta Visentin 77 4.4 Team di Controllo di Gestione: Roberta Visentin,

Manuela Lissoni, Stefania Denti 84

4.5 Educational Coach: Nicoletta Quagliarella 90

Conclusioni 97

Bibliografia 101

Sitografia 104

(4)

Introduzione

Il mondo del lavoro del XXI secolo è profondamente cambiato negli ultimi anni a seguito della globalizzazione, le trasformazioni tecnologiche, l’evoluzione dei mestieri e delle competenze, le nuove organizzazioni dei processi produttivi. In questo scenario sempre più flessibile e mutevole le aziende da un lato e i lavoratori dall’altro cercano di reagire attraverso strategie che permettano loro di essere sempre più competitivi. Ma esiste un elemento essenziale per riuscire a essere vincenti in questo contesto? Se sì, qual è? Durante il mio percorso di studi universitari in Comunicazione d’impresa e politica delle risorse umane mi sono imbattuta in una metodologia che si propone di accompagnare le persone a tirare fuori e sviluppare le proprie potenzialità per raggiungere degli obiettivi: il coaching. Non appena ne ho sentito parlare durante le lezioni della Dott.ssa Quagliarella nel corso di Gestione delle risorse umane ne ho intuito il potenziale e ho iniziato a informarmi sull’argomento. Nel libro considerato la pietra miliare di questa metodologia ho letto che «il miglioramento della performance non avviene se non quando la persona si sente responsabile»1, così mi sono chiesta: e se fosse proprio la responsabilità questo elemento?

Partendo da queste domande ho deciso quindi di strutturare una ricerca sul significato e sugli effetti dell’assunzione di responsabilità nella vita delle persone con l’obiettivo di mostrare come la responsabilizzazione degli individui sia non solo un elemento centrale per la propria realizzazione personale ma anche un elemento strategico per il successo nelle aziende. Ho avvalorato la mia ricerca con l’analisi di un percorso di team coaching effettuato all’interno dell’azienda Watts Industries Italia Srl, operante nel settore della termoidraulica.

Nel primo capitolo verrà analizzato il concetto di responsabilità, evidenziandone il suo significato profondo, strettamente connesso a quello di locus of control interno, come presa di consapevolezza che l’unico potere dell’uomo sono le proprie azioni e quindi abilità di agire per realizzare la propria vita. Verranno poi esaminati i benefici che la responsabilità genera nei singoli

1

J. WHITMORE, Coaching. Come risvegliare il potenziale umano nel lavoro, nello sport e nella

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individui a livello personale e professionale e come questa si trasforma in una chiave per il successo in azienda secondo la strategia dell’accountability elaborata nel libro Il principio di Oz2, considerato un classico della letteratura di business.

Nel secondo capitolo verrà illustrata la metodologia del coaching, il cui obiettivo fondamentale è attivare la responsabilità delle persone per permettergli di raggiungere i propri obiettivi. Si ripercorrerà la storia di questa metodologia nata negli anni ‘70 negli Stati Uniti in ambito sportivo e rapidamente espansa e applicata agli ambiti più disparati ma che affonda le proprie radici nell’antica filosofia greca. Verranno poi descritti i principi, il metodo e gli strumenti con cui viene strutturato un percorso di coaching. Infine verrà fatto un approfondimento sul team coaching, la tipologia di coaching rivolta a gruppi di persone in azienda, che sarà poi oggetto del caso di studio nei capitoli successivi.

Nel terzo capitolo verrà illustrato il caso di studio: il percorso di team coaching svoltosi all’interno dell’azienda Watts Industries Italia Srl proprio con l’obiettivo di riattivare la responsabilizzazione delle persone all’interno del Team di Controllo di Gestione. Verrà presentata l’azienda e le attività del team al suo interno. In seguito verrà fornita una descrizione dettaglia del percorso riportandone gli obiettivi, seguendone le varie fasi di realizzazione e le rispettive attività svolte e risultati raggiunti dal team.

Infine, nel quarto capitolo verranno riportate le interviste condotte in azienda all’HR Manager, al Finance Director, a cui riporta il Team di Controllo di Gestione, alle tre risorse del team che hanno partecipato al percorso e alla Educational Coach, responsabile del processo del percorso. Queste conversazioni rappresentano delle testimonianze dirette di fondamentale importanza per l’analisi e le considerazioni riguardo al percorso.

2

R. CONNORS, T. SMITH, C. HICKMAN, Il principio di Oz: ottenere risultati attraverso

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IL RUOLO DELLA RESPONSABILITÀ NELLA VITA

DELLE PERSONE

1.1 Cos’è la responsabilità?

Ognuno, perché pensa, è il solo responsabile della saggezza o della pazzia della sua vita, cioè del suo destino.

(Platone) 1.1.1 La responsabilità nel XXI secolo

Negli ultimi anni il tema della responsabilità ha acquisito una crescente importanza e si è intrecciato con questioni generali in ambito politico, etico, civico, lavorativo. I progressi tecnologici nel mondo dell’informazione consentono l’accesso a informazioni potenzialmente illimitate aumentando la conoscenza di ciò che succede nel mondo. La globalizzazione ha reso necessario l’aumento della regolamentazione nelle aziende e nelle organizzazioni al fine di assicurare la standardizzazione e l’innalzamento dei livelli di sicurezza e qualità. Si sono accesi dibattiti etici sulla responsabilità collettiva verso gli altri e verso l’ambiente. Come sostiene Tim Richardson

il nostro mondo è in rapida evoluzione, interconnesso come mai prima d’ora, più diversificato e ricco di evidenti dilemmi e tensioni, per esempio su come adottare prospettive a breve o a più lungo termine; come amministrare le risorse in maniera assennata riuscendo al contempo a soddisfare le necessità di base; come incoraggiare

l’utilizzo del talento e le carriere gratificanti conservando l’unità familiare; come

ricompensare gli investitori pur riuscendo a soddisfare tutti gli stakeholder; come reagire con agilità e comportarsi in modo etico; come essere attenti alle esigenze delle economie emergenti e di quelle più mature3.

3T. RICHARDSON, Il capo e la responsabilità. Come essere un leader autorevole, affidabile e di successo, Tecniche Nuove, Milano, 2015, p. 2.

(7)

In questo scenario la responsabilità diventa un aspetto cruciale dell’agire umano. Tuttavia il concetto di responsabilità assume spesso una connotazione negativa collegata alla colpa e all’individuazione di un colpevole. Si parla di responsabilità come della ricerca della causa di un problema. Ma cosa significa esattamente essere responsabili?

1.1.2 Alla ricerca del significato profondo di responsabilità

L’etimologia del termine responsabile deriva dal latino respondēre (rispondere), composto dalla particella re (indietro, di rimando) e spondere (promettere), e il suffisso bilem che indica facoltà di operare. Il latino respondēre come promettere di rimando allude quindi a un atto solenne. «L’antica Roma (…) era governata da un diritto estremamente formale, che si articolava in riti e formule, di chiara matrice religiosa. Aveva i tratti tipici della magia: un gesto sbagliato, una parola non pronunciata e l’atto o il negozio non avevano validità»4. In realtà il significato originale del respondēre ha acquisito «da subito estensioni notevoli di significato, che gli hanno fatto prendere già in latino il versatile profilo che ha oggi il nostro rispondere»5.

Responsabile perciò è colui che risponde, che è garante di qualche cosa o per qualche persona. La responsabilità implica il fatto che le azioni umane generino delle conseguenze di cui il soggetto agente è chiamato a rispondere6. È un concetto intrinsecamente connesso alla libertà del soggetto, cioè la capacità di agire e scegliere liberamente, e che trova applicazione in diversi ambiti: politico, morale, giuridico. Tuttavia dall’etimologia di respondēre emerge un significato più profondo:

La responsabilità pare essere più del semplice peso del rapporto causa-effetto, quasi una scelta di vita, una presa di consapevolezza di ogni situazione particolare cui segue

4www.unaparolaalgiorno.it/significato/R/rispondere 5Ibidem

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immediata e irriflessa, limpida, sicura e adamantina una risposta d’azione accorta –

risposta che sola è il vero potere dell’uomo7.

In questo senso la connotazione originale del concetto di responsabilità non è più solamente connessa al rispondere delle proprie azioni ma si configura come un atteggiamento, una modalità di vivere la propria vita attribuendone all’uomo il pieno controllo.

1.2

Chi ha la responsabilità della nostra vita?

1.2.1 Locus of control

Il locus of control, letteralmente il luogo nel quale si definisce il controllo, è un costrutto teorizzato dallo psicologo statunitense Julien B. Rotter nel 1954 per riferirsi alla percezione del controllo che ogni persona ha del proprio destino e degli eventi. La tesi alla base del pensiero di Rotter è che il comportamento delle persone sia largamente influenzato da rinforzi, che possono essere positivi o negativi, e che attraverso gli accadimenti casuali gli individui formano le convinzioni riguardo a ciò che causa le loro azioni. Queste convinzioni, a loro volta, determinano il tipo di atteggiamento e comportamento che gli individui adottano. La percezione che le persone hanno di sé stesse e della realtà dipende da come viene interpretata la realtà. Il locus of control esprime quindi l’atteggiamento mentale, la motivazione e la forza vitale che spinge gli individui ad agire e i risultati che ne derivano8.

Rotter sostiene che possiamo distinguere la percezione del controllo secondo un continuum alla cui estremità ci sono due poli: l’interiorità e l’esteriorità. Il locus of control perciò rappresenta la convinzione che i risultati delle nostre azioni siano contingenti a quello che facciamo o a eventi al di fuori del nostro controllo personale. Per locus interno si intende l’attribuzione del controllo all’interno della persona: l’individuo crede che i risultati che ottiene siano frutto delle proprie capacità personali e azioni. In generale, il pensare di 7www.unaparolaalgiorno.it/significato/R/responsabile

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poter esercitare un controllo sugli eventi porta gli individui a mettere in atto comportamenti diversi più o meno funzionali nell’ottica di raggiungere il proprio obiettivo. Chi possiede un locus of control interno crede nelle proprie capacità, ha alti livelli motivazionali che gli permettono di approcciarsi proattivamente e strategicamente alla vita e sviluppa una maggiore responsabilità delle proprie azioni per cui avrà generalmente maggiore probabilità di successo.

Il locus esterno, al contrario, attribuisce a fattori esterni alla persona, come il destino, la fortuna o le altre persone, i propri successi o fallimenti. Chi mostra un locus of control esterno tende a sviluppare una bassa autostima e a sentirsi una vittima in balia dell’imprevedibilità degli eventi. Le persone con un locus esterno sono inclini a mostrare un atteggiamento passivo e negativo nei confronti della vita, orientato all’accettazione anche quando potrebbero intervenire efficacemente per modificare gli accadimenti. Spesso questo atteggiamento impedisce o ostacola sensibilmente la crescita e la realizzazione efficace delle persone perché sostituisce l’agire con il reagire passivamente.

Il locus of control non opera una distinzione netta ma si configura più come un continuum, un’aspettativa generalizzata che predice il comportamento delle persone in situazioni diverse. Tuttavia ci possono essere situazioni specifiche nelle quali ad esempio persone che sono generalmente esterne si comportano come interni. Ciò è dovuto al fatto che la loro storia di apprendimento ha mostrato loro di avere il controllo sul rinforzo che ricevono in certe situazioni, anche se nel complesso percepiscono poco controllo su ciò che accade loro. Secondo Rotter questo prova l’importanza di concepire la personalità come l’interazione della persona e dell’ambiente. Gli individui hanno una tendenza predominante in uno dei due tipi di controllo ma vi sono molteplici forme di variazioni a seconda delle circostanze, delle aspettative e del ruolo che la persona ha in una determinata situazione.

Il costrutto psicologico del locus of control è quindi fortemente connesso con il concetto di responsabilità: possedere un locus interno si può leggere come scegliere la responsabilità delle proprie azioni, prendere in mano il timone della propria vita e divenire fautori del proprio destino. Al contrario possedere un locus esterno vuol dire scegliere di essere irresponsabili, ovvero incapaci di dare

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risposta, attribuire a fattori esterni la propria incapacità ad agire diventando così vittime degli eventi.

1.3 Essere responsabili in azienda

1.3.1 Il Principio di Oz: che cos’altro posso fare?

La responsabilità non è solo un fattore vincente nella vita personale degli individui ma svolge un ruolo cruciale anche nella loro vita professionale. Roger Connors, Tom Smith e Craig Hickman hanno pubblicato nel 1994 il libro Il principio di Oz: ottenere risultati attraverso l’accountability9 dove illustrano una teoria basata su concetto di accountability come chiave per migliorare le performance all’interno delle organizzazioni. Gli autori sostengono che

nelle organizzazioni di oggi le persone, quando si trovano di fronte a prestazioni mediocri o a risultati non soddisfacenti, per lo più cominciano subito a cercare delle scuse, a razionalizzare e a fornire delle ragioni per cui non dovrebbero essere ritenuti responsabili, quanto meno non del tutto, dei problemi della loro organizzazione. Queste culture vittimistiche e senza accountability hanno indebolito il carattere del business, inducendo molti leader a cercare scorciatoie invece che soluzioni di lungo termine e guadagni immediati invece che miglioramenti duraturi, nonché a concentrarsi sui processi invece che sui risultati10.

I fallimenti fanno parte della nostra vita ma la tendenza generale è quella di evitare la responsabilità dei propri insuccessi. Il rifiuto della responsabilità però porta a prolungare le criticità, rimandare gli interventi correttivi e impedire l’apprendimento e la crescita delle persone e dell’azienda.

Per gli autori esiste una linea che separa le grandi aziende di successo da quelle ordinarie: al di sopra della linea si collocano le aziende che hanno

9Il titolo del libro fa riferimento al libro Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum nel quale i

personaggi compiono un viaggio durante il quale scoprono di possedere dentro di sé le potenzialità per ottenere i risultati che cercano.

10 R. CONNORS, T. SMITH, C. HICKMAN, Il principio di Oz: ottenere risultati attraverso l’accountability, Franco Angeli, Milano, 2014, p. 15.

(11)

intrapreso la strategia dell’accountability; al di sotto quelle che seguono il cosiddetto “gioco delle accuse”.

Figura 1.1: il grafico dell’accountability11

(12)

1.3.2 Sotto la linea: il gioco delle accuse

Come si vede dalla figura, al di sotto della linea vi è il gioco delle accuse: spesso le persone seguono questo gioco preferendo non affrontare la realtà, rifuggire le proprie responsabilità e incolpare gli altri dei propri insuccessi. In questo modo restano bloccate in una spirale di vittimismo che gli impedisce di crescere, migliorarsi e realizzare i propri obiettivi. La spirale del vittimismo è composta da sei stadi fondamentali:

Ignorare/Negare: fingere di non conoscere la realtà, tapparsi gli occhi per non vedere i problemi e negare la propria responsabilità;

Non è compito mio: trovare scuse per giustificare la propria inerzia ed evitare la responsabilità;

Puntare il dito: incolpare gli altri delle proprie difficoltà;

Confusione/Ditemi cosa fare: indicare la confusione come giustificazione dei propri errori e chiedere agli altri di dire loro cosa fare per trasferire su di loro la responsabilità;

Coprirsi le spalle: creare una storia per dimostrare che non si è colpevoli;Prendere tempo: aspettare per vedere se le cose si miglioreranno da sé.

Quando le persone cadono nella spirale del vittimismo finiscono per demoralizzarsi, mollare la presa e sentirsi impotenti. Nella vita privata così come all’interno delle organizzazioni questo tipo di atteggiamento è molto comune e minimizzarlo rappresenta il passo cruciale per consentire la realizzazione e la crescita delle persone e delle aziende.

Il gioco delle accuse non nega l’esistenza di ingiustizie, soprusi o disastri. Purtroppo accade che le persone siano vittime di eventi e situazioni al di fuori del loro controllo. Quello su cui si focalizzano gli autori de Il principio di Oz però è l’atteggiamento delle persone verso gli eventi: per quanto complicata sia una situazione, l’impotenza, le scuse e le accuse reciproche non aiuteranno a risolverla, al contrario costringeranno all’inerzia. Solo la responsabilità, intesa come accettazione delle circostanze, permette di agire per cambiare le cose.

(13)

1.3.3 Sopra la linea: l’accountability

Al di sopra della linea che separa le aziende di successo da quelle ordinarie si trova invece la strategia dell’accountability, definita come «la scelta personale di sollevarsi al di sopra delle proprie circostanze e dimostrare l’assunzione di responsabilità necessaria per ottenere i risultati desiderati»12. La strada per arrivare ad essere pienamente responsabili non è semplice perché il gioco delle accuse è un comodo rifugio per sottrarsi alle proprie responsabilità. È una tendenza comune che le persone e le organizzazioni sviluppino comportamenti vittimistici, la strategia dell’accountability le aiuta a sbloccarsi da questo atteggiamento e a collocarsi al di sopra della linea. Il percorso verso l’accountability si compone di quattro passi:

1) Vedere: si riferisce all’azione di identificare la realtà e vedere le situazioni per quello che realmente sono. È un’azione che richiede coraggio, infatti molte volte le persone scelgono di non vedere gli aspetti scomodi perché è più facile ignorare o accettare tacitamente i cambiamenti dell’ambiente esterno. Questo passo serve per capire che la realtà è nelle nostre mani e possiamo agire per superare le sfide e gli ostacoli che si presentano durante il cammino verso l’obiettivo. È il passo più difficile da compiere perché la maggior parte delle persone ha difficoltà nel prendere coscienza di sé in maniera schietta e ammettere che potrebbe fare di più per raggiungere i propri obiettivi.

2) Assumersi la responsabilità: generalmente le persone tendono a interpretare le situazioni difficili come prodotto della sfortuna e le situazioni migliori invece come merito del proprio lavoro. In una situazione difficile è facile, a volte anche comodo, sentirsi vittime di circostanze al di fuori del proprio controllo. Concentrarsi solo su questa prospettiva però non permette di vedere in cosa abbiamo contribuito per arrivare a una determinata situazione, preferendo ritenersi incapaci di poterla modificare con le proprie azioni. Fare questo passo significa riconoscere ed accettare che la realtà

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presente dipende da ciò che abbiamo fatto e che le circostanze future dipenderanno da ciò che si farà. Questo passo serve per prepararsi ad agire. «Quando trovate il cuore per assumervi la responsabilità della vostra situazione, automaticamente guadagnate anche l’impegno necessario per superare quella situazione e cambiarla per il meglio»13.

3) Risolvere: per raggiungere dei risultati non è sufficiente riconoscere la realtà e accettare la propria responsabilità nel determinare la propria situazione ma bisogna affrontare i problemi e eliminare tutti gli ostacoli che interferiscono con il raggiungimento dell’obiettivo finale. Per fare ciò è necessario sviluppare una saggezza che consenta di elaborare soluzioni creative che permettano di anticipare i possibili problemi ed essere pronti ad affrontare delle difficoltà durante il cammino. In questo passo bisogna tenere alto l’impegno, insistere verso il proprio obiettivo e cercare prospettive di pensiero diverse, ad esempio creando nuove relazioni che ci permettano di conoscere nuovi punti di vista per poter elaborare così nuove soluzioni. È fondamentale prendere l’iniziativa: «chi vorreste essere: qualcuno che fa succedere le cose, qualcuno che guarda mentre succedono, o qualcuno che non viene mai a sapere che è successo qualcosa?»14

4) Agire: per raggiungere una piena accountability è necessario mettere insieme i precedenti passi e agire con passione, proattività e costanza. Agire vuol dire prendere il coraggio e l’impegno per mettere in atto le soluzioni identificate, compiere la propria responsabilità per i risultati indipendentemente da come o perché ci si trovi nella situazione presente. Questo passo consente di rendersi responsabili non solo per le azioni ma anche per i risultati futuri. «Quando unite l’idea di accountability con l’obiettivo di raggiungere risultati migliori, accendete una fiaccola che dona guida ed empowerment per le attività individuali e dell’organizzazione»15.

13Ivi, p.116. 14

Ivi, p.133. 15Ivi, p.141.

(15)

Connors, Smith e Hickman identificano come il nucleo di questo percorso il cosiddetto Principio di Oz, una domanda che invitano a porsi continuamente: che cos’altro posso fare per sollevarmi al di sopra delle circostanze e ottenere i risultati che desidero? Questa domanda aiuta le persone a prendere consapevolezza della realtà, a focalizzarsi e a lavorare sull’unica cosa che possono effettivamente controllare: se stessi. Domandarsi periodicamente «Cosa altro posso fare?» stimola l’iniziativa individuale per identificare e implementare soluzioni migliori. In questo modo sviluppare la mentalità dell’accountability permette alle persone di crescere, ottenere risultati e soddisfazione.

1.3.4 I benefici della responsabilità in azienda

All’interno delle organizzazioni seguire l’accountability porta a cambiamenti profondi innanzitutto nelle performance delle persone, che possono essere schematizzati così:

Sotto la linea Sopra la linea

Riferiscono solo quando ricevono una richiesta

Riferiscono regolarmente ed esaustivamente

Si giustificano o danno spiegazioni delle proprie azioni

Analizzano le proprie attività nel tentativo di stabilire che cos’altro potrebbero fare per ottenere i risultati che vogliono

Quando viene il momento di riferire si nascondono

Quando è il momento di riferire vengono e riferiscono

Accusano gli altri della mancanza di risultati

Si assumono la responsabilità della situazione

Si mettono sulla difensiva di fronte ai suggerimenti per migliorare

Sono felici di ricevere un feedback

Figura 1.216

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Come emerge dalla figura l’assunzione di responsabilità da parte delle persone in azienda provoca un cambiamento non solo nel lavoro individuale ma anche nel rapporto con i colleghi di lavoro. I benefici che ne derivano per le aziende sono molteplici: maggiore comunicazione, commitment e collaborazione che portano alla creazione di sinergia tra i lavoratori verso gli obiettivi aziendali.

Imparare ad assumersi la responsabilità si configura quindi come la chiave del successo per le persone e le aziende. Nel prossimo capitolo verrà affrontato il tema di come attivare la responsabilità nelle persone tramite lo strumento del coaching, ma il primo passo verso la responsabilità è una scelta personale: «il potere e la capacità di innalzarvi al di sopra delle circostanze e di ottenere i risultati che state cercando sono dentro di voi»17.

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IL COACHING:UNO STRUMENTO PER ATTIVARE

LA RESPONSABILITÀ

2.1 Cos’è il coaching?

2.1.1 Origini

La prima cosa che viene in mente quando si parla di coaching è il mondo sportivo, il termine “coach” infatti significa letteralmente allenatore. Tuttavia per comprendere profondamente cosa sia il coaching è necessario guardare alla sua storia. L’origine etimologica della parola coach deriva dal nome del villaggio ungherese Kocs nel quale furono prodotti i primi esemplari di carrozze nel XV secolo18. Dal termine ungherese kocsi, letteralmente di Kocs, proviene il middle english coche, che identificava un mezzo di trasporto trainato da cavalli e condotto da una guida, la carrozza appunto. Anche in italiano esiste il termine cocchio per indicare una carrozza trainata da cavalli. A partire dal XIX secolo il termine coach inizia ad essere utilizzato come slang nella Oxford University per indicare i tutor che supportano gli studenti nella preparazione degli esami19.

Il coach collegato all’ambito sportivo nasce durante gli anni ’70 negli Stati Uniti quando il professore di Harvard e tennista esperto Timothy Gallwey pubblica il libro The Inner Game of Tennis20. Nel libro Gallwey propone un concetto di allenamento completamente innovativo, mettendo al centro dell’attenzione l’interiorità del giocatore:

ogni partita è composta di due parti, una esteriore e una interiore. Il gioco esteriore è quello in cui si gioca con un avversario esterno, per superare ostacoli esterni e raggiungere un obiettivo esterno. (…) Il Gioco Interiore si svolge nella mente del giocatore, ed è una partita contro alcuni ostacoli, quali ad esempio cali di concentrazione,

18www.etymonline.com/word/coach 19

E. DEL PIANTO, Il piano di sviluppo del team coaching. Gli strumenti del monitoraggio: il report e il follow up, Franco Angeli, Milano, 2011,p. 21.

20 T. GALLWEY, The Inner Game of Tennis. The Classic Guide to the Mental Side of Peak Performance, Random House, New York, 1974.

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nervosismo, dubbio e disapprovazione. In sostanza, è la partita che si gioca per superare le abitudini della mente che ci impediscono di raggiungere una performance eccellente21.

L’idea di fondo di Gallwey è che l’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo sul campo. Non serve a molto concentrarsi sull’avversario se prima non ci si concentra su se stessi per vedere le proprie capacità e superare le proprie barriere. Gallwey infatti notava che quando venivano poste domande aperte ai giocatori questi si autocorreggevano; al contrario quando venivano dati loro suggerimenti su come migliorare questi si sforzavano troppo, concentrandosi sul consiglio ricevuto e in definitiva vedendo le loro prestazioni peggiorare. Gallwey identifica il rapporto tra il potenziale e le interferenze come Performance = Potenziale – Interferenze. Non si tratta di insegnare alle persone ma di aiutarle ad imparare ad usare il loro potenziale e a ridurre l’auto-interferenza, come con un bambino che impara a muovere i primi passi. «Gallwey aveva identificato puntualmente l’essenza del coaching, che consiste nel liberare il potenziale delle persone per massimizzare le loro prestazioni»22.

John Whitmore, ex-pilota inglese di automobilismo, rimane molto colpito dal libro di Gallwey e, dopo essersi formato con lui negli Stati Uniti, fonda nel 1979 l’organizzazione The Inner Game23 in Inghilterra dove progetta corsi di coaching in ambito sportivo basati sui principi dell’Inner Game. Il suo modello ottiene così successo che nel 1992 Whitmore pubblica il libro Coaching for Performance nel quale l’approccio all’apprendimento sportivo viene rielaborato e reso applicabile anche nel campo del business. Whitmore elabora un metodo basato su quelle che definisce domande efficaci come principale strumento per allenare il potenziale delle persone. In poco tempo questa nuova metodologia di formazione prende piede in tutta Europa, si sviluppa fino ad essere applicata con successo al giorno d’oggi in tutti gli ambiti della società. In questo senso

21Idem, Il Gioco Interiore nel Tennis. Come usare la mente per raggiungere l’eccellenza, Ultra,

Roma, 2013, p. 23.

22

J. WHITMORE, Coaching. Come risvegliare il potenziale umano nel lavoro, nello sport e nella

vita di tutti i giorni, Alessio Roberti Editore, Urgano, 2016, p. 23.

23 Dal 2004 l’organizzazione si chiama Performance Consultants International. Per ulteriori

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Whitmore e Gallwey sono riconosciuti come i padri fondatori del coaching professionale moderno e ancora oggi Coaching for Performance viene considerato la pietra miliare di questa disciplina.

2.1.2 Definizione

A partire dagli anni ‘90 il coaching si è velocemente esteso a svariate applicazioni: dall’ambito sportivo, a quello professionale fino ad arrivare all’ambito privato. Nel 1995 nasce la International Coach Federation (ICF)24, la prima associazione di Coach professionisti con lo scopo di promuovere la professione del coaching e di svilupparla impostando standard elevati. Ad oggi le associazioni di coaching sono proliferate, tra cui in Italia l’Associazione Italiana Coach Professionisti (AICP)25 e l’Associazione Coaching Italia (A.Co.I.)26, e il coaching si configura come una metodologia in continua evoluzione grazie alla sua versatilità che consente di svilupparne continuamente nuove applicazioni e tecniche. Non è semplice quindi trovare un’unica definizione di cosa sia il coaching ma si può analizzarne i tratti comuni.

Guardando all’origine etimologica del termine coaching emerge subito il legame e l’unione tra i due concetti di allenamento e mezzo di trasporto per andare da un luogo all’altro: «attraverso la carrozza il coach, ossia il consulente, trasporta il coachee, o cliente, fino al raggiungimento degli obiettivi attesi»27. Un’efficace descrizione esplicativa del coaching viene fornita dai Coach professionisti Alessandro Pannitti e Franco Rossi28che lo definiscono come un

metodo di sviluppo di una persona, di un gruppo o di un’organizzazione, che si svolge

24www.coachfederation.org 25www.associazionecoach.com 26www.associazionecoachingitalia.it 27

A.R. VAGNONI, Il coaching organizzativo. Storia, teorie e modelli, Editrice Uni Service, Trento, 2007, p. 12.

28Fondatori di INCOACHING®, scuola di formazione e società di servizi legati al coaching. Per

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all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di miglioramento/cambiamento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione29.

La scelta della parola metodo da parte di Pannitti e Rossi non è casuale, in greco methódos deriva da hódos (direzione, strada) e meta (che va oltre): «una ricerca, indagine, investigazione per giungere a un determinato luogo o scopo»30. In questo senso il coaching è una metodologia che può essere applicata a tutte le situazioni di miglioramento e di cambiamento delle persone che possano trasformarsi in obiettivi concreti da realizzare. Il comune denominatore è la condizione in cui la persona non è pienamente appagata, percepisce disagio ma non ha la consapevolezza, la motivazione e la perseveranza di adottare i comportamenti funzionali al cambiamento desiderato. Il coaching è quindi un rapporto tra un consulente, chiamato coach, e un cliente, chiamato coachee, nel quale quest’ultimo viene incoraggiato a chiarire il proprio autentico nucleo personale attraverso

 Una comprensione accurata del proprio senso di identità in termini di punti di forza, unicità, personalità e valori;

 Il senso della propria personale visione di vita e del proprio retaggio, il proprio scopo se volete – ciò che, col tempo, sentono di voler realizzare e/o lasciare dietro di sé;

 Il riconoscimento dei propri talenti e delle proprie capacità, sia naturali che apprese, a cui possono attingere nella vita e nel lavoro31.

Attraverso questo percorso il coaching consente di far emergere le caratteristiche uniche di ciascuna persona sviluppandone la propria consapevolezza e la sicurezza in sé stessi. Da ciò ne deriva che, benché il metodo del coaching si componga di una serie di tecniche precise, ogni intervento di coaching è un’esperienza unica e irripetibile legata all’unicità del coachee.

29 A. PANNITTI, F. ROSSI, L’essenza del coaching. Il metodo per scoprire le potenzialità e sviluppare l’eccellenza, Franco Angeli, Milano, 2012, p.18.

30www.treccani.it

31T. RICHARDSON, Il capo e la responsabilità. Come essere un leader autorevole, affidabile e di successo, Tecniche Nuove, Milano, pp. 63-64.

(21)

Per comprendere pienamente la metodologia del coaching può essere utile farne una comparazione con altre forme di intervento comunemente usate per facilitare il processo di apprendimento e lo sviluppo individuale:

Coaching Mentoring Counseling Orientamento Formazione

comportamentale Terapia Cos’è Percorso in cui un coach esperto aiuta a sviluppare nuove azioni e competenze Confronto con un collega esperto che funge da modello e da punto di riferimento Relazione d’aiuto in cui un consulente esperto aiuta una persona in difficoltà Intervento di supporto per aiutare una presa di decisione Intervento che mira a sviluppare nell’individuo determinate competenze Relazione d’aiuto che si instaura tra uno specialista e una persona in difficoltà Cosa fa Stabilisce un piano di autosviluppo per la persona Trasmette competenze necessarie allo svolgimento di un determinato lavoro Permette la messa a fuoco delle criticità e delle possibili soluzioni Rende chiaro alla persona le risorse di cui dispone e cosa offre il mercato del lavoro Trasmette strumenti e modelli Permette un percorso di crescita personale e il superamento di disagi Dove Più di frequente in azienda

Azienda Vari ambiti di

intervento

Azienda, scuola o scelte individuali

Azienda, Istituti Privato

A chi si rivolge Solitamente a manager o profili di medio/alto livello A giovani promettenti nel ruolo A chiunque abbia bisogno di un aiuto immediato A chiunque ne senta la necessità A chiunque ne senta la necessità (specie in ambito professionale) A chiunque ne senta la necessità Quando Ad esempio, nel momento in cui si debbano potenziare le figure manageriali di un’azienda Probabilità di carriera In particolari fasi della propria vita Nel momento in cui si debba compiere una scelta Nel momento in cui si renda necessaria In particolari fasi della propria vita Quanto dura Si sviluppa in un arco di tempo e breve/medio termine (da 7 mesi ad 1 anno) Si sviluppa in un arco di tempo a lungo termine (anche anni) Si sviluppa in un arco di tempo a breve termine (pochi incontri) Si sviluppa in un arco di tempo a breve termine (pochi incontri) Si sviluppa in un arco di tempo a breve termine (pochi giorni) Si sviluppa in un arco di tempo a medio/lungo termine (mesi o anni) Figura 2.1: Tabella comparativa di diverse forme di intervento32

32Tratta da E. DEL PIANTO, Coaching e team coaching: gli obiettivi, il processo e gli strumenti,

(22)

Una metafora che riassume chiaramente le differenze di approccio tra queste metodologie è quella dell’imparare ad andare in bicicletta33:

Una persona monta sulla bicicletta per la prima volta e vuole pedalare ma non ci riesce. Come la aiuterebbero rispettivamente queste figure?

Il mentor prenderebbe una bicicletta e darebbe una dimostrazione pratica di come guidare la bicicletta.

Il counselor la sosterrebbe, ascolterebbe i suoi problemi e infine darebbe dei consigli. Il consulente spiegherebbe il funzionamento della bicicletta, verificherebbe lui stesso che la bicicletta sia a posto e darebbe suggerimenti sul metodo per pedalare meglio.

Il formatore spiegherebbe il funzionamento della bicicletta e le insegnerebbe delle tecniche per colmare le carenze tecniche.

Lo psicologo indagherebbe se per caso nell’infanzia il fratello le rubava la bicicletta o se il padre per punizione non gliene ha mai comprata una.

Il coach le chiederebbe perché vuole imparare ad andare in bicicletta, dove vuole andare, cosa significa per lei raggiungere quella meta; le permetterebbe, attraverso domande, di capire se la bici è il mezzo più appropriato per raggiungere la meta, cosa altro le serve per partire...

Nel coaching avviene un cambiamento fondamentale nel modo di percepire se stessi e gli altri: considerare ogni persona come dotata di potenziale per conseguire gli obiettivi da lei definiti. La persona diventa il punto di partenza ed il mezzo per poterli raggiungere. Il coaching non impartisce insegnamenti ma crea soltanto le condizioni per l’apprendimento e la crescita della persona. Come sostiene Whitmore:

il coaching non è solo una tecnica a cui ricorrere e da applicare rigidamente in date circostanze. È un modo di gestire il personale, di trattare le persone in generale, un modo di pensare e di essere. Sarà benvenuto il giorno in cui la parola “coaching” sarà scomparsa completamente dal nostro lessico per essere stata integrata nel modo in cui ci si pone in relazione con gli altri sul lavoro, così come in qualsiasi altro contesto34.

33 Estratto del Coaching Master Cycle di Giovanna Giuffredi

www.langolodelpersonalcoaching.blogspot.it/2008/03/

(23)

2.2 Coaching e responsabilità

You must take personal responsibility. You cannot change the circumstances, the seasons or the wind, but you can change yourself. That is something you have charge of.

(Jim Rohn)

2.2.1 I principi del coaching

Whitmore individua due fattori chiave per la performance delle persone in qualsiasi attività: la consapevolezza e la responsabilità. Esse costituiscono quindi i principi fondamentali del coaching.

Con consapevolezza si intende un fenomeno estremamente intimo, diverso dalla conoscenza, dove la cognizione di qualcosa si fa profonda, interiore, frutto di un’attenta osservazione di quello che vediamo, sentiamo e proviamo, in armonia con la nostra persona. La consapevolezza non è un qualcosa che può essere insegnato ma è una costruzione del proprio modo di rapportarsi col mondo, è quindi una questione di allenamento e possiede diverse gradazioni a seconda della sua profondità. La consapevolezza comprende sia l’analisi rivolta all’esterno, il sapere cosa sta accadendo attorno a noi, che all’interno, l’autoconsapevolezza intesa come «[l’essere] consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su di esso»35. Tanto più profonda è l’autoconsapevolezza quanto più precisa è la consapevolezza degli altri e la capacità di autogestirsi, e questi tre aspetti sommati assieme determinano la qualità delle interazioni con gli altri. Lo psicologo statunitense Daniel Goleman nel suo libro Intelligenza emotiva ritiene l’autoconsapevolezza la «competenza emozionale fondamentale (…) per la comprensione psicologica di se stessi (…), sulla quale si basano tutte le altre»36. Secondo Goleman la consapevolezza costituisce un potente strumento per l’individuo: essere consapevoli permette di sviluppare una percezione più sicura dei propri stati interiori e della realtà esterna.

35

J. D. MAYER, A. STEVENS, An Emerging Undestranding of the Reflective (Meta) Experience

of Mood, 1993, citato in D. GOLEMAN, Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2016 p. 86.

(24)

In questo modo gli individui non sono più in balia degli accadimenti ma li possono affrontare e controllare attivamente.

Solitamente nella formazione vengono insegnate tecniche e metodi su come fare qualcosa, a loro volta insegnate ai formatori o apprese sui manuali. Questo approccio benché generi risultati soddisfacenti non tiene però conto delle caratteristiche personali di chi viene formato, soffocando l’iniziativa e lo scambio di opinioni tra gli individui e ostacolandone perciò la crescita. Il coaching si configura invece come un metodo nel quale il coach non si limita ad illustrare degli strumenti ma supporta e allena il coachee ad usare tali strumenti per aumentare la propria consapevolezza. Il coachee viene incoraggiato ad interrogarsi costantemente per conoscersi a fondo, scoprire le proprie potenzialità e caratteristiche uniche e quindi sfruttarle al meglio per il raggiungimento dei propri obiettivi. Tramite l’allenamento della consapevolezza il coachee aumenta la sicurezza di sé e sviluppa un locus of control interno, quindi la consapevolezza che il cambiamento è nelle sue mani. La consapevolezza diventa nel coaching il punto di partenza per ottenere non solo performance più elevate ma anche per lo sviluppo e la crescita spontanea dell’individuo senza seguire istruzioni già predefinite. In questo senso il termine allenamento non è casuale ma sta a significare che, una volta fatto proprio il metodo, il coachee continuerà autonomamente ad usarlo per focalizzarsi sul raggiungimento dei propri obiettivi.

Il secondo principio chiave del coaching secondo Whitmore è la responsabilità. Come è stato analizzato nel precedente capitolo la responsabilità si configura come un concetto ben più profondo della mera capacità di rispondere delle proprie azioni, che si connette anche alla capacità di adoperarsi attivamente nel raggiungimento dei propri obiettivi. La responsabilità implica lo sviluppare un locus of control interno: riconoscere che ciascuno è artefice della propria vita, quindi non lasciarsi trascinare dagli eventi ma fare delle scelte consapevoli. Il coaching parte proprio dal riconoscimento dei concetti di responsabilità e locus interno per sostenere che nessun cambiamento e raggiungimento di obiettivo è possibile se dipende dall’esterno. L’unica cosa sulla quale ci è possibile avere controllo siamo noi stessi, perciò dobbiamo sviluppare consapevolezza e responsabilità per poi agire. La consapevolezza consente alle persone di porre

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attenzione su se stesse, analizzarsi, mettersi in discussione e di conseguenza identificare la propria unicità. Una volta acquisita la consapevolezza il passo successivo è assumersi la responsabilità. Attraverso la responsabilità le persone trasformano la loro unicità in potenziale, capendo su quali aspetti far leva per avviare il cambiamento che consente di raggiungere i propri obiettivi. Assumersi la responsabilità dei propri successi come dei propri fallimenti consente di sviluppare maggior fiducia in se stessi, senso di controllo e auto motivazione.

Whitmore conferma quindi la tesi della responsabilità come strumento chiave per il successo delle persone e delle aziende illustrata nel precedente capitolo, sostenendo che

la responsabilità è fondamentale per una performance elevata. Quando accettiamo realmente, scegliamo o ci assumiamo la responsabilità dei nostri pensieri e delle nostre azioni, aumenta l’impegno che profondiamo e di conseguenza aumenta anche la nostra performance. Quando ci viene ordinato, ci viene detto di essere responsabili di qualcosa, oppure ci si aspetta che lo siamo o ci viene attribuita la responsabilità dall’esterno, se non accettiamo in pieno queste indicazioni la performance non migliorerà37.

La responsabilità secondo Whitmore è una questione di scelta personale, nel senso che soltanto scegliendo di assumersi la propria responsabilità potremo avere controllo sulle nostre azioni e quindi agire in maniera pienamente responsabile. Tentare di imporre o far emergere la responsabilità negli altri, ad esempio dando un ordine o un consiglio, non fa automaticamente sì che l’altro se ne senta responsabile. Al contrario può attivare meccanismi negativi come ad esempio in caso di fallimento dopo aver seguito un consiglio altrui si può creare risentimento nei confronti della persona che ha dato il consiglio. Alla luce di ciò la responsabilità diventa l’obiettivo primario del coaching.

(26)

Nelle seguente figura sono schematizzati i principali benefici generati dall’attivazione della consapevolezza e della responsabilità attraverso il coaching:

Figura 2.238

(27)

2.3 Com’è strutturato un percorso di coaching?

Il coaching per la consapevolezza e la responsabilità funziona nel breve termine per svolgere un compito, o a lungo termine per una migliore qualità della vita

(John Whitmore)

2.3.1 La metodologia

La metodologia del coaching è riconducibile al metodo dialogico socratico della maieutica. Il termine maieutica deriva dal greco maieutiké che significa arte della levatrice o dell’ostetrica. Socrate paragonava infatti l’arte dialettica a quella della levatrice: come la levatrice è in grado di riconoscere lo stadio della gravidanza e aiuta le donne a dare alla luce i propri figli, così il filosofo è in grado di aiutare le persone a tirare fuori la loro consapevolezza. Questo processo avviene attraverso un dialogo semplicemente basato su «domande e risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare dentro di sé la propria verità, determinandola in maniera autonoma»39. Il fondamento del pensiero socratico si riassume nel suo precetto “So di non sapere”: una docta ignorantia che sottintende la consapevolezza di una conoscenza approssimativa. Questa consapevolezza rappresenta la condizione preliminare e l’impulso che stimola il desiderio di conoscenza e quindi la ricerca e il dialogo continuo. Nella sua ricerca della conoscenza Socrate però si contrapponeva alle tecniche della retorica, che mirava principalmente a mostrare la propria abilità e a persuadere l’interlocutore della validità propria tesi, proponendo un metodo dialogico basato invece su domande autentiche prive di risposta precostituita. Come riporta Platone nel dialogo Teeteto40:

Interrogo sì gli altri, ma non manifesto mai io stesso su nessuna questione il mio pensiero (…) Io sono dunque, in me, tutt’altro che sapiente, né da me è venuta fuori alcuna

39www.treccani.it/vocabolario/maieutica

40Dialogo di Platone riconducibile alla fase della maturità, nel quale Socrate dialoga con Teeteto

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sapiente scoperta che sia generazione del mio animo; quelli invece che amano stare con me (…) fanno progressi così straordinari, che se ne rendono conto essi stessi, ed anche gli altri. Ed è chiaro che da me non hanno mai imparato nulla, bensì proprio e solo da se stessi scoprono e generano molte belle cose41.

La particolarità della maieutica socratica è quindi il rovesciamento del tradizionale rapporto tra maestro e allievo: attraverso domande incalzanti e scomode Socrate incoraggiava l’interlocutore a riflettere sulle proprie convinzioni e contraddizioni, il più delle volte infondate, confutandole e permettendogli di portare alla luce la propria verità. Da qui l’esortazione socratica «Conosci te stesso» per spronare alla continua crescita nella conoscenza a partire dall’autoconsapevolezza. La maieutica non è quindi l’arte di insegnare quanto piuttosto l’arte di aiutare a scoprire e tirare fuori qualcosa che è già dentro di noi.

In questo senso si può considerare la maieutica socratica come il precursore del coaching: il coaching non è altro che la trasposizione dei principi della maieutica applicati al mondo contemporaneo. Il percorso di coaching si svolge tra un coach e un coachee, il cliente, con l’obiettivo di superare degli ostacoli e raggiungere i risultati definiti dal cliente stesso. La convinzione alla base del coaching è che ogni individuo possiede delle potenzialità e compito del coach è aiutarlo a riscoprirle e a capire come valorizzarle per renderlo pienamente realizzato. Così come faceva Socrate «il coach non è colui che risolve i problemi, un insegnante, un consulente, un istruttore e nemmeno un esperto; è una cassa di risonanza, un facilitatore, un consigliere, un generatore di consapevolezza»42. Il percorso inizia da un punto A di stato attuale e termina ad un punto B di stato desiderato. L’arco temporale nel quale si svolge un percorso di coaching generalmente si aggira da sei mesi a un anno nel quale le prime sessioni sono più ravvicinate, anche a cadenza settimanale, per poi gradualmente diradarsi con l’obiettivo di responsabilizzare il coachee nel proseguire autonomamente il suo percorso di crescita.

41PLATONE, Opere, vol. I, Editori Laterza, Bari, 1967, pp. 278-279. 42J. WHITMORE, Coaching, cit., p. 72.

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2.3.2 Il rapporto coach-coachee

Alessandro Pannitti e Franco Rossi individuano quelle che definiscono le quattro A della relazione di coaching, cioè gli aspetti fondamentali nel rapporto tra coach e coachee43:

Accoglienza: il filo conduttore di una relazione di coaching, così come di qualsiasi relazione tra individui, è l’accoglienza. Saper accogliere l’altro implica in primis accogliere se stessi, quindi possedere una profonda auto-consapevolezza. Il coach non deve mai giudicare o manipolare il suo cliente ma accoglierlo incondizionatamente nella sua unicità. L’empatia è un altro aspetto fondamentale per permettere al coach di comprendere e supportare emotivamente il coachee. In definitiva il rapporto di coaching deve essere caratterizzato da trasparenza, lealtà e serenità: il coachee è il vero protagonista del percorso e il coach deve seguire i suoi tempi. Solo se il coachee si sentirà accettato per quello che è dal coach si aprirà liberamente con lui e acconsentirà a programmare con fiducia assieme il proprio cambiamento.

Ascolto: il coach deve prima di tutto saper ascoltare attivamente il cliente. L’ascolto e l’osservazione del coach non si devono limitare a ciò che il coachee dice, quindi alla comunicazione verbale, ma devono comprendere specialmente il come lo dice, quindi la comunicazione paraverbale e non verbale. Il coach deve essere un ascoltatore paziente e al tempo stesso curioso: non deve interrompere il flusso comunicativo del coachee, sapere quando stare in silenzio per facilitarne la riflessione introspettiva e saper quando invece scavare nei suoi pensieri e stimolarlo attraverso domande potenti. La domanda aperta è il principale strumento utilizzato dal coach durante le sessioni per generare consapevolezza e responsabilità nel coachee. Al contrario delle domande chiuse, che consentono unicamente due opzioni, le domande aperte richiedono risposte descrittive costringendo quindi la persona a riflettere e magari ad esplorare punti di vista mai

(30)

considerati fino a quel momento, in questo senso vengono definite potenti. Le domande del coach non sono preimpostate ma devono seguire il flusso dei pensieri del coachee, solitamente partendo da domande generiche per poi concentrarsi progressivamente sui dettagli. Il coach deve avere piena apertura a qualsiasi risposta verrà data dal coachee durante il suo percorso di auto-scoperta. Il coach deve inoltre saper mantenere un certo distacco: esaminare la realtà il più possibile senza filtrarla attraverso la propria opinione ma mantenere una posizione di neutralità, esprimersi con termini descrittivi e mai con valutazioni. L’assenza totale di preconcetti è la base per creare il rapporto facilitante e caratterizzato da supporto e potenziamento che è il coaching.

Alleanza: il rapporto tra coach e coachee deve essere innanzitutto di piena fiducia. Questa è la condizione imprescindibile affinché il coachee si renda effettivamente disponibile a raccontarsi con sincerità. Il coachee deve potersi fidare del coach e trovare in lui un appoggio nel suo percorso. Il coach, dal canto suo, deve essere il primo sostenitore del coachee, deve credere fermamente nelle sue potenzialità. La figura del coach non deve però creare dipendenza: il coach illustra un metodo per sviluppare la consapevolezza e allena il coachee a responsabilizzarsi, quindi a prendersi la responsabilità di agire, accompagnandolo fino a quando non ha sviluppato la capacità di attivare autonomamente il metodo.

Autenticità: il contesto all’interno del quale si deve inserire un percorso di coaching è quello dell’autenticità. Senza di esso gli altri tre elementi non sono efficaci. L’autenticità deve essere presente da entrambe le parti coinvolte nel percorso, che altrimenti non può funzionare. Il coach deve essere totalmente immerso nel momento presente, nel qui e ora, e focalizzato verso il coachee per poter stabilire una connessione profonda. L’orientamento del coaching è positivo, quindi focalizzato sul presente ed il futuro verso il progresso e la crescita del coachee. A questo proposito il coach utilizza un linguaggio efficace, spingendo il coachee a riformulare in

(31)

positivo le proprie frasi per favorirne la sua visione costruttiva. Il coachee deve da parte sua deve mettere come unico ingrediente indispensabile la volontà di conoscersi a fondo, di intraprendere un percorso a volte non semplice, di affrontare faccia a faccia i propri ostacoli e soprattutto la volontà di agire.

L’ufficialità del rapporto tra coach e coachee viene formalizzata con l’elaborazione di un contratto dove vengono riportati solitamente le modalità e la durata del percorso, gli obiettivi e i risultati definiti dal coachee, le responsabilità del coach e del coachee. Il contratto viene scritto dal coach a seguito di un primo incontro conoscitivo con il coachee e gli viene successivamente fatto sottoscrivere prima dell’inizio del percorso di coaching. Così come l’intero processo non segue un modello predefinito, anche il contratto si modella a seconda delle esigenze del coachee. Il contratto ha una duplice valenza: stabilire fin dal principio un rapporto chiaro e trasparente e attivare la responsabilizzazione da entrambe le parti: del coachee nell’attivarsi e impegnarsi nel raggiungimento degli obiettivi e del coach nel supportare e stimolare il cliente nell’allenamento delle potenzialità personali.

2.3.3 Il modello G.R.O.W.

Ancora oggi il modello più utilizzato per lo svolgimento delle sessioni di coaching è il cosiddetto modello G.R.O.W. elaborato da Whitmore. Il nome, che richiama al concetto della crescita, fondamentale nel coaching, è l’acronimo delle quattro fasi che Whitmore identifica come basilari per l’attuazione concreta del percorso:

 Goals (Obiettivi)

 Reality (Realtà)

 Options (Opzioni)

 What-When-Who-Will (Piano d’azione)

Il modello G.R.O.W. si propone come un efficace strumento per permettere, una volta definiti gli obiettivi, una maggiore consapevolezza della realtà attuale, la verifica delle varie opzioni a disposizione e la responsabilizzazione circa le azioni

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che verranno intraprese per raggiungere tali obiettivi. L’obiettivo del modello G.R.O.W. è promuovere la fiducia e la motivazione dell’individuo con il conseguente miglioramento della performance e della soddisfazione personale. Le quattro fasi indicano i passaggi nei quali attivare la consapevolezza e la responsabilità della persona attraverso l’utilizzo delle domande efficaci:

Figura 2.3: Il modello G.R.O.W.

1) Goal settings: il primo passo da compiere in un percorso di coaching è stabilire gli obiettivi che il coachee desidera raggiungere. La scelta di definire gli obiettivi prima dell’analisi della realtà attuale potrebbe sembrare illogica, ma in realtà serve per permettere al coachee di formulare obiettivi maggiormente creativi e visionari guardando a una situazione ideale e non ancorati al presente. Nello stabilire gli obiettivi bisogna distinguere tra obiettivi finali e di performance. L’obiettivo finale è un qualcosa sul quale raramente abbiamo il controllo completo ma piuttosto ispira e orienta pensieri, emozioni e azioni verso la meta che si desidera raggiungere. L’obiettivo sulla performance invece indica il livello di performance che ci può aiutare nel raggiungere l’obiettivo finale, è quindi un azione

Modello G.R.O.W. GOALS Cosa vuoi? REALITY Cosa sta succedendo ora? OPTIONS Cosa potresti fare? WHAT- WHEN-WHO-WILL Cosa farai?

(33)

generalmente sotto il nostro controllo e sulla quale possiamo facilmente verificarne il progresso. Un aspetto centrale nel raggiungimento degli obiettivi è l’automotivazione: «Quando voglio farlo, ottengo risultati migliori di quando devo farlo. Voglio farlo per me, devo farlo per te. L’automotivazione è una questione di scelta»44. Affinché vi sia un pieno impegno da parte dell’individuo è necessario che senta propri gli obiettivi. Whitmore fornisce alcune caratteristiche secondo le quali definire gli obiettivi: specifici, misurabili, concordati, realistici, definiti nel tempo, rilevanti, etici, stimolanti. È inoltre importante che gli obiettivi vengano espressi in positivo per permettere di focalizzarsi sull’azione verso qualcosa e non sulla reazione per evitare qualcosa. Questo succede perché la mente non riconosce a livello inconscio i comandi dati in forma negativi: ad esempio porsi come obiettivo durante una partita di tennis “non sbagliare” inevitabilmente concentrerà l’attenzione sull’errore, mentre invece riformulare l’obiettivo come “mettila in campo” obbliga a pensare positivamente. Ogni sessione di coaching inizia quindi con la definizione da parte del coachee di un micro-obiettivo del quale ha completa responsabilità e che gli consentirà di arrivare all’obiettivo finale.

2) Reality: una volta individuato l’obiettivo è fondamentale analizzare la condizione attuale. È necessario che l’analisi della realtà sia il più possibile oggettiva, quindi non filtrata attraverso opinioni, giudizi, paure o aspettative. L’allenamento alla consapevolezza diventa in questa fase la chiave per permettere al coachee di riconoscere e annullare i fattori interni che distorcono la propria percezione della realtà: «abbiamo un certo grado di scelta e controllo su ciò di cui siamo consapevoli, ma ciò di cui non siamo consapevoli ci controlla»45. A questo scopo il coach deve, sempre agendo con il distacco che gli consente di evitare anche i propri condizionamenti, porre domande che incoraggino il coachee a raccontare la realtà in termini descrittivi, senza dare giudizi. Ciò aiuta il coachee ad

44

J. WHITMORE, Coaching, cit., p. 99.

(34)

evitare di cadere nell’autocritica e a mantenere la concentrazione sull’obiettivo. Le domande devono inoltre essere profonde per richiedere un’attenta riflessione da parte del coachee nel fornire una risposta accurata. A seguito dell’analisi della realtà potrà rendersi necessario precisare o modificare alcuni aspetti degli obiettivi, ma è comunque importante che essi siano definiti precedentemente. Unicamente partendo da un quadro chiaro della realtà è possibile compiere delle scelte consapevoli e responsabili, attingendo dal proprio vissuto e proiettate verso l’obiettivo futuro.

3) Options: il passo successivo all’analisi della situazione reale è facilitare il coachee a esprimere la più ampia gamma di opzioni possibili per realizzare il proprio obiettivo. È necessario stimolare al massimo la creatività del coachee per cui, almeno in un primo momento, la quantità delle alternative è maggiormente importante rispetto alla loro qualità o fattibilità. Whitmore sostiene «quando sei sicuro di non avere più idee, tirane fuori ancora una»46. Il coach deve innanzitutto creare un ambiente sicuro per consentire al coachee di esprimere liberamente i propri pensieri e non sentirsi giudicato. Compito del coach è inoltre scardinare le presupposizioni implicite del coachee, i “non si può fare in questo modo”, che gli impediscono una ricerca pienamente creativa, spingendolo a pensare fuori dagli schemi. Il processo di ricerca personale del coachee segue effettivamente i principi della maieutica per cui il coach non suggerisce, propone o tenta di influenzarlo ma si limita ad accompagnarlo monitorandone la consapevolezza. Una volta stabilito un ampio ventaglio di opzioni il coachee è poi incoraggiato a valutare la loro funzionalità rispetto al raggiungimento dell’obiettivo. Il coachee è portato così ad acquisire la consapevolezza che gli consente di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, affiancato dal coach che crede nelle sue potenzialità e confida nella sua riuscita.

4) What-When-Who-Will: la fase finale consiste nel costruire un piano d’azione concreto e dettagliato del modo in cui si procederà verso

(35)

l’obiettivo sulle basi dell’analisi della realtà e dalle opzioni precedentemente raccolte. Si tratta di una fase prettamente operativa nella quale il compito del coach è incoraggiare il coachee, sempre attraverso le domande potenti, a chiarire i dettagli del piano e controllarne l’effettiva realizzazione. Per prima cosa il coachee deve decidere quali tra le alternative individuate mettere in atto, normalmente il piano comprende più di una delle opzioni o parti di esse combinate assieme. In riferimento a ciascun obiettivo di performance il coachee deve poi stabilire delle azioni concrete. Il secondo passo è fissare i tempi precisi nei quali verranno messe in atto tali azioni con scadenze stringenti da rispettare. Questo è un momento importante perché sancisce il passaggio dall’idea all’azione, un ulteriore passo verso la responsabilizzazione del coachee. Successivamente è necessario verificare che l’azione conduca effettivamente all’obiettivo prefissato e prepararsi per gli eventuali ostacoli nel cammino. A questo proposito può essere utile che il coachee individui le persone che vuole coinvolgere nel percorso e che potrebbero aiutarlo nel raggiungere l’obiettivo. Infine il coach sonda l’effettiva volontà da parte del coachee di mettere in atto il piano chiedendogli di definire su una scala da 1 a 10 quanto è sicuro che intraprenderà le azione pianificate, e se ha dato un punteggio inferiore al 10 cosa manca per arrivarci.

Whitmore specifica che il modello G.R.O.W. è efficace unicamente se inserito in un contesto nel quale si mira ad attivare la consapevolezza e la responsabilità delle persone. La sequenza delle quattro fasi identificata dal modello G.R.O.W. è necessaria soprattutto quando si affronta per la prima volta una nuova questione. Quando invece l’obiettivo del coachee è fare progressi su di un aspetto già definito in precedenza il percorso di coaching inizia nella fase in cui effettivamente si vogliono ottenere miglioramenti.

(36)

2.3.4 Tipologie di coaching

Nel corso degli anni l’applicazione del coaching si è notevolmente allargata, in prima battuta dall’ambito sportivo a quello aziendale, per arrivare via via a toccare effettivamente qualsiasi ambito in cui vi possa essere desiderio di miglioramento e cambiamento. Al giorno d’oggi infatti

il coaching risponde ad un contesto economico sempre più competitivo e complesso che richiede maggiore flessibilità nelle competenze e nei comportamenti: le riorganizzazioni, l’internazionalizzazione, l’evoluzione delle tecniche di management e di valutazione, la nascita di nuove tecnologie, sono solo alcuni dei fenomeni che chiamano in causa cambiamenti sempre più frequenti e una maggiore capacità di adattamento47.

In base al contesto di riferimento si possono distinguere tre macro aree di applicazione del coaching:

Sport Coaching: si applica al contesto sportivo e può rivolgersi al singolo atleta o ad una squadra e comprendere anche lo staff tecnico. L’obiettivo è la realizzazione di una migliore performance sportiva massimizzando l’utilizzo delle capacità dell’atleta o della squadra. Il coach non interviene tanto sull’allenamento fisico del coachee quanto piuttosto su quello mentale: aiuta il coachee a sviluppare un atteggiamento mentale positivo che gli permette di gestire l’ansia e lo stress, eliminare eventuali blocchi a livello mentale, individuare le proprie risorse inutilizzate ed agire su di esse. In questo modo, unendo all’allenamento tradizionale il coaching l’atleta aumenta il proprio senso di autoefficacia ed è incoraggiato a porsi obiettivi sfidanti che gli consentano di esprimere al meglio le proprie potenzialità.

Business Coaching: si applica al contesto professionale e ha come obiettivo generale il miglioramento delle performance delle risorse. Questa modalità di coaching può essere intrapresa dal soggetto per volontà personale o a seguito di un’iniziativa aziendale. Il Business Coaching può essere utilizzato ad esempio per affrontare cambiamenti e riorganizzazioni all’interno

(37)

dell’azienda, superare difficoltà, modificare comportamenti disfunzionali, favorire la crescita delle persone. Al suo interno vi sono ulteriori divisioni, a seconda delle diverse figure professionali alle quali si rivolge o dell’obiettivo specifico che si tratta: il Corporate Coaching coinvolge il gruppo dirigente e in alcuni casi l’intera organizzazione, l’Executive Coaching è rivolto a ruoli manageriali ed executive, il Career Coaching è finalizzato specificamente allo sviluppo della carriera lavorativa, il Team Coaching è rivolto a gruppi, ecc.

Life Coaching: si rivolge alla singola persona e ha come obiettivo generale favorire la crescita personale dell’individuo e migliorarne la qualità della vita. Anche questa tipologia di coaching è estremamente versatile e può applicarsi in qualsiasi ambito della vita, a livello personale o professionale, che necessita di un approccio migliore. Il Life Coaching viene spesso utilizzato quando la persona sta vivendo una fase di cambiamenti nella propria vita e ha quindi bisogno di intraprendere un percorso di autoconsapevolezza e scoperta delle proprie potenzialità per migliorare la propria efficacia personale.

2.4 Il Team Coaching

2.4.1 Cos’è un team?

Ad un primo sguardo il termine team può sembrare riferirsi ad un gruppo nel quale le persone lavorano insieme per ottenere un obiettivo comune. Questa condizione richiede sicuramente una certa misura di collaborazione e pianificazione comune ma non è sufficiente per definire pienamente il rapporto di continua interazione e sostegno reciproco che caratterizza un team. Il team si distingue per una qualità delle interazioni tra i membri ben più profonda rispetto a quella presente in un gruppo. Una definizione esauriente di team viene fornita da Jon R. Katzenbach e Douglas K. Smith nel libro The Wisdom of Teams: Creating the High-Performance Organization, nel quale definiscono il team come «un

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