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Effetti sui consumatori di servizi bancari e sulle imprese

3. Effetti delle operazioni di concentrazione tra imprese bancarie

3.2 Effetti sull’efficienza degli intermediari e dei mercat

3.2.3 Effetti sui consumatori di servizi bancari e sulle imprese

Gli effetti delle concentrazioni bancarie non riguardano, però, unicamente gli intermediari creditizi coinvolti, ma si estendono ad una vasta platea di portatori di interessi. I mutamenti indotti dalle operazioni di fusione e acquisizione tra banche risultano, infatti, di fondamentale importanza anche per le imprese che dal credito bancario traggono una quota rilevante dei propri finanziamenti e per i risparmiatori o consumatori dei servizi bancari offerti dalle banche protagoniste delle M&A.

Con riferimento alla clientela degli intermediari creditizi interessati da concentrazioni bancarie, gli studi effettuati per comprendere se questi ultimi traggono o meno dei benefici da tali processi, si sono rivelati di gran lunga inferiori in termini numerici

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Si vedano M. Comana, La concentrazione del sistema bancario italiano, op.cit., p. 39; F. Cesarini, F. Panetta, F. Bizzochi, C. Piazza Spessa, Le concentrazioni bancarie: aspetti economico-tecnici, op.cit., p. 29.

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Operazioni di M&A presuppongono, infatti, l’integrazione organizzativa e l’armonizzazione di culture diverse tra loro, processi piuttosto lunghi e delicati, sebbene l’effettiva complessità dei medesimi vari in base alle caratteristiche delle banche di volta in volta coinvolte in una operazione.

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Le banche, come si è già evidenziato in precedenza, anche a seguito delle operazioni di fusione e acquisizione trovano difficoltà a tagliare le spese per il personale. Queste ultime in rapporto al margine di intermediazione (rapporto che prende il nome di cost/income ratio e che risulta essere il principale indicatore di efficienza operativa) registrano, in genere, un aumento di circa un punto percentuale nell’anno della fusione e nel triennio successivo, e di un punto e mezzo dal quarto anno in poi. Si veda F. Cesarini, F. Panetta, F. Bizzochi, C. Piazza Spessa, Le concentrazioni bancarie: aspetti economico- tecnici, op.cit., p. 31.

rispetto ai precedenti sulle performance di borsa e sull’efficienza degli intermediari bancari protagonisti delle M&A. Tra di essi un contributo importante è quello che ci viene fornito dallo studio condotto da Focarelli e Panetta nel 2002127, che tramite un’analisi delle operazioni realizzate nel mercato dei depositi bancari in Italia dal 1990 al 1998128, ha cercato di individuare l’effetto esercitato dalle M&A bancarie sui tassi sui depositi in conto corrente129 detenuti dalle famiglie. In particolare, è emerso che le aggregazioni bancarie possono influenzare i tassi bancari in due opposte direzioni. Da un lato, l’unione di intermediari caratterizzati da sovrapposizioni territoriali, caso delle cosiddette fusioni in-market o orizzontali, potrebbe avere come conseguenza un incremento del potere di mercato e ciò si tradurrebbe, quindi, in un innalzamento dei prezzi a svantaggio dei consumatori. Dall’altro lato, però, le M&A potrebbero comportare potenziali guadagni di efficienza realizzati attraverso il conseguimento di economie di scala o di scopo o mediante il miglioramento delle capacità manageriali, la cosiddetta X-efficiency, che possono consentire alle imprese di diminuire il prezzo dei prodotti offerti, a beneficio della clientela. L’effetto complessivo delle concentrazioni bancarie sui prezzi di mercato è pertanto di segno incerto e dipenderà dall’importanza relativa delle due forze contrapposte: potere di mercato ed efficienza. In particolare, nel breve periodo si ha che l’incremento del potere di mercato tende a dominare sui guadagni di efficienza, con un danno per i consumatori; mentre nel medio-lungo termine i guadagni di efficienza tendono a sovrastare l’effetto del market power, con un vantaggio per i risparmiatori. Infatti, il potere di mercato derivante dalla fusione può essere esercitato con rapidità; al contrario, il conseguimento dei guadagni di efficienza

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Si vedano D. Focarelli, F. Panetta, “Are Merger Beneficial to Consumers? Evidence from the Market for Bank Deposits”, in Temi di discussione Banca d’Italia, 448, luglio 2002; D. Focarelli, F. Panetta, “La trasformazione del sistema bancario italiano e i suoi effetti sulle imprese e sui risparmiatori”, in Banche e Banchieri, 4, 2002, p. 347 e ss.; A. Resti, Le fusioni bancarie. La lezione dell’esperienza, op. cit., p. 136 e ss.

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L’intervallo di tempo scelto dallo studio di Focarelli e Panetta non è casuale dal momento che l’industria bancaria italiana proprio tra il 1990 e il 1998 è stata interessata da una grande ondata di M&A che ha ridotto il numero di banche sul territorio di quasi il 25%.

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Focarelli e Panetta hanno deciso di analizzare gli effetti delle concentrazioni bancarie italiane sui depositi bancari dal momento che questi ultimi presentano caratteristiche omogenee sia nel tempo che tra le diverse banche, proprio perché risultano prevalentemente definite per legge. Dallo studio sono, invece, stati esclusi i depositi delle imprese, poiché queste utilizzano le banche prevalentemente per servizi finanziari diversi e quindi per i tassi fissati possono essere fortemente influenzati da fattori estranei alle condizioni del mercato dei depositi. In particolare, gli Autori hanno scelto di concentrarsi sui conti correnti, il prodotto bancario più omogeneo, perché essi riflettono pressoché immediatamente le variazioni delle politiche di prezzo conseguenti ad operazioni di M&A. Per un ulteriore approfondimento si veda A. Resti, Le fusioni bancarie. La lezione dell’esperienza, op. cit., p. 136 e ss.

generati dall’integrazione della banca bidder con quella target richiede tempi potenzialmente lunghi. Pertanto, analisi incentrate su un periodo troppo breve successivo all’acquisizione potrebbero dare un peso eccessivo all’incremento del market power e non risultare in grado di identificare con precisione i guadagni di efficienza. In un orizzonte temporale esteso i guadagni di efficienza potrebbero, invece, emergere gradualmente fino a sovrastare l’effetto del potere di mercato. L’incremento dei prezzi osservato nel periodo immediatamente successivo all’aggregazione bancaria potrebbe pertanto risultare un fenomeno solo temporaneo, dal momento che nel lungo periodo i risparmiatori potrebbero beneficiare di un calo dei prezzi di mercato determinato dall’accresciuta efficienza.

In definitiva, Focarelli e Panetta con il loro studio hanno così dimostrato che i benefici nei confronti dei consumatori non sembrano emergere nel breve periodo e per questo motivo ritengono più corretto estendere le analisi relative all’impatto delle fusioni sui prezzi di mercato su un intervallo sufficientemente ampio.

Il processo di concentrazione nel settore bancario ha però comportato cambiamenti non solo nei confronti dei risparmiatori, ma anche nelle relazioni tra banche e imprese. Per esaminare quest’ultima problematica è necessario differenziare l’insieme dei prenditori in base alla dimensione, ovvero distinguendo gli effetti sul finanziamento a seconda che esso venga erogato alle grandi imprese oppure alle piccole-medie imprese (pmi)130. Prima di procedere a tale analisi è bene evidenziare subito che se da un lato la letteratura ha affrontato più volte, come si dimostrerà tra breve, l’impatto dei processi di aggregazione bancaria sul finanziamento alle piccole-medie imprese; dall’altro lato, non sembrano esservi stati, invece, studi specifici per comprendere se e come cambia il rapporto banche-grandi imprese successivamente ad un’operazione di fusione e/o acquisizione.

In particolare, con riferimento alle imprese di grande dimensione si ha che esse, caratterizzandosi per la presenza di fonti di finanziamento ben diversificate tra diverse banche e poco rischiose, tendono a ricevere più credito se una delle loro banche viene acquisita da altre. L’espansione del credito che si registra in questi casi è coerente con l’ipotesi che quando una banca entra a far parte di un gruppo creditizio aumenta la sua

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capacità di offerta131. Sembra, quindi, che le grandi imprese non possano far altro che trarre vantaggio da quelle banche che, in seguito ad un processo di aggregazione, hanno potuto crescere di dimensione, dal momento che queste ultime dovrebbero essere capaci di assistere gli operatori maggiori nel mercato interno, nelle operazioni con l’esterno e sulle linee di prodotto più innovative in modo migliore rispetto ai piccoli intermediari bancari. La diffusione dei processi di crescita esterna nel settore bancario, in generale, dovrebbe, infatti, portare ad un mercato del credito caratterizzato da un’offerta di servizi finanziari articolata e completa, tutto a beneficio delle possibilità di scelta da parte delle grandi imprese. In un sistema bancario interessato da processi di aggregazione bancaria e quindi dalla presenza di banche di grandi dimensioni, si può assistere ad un più efficiente matching tra intermediari e imprese, ovvero le grandi imprese, non dovendo rivolgersi a numerose banche per ottenere un finanziamento (tecnica del pluriaffidamento132), assisteranno ad una migliore corrispondenza tra domanda e offerta di credito133. In pratica, la concentrazione del sistema bancario, determinando una riduzione del numero di banche esposte per ciascuna impresa, ha mutato in misura significativa le relazioni di clientela, ovvero ha contribuito a rendere più esclusivo il rapporto tra le banche coinvolte in operazioni di M&A e le relative imprese-clienti di maggiori dimensioni.

Con riferimento, invece, alla seconda categoria, o meglio all’impatto del processo di aggregazione bancario sul finanziamento alle piccole e medie imprese, sono stati condotti molti studi anche se quasi tutti di stampo statunitense134. Non a caso, infatti, l’evidenza empirica relativa a Paesi diversi dagli Stati Uniti si è rivelata piuttosto scarsa, ovvero vi è la testimonianza solamente di studi applicati al sistema bancario italiano, diretti sempre ad esaminare la variazione della disponibilità complessiva dei prestiti che si può verificare in seguito ad una aggregazione tra banche. Ciò nonostante, tutte le analisi dirette a studiare la relazione che si viene a creare in seguito ad una M&A, tra il

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Si veda E. Bonaccorsi di Patti, G. Gobbi, “The Effects of Bank Mergers on Credit Availability: Evidence from Corporate Data”, in Temi di discussione Banca d’Italia, 479, giugno 2003.

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Il pluriaffidamento, in generale, allenta il rapporto tra banca e impresa, consentendo a entrambe di sfruttare i benefici della diversificazione. L’elevato frazionamento dei fidi e l’elevata variabilità delle relazioni di clientela nel tempo consente alle singole banche di contenere il livello di rischio assunto, pur in assenza di adeguati meccanismi di monitoraggio e di influenza sulle imprese finanziate. La banca sarà quindi meno incentivata ad effettuare un monitoring approfondito, potendo sfruttare il cross monitoring, mentre l’impresa può mettere in concorrenza tra loro i finanziatori bancari per ottenere condizioni migliori sui prestiti.

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Si veda V. Desario, “La concentrazione del sistema bancario”, in Bancaria, 11, 1995.

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credito alle piccole imprese e la dimensione dell’impresa bancaria, sono giunte ai medesimi risultati. In particolare, sia dagli studi di matrice statunitense, come per esempio quelli condotti tra il 1995 e il 1996 da Berger et al., da Levonian e Soller, da Berger e Udell, da Peek e Rosengren e da Strahn e Westoned, sia da quelli di matrice italiana, come per esempio, quello di Focarelli, Panetta e Salleo del 1999, è emerso che in corrispondenza all’aumento delle dimensioni degli istituti di credito interessati da fusioni e acquisizioni dovrebbe associarsi il cosiddetto size effect135, ossia che la quota di asset della banca dedicata al prestito alle piccole imprese dovrebbe diminuire al crescere della dimensione della stessa136. La letteratura, nonostante si sia riferita a Paesi diversi, sembra quindi essere giunta alla conclusione che gli intermediari bancari più piccoli tendono ad investire porzioni maggiori dei loro assets nel prestito alle piccole imprese rispetto alle banche di maggiori dimensioni.

Ciò che ne deriva è che le aggregazioni bancarie, determinando la riduzione del numero delle piccole banche locali più sensibili ed impegnate nel finanziamento delle piccole medie imprese e lasciando, invece, maggior spazio alle banche di maggiori dimensioni, potrebbero essere considerate, come delle potenziali minacce per la disponibilità di credito alle unità produttive di minori dimensioni. Non solo, ma una riduzione dell’offerta di credito alle piccole imprese costituirebbe anche una grave remora per il funzionamento dell’economia, dal momento che i crediti bancari rappresentano un’importante fonte di finanziamento delle piccole e medie imprese anche nei Paesi dove i mercati dei capitali sono maggiormente sviluppati137. Le piccole imprese che si caratterizzano per avvalersi del supporto finanziario delle banche per soddisfare i loro fabbisogni di capitali hanno, infatti, finito col divenire strettamente dipendenti dal credito erogato dagli intermediari creditizi e per questo particolarmente sensibili ai cambiamenti nella struttura dell’industria bancaria, come quelli generati dalla diffusione del fenomeno di consolidamento bancario, ma anche ai mutamenti nella regolamentazione, come ci dimostrano alcune delle novità introdotte dal Nuovo

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Si fa riferimento alla relazione inversa tra la dimensione di una banca e la quota di assets della stessa dedicata al prestito alle piccole imprese. Si veda M. Comana, La concentrazione del sistema bancario italiano, op. cit., p. 107.

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Si veda M. Comana, La concentrazione del sistema bancario italiano, op. cit., p. 145 e ss.

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Accordo di Basilea 2138 che, in un certo senso, sembrano aver contribuito a penalizzare l’offerta di credito delle grandi banche principalmente nei confronti delle pmi139. In particolare, ci si riferisce al primo dei tre pilastri su cui si articola Basilea 2, ovvero quello relativo al calcolo ed alla valutazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e alle modalità di valutazione del rischio di credito, in quanto va ad impattare direttamente sul rapporto banca-impresa, e precisamente sulle pmi. Il Nuovo Accordo di Basilea prevede, infatti, una maggiore attenzione alla valutazione del rischio di credito sostenuto dalle banche le quali, nella valutazione di tali rischi, sono autorizzate a scegliere tra due possibili approcci: uno basato su rating esterni forniti da agenzie specializzate (il cosiddetto Approccio standard); e uno che concede alle banche di utilizzare sistemi di rating realizzati al loro interno per valutare lo standard creditizio degli affidati, ma sempre sotto la stretta sorveglianza dell’Autorità di Vigilanza. L’implementazione del rating esterno e interno sembra rappresentare, quindi, un aspetto critico in quanto dovrebbe produrre un effetto di razionamento della clientela più rischiosa, cioè con un rating più modesto o difficilmente accertabile, come è tipicamente quella rappresentata dalle piccole-medie imprese140. Dovrebbero essere, infatti, proprio le pmi a soffrire dell’evoluzione in atto nel rapporto banca-impresa sia a causa di una loro più difficile valutazione quali-quantitativa ai fini di un affidamento, dovuta anche ad una maggiore opacità dell’informativa di bilancio, sia perché, in base a un’esperienza storica consolidata, il loro rischio è mediamente più elevato di quello dei prestiti alle imprese più grandi. A parità di volume di credito erogabile è del resto evidente che le banche preferiranno concentrare le loro esposizioni sulla clientela con rating più elevato, anche se la considerazione congiunta del binomio rating/condizioni contrattuali potrebbe consigliare una politica diversa. Una politica differente potrebbe essere

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Il Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali delle banche nasce nel giugno del 2004 in un’ottica di miglioramento del precedente Accordo di Basilea del 1988 , il cosiddetto “Accordo di Basilea 1”, e di prosecuzione nel cammino intrapreso dai Paesi maggiormente industrializzati, verso la realizzazione di un legame sempre più stretto tra il capitale delle banche ed i rischi assunti dalle stesse. Il contenuto del Nuovo Accordo, la cui attuazione è prevista per la fine del 2006, si fonda su tre principi fondamentali, definiti “pilastri”: il primo volto a definire i requisiti patrimoniali minimi delle banche e ad individuare le metodologie che queste ultime dovranno adottare nella valutazione dei rischi di credito, di mercato ed operativi; il secondo pilastro, detto di “controllo prudenziale” è volto a ridefinire le procedure che le autorità di vigilanza dovranno seguire nello svolgimento dei loro compiti, ai fini di maggior tutela dei risparmiatori; ed, infine, il terzo pilastro è volto a definire gli obblighi che le banche dovranno assolvere nei confronti del mercato con particolare attenzione alle esigenze di trasparenza e correttezza nei confronti della clientela.

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Si veda A. Resti, Le fusioni bancarie. La lezione dell’esperienza, op. cit., p.175 e ss.

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consigliata anche dalla constatazione che la quantità di patrimonio impegnato da una singola esposizione creditizia, insieme con le sopra citate combinazioni rating/condizioni contrattuali, non dovrebbe essere la sola variabile da prendere in considerazione nella decisione di concedere o di non concedere un credito. Molto importante al riguardo dovrebbe, infatti, essere anche la probabilità di instaurare con il cliente una più o meno intensa e stabile relazione d’affari, che porti a moltiplicare nei suoi confronti il lavoro bancario e finanziario e, quindi, i ricavi relativi. In questo senso è chiaro che le maggiori e migliori possibilità di instaurare e sviluppare intense e stabili relazioni di clientela sono offerte dalle pmi. Non è quindi detto che l’entrata in vigore delle nuove norme di vigilanza prudenziale produca necessariamente un razionamento dei finanziamenti alle pmi, almeno in termini quantitativi puri. Dal punto di vista del costo e delle altre condizioni contrattuali potrebbero esserci, invece, effetti restrittivi, ovvero sembrerebbe che le pmi dovrebbero attendersi un futuro caratterizzato da un credito bancario a loro favore più scarso, più caro e stipulato con clausule contrattuali più onerose.

In definitiva sembra, quindi, che alla riduzione del numero dei rapporti tra banca e impresa abbia e stia contribuendo non solo la crescente diffusione delle fusioni e/o acquisizioni bancarie, ma anche l’introduzione delle novità previste dal Nuovo Accordo di Basilea (Basilea 2). Nello specifico, sembra quasi che i maggiori gruppi bancari stiano dimostrando, negli ultimi anni, un interesse progressivamente minore nei confronti delle piccole e medie imprese, ovvero sembrano essere meno impegnati nel concedere credito alle pmi non tanto perché non vogliano farlo, ma perché nell’attivare questa linea di business incontrano oggettive difficoltà. In particolare, le istituzioni più grandi, create da una fusione e acquisizione, possono essere meno inclini di quelle più piccole a prestare frazioni dei loro assets alle aziende di minori dimensioni, sia perché assistono ad una riduzione del loro patrimonio informativo, sia perché raggiungono una maggiore complessità organizzativa.

Nell’attività di prestito alle piccole imprese risulta fondamentale l’informazione locale che gli intermediari devono raccogliere ed elaborare. Da questo punto di vista le piccole banche locali riescono a gestire meglio di un grande istituto i rapporti con tale tipo clientela, dal momento che la ridotta dimensione consente loro di instaurare uno stretto rapporto e un contatto diretto con le loro imprese-clienti e, di conseguenza, di avere

informazioni più specifiche e dettagliate su quest’ultime e sulle condizioni locali in cui esse operano141. La teoria dell’intermediazione creditizia mostra, infatti, che lo sviluppo di strette relazioni di clientela può consentire alle banche di superare i problemi derivanti dalle asimmetrie informative142. I vantaggi comparati delle banche nella selezione dei clienti e nel loro controllo fanno sì che i prestiti concessi nell’ambito di strette relazioni di clientela siano più efficienti rispetto ad altre forme di finanziamento per un’ampia classe di debitori opachi dal punto di vista informativo. Le operazioni di fusione e acquisizione, determinando la nascita di istituti di credito di grandi dimensioni, generano una carenza di offerta di credito verso quei clienti che hanno più difficoltà ad attivare nuove fonti di finanziamento, ad esempio le imprese più piccole, opache e rischiose. Dopo un’operazione di concentrazione le banche coinvolte tendono, quindi, a modificare le loro politiche di erogazione del credito a sfavore delle piccole imprese, dal momento che la produzione simultanea di differenti prodotti finanziari, come sono effettivamente considerati i crediti alle piccole e quelli alle medie e grandi imprese, può determinare la nascita di diseconomie organizzative143. Tali diseconomie potrebbero sorgere dal momento che prestare a imprese piccole, e di cui non si conosce molto, è un’attività estremamente diversa rispetto all’erogazione di un prestito ad un’impresa di grandi dimensioni e di cui si dispone di un elevato contenuto informativo. Essa può richiedere l’uso di differenti tecnologie e, in generale, di una “cultura del credito” interamente diversa. In particolare, si ha che le procedure associate alla selezione e al monitoraggio dei piccoli prenditori di prestiti e alla trasmissione delle informazioni rilevanti nell’istituzione bancaria risultano essere molto differenti rispetto