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3. Effetti delle operazioni di concentrazione tra imprese bancarie

3.2 Effetti sull’efficienza degli intermediari e dei mercat

3.2.2 Effetti sull’efficienza delle banche coinvolte

Le M&A non generano solamente effetti sulle performance di Borsa di breve periodo, ma anche sull’efficienza delle banche protagoniste dell’operazione. L’approccio adottato per valutare l’impatto delle aggregazioni bancarie sull’efficienza delle banche interessate è quello basato su dati o indici di bilancio che consiste nel confronto tra le performance di bilancio conseguite dalle banche nel periodo precedente alla M&A e quelle ottenute nel periodo successivo. Si può, in particolare, scegliere tra un’analisi meramente descrittiva e una esplicativa. La prima confronta i valori assunti prima e dopo la fusione da alcuni indicatori di performance della banca; in alternativa, sempre facendo riferimento agli stessi indicatori, si può mettere a confronto il comportamento tenuto dalle banche interessate da una aggregazione bancaria con quello di istituti simili, per esempio, nella dimensione, nel paese d’appartenenza, nel settore, ma che non sono stati impegnati in alcuna operazione di M&A. Il secondo tipo di analisi cerca, invece, di stabilire se esiste una relazione tra gli effetti in termini di efficienza prodotti da un’operazione di fusione e acquisizione e alcune caratteristiche specifiche degli istituti coinvolti, come, ad esempio, la dimensione.

L’approccio su indici di bilancio, sia che si basi su un’analisi descrittiva o su una esplicativa, considera come orizzonte temporale il medio periodo e questo è giustificato dal fatto che le M&A, in generale, sono operazioni molto complesse, che dispiegano i loro riflessi nel medio-lungo piuttosto che nel breve periodo. Pertanto, la significatività del menzionato confronto rende necessario il calcolo degli indici o la stima dell’efficienza in un arco temporale comprendente i due-tre esercizi precedenti e i due- tre esercizi successivi all’operazione, sebbene il lasso di tempo necessario a ciascuna aggregazione per produrre i suoi effetti vari da caso a caso. Qualora venga considerato un arco temporale più breve, i risultati potrebbero venire influenzati da temporanei

shock durante la fase di implementazione della fusione o da errori accidentali. Viceversa, qualora fosse considerato un periodo più lungo, i risultati potrebbero essere influenzati da fattori estranei alla concentrazione, quali i mutamenti nell’ambiente circostante.

Le performance contabili oggetto di tale approccio, se da un lato presentano il vantaggio di essere direttamente misurate e, quindi, facilmente ottenibili e comprensibili; dall’altro lato, però, non sono esenti da critiche. In particolare, un consistente punto debole è costituito dall’impiego stesso dei dati di bilancio. Pur essendo spesso l’unica fonte informativa disponibile, non sempre i dati di bilancio sono attendibili, sia perché spesso sono ottenuti applicando criteri, quali il costo storico, che non tengono conto dell’effettivo valore di mercato di talune poste, sia perché, non prendendo in considerazione gli eventi estranei alla concentrazione, potrebbero condurre a conclusioni improprie relativamente agli effetti delle fusioni sulle singole banche protagoniste.

Per comprendere gli effetti generati da una M&A sull’efficienza delle banche protagoniste delle operazioni di fusione e acquisizione sono state fatte numerose indagini empiriche basate sull’analisi per indici. Queste ultime, che sono state condotte rispettivamente su industrie bancarie statunitensi, europee e italiane, hanno ottenuto risultati contrastanti nel senso che alcuni Autori hanno riscontrato miglioramenti lievi o consistenti negli indicatori delle banche scaturite da M&A; altri, invece, hanno riscontrato miglioramenti parziali o limitatamente a determinati casi o circostanze; altri, infine, non hanno riscontrato alcuna differenza tra valori pre-merger e post-merger dei ratio di bilancio. Tuttavia, la letteratura attraverso indagini empiriche ha tentato di individuare fattori e caratteristiche che incidono sulla performance post-merger delle banche scaturite da M&A e da queste ultime è emerso sia che le fusioni tra banche operanti nello stesso mercato offrono maggiori spazi per la riduzione dei costi per l’elevato grado di sovrapposizione tra i partner; sia che si individuano più consistenti risparmi di costo nelle fusioni fra banche di dimensioni simili.

Sono più di uno gli studi che hanno tentato di verificare che si assiste ad un miglioramento dell’efficienza operativa soprattutto nel caso in cui l’aggregazione coinvolge banche operanti in mercati simili e contigui che portano alla creazione di una

nuova entità di dimensioni relativamente contenute108. Ciò può essere spiegato con il semplice fatto che è evidentemente più facile realizzare risparmi di costo quando le istituzioni coinvolte nell’operazione di aggregazione non sono troppo distanti tra loro e quando la grandezza complessiva della nuova banca rimane comunque gestibile. In particolare, con riferimento a quanto è appena stato detto sopra, tra le indagini empiriche più significative si devono ricordare quella di Srinivasan del 1992 condotta su due campioni di M&A, uno relativo a 77 concentrazioni attuate nei soli stati del southeast e l’altro relativo a 240 fusioni e incorporazioni realizzate in tutti gli Usa nel periodo 1982-1986109; quella di Zollo e Leshchinkskii del 2000 basata sulla valutazione della performance post-merger di 47 bank holding companies coinvolte in M&A nel periodo 1964-1996110; ed, infine, quella di Houston, James e Ryngaert del 2001 condotta su un campione di 64 fusioni e incorporazioni fra banche di grandi dimensioni annunciate fra il 1985 e il 1996111. Tuttavia, soltanto Houston, James e Ryngaert hanno riscontrato risparmi di costo a seguito di horizontal mergers.

Inoltre, gli effetti delle fusioni sono più significativi quando, oltre al mercato di riferimento, le banche coinvolte presentano anche una dimensione simile, dal momento che l’acquisto di una piccola banca può non essere sufficiente ad incidere sui livelli di efficienza di un’istituzione più grande. Il sopraccitato studio di Srinivasan del 1992 e quello di Vander Vennet del 1996, condotto su un campione di 422 fusioni ed incorporazioni fra banche europee e 70 fra banche europee e banche extra-comunitarie

108

Si vedano A. Srinivasan, “Are There Cost Savings from Bank Mergers?” in Federal Reserve Bank of Atlanta Economic Review 77(2), 1992, pp. 17-28; R. Vander Vennet, “The Effect of M&As on the Efficiency and Profitability of EC Credit Institutions,” in Journal of Banking and Finance 20, 1996, pp. 1531-1558; A. Resti, “Le fusioni tra banche accrescono l’efficienza? Un’analisi dell’esperienza italiana, 1986-1995”, in Materiali Assbank, 20, 1997.

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L’Autore ha considerato il rapporto fra non-interest expenses e operative income quale indicatore di efficienza, senza rilevare alcun miglioramento nel valore post-merger di tale indicatore. Inoltre, i risultati mostrano che le fusioni in-market hanno il medesimo impatto sull’efficienza rispetto alle altre fusioni e, invece, le fusioni tra eguali apportano benefici superiori rispetto alle altre concentrazioni. I risultati sono sostanzialmente analoghi per entrambi i campioni analizzati.

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Secondo tali Autori gli indicatori di performance non registrano variazioni nel periodo successivo ad una concentrazione. La redditività è correlata positivamente con il livello di integrazione e negativamente con la rimozione del management dell’acquisita. In generale, le esperienze accumulate nelle passate acquisizioni non incidono sulla redditività a meno che non si sia proceduto ad articolare e codificare tali esperienze.

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Gli Autori hanno riscontrato un miglioramento nell’indicatore dell’efficienza operativa, ovvero nel cosiddetto Cost Income Ratio, ottenuto dal rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione. Quest’ultima varia in funzione della performance pre-merger degli intermediari coinvolti in M&A, del grado di sovrapposizione fra i partner e delle stime sui risparmi di costo attesi. Di solito, i risultati sono in linea con le previsioni del management.

messe in atto nel periodo tra il 1988 ed il 1993112, hanno individuato consistenti risparmi di costo nelle fusioni fra banche di dimensioni simili. Ciò nonostante, vi sono però altri studi che, nel tentativo di analizzare le correlazioni fra performance post- merger e dimensione degli intermediari partecipanti a M&A, hanno ottenuto risultati contrastanti. Kwan e Wilcox, per esempio, con un’indagine del 1999 su un campione di 1134 M&A realizzate fra il 1987 e il 1995113, non hanno rilevato alcuna correlazione fra dimensione e performance; mentre sia Giorgino e Porzio con uno studio del 1997 su un campione composto da 11 fusioni per unione realizzate tra il 1991 e il 1994 e 30 fusioni per incorporazione realizzate tra il 1989 e il 1994114; che Kwan e Eisenbeis con un’analisi del 1999 su un campione di 94 M&A realizzate tra il 1989 e il 1996115, hanno riscontrato performance superiori quando la banca acquisita ha una dimensione assai più ridotta rispetto all’acquirente.

Altri studi evidenziano, infine, miglioramenti nella performance delle nuove banche in seguito ad aggregazioni fra istituti di credito appartenenti al medesimo gruppo bancario. A tal proposito si ricorda l’indagine di Linder e Crane del 1993 su un campione di 47 fusioni fra banche del New England (Usa) messe in atto nel periodo 1982-1987116.

112

Secondo Vander Vennet soltanto le fusioni fra intermediari di dimensioni simili originano miglioramenti di efficienza agevolando la riduzione degli sprechi ed il pieno sfruttamento delle sinergie.

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Kwan e Wilcox attraverso la misurazione delle variazioni nelle singole componenti dei costi operativi, hanno rilevato una riduzione media dei costi e, in particolare, del costo del lavoro, determinati però soltanto dalle fusioni più recenti (1993-1995). Si veda S.H. Kwan, J.A. Wilcox, “Hidden Cost Reductions in Bank Mergers: Accounting for More Productive Banks”, in Federal Riserve Bank of San Francisco, 1999, pp. 553-547.

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Le incorporazioni sono effettuate da grandi banche poco efficienti che acquisiscono istituti di credito di piccole dimensioni ma più efficienti, fortemente radicate in territori locali e operanti prevalentemente al dettaglio ed hanno un positivo impatto sulla performance post-merger sulle acquirenti. Le fusioni per unione, invece, sono messe in atto da banche di dimensioni analoghe e perciò originano più alti costi a causa probabilmente delle difficoltà nell’integrazione dei due istituti. Soltanto le fusioni per incorporazione producono incrementi negli indicatori di efficienza e, in particolare, nell’incidenza di costi operativi e personale sul totale attivo. Il contrario accade per le fusioni per unione. Gli Autori hanno riscontrato, altresì, incrementi nell’incidenza degli impieghi verso la clientela sul totale degli investimenti per entrambe le tipologie di operazioni. Le fusioni per unione favoriscono l’incremento delle risorse disponibili per gli impieghi alla clientela.

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Secondo tali Autori le fusioni determinano una riduzione della redditività, un peggioramento dell’efficienza, un accrescimento della capitalizzazione e del portafoglio prestiti. Non solo, i risultati mostrano una correlazione negativa fra redditività pre-merger e post-merger di acquirenti e acquisite e positiva fra indicatori di costo e livello post-merger di efficienza. La dimensione dell’acquirente sull’acquisita incide sulla redditività, sulle spese e sulla proporzione dei prestiti, determinando variazioni tanto più ampie quanto più tale dimensione è elevata. La dimensione dell’acquisita è correlata positivamente alla capitalizzazione e negativamente al rapporto prestiti su totale attivo.

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Secondo tali Autori la redditività e la crescita dell’attivo non migliorano negli anni successivi ad una concentrazione, mentre l’indice di efficienza, misurato dal rapporto fra non interest expenses e totale attivo, subisce addirittura un peggioramento. Soltanto le aggregazioni all’interno del medesimo gruppo

È bene evidenziare, inoltre, che è arduo che i guadagni in termini di efficienza operativa si manifestino in tempi brevi, ovvero subito dopo un’aggregazione bancaria117. Questo risulta evidente con riferimento alla rigidità del mercato del lavoro, che ostacola la riduzione del numero di dipendenti, laddove necessaria, e per questo le imprese, non potendo licenziare i lavoratori, si vedono costrette ad intraprendere strade alternative come, per esempio, il ricorso ad incentivi economici per spingere il personale più anziano ad andare in pensione. In tal caso, non solo non si assiste ad un miglioramento immediato dell’efficienza operativa, ma nel breve termine si può addirittura assistere ad un suo peggioramento, dal momento che la riduzione dei costi operativi incontra vincoli di varia natura. L’integrazione di differenti compagini aziendali, la combinazione di culture d’impresa spesso assai diverse, l’omogeneizzazione di metodi e procedure di lavoro richiedono tempo e gradualità al fine di evitare tensioni e contrasti dannosi per l’impresa. Tali vincoli e difficoltà inerenti la fase di implementazione della fusione e, in particolare, l’integrazione delle attività di back office118 e dei sistemi informativi provocano un appesantimento nella struttura del nuovo intermediario creditizio innalzando anziché ridurre i costi. Di solito, infatti, i tempi necessari per realizzare guadagni di efficienza ovvero affinché i potenziali vantaggi delle aggregazioni si pongano in essere sono in genere dell’ordine di due-tre anni119. Emerge, quindi, che la nuova banca nata in seguito ad un processo di M&A assista nel breve periodo, più che ad un miglioramento dell’efficienza da costi, ad un miglioramento dell’efficienza da ricavi. In altre parole, gli effetti sull’efficienza di fusioni e acquisizioni devono essere ricercati non tanto dal lato degli input (cost efficiency) e dei costi (scale efficiency e scope effciency), quanto dal lato degli output e dei ricavi (revenue efficiency). La maggioranza degli studi ha, infatti, messo in rilievo, da un lato, l’impatto negativo o neutro di M&A su cost efficiency, scale efficiency e scope efficiency e, dall’altro lato, l’impatto positivo sulla revenue efficiency. La nuova banca nata da M&A beneficierà di

bancario accrescono la redditività in misura superiore rispetto sia alle altre M&A, sia alle banche non coinvolte in M&A.

117

Si veda D. Focarelli, F. Panetta, “La trasformazione del sistema bancario italiano e i suoi effetti sulle imprese e sui risparmiatori”, in Banche e Banchieri, 4, 2002, p. 348.

118

Nel back office, invece, si svolgono tutte le attività di progettazione, costruzione e verifica degli strumenti, dei processi e delle procedure di lavoro, di presidio dei flussi informativi interni. Il back office è il luogo dove confluiscono tutti i flussi informativi dell’Ente e dove questi vengono “lavorati” ai fini esterni.

119

Si veda ECB, Mergers and Acquisitions involving the EU banking industry – facts and implications, 2000.

incrementi nei ricavi e, quindi, di un miglioramento nella revenue efficiency attraverso l’accrescimento della produzione e la vendita di output alla clientela, la diversificazione produttiva e il rafforzamento del potere di mercato. In questo modo, le banche nate da M&A generalmente beneficiano di un miglioramento nella revenue efficiency.

Più contrastanti sono, invece, i risultati dell’impatto di M&A sulla profit efficiency. Taluni studi empirici hanno riscontrato notevoli miglioramenti nella profit efficiency imputabili a consistenti incrementi nei ricavi. A tal proposito si devono ricordare le analisi di Akhavein, Berger e Humphrey del 1997 su un campione di fusioni messe in atto nel corso degli anni ottanta da banche di dimensioni molto rilevanti120 e quelle di Berger del 1998 su un campione di M&A realizzate nel periodo 1991-1994121.

Tuttavia, altre indagini empiriche non hanno riscontrato alcun impatto nella profit efficiency a causa del congiunto aumento di costi e ricavi. Significativi risultano in tal caso gli studi di Focarelli, Panetta e Salleo del 1999 su tutte le concentrazioni realizzate in Italia nel periodo 1984-1996122; e quello di Malavasi del 2000 su un campione di fusioni e incorporazioni nel periodo 1990-1993123.

Dalle evidenze empiriche sopraccitate emerge che i risultati in merito alle economie di scala, di scopo e di X-efficiency non sono del tutto univoci, dal momento che la valutazione dell’efficienza del sistema bancario è un tema complesso e, quindi, per

120

Secondo tali Autori gli incrementi nella profit efficiency si originano da ricomposizioni degli attivi bancari che hanno accresciuto l’incidenza dei prestiti alla clientela e ridotto il peso degli investimenti in titoli, senza crescita nel livello dei costi. La banche scaturite da fusioni sembrano più capaci nel perseguimento della diversificazione dei rischi. Tali guadagni sono maggiori sia nel caso in cui l’acquirente è efficiente ed acquista e ristruttura un’impresa che lo è meno, sia quando entrambi i partner hanno modesti livelli pre-merger di efficienza.

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L’Autore ha rilevato un miglioramento nella profit efficiency, ma non nella cost efficiency. I maggiori benefici sono riscontrati per le operazioni fra banche aventi bassi livelli pre-merger di efficienza, mentre il contrario accade per le banche che prima della fusione erano più efficienti della media. Anche in questo caso, i benefici sono originati dal più esteso inserimento nei prestiti alla clientela e dalla più elevata capacità della nuova banca nella diversificazione dei rischi.

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Gli Autori hanno distinto fra analisi pre-merger ed analisi post-merger. L’analisi pre-merger ha messo in evidenza performance assai deludenti per le “banche passive”. Nelle fusioni tali risultati sono motivati dagli ingenti costi del personale, mentre nelle acquisizioni dalla presenza di elevate partite in sofferenza. I risultati post-merger indicano un incremento nei ricavi da servizi compensato, tuttavia, da un peggioramento nei costi operativi, soprattutto relativi al personale, e, più in generale, nella cost efficiency, con un effetto aggregato su profit efficiency e redditività pressoché nullo.

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L’Autore ha rilevato un consistente peggioramento nel livello dei costi medi nell’anno immediatamente successivo a quello in cui la concentrazione è stata messa in atto ed un progressivo miglioramento dei risultati nei due anni seguenti fino al ritorno su livelli prossimi ai livelli pre-merger. L’Autore ha riscontrato altresì incrementi nei ricavi compensati, tuttavia, dalla crescita nei costi operativi. Nel complesso, la profit efficiency non subisce variazioni significative.

niente agevole124. Alcuni Autori sostengono che le M&A non apportano alla banca risultante dalla aggregazione nessun miglioramento dell’efficienza operativa, mentre altri hanno dimostrato che dei benefici in termini di risparmi di costo per le banche protagoniste si verificano, ma, come si è già ribadito più volte, non in modo immediato125.

Ne deriva, quindi, che le operazioni di fusione non costituiscono un metodo efficace per conseguire, in via diretta e in tempi brevi, la razionalizzazione dei costi, la quale può invece essere considerata come un risultato secondario e, comunque, raggiungibile in modo graduale soltanto in un arco temporale non breve126. Secondo altri Autori nel breve periodo più che assistere ad un miglioramento dell’efficienza da costi risulta, infatti, più facile che si verifichi un miglioramento dell’efficienza da ricavi, dal momento che per la nuova banca risulta più semplice diversificare la propria produzione che razionalizzare i fattori produttivi, in particolare la forza lavoro.