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A partire dai primi anni Novanta si sviluppa anche in Italia, in linea con il trend dei principali Paesi europei, il mercato delle concentrazioni tra banche, frutto della complessa interazione di fattori esterni di origine ambientale (deregolamentazione, innovazione tecnologica e introduzione della moneta unica), di cui si è già ampiamente parlato in precedenza, e di scelte strategiche delle singole imprese bancarie. Le motivazioni che, in generale, possono spingere gli intermediari bancari a ricorrere a processi di concentrazione bancaria sono molteplici166, ma con riferimento all’industria bancaria italiana, che fino alla fine degli anni Ottanta si è caratterizzata soprattutto per la presenza di una miriade di banche piccole e medie fortemente radicate in limitate aree geografiche e di un limitato numero di banche di dimensioni maggiori operanti su scala interregionale o nazionale167, esse possono essere ricondotte principalmente a quelle di

165

Per ulteriori approfondimenti si veda G. Forestieri, P. Mottura, Il sistema finanziario, op. cit., p. 79.

166

Per maggiori approfondimenti su questo punto si veda paragrafo 1.2 – Capitolo I.

167

Per informazioni sulla classificazione dimensionale delle banche adottata da Banca d’Italia si veda sezione: Note metodologiche, tavv. aD15 e aD21 contenuta all’interno della Relazione Annuale di Banca d’Italia del 2006 sul 2005. Al 31 dicembre 2005 su un totale di 784 banche italiane, 11 erano considerate “maggiori”, 11 “grandi”, 33 “medie”, 124 “piccole” e 605 “minori”. Emerge, quindi, come il mercato

tipo strutturale, quali l’urgenza di ricercare dimensioni medie più elevate da parte degli intermediari, o la necessità di ridurre la quota di partecipazione statale nel mercato del credito (privatizzazione). A queste possono poi aggiungersi spinte motivazionali di altra natura, il cui raggiungimento risulta agevolato da parte di quelle banche che, in seguito al ricorso a processi di concentrazione, hanno potuto accrescere la loro dimensione168. In particolare, ci si riferisce a quelle più prettamente gestionali come, per esempio, la necessità di raggiungere, attraverso economie di scala, di scopo o di X-efficiency, livelli di efficienza più elevati; e alle determinanti strategico-territoriali riconducibili alla necessità delle banche di ricorrere alla crescita per espansione esterna per entrare in nuove aree territoriali o per difendersi dai potenziali concorrenti169. Infine, tra le spinte alle aggregazioni bancarie un ruolo importante è da ricondurre alla tutela della stabilità del sistema del credito. Molte concentrazioni tra banche italiane hanno, infatti, visto come variabile ispiratrice principale la necessità di porre rimedio a situazioni di dissesto bancario, più o meno dichiarato170.

Dopo aver passato in rassegna le principali determinanti che hanno spinto le banche italiane a ricorrere a processi di concentrazione bancaria, risulta interessante prendere in considerazione le caratteristiche che hanno contraddistinto tale fenomeno in Italia dai primi anni Novanta fino ad oggi. A tal fine si devono analizzare le aggregazioni bancarie che hanno interessato il nostro Paese da un punto di vista sia quantitativo, e quindi facendo riferimento al numero di operazioni di M&A realizzate, alla loro distribuzione temporale e alla principale modalità di aggregazione utilizzata, sia qualitativo, ovvero riferendoci alla distribuzione territoriale e alla classe dimensionale delle imprese bancarie coinvolte nelle concentrazioni.

bancario italiano nel 2005, nonostante il processo di concentrazione nel settore del credito sia stato particolarmente attivo dal 1990 ad oggi, risulta essere ancora caratterizzato prevalentemente dalla presenza di imprese bancarie di piccola dimensione. Per ulteriori informazioni si veda Glossario Banca d’Italia, in Relazione Annuale Banca D’Italia, 31 maggio 2006, p. 348.

168

Si veda M. La Torre, Le concentrazioni tra banche, op. cit., p. 64 e ss.

169

Il presidio del territorio costituisce una variabile altamente significativa nel contesto italiano, tutt’oggi ancora caratterizzato dalla presenza di numerose banche di piccole dimensioni e, fino a un recente passato, da nicchie di mercato assicurate da una vigilanza strutturale fortemente protettiva. La circostanza che una quota significativa delle concentrazioni tra banche italiane faccia riferimento al settore delle banche di credito cooperativo, di cui si parlerà in seguito, conferma l’intensità delle motivazioni sopra richiamate.

170

Si veda G. Gandolfi, La concorrenza nel settore bancario italiano, Bancaria Editrice, Roma, 2002, p. 111.

Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2004 il numero delle banche operative in Italia è passato da 1.156 a 778, corrispondente a una riduzione pari a circa il 32%, di cui più del 70% risulta attribuibile alla scomparsa delle banche di credito cooperativo (BCC, ex casse rurali ed artigiane) che si caratterizzano per le ridotte dimensioni171 e per l’esigua massa di fondi intermediati172, il cui totale, tra il 1990 – 2005, è risultato inferiore all’1% rispetto al totale dell’industria bancaria che, nel medesimo periodo, è risultato essere pari invece al 14,41%. Dalla Tabella 12 emerge, infatti, che dal 1990 al 2004 in Italia sono scomparse ben 276 banche di credito cooperativo su un totale di 378 banche non più operative; tuttavia, la prevalenza di concentrazioni fra banche di credito cooperativo non sorprende se si considera che le BCC, pari a 439 nel 2004, costituiscono la categoria di banche più numerosa all’interno dell’industria bancaria italiana.

In particolare, l’andamento del processo aggregativo in Italia, dagli anni Novanta ad oggi, ha conosciuto due distinte “ondate”, che evidenziano come la distribuzione temporale di tale fenomeno sia risultata abbastanza irregolare173. La prima ha avuto origine agli inizi degli anni Novanta ed ha raggiunto il culmine nel 1995174, per poi calare nei due anni successivi. In questa fase sono sorti intermediari bancari che, pur non avendo dimensioni tali da competere ad armi pari con i colossi tedeschi, francesi e

171

Le banche di credito cooperativo sono solitamente di piccola o di piccolissima dimensione e si caratterizzano per esercitare il credito prevalentemente a favore dei soci i quali devono risiedere, aver sede ovvero operare con carattere di continuità nel territorio di competenza della banca, quest’ultimo costituito dal Comune nel quale la banca ha sede; dai Comuni limitrofi e dai Comuni fuori della zona di competenza, ma indicati nello Statuto della banca. Esse devono inoltre destinare almeno il 70% degli utili netti annuali a riserva legale. Si vedano R. Ruozi, Economia e gestione della banca, op. cit., p. 14; M. La Torre, Le concentrazioni tra banche, op. cit., 136 e ss.

172

Il volume dei fondi intermediati si ottiene dal rapporto percentuale fra il totale delle attività di un certo numero di banche e quello globale del sistema bancario. Se il volume di attività svolto da un certo numero di banche è relativamente modesto rispetto al volume di attività svolta dal complesso del sistema, si può affermare che il grado di concentrazione è molto basso e che il tipo di mercato che si viene conseguentemente a formare è molto concorrenziale. Viceversa, se il volume di attività svolto da un certo numero di banche è elevato rispetto al volume di attività svolta dal complesso del sistema, il grado di concentrazione è elevato e il tipo di mercato che si crea è poco concorrenziale. Si veda R. Ruozi, Economia e gestione della banca, op. cit., p. 339.

173

Si vedano S. De Angeli, Banca universale o gruppo creditizio?, op. cit., p. 92 e ss.; M. Comana, La concentrazione del sistema bancario italiano, op. cit., p. 72.

174

L’ondata di fusioni verificatasi fino al 1995 è stata fortemente condizionata anche dalle agevolazioni fiscali promesse alle fondazioni proprietarie delle banche per dismettere la partecipazione di maggioranza o di controllo ancora detenuta nelle stesse. Si vedano R. Ruozi, Economia e gestione della banca, op. cit., p. 5; G. Birindelli, S. Del Prete, La creazione di valore nelle banche italiane, FrancoAngeli, Milano, 2000, p. 74.

spagnoli, hanno raggiunto dimensioni significative, almeno per la realtà italiana175. La seconda “ondata” è, invece, tuttora in corso e da quest’ultima stanno sorgendo imprese bancarie che aspirano sempre di più ad avere dimensioni vicine a quelle dei principali competitors europei176.

Le diminuzioni più significative si sono verificate, quindi, negli anni 1990-1995 (-186 banche di cui circa la metà BCC) e 1998-2004 (-143 banche di cui l’86% costituito da BCC), coincidenti con momenti di realizzazione di più incisive azioni di deregulation e liberalizzazione del mercato e di conseguente acutizzazione del fenomeno delle aggregazioni177.

Tuttavia, nel 2005 Banca d’Italia ha rilevato, in controtendenza rispetto a quanto affermato sopra, un aumento del numero delle banche operative in Italia che da 778 nel 2004 sono passate a 784 nel 2005, incremento da attribuire principalmente, come emerge dalla Tabella 13, alla crescita registrata dal numero delle succursali di banche estere tra il 2004 e il 2005, dal momento che in tale periodo il numero delle banche spa, popolari e di credito cooperativo è rimasto sostanzialmente invariato.

175

Come testimonianza del grande attivismo delle banche italiane nei processi di aggregazione bancaria negli anni 1990-1995, si devono ricordare sia le banche maggiori che sono sorte nel periodo considerato, come per esempio, il Gruppo San Paolo di Torino, il Credito Italiano, la Cariplo, la Banca di Roma; sia le altre, ovvero quelle minori in termini di totale attivo, come per esempio, il Banco Ambrosiano Veneto, il Credito Agrario Bresciano, e la Banca Popolare di Bergamo – Credito Varesino.

176

Ci si riferisce ai grandi gruppi bancari, in termini di totale attivo, che si sono creati in Italia negli ultimi anni, come per esempio Gruppo Intesa Bci, Gruppo Unicredito Italiano e Gruppo SanPaolo-Imi.

177

Come si è già detto più volte un impulso decisivo all’avvio e alla diffusione del fenomeno aggregativo è stato dato dall’emanazione, agli inizi degli anni Novanta, di alcune norme, in particolare dalla Legge Amato n. 218 del 1990 sulla privatizzazione delle banche pubbliche; dalla liberalizzazione degli sportelli del 1990; dall’introduzione del Testo Unico in materia creditizia, ovvero dal TUB del 1993; ed, infine, dall’introduzione del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria, ovvero dal TUF del 1998; tutte normative finalizzate al superamento dei vincoli alla realizzazione di M&A.

Tabella 12 – Fusioni, incorporazioni e trasferimenti del controllo del sistema

bancario italiano1 (1990-2005)

Fusioni e incorporazioni Fusioni e incorporazioni

Acquisizioni della maggioranza del capitale*** Anno Numero di banche operative* di cui BCC Numero di operazioni di cui BCC Fondi intermediati2 di cui BCC Numero di operazioni Fondi intermediati2 1990 1.156 715 19 10 1,06 0,02 4 0,37 1991 1.108 708 33 22 0,35 0,03 5 0,37 1992 1.073 700 20 9 3,04 0,01 1 0,01 1993 1.037 671 38 25 0,63 0,05 6 1,50 1994 994 643 42 25 1,59 0,05 10 1,90 1995 970 619 47 28 1,54 0,10 19 4,50 1996 937 591 37 25 0,47 0,05 19 1,08 1997 935 583 24 12 0,80 0,05 18 3,42 1998 921 662 27 18 2,65 0,08 23 11,02 1999 876 531 36 23 0,39 0,06 28 14,35 2000 841 499 33 22 1,50 0,09 24 4,86 2001 830 474 31 21 0,08 0,06 9 1,55 2002 814 461 18 16 0,06 0,05 12 5,06 2003 788 445 19 14 0,19 0,05 7 1,47 2004 778 439 10 7 0,04 0,02 7 0,35 2005 784 439 4 3 0,02** 0,00 7 2,39** Totale 438 280 14,41 0,77 199 54,2 Note:

- (1) se l'incorporazione è successiva all'acquisto del controllo non viene rilevata, a meno che non avvenga nello stesso anno, nel qual caso non viene rilevata l'acquisizione. Sono escluse le operazioni con succursali di banche estere e le operazioni infragruppo. Per l'acquisto del controllo rileva la data di iscrizione al gruppo, per le fusioni e incorporazioni la data di efficacia dell'atto. I fondi intermediati si riferiscono a dicembre dell'anno precedente l'operazione. Nelle fusioni si considerano i fondi intermediati della banca più piccola e si escludono i fondi intermediati della banca più grande. Le cessioni di attività e passività sono considerate incorporazioni;

- (2) in percentuale dell'intero sistema;

- * il numero di banche operative in Italia tra il 1990 e il 2005 riportato nelle Relazioni Annuali della Banca d’Italia non corrisponde al numero totale di banche individuate dalla BCE all’interno della pubblicazione “Eu Banking Structures”, ottobre 2006 (si veda Tabella 2 – Capitolo I);

- ** la Relazione di Banca d’Italia del 31 maggio 2006 dalla quale sono stati estratti i dati del 2005, utilizza il termine “Attivo” anziché “Fondi intermediati”. Per “Attivo” Banca d’Italia intende l’attivo individuale delle banche oggetto dell’operazione in percentuale del totale attivo delle unità operanti in Italia, entrambi relativi al mese di dicembre dell’anno precedente l’operazione, o alla data della prima segnalazione di vigilanza disponibile per i soggetti passivi esteri. Non è disponibile il dato relativo a soggetti passivi esteri con totale di bilancio inferiore a 50 milioni di euro;

- *** nella Relazione di Banca d’Italia del 31 maggio 2006, al posto del termine “Acquisizioni della maggioranza del capitale” si ha, invece, “Acquisizioni di banche italiane”.

Tabella 13 – Evoluzione del numero delle banche italiane (2004 – 2005)

31-dic-04 31-dic-05

Numero intermediari Numero intermediari

Banche Inclusi nei gruppi Non inclusi nei gruppi Totale Inclusi nei gruppi Non inclusi nei gruppi Totale

di cui: - banche spa 227 551 778 230 554 784

- banche popolari 198 44 242 201 42 243

- banche di cred. coop. 11 428 439 11 428 439

- succursali di banche

estere - 60 60 - 66 66

Fonte: Relazione Annuale Banca d’Italia, 31 maggio 2006 (www.bancaditalia.it).

Se si passa poi a confrontare la mole di merger and acquisition bancarie avvenute nel nostro Paese con quelle dei maggiori Paesi industrializzati dell’Area Euro, emerge che l’Italia nel periodo 1995-2004, ha occupato una posizione di assoluto rilievo, anche se, in realtà, si è trattato di aggregazioni bancarie di peso marginale, dal momento che esse hanno riguardato principalmente banche di dimensioni modeste, come le BCC. In particolare, il mercato bancario italiano con le sue 275 operazioni di concentrazione è risultato, perciò, essere il più attivo dell’Area Euro, seguito a sua volta dalla Germania (170 M&A), dalla Francia (157 M&A) e dalla Spagna (91 M&A), tutti Paesi che assieme al nostro occupano le prime posizioni non solo per numero di operazioni di aggregazioni realizzate tra il 1995 e il 2004, ma anche perché si caratterizzano per annoverare il maggior numero di imprese bancarie (cfr. Tabella 3 – Capitolo I, par. 3.1). Un ultimo aspetto significativo da osservare per concludere l’analisi delle caratteristiche quantitative del processo di concentrazione nel sistema bancario italiano, è quello relativo alla prevalenza numerica delle operazioni di fusione e incorporazione dal 1990 al 2005 (438 fusioni e incorporazioni contro le 199 acquisizioni di partecipazioni di maggioranza) anche se, in termini di fondi intermediati coinvolti, esse dominano sino al 1992, mentre successivamente si impongono le acquisizioni di controllo della maggioranza del capitale (Tabella 12). In generale, le acquisizioni di maggioranza hanno avuto una diffusione più contenuta tra le banche italiane, rispetto alle operazioni di fusione e incorporazione, per il semplice fatto che esse spesso si risolvono a breve termine nella somma delle strutture aziendali delle banche protagoniste e non consentono una loro effettiva integrazione capace di eliminare le duplicazioni organizzative e quindi di ottenere benefici in termini di economie di scala, anzi in alcuni

casi si sono manifestati addirittura maggiori costi di coordinamento. In pratica, le operazioni di acquisizione, mantenendo le entità separate, riducono le fonti di risparmio dei costi e il miglioramento della efficienza.

L’industria bancaria italiana si caratterizza, però, non solo per attribuire un peso significativo alle operazioni di fusione e di incorporazione, ma anche per il fatto di preferire, tra quest’ultime due modalità di aggregazione, l’incorporazione alla fusione per unione178. In particolare, è stata proprio la difficoltà delle banche italiane a procedere a fusioni “dirette”179, a determinare in Italia un più diffuso ricorso alle incorporazioni precedute dalle acquisizioni, in quanto nel nostro sistema bancario una tecnica di aggregazione che ha avuto una forte rilevanza è stata proprio l’acquisizione dell’impresa bancaria prima della sua integrazione. L’acquisizione rappresenta, quindi, una fase propedeutica a successive incorporazioni dal momento che essa consente alle banche di conservare i marchi d’impresa dei soggetti coinvolti, non distrugge un bene intangibile di valore, come le relazioni di clientela e, inoltre, appare più opportuna nei casi in cui l’aggregazione coinvolge soggetti operativamente e culturalmente molto diversi, sicchè diventa assai arduo unificarli in un unico assetto organizzativo180.

Passando poi all’analisi dei caratteri qualitativi delle concentrazioni in Italia, è possibile rintracciare, a livello di sistema, alcune tendenze che caratterizzano i processi d’integrazione tra banche italiane181. Innanzitutto un aspetto fondamentale da rilevare è quello inerente la distribuzione territoriale delle banche italiane coinvolte in operazioni di concentrazione, dal momento che, come si dirà tra breve, le imprese bancarie nel nostro Paese, a seconda dell’area geografica di appartenenza, hanno manifestato un diverso modo di approcciarsi al processo il quale, tra l’altro, si è caratterizzato per aspetti differenti a seconda che le banche protagoniste operino nell’Italia del Nord, del Centro o del Sud182. In particolare, da quando ha preso avvio il fenomeno delle M&A si

178

Si veda M. La Torre, Le concentrazioni tra banche, op. cit., p. 117.

179

Per “fusioni dirette” si intendono le fusioni pure.

180

Le acquisizioni di maggioranza costituiscono solitamente il primo passo di un processo che, dopo un lasso di tempo più o meno ampio, si conclude con una fusione per unione o, più presumibilmente, per incorporazione. Inoltre, esse rappresentano un importante fattore alla base dello sviluppo del modello federale, la cui più importante proposizione è proprio il mantenimento/valorizzazione dei marchi storici e del relativo radicamento territoriale. Si veda S. De Angeli, Banca universale o gruppo creditizio?, op. cit., p. 95.

181

Si vedano M. La Torre, Le concentrazioni tra banche, op. cit., p. 120 e ss.; M. Comana, La concentrazione del sistema bancario italiano, op. cit., p. 75 e ss.

182

Per un esame della distribuzione territoriale delle banche italiane coinvolte in operazioni di aggregazione bancarie, è stato utilizzato lo stesso criterio di divisione territoriale applicato dalla Banca

ha che le banche con sede legale nel Nord sono risultate le più attive, presumibilmente grazie alla loro dimensione, al loro elevato free-capital e alla loro maggiore capacità di sviluppare strategie di crescita esterna. Esse si sono, inoltre, caratterizzate sia per le operazioni in ambiti geografici contigui, sia per le operazioni con banche operanti in altri contesti geografici, in particolare nel Meridione. L’interferenza delle banche del Nord nel Meridione è stata determinata soprattutto dai processi di concentrazione ispirati da motivazioni di salvataggio di aziende in difficoltà o più semplicemente dalla necessità di aumentare il livello di diversificazione geografica o dei prodotti e servizi offerti, al fine di conseguire una maggiore efficienza e stabilità.

Le banche del Centro e quelle Meridionali, invece, si sono finora caratterizzate per aver intrapreso operazioni di concentrazione nei confronti di enti appartenenti alla stessa area geografica, anche se è bene sottolineare che la propensione verso le aggregazioni infra- settoriali è stata più forte nelle banche del meridione piuttosto che in quelle del centro183.

Con riferimento al profilo della dimensione territoriale del fenomeno delle aggregazioni si deve, quindi, evidenziare, che mentre le banche del Nord e, in misura inferiore, anche quelle del Centro hanno avuto come target l’intero territorio nazionale, quelle meridionali si sono in genere focalizzate su imprese presenti nelle zone limitrofe184. Un ultimo aspetto da considerare per comprendere appieno il complesso fenomeno italiano delle concentrazioni bancarie è quello inerente la classe dimensionale delle banche coinvolte e a tal proposito le operazioni che si sono realizzate in Italia sono avvenute tra singole banche o gruppi di grandi dimensioni nel ruolo attivo (bidder) e una banca stand-alone o un gruppo di dimensioni minori nel ruolo passivo (target)185. Più in particolare, come è dimostrato anche da diversi studi che hanno studiato le operazioni di concentrazione tra imprese bancarie nel periodo 1992-1995186, si ha che,

d’Italia. Ovvero il Nord comprende la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta, il Veneto e l’Emilia Romagna; il Centro comprende, invece, la Toscana, l’Umbria, l’Abruzzo, le Marche, il Lazio; infine, il Sud comprende la Campania, la Basilicata, il Molise, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.

183

Finora sono stati pochi i casi di operazioni di aggregazione bancaria realizzati tra una banca del Centro e una del Sud. Una eccezione è stata registrata nel 1999 quando si è assistito ad una sorta di apertura degli intermediari bancari del Centro verso gli enti Meridionali.

184

Si veda S. De Angeli, Banca universale o gruppo creditizio?, op. cit., p. 95.

185

Si veda M. Comana, La concentrazione del sistema bancario italiano, op. cit., p. 104 e ss.

186

Per maggiori informazioni si vedano R. Di Salvo, M. La Torre, P. Maggiolini, “Le operazioni di concentrazione tra Banche di Credito Cooperativo. Caratteri distintivi e fattori determinanti”, in Cooperazione di Credito, 162, 1998; M. Comana, Il processo di concentrazione e il cambiamento del

in tali anni e nei successivi, nella maggior parte dei casi le banche minori sono state incorporate prevalentemente da gruppi o da banche di un’altra categoria dimensionale, mentre sono state rare le operazioni tra gruppi o tra banche maggiori, grandi e medie, soprattutto a causa del fatto che negli anni Novanta l’ex Governatore della Banca d’Italia (Antonio Fazio) tendenzialmente preferiva privilegiare le fusioni tra banche di media dimensione e tra banche popolari187. A tal proposito, le banche di modesta dimensione che in Italia si caratterizzavano per essere le più numerose, risultavano essere, quindi, le protagoniste principali delle operazioni di M&A. Tuttavia, dal 1996 in poi si è iniziato ad assistere ad un leggero aumento di operazioni paritetiche e ad un