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Gli effetti recenti delle innovazioni tecnologiche: alcune evidenze empiriche

Forme di tecnologia ed innovazioni della quarta rivoluzione industriale

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

3.4 Gli effetti recenti delle innovazioni tecnologiche: alcune evidenze empiriche

Mentre gli studi sugli effetti delle innovazioni tecnologiche sull’occupazione hanno iniziato a diffondersi negli scorsi decenni, solo pochi studi rilevanti sono stati pubblicati sugli effetti dell’automazione. Di seguito, saranno presentati studi esplicativi riguardanti l’impatto delle innovazioni tecnologiche. La maggiore parte delle analisi utilizza metodi e parametri diversi tra loro, giungendo a conclusioni altrettanto distinte, ma tutte indicative dell’incidenza della tecnologia sull’occupazione.

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Secondo il report McKinsey (2017), i benefici che l’automazione futura può apportare sono molteplici. Per le aziende l’utilizzo delle macchine può garantire una diminuzione del costo del lavoro e degli errori. Inoltre, la produzione potrebbe avvenire con maggiore velocità e qualità. Non meno importante è anche il fatto che, in alcuni casi, le macchine potrebbero superare la funzionalità umana. L’automazione potrebbe condurre all’innescarsi di meccanismi di aumento del Pil e del Pil pro capite, rispettivamente +10% in diciassette paesi OCSE studiati (Graetz, Michaels, 2015) e +10% nell’area OCSE (C.E.B.R25, 2017). L’aumento riguarderebbe, come affermato anche in precedenza, pure la produttività; il Boston Counsoulting Group nel 2015 ha stimato, per i prossimi dieci anni, un aumento di produttività del 30% per le aziende (anche PMI) americane. La crescita della produttività risulterebbe così rilevante da eguagliare quella della prima rivoluzione industriale in cui l’introduzione del vapore come fonte di energia si era rivelata fattore discriminante circa il corso degli eventi. (Graetz, Michaeks, 2015). Secondo la Barclays Bank plc, anche il valore aggiunto lordo, almeno nel Regno Unito, potrebbe aumentare del 21% grazie all’introduzione di robot, mentre l’investimento nelle nuove tecnologie potrebbe portare, nel medesimo paese, a un possibile mantenimento di 73500 posti di lavoro, nel settore manifatturiero, e di almeno 30000 posti negli altri settori. Secondo il Centro per la Ricerca Economica Europea, grazie alle nuove tecnologie, dal 1999 al 2010, è stato, registrato in UE, un aumento della domanda di 11,6 milioni di posti di lavoro. E se da una parte il cambiamento tecnico, ha fatto perdere 9,6 milioni di posti lavorativi, dall’altra ne ha creati di nuovi, 21 milioni in tutto il globo (Gregory, Salomons, Zierahn, 2016).

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Un altro esempio relativo agli effetti ambigui dell’introduzione di tecnologia sull’occupazione all’interno dei diversi settori industriali è quello relativo al sistema bancario (Bessen, 2016). L’introduzione dello sportello automatico (ATM) ha diminuito il numero di impiegati per ogni filiale bancaria, poiché il loro lavoro è stato sostituito in parte dalla macchina. Di contro però, dal 1988 al 2014 è stato registrato un incremento del numero di filiali (+43%). Come conseguenza, il numero di impiegati bancari totali è aumentato. Lo stesso è avvenuto anche con l’introduzione di software in grado di analizzare grandi volumi di documenti legali. Questo ha ridotto il costo dedicato alla revisione e alla ricerca di documenti, e ha permesso l’aumento di impiegati legali di circa l’1.1% annuo dal 2000 al 2013 (Petropuolus G., 2017).

Benavente J. M. insieme a Lauterbach R. (2008), hanno condotto una ricerca (1998-2001) per l’Università del Cile su 514 aziende dello stato sudamericano. Le imprese considerate erano sia imprese non innovatrici sia con innovazione di prodotto o di processo. Secondo lo studio, le aziende che presentano delle innovazioni di prodotto, a differenza di quelle che introducono solo innovazioni di processo e di quelle che non introducono alcun elemento di innovazione, presentano un aumento del numero di occupati. A differenza di quest’ultime che, invece, presentano un calo del personale (-3.3% annuo).

Uno studio simile al precedente, è stato condotto in Germania tra il 1982 e il 2002; l’approccio è di tipo micro-econometrico, mentre il livello di analisi si concentra sull’impresa, in particolare sull’equazione riguardante l’occupazione dinamica. In questo lasso di tempo preso in esame, nel settore manifatturiero tedesco, si è registrato un impatto dell’innovazione sull’occupazione molto positivo (Lachemmier, Rottman, 2011). Lo stesso risultato è stato dimostrato anche da un altro studio, condotto in precedenza, in Francia basato sull’analisi di 15mila aziende manifatturiere (Greeman, Guellec, 2000).

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In entrambi i casi sopra presentati, si parla, però, di risultati positivi che diventano quasi nulli se si considera l’aumento della quota di mercato di un’azienda, a scapito della quota delle altre. Questo processo viene definito come “effetto rubare impresa” (Vivarelli M., 2014). Proprio per questo motivo, sarebbe quindi più appropriato ed attendibile, prendere in considerazione studi che si basano sul livello settoriale, in modo da tenere conto anche tale effetto.

Alcuni studi evidenziano un impatto negativo dell’innovazione sui posti di lavoro in particolare nel settore manifatturiero europeo (Pianta, 2000 e Pianta, Antonucci, 2002). Risultati opposti vengono, invece, raggiunti da Bogliacino e Vivarelli (2010), tra il 1996 e il 2005, essi, infatti, evidenziano un effetto positivo determinato dal cambiamento tecnologico sull’occupazione, in tutti i sedici paesi europei analizzati. Un’ulteriore conferma, a sostegno di tale visione, arriva da Bogliacino e Pianta nel corso di una indagine condotta nel 2010, in otto paesi europei. Il settore manifatturiero come quello dei servizi mostrano, ancora una volta, risultati significativi in termini occupazionali.

Tra il 1967 ed il 1982, in Gran Bretagna, è stato analizzato l’effetto dell’innovazione tecnologica sull’occupazione in 598 imprese nel settore manifatturiero. L’effetto appare positivo in quanto il numero di posti di lavoro è aumentato. Il modello utilizzato considera tempo e variabilità individuale, inoltre, introducendo delle variabili il risultato rimane uguale (Van Reenen, 1997). E ancora, lo stesso esito è stato riscontrato, in un altro paese, in Italia, nell’indagine condotta tra il 1992 e il 1997 su 575 imprese manifatturiere (Vivarelli M., 2013).

Vi sono ulteriori studi, uno di questi con focus su due paesi, USA ed Italia; la prima analisi condotta tra il 1960 ed il 1988, e la seconda successivamente, in tempi più recenti, entrambe dimostrano che lo sviluppo tecnologico incide su un innalzamento della

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produttività e che quest’ultima è collegata in maniera inversamente proporzionale all’occupazione. Inoltre, il calo dei prezzi viene localizzato, in questa analisi, come il meccanismo di compensazione più efficace per limitare la perdita di posti di lavoro (Vivarelli M., 1995 e 2014).

Nel 2012 Bogliacino, Piva e Vivarelli hanno pubblicato uno studio condotto tra il 1990 ed il 2008 in cui avevano preso in esame 677 imprese europee nel settore manifatturiero e in quello dei servizi. Hanno, poi, distinto entrambi i settori in due sezioni, una parte includeva l’high tech, mentre l’altra era quella tradizionale. Associando la spesa delle imprese in R&S al loro grado di automazione, gli economisti hanno stimato un rapporto tra quest’ultima e l’occupazione. Il rapporto evidenzia un aumento dell’occupazione nel settore dei servizi e nel settore manifatturiero, in particolare nell’high tech. È opposto, invece, l’esito del rapporto nel caso in cui vengano considerate le imprese operanti nel settore manifatturiero tradizionale.

Utilizzando i brevetti triadici26 come indicatore di sviluppo dell’automazione all’interno di un’impresa è stata condotta un’altra indagine di rilievo scientifico-economico in ventuno paesi industrializzati (1985-2009). In questo caso, una maggiore innovazione ha avuto corrispondenza con una maggiore disoccupazione. Gli effetti, però, si sono dissolti nel lungo termine (Feldmann, 2013).

Analizzando l’impatto dell’automazione su diverse tipologie di attività, è utile visionare la tabella 9. In essa, sono indicate sette categorie di lavori analizzate negli Stati Uniti. Di questi sono presenti, in tabella, il livello di automazione potenziale e le ore lavorative

26 Sono quei brevetti che vengono registrati contemporaneamente nei tre maggiori uffici brevetti

mondiali: l'European Patent Office (Epo), il Japanese Patent Office (Jpo) e lo United States Patent and Trademark Office (Uspto).

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totali che sono il tempo (medio) impiegato dai lavoratori nello svolgimento di ciascuna attività.

TABELLA 9

Automazione Tipologia Autonomazione

potenziale Ore lavorative totali Alta Svolgimento dell’attività fisica e operazioni con macchinari in ambienti prevedibili 81% 18%

Alta Elaborazione dei dati 69% 16%

Alta Raccolta dei dati 64% 17%

Bassa Svolgimento dell’attività fisica e operare con macchinari in ambiti imprevedibili 26% 12%

Bassa Interfaccia con gli stakehoders 20% 16% Bassa Applicazione di competenze a compiti decisionali, di pianificazione e creativi 18% 14%

Bassa Gestione e sviluppo delle persone

9% 7%

Fonte dati: McKinsey Global Institute, 2017

Con la definizione “svolgimento dell’attività fisica e operazioni con macchinari in ambienti prevedibili” si fa riferimento al settore della ristorazione, degli alloggi, delle manifatture, della vendita al dettaglio. L’elaborazione dei dati e la racconta dei dati, sono presenti in tutti i settori lavorativi. Mentre lo “svolgimento dell’attività fisica e operare con macchinari in ambiti imprevedibili”, comprende: la silvicoltura, qualsiasi tipo di costruzione (anche fornitura materiali ed attrezzature) e interventi di primo soccorso.

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L’interfaccia con gli stakeholders, può comprendere attività di problem-solving, attività di risposte sociali ed emotive, la formazione in ambito di comunicazione (tra cui la conoscenza di lingue straniere). Negli USA, le attività ad alto potenziale di automazione corrispondono a un totale di salari pari a 2,7 bilioni di dollari. Ovviamente maggiore è l’incidenza di ciascuna attività sulle ore lavorative, in relazione al grado di automazione, maggiore sarà l’impatto negativo sul livello occupazionale.

Da studi precedenti (Vivarelli M., 2015 e Mastrostefano V., Pianta M., 2009) sembra che, sulle singole aziende sia le innovazioni di processo sia quelli di prodotto, hanno un effetto positivo sull’occupazione. Se invece si analizza il settore, solo le aziende che presentano innovazione di processo registrano un aumento del personale (nel breve termine) (Vivarelli M., 2015 e Mastrostefano V., Pianta M., 2009).

In particolare, il McKinsey Global Institute (2017), ha analizzato l’effetto dell’automazione in cinque casi di studio. Nel caso dell’azienda ospedaliera, l’introduzione di macchine ha permesso di migliorare le prestazioni di attività amministrative e di triage, consentendo di aumentare la velocità dei processi e di diminuire gli errori anche nelle analisi diagnostiche. Nel caso di aziende estrattrici di petrolio e gas, le macchine hanno ridotto gli incidenti, incrementando quindi non solo la sicurezza, ma anche la produttività. Nel caso dei supermercati, invece, hanno permesso all’azienda di ottenere una riduzione dei costi (60-80%) ed una maggiore velocità delle attività di acquisto da parte dei clienti. Si registra un beneficio per le aziende tre volte maggiore dei costi dell’automazione, anche perché le macchine hanno permesso la riduzione del personale. Per quanto riguarda la manutenzione nel settore aeromobile, l’introduzione dell’automazione, ha permesso alle compagnie aeree di abbattere i costi destinati alle riparazioni (manutenzione preventiva e predittiva), e ha supportato anche

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un miglioramento del sistema di sicurezza. Infine, ma non per importanza, per quanto concerne l’automazione in finanza, in particolare nel ramo relativo ai mutui, l’automazione ha permesso una diminuzione considerevole delle ore lavorative in contesti di analisi dei dati (55-85 %) ed anche una maggiore velocità nella concessione dei mutui.

Secondo l’IFR (International Federation of Robotics) (2017), l’introduzione dei robot all’interno di aziende, aumenta la produttività e la competitività, inoltre permette di internalizzare processi, in precedenza, delocalizzati. L’aumento di produttività e l’introduzione di nuovi prodotti aziendali, incrementa come conseguenza le vendite e anche la domanda di lavoro, che a sua volta, intensifica l’occupazione all’interno dell’impresa (Autor, 2015). L’automazione accresce i salari per i lavori che richiedono alti livelli di specializzazione e, al tempo stesso, riduce i lavori meno qualificati, introducendo il problema della riqualificazione di questi lavoratori e dell’aumento di disuguaglianze sociali. Nei paesi OCSE, il 9% dei lavori sembra che sia completamente automatizzabile nell’immediato futuro, il ciò richiede che nella maggiore parte dei lavori, umani e macchine coesistano e collaborino per massimizzare le prestazioni (Gregory, Salomons, Zierahn, 2016).

A riguardo, l’IFR, inoltre, pone l’accento sull’errore riguardante la tassazione dei robot (la tesi è sostenuta da alcuni accademici). Secondo la Federazione Internazionale della Robotica, non si possono tassare i mezzi per creare i profitti, ma è possibile applicare tassazioni sui profitti stessi. Inoltre, poiché i robot consentono un aumento dell’occupazione e dei salari, sarebbe quindi sbagliato limitarne la diffusione. Si dovrebbe, dunque, intervenire con altre manovre, come la riqualificazione dei lavoratori e il processo di apprendimento circa le giuste competenze ai lavoratori attuali e alla forza lavoro futura.

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Questi studi, come molti altri, dimostrano, come vi sia ancora la necessità, di continuare ad esplorare la tematica, di conoscere meglio e più specificatamente quali saranno in futuro le applicazioni tecnologiche, e di scoprire, attraverso ricerche empiriche mirate, l’impatto del progresso tecnologico sull’occupazione.