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% della massima efficienza teorica I sei paesi più

2.5 La terza rivoluzione industriale

La terza rivoluzione industriale convenzionalmente ha inizio nel 1950 e forse può definirsi finita con la crisi del 2008, anche se la crescita moderna è più costante e veloce di quella passata e lo sviluppo tecnologico non si è fermato con la crisi e anzi è continuato in maniera ancora più veloce e digitale, che porterà probabilmente ad una nuova fase di crescita che si potrà forse definire come una quarta rivoluzione industriale. Affronteremo separatamente la rivoluzione digitale, e la New Economy e quindi lo sviluppo del nuovo millennio, anche se appartenente al periodo della terza rivoluzione.

Dopo il breve quadro storico, si vogliono analizzare come per le precedenti rivoluzioni i vari settori e le novità apportate fino ai tempi contemporanei.

L’agricoltura, nel 1950, già da tempo, non era più il settore trainante dell’economia. La popolazione coinvolta nel settore agricolo era inferiore al 5%, ma nonostante ciò la produzione aumentava (circa 2.5% annua a livello mondiale). La crescita della produttività era dovuta all’uso di fertilizzanti sintetici, insetticidi pesanti, nuovi metodi di irrigazione, trattori ed altri mezzi agricoli con il motore a scoppio, di fatto una modernizzazione agricola (Pollard S., 2004). Per evitare un crollo dei prezzi, dovuti alla grande produzione, si applicavano politiche di sostegno dei prezzi (dazi, dogane, sussidi agli agricoltori, barriere non tariffarie). Nei tempi moderni sono nati anche gli OGM, l’irrigazione e la diffusione di insetticidi e pesticidi nei campi anche tramite piccoli aerei,

48 le serre. Questo ha portato a poter produrre generi alimentari in tutte le stagioni, indifferentemente.

Dal punto di vista demografico, vi era una ripresa della crescita dopo le guerre. La popolazione mondiale continuava a crescere. La vita media era salita di molto, da 50 anni degli inizi del 1900 a 65 anni nell’immediato dopo-guerra (seconda) e le migrazioni avvenivano ancora interne all’Europa e da questa verso le Americhe. Successivamente le migrazioni per quanto riguarda i popoli europei verso le Americhe diminuirono, ed oggi l’Europa è un paese dove vi è un flusso migratorio, proveniente soprattutto dai paesi africani. L’età media è salita fino ad 80 anni nei paesi industrializzati, e la crescita demografica è stata imponente soprattutto in Africa, Cina e India, dai poco più di due miliardi di persone del post guerra, oggi la popolazione è superiore ai sette miliardi e continua a crescere, ma solamente nel continente africano. Lo sviluppo demografico è stato possibile grazie ad una mortalità infantile sempre minore, ad un forte progresso medico e farmaceutico (chirurgia, antibiotici, vaccini). Dal punto di vista urbanistico si sono create le megalopoli, che nei paesi industrializzati, sono fornite di servizi come elettricità, acqua corrente, gas, reti telefoniche e satellitari, reti internet, ed altri e mezzi pubblici di trasporto come le metropolitane (la prima a Londra a fine Ottocento) in continuo sviluppo.

Nel campo siderurgico si sviluppavano le leghe leggere (leghe di alluminio, titanio, magnesio), molto utili nella costruzione aeronautica, spaziale, nucleare ed elettronica. Nell’industria chimica, le fibre chimiche (sintetiche ed artificiali) iniziavano a soppiantare quelle naturali. In relazione a materiali da costruzione leggeri molto importante oltre alle altre leghe leggere era la fibra di carbonio, derivante appunto da reazioni chimiche. La produzione di plastica era notevole, ed essa sostituiva il legname in moltissimi prodotti. Il commercio internazionale era ed è sempre più frequente, anche

49 grazie alle fitte relazioni internazionali, inoltre qualsiasi prodotto poteva essere commerciato grazie alle navi frigorifere ed alle navi container. I mezzi di trasporto divenivano sempre più veloci, treni ad alta velocità, ed aerei con turboreattori molto più comuni dalla seconda metà del XX secolo ed utilizzati anche per il trasporto di persone. Si sviluppavano quindi gli aeroporti, le nuove linee ferroviarie per treni veloci, le mega navi (container, petroliere), le autostrade per i mezzi con ruote gommate, e quindi il commercio interno tramite tir. Il commercio estero era favorito anche dalle politiche liberiste della terza fase della globalizzazione, quelle odierne (post crisi ’70). Inoltre nascevano anche organi sovranazionali (Mercosur, NAFTA, Asean), che promuovevano il commercio tra i paesi all’interno delle organizzazioni. L’organismo per liberalizzare gli scambi a livello mondiale era il GATT nato nel 1974 che inizialmente contava 23 paesi e vent’anni dopo 123 (De Simone E., 2014), inoltre iniziava anche a normare e regolamentare il commercio dagli anni ottanta. Nel 1995 veniva sostituito dal WTO (un evoluzione del GATT), che diveniva un organizzazione permanente, inoltre soggetti alla normativa WTO erano e sono tutt’ora anche servizi e proprietà intellettuale. Ovviamente anche il commercio interno si sviluppò, con la nascita di supermercati, centri commerciali, e discount, tipologie di negozi appartenenti al settore terziario.

Per quanto riguarda il settore energetico, divenne utilizzabile l’energia atomica (centrali nucleari), l’utilizzo del petrolio era in continuo aumento, da 700milioni di tonnellate nel 1950 a 3,7 miliardi di tonnellate nel 2006 (De Simone E., 2014). L’energia elettrica si diffuse anche nella strade cittadine e nelle autostrade, si diffusero inoltre numerosi oleodotti per il trasferimento del gas, altra fonte di energia molto utilizzata. Inoltre si diffusero anche le energie pulite e rinnovabili (eolica, solare, idroelettrica, gas metano) anche se ancora oggi sono poco utilizzate sia per il trasporto che per produrre energia termica e cinetica.

50 Nel periodo preso in considerazione nasceva anche la vera e propria industria turistica, (tour operator, agenzie di viaggi, settore alberghiero), favorita ovviamente dai mezzi di trasporto, nel 1950 il numero di turisti si stimava intorno ai 25 milioni l’anno, nel 2006 intorno agli 850 milioni annui.

Durante il welfare state (post-guerra) e anche successivamente, gli stati avevano nazionalizzato numerosi servizi anche nel mondo Occidentale (Ranault in Francia, miniere e società elettriche in Inghilterra), inoltre uno sviluppo del settore privato, poteva portare ad un economia che poteva essere in più casi mista (ENEL in Italia, miniere di alluminio in Germania). Successivamente la spinta liberista, diede impulso anche alla privatizzazione, dalle banche, ai mezzi trasporto urbani e nazionali, alle compagnie telefoniche e di distribuzione delle risorse.

Il periodo della terza industrializzazione, sanciva la nascita della società post-industriale, e quindi del settore terziario che comprendeva nuovi settori: sanità, istruzione, distribuzione, trasporti, servizi pubblici e privati, sistemi bancari e assicurativi, informatica e telecomunicazioni. Il settore bancario quindi si trasformava, molte banche divenivano internazionali e multinazionali e offrivano una moltitudine di servizi alla clientela, sancendo dunque una de-specializzazione in un unico settore, accorpando spesso anche il servizio di assicurazione.

Durante la terza rivoluzione industriale è stata creata la società dell’informazione. Nascevano tre nuovi settori chiave (appartenenti a quello terziario) in ordine di sviluppo: l’elettronica, la telematica e l’informatica. Il primo, si occupa dell’uso dell’elettricità per elaborare informazioni. A questo settore appartengono oggetti che si sono diffusi durante la seconda metà del 1900 come: radio portatili, televisione, CD, PC(1975), cellulari, che contengono microprocessori eseguendo quindi azioni tramite un linguaggio di programmazione. L’elettronica del Novecento è digitale non analogica come quella della

51 seconda rivoluzione industriale. La telematica si occupa della trasmissione dell’informazione a distanza, ovvero dell’uso della tecnologia nell’ambito delle telecomunicazioni e dei media, e della connessione delle tecnologie tramite reti (cavi, satelliti, fibre ottiche) sulla quale possono passare un grandissimo numero di dati (Rifkin J., 2011). Applicazioni telematiche oggi sono gli sportelli Bancomat, i fax e soprattutto la rete delle reti: internet, che permette di connettere computer e diversi sistemi telematici. L’informatica si occupa del trattamento dell’informazione, dello studio di questa, mediante procedure automatizzate. Essa è fortemente collegata alla telematica ed all’elettronica e con esse forma le ICT (Infomation Communications Technology), ovvero: formazione, elaborazione, trasferimento, elaborazione di dati ed informazioni.16 Durante il periodo preso in considerazione, si andava ampliando il macro-settore dei servizi (+9% annuo tra 1979-87) mentre si riduceva in termini di lavoratori, il settore manifatturiero (-1.2% annuo tra 1979-87), nonostante ciò, la produzione di quest’ultimo settore cresceva (Rifkin J., 2011), ed anche gli operai ed operativi in produzione e braccianti agricoli diminuivano, questo già dalla prima metà del XX secolo. Il settore dei servizi durante l’ultima fase industriale divenne quello “trainante”, ovvero quello con un maggior numero di lavoratori scansando quello manifatturiero che aveva avuto quella funzione fino all’inizio della terza rivoluzione industriale (Landes D., Liberato P., 2000). Andavano aumentando quindi i “colletti bianchi” e diminuendo i “colletti blu”. Gli shock petroliferi degli anni settanta, misero in crisi il modello fordista. Il mondo Occidentale si accorse di questo, quando negli USA, il modello di macchina compatta Giapponese Toyota, surclassò la vendita delle maggiori industrie automobilistiche Americane. Il Toyotismo si basava sullo snellimento, sulla cooperazione lavorativa polifunzionale, sulla produzione just in time e sull’elasticità dell’industria. Durante gli anni ’80, quindi, si

52 passava al modello del Post-Fordismo, che prendeva spunto dal modello Giapponese. Nel modello, ruolo fondamentale giocavano le nuove tecnologie che dovevano permettere: un minor consumo di energia, una maggiore flessibilità (automazione programmabile) ed il decentramento produttivo. Importanti spinte al post-fordismo sono derivate dalla globalizzazione economica (e velocità nei trasporti), e dal processo di privatizzazione dato dal neoliberismo post-crisi, dove l’intervento dello stato contrariamente ai periodi precedenti andava sempre più diminuendo (Coase, R. H., “The nature of the firm”, citato da Viero L., 2011). Si abbandonavano quindi le economie di scala, per risparmiare sulla produzione, per avere un punto di break even più basso, evitando così anche le crisi di sovrapproduzione usuali nel modello fordista. L’obbiettivo diveniva quello di rendere obsoleti i beni durevoli già posseduti dalle persone, rendendo quindi centrale l’innovazione tecnologica di prodotto (Rifkin J., 2011). Centralità nelle imprese post- fordiste assumevano: adattabilità, snellimento, reattività (agli shock e alle fluttuazioni dei mercati), orizzontalità (ogni singolo comparto si integra con gli altri), decentramento, e soprattutto flessibilità di manodopera, di prodotto e di quantità produttive (Viero L., 2011). Si passava dalla mass production alla lean production.

Il lavoro in questo nuovo periodo cambiava, le nuove imprese (quelle maggiori) assicuravano l’impego una volta assunti, promuovevano l’avanzamento di carriera per anzianità ed ampliavano le mansioni e la polivalenza del lavoratore. Le industrie post- fordiste però riducevano i costi della manodopera, tramite un abbassamento dei salari (per i lavoratori non qualificati) e tagliando il personale, si creava così più disoccupazione. Il lavoratore ideale doveva avere più capacità cognitive e minori capacità fisiche, nel periodo, quindi, anche le donne assunsero importanza maggiore nel mondo lavorativo. Tutto ciò spiega anche l’aumento dei lavoratori specializzati rispetto a quelli senza specifiche capacità. La domanda di lavoratori istruiti aumentava, e l’offerta di

53 competenze è riuscita a tenere il passo negli anni ’90. In tutto l’Occidente, vi era maggiore accesso a scuole superiori pubbliche, college ed università. La tabella 5, descrive i dati in percentuale dei lavoratori nell’economia aggregata sopra i sedici anni negli Stati Uniti dal 1920 al 1990. Inoltre i dati di “colletti bianchi” per il decennio successivo continuano a crescere mentre decrescono quelli dei lavoratori blue collar. I dati di lavoratori white

collar (ovvero i lavoratori che hanno mansioni cognitive e non o poco fisiche) sono nel

2010 il 62.5% (Katz e Margo,2013). Come si osserva quindi vi è un trend positivo di colletti bianchi a partire dal 1920. Il numero di questi lavoratori in percentuale al totale dei lavoratori, più che raddoppia durante l’ultimo secolo, superando la soglia del sessanta percento. Questa tipologia di trend per il suddetto gruppo di lavoratori aumenta nei paesi industrializzati notevolmente, e infatti i white collar soppiantano i blue collar nelle imprese di stampo post-fordista. Aumentano in generale in percentuale, durante il periodo preso in considerazione, i lavoratori altamente qualificati (manager, tecnici- professionisti), diminuiscono soprattutto i lavoratori con basse qualifiche, sempre meno richiesti, e più facilmente rimpiazzabili dalle tecnologie.

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TABELLA 5

Fonte: dal 1920 al 2000, censimento sulla popolazione IPUMS e 2010 American Community Survey IPUMS

È dalla terza rivoluzione che si può definitivamente parlare di economia moderna, diversificandosi dalle economie agricole precedenti (Daniele V., 2008), anche se già durante la seconda epoca di industrializzazione il lavoratori agricoli erano in

diminuzione e forse non maggiori di quelli presenti in fabbrica. La crescita moderna implica una maggiore disuguaglianza globale tra i paesi, e tra i differenti mondi (primo, secondo e terzo) (De Simone, 2014).

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FIGURA 4

Fonte: Coccia M., 2016 elaborazione su dati Maddison A. (2006)

Come si può osservare dalla figura 4, è dal 1870 che si iniziano a delineare delle differenze sostanziali (tra i mondi) a livello di Pil pro capite, per poi aumentare maggiormente dal 1950. Quindi i dati appoggiano l’ipotesi secondo la quale i paesi che si industrializzano, crescono maggiormente rispetto ai paesi dove le rivoluzioni industriali non avvengono. La differenza con America Latina, ma ancor di più Asia e Africa è netta. Infatti nel 1820 il PIL pro capite europeo era tre volte quello africano, mentre nel 2008 esso era tredici volte quello del “continente nero”. Ancora più espressivo è il fatto che il 15% della popolazione nei paesi ad alto reddito detiene l’80% del PIL mondiale, evidenziando anche una differenza interna agli stessi stati Occidentali. Le divergenze tra paesi industrializzati e che quindi si affidano ad uno sviluppo tecnologico in tutti i campi con quelli che invece non hanno questo tipo di sviluppo, è netto, e sembra poter solo continuare ad aumentare (Rifkin J., 2011). I processi di industrializzazione, hanno portato a delle rivoluzioni tecnologiche e innovative, come si è discusso nel corso del capitolo, e quindi le divergenze tecnologiche tra i paesi industrializzati e non sono una delle cause fondamentali della differenza tra i PIL e i PIL pro-capite tra le nazioni (Maddison A.,

56 2006). Come visto nella figura 2, anche il PIL cinese (anche quello pro-capite vero ostacolo alla crescita reale) dagli anni ’90 è iniziato a salire (vertiginosamente), seguendo un sostanziale sviluppo tecnologico iniziato con il governo di Mao Tze-Dong. Manovre come l’introduzione di internet nel 1995 e come l’eliminazione progressiva del “cash” dal 2008, segnano insieme a moltissime altre (anche se con un modello e delle politiche macroeconomiche diverse rispetto all’Occidente) il progresso tecnologico in vari settori.

TABELLA 6

Fonte: Coccia M., 2016 elaborazione su dati Groningen Growth and Development Centre (GGDC).

La tabella 6, evidenzia vari dati di alcuni paesi ricchi ed alcuni poveri, per discernere ancora meglio la differenza anche nei tassi di crescita, dimostrando come le disuguaglianze tra i paesi aumentano nell’economia moderna. Questo perché la crescita dei paesi industrializzati e sviluppati tecnologicamente è sempre più veloce e nettamente superiore durante la terza rivoluzione rispetto anche alla crescita delle rivoluzioni industriali precedenti.

Per concludere il capitolo, la qualità della vita dal 1950 è sicuramente migliorata nei paesi Occidentali. Le nuove tecnologie hanno permesso una quotidianità più semplice, e meno ore lavorative rispetto al passato per i lavoratori. Nel 1970 nasceva anche lo statuto dei lavori che ha permesso la libertà di opinione e la tutela della libertà e della salute del

57 lavoratore oltre alla libertà di associarsi in sindacati per tutelare le condizioni lavorative. Le aspettative di vita sono diventate nettamente maggiori, così come le possibilità di studio e di ricevere uno stipendio alto per i lavoratori specializzati. Inoltre sono migliorate situazioni come l’igiene, la sanità, ed i servizi all’interno dei centri urbani. L‘economia moderna ha contribuito a creare una classe medio-alta più preponderante rispetto al passato, ma ha anche aumentato le differenze tra i ricchi ed i poveri. Il post-fordismo ha però, con la tendenza alla delocalizzazione e de-industrializzazione, portato ad una disoccupazione nei paesi Occidentali più alta rispetto ai periodi precedenti.

Finora, si sono analizzate le prime tre rivoluzioni industriali, lasciando da parte le innovazioni e gli sviluppi tecnologici del nuovo millennio. L’analisi effettuata è tesa a spiegare come lo sviluppo tecnologico ed innovativo, ha e continua a giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo dei paesi e dal punto di vista economico e dal punto di vista sociale.

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CAPITOLO 3

Forme di tecnologia ed innovazioni della quarta rivoluzione