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Efficacia del diritto internazionale nell’ordinamento giuridico italiano

Nel documento RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE (pagine 30-33)

Tenuto conto che nella giurisprudenza sopra illustrata le norme di diritto internazionale in tema di ricerca e soccorso in mare sono state interpretate ed applicate dei giudici - anche a fini penali connessi all’individuazione di una causa di giustificazione ovvero di integrazione del reato di rifiuto di atti d’ufficio - si ritiene opportuno affrontare brevemente l’efficacia del diritto internazionale nell’ordinamento giuridico italiano.

In via preliminare, al fine di meglio comprendere la reale complessità della tematica, si ritiene opportuno richiamare la poco nota, ma molto esemplificativa sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sentenza 21 marzo 1967, n. 63152. In tale sentenza la Suprema Corte ha evidenziato che la mancata emanazione dell'ordine di esecuzione dell'accordo definitivo 14 gennaio 1949 fra Italia e U.S.A. - con cui l’Italia aveva assunto l'obbligo, sotto forma di un accollo, di soddisfare in favore dei prigionieri italiani i debiti del governo americano - rendeva improponibile, per assoluta carenza di un diritto soggettivo azionabile, la domanda diretta ad ottenere il pagamento da parte del governo italiano delle somme dovute ai militari nazionali che, caduti prigionieri, prestarono opera al servizio delle forze armate degli Stati Uniti d'America. Più in particolare, in detta pronuncia la Cassazione ebbe l’occasione di precisare che non v'è dubbio infatti che le ragioni spettanti ai cittadini italiani verso lo Stato hanno la loro fonte esclusiva in atti normativi interni e non già nei trattati o accordi, i quali, stipulati al livello degli Stati, sono diretti soltanto a regolare i loro rapporti internazionali. Né rileva, ai fini della sussistenza del preteso diritto, la circostanza storica che il governo italiano, proprio in esecuzione dell'accordo 4 gennaio 1949, abbia soddisfatto, in concreto, le ragioni creditizie dei prigionieri già internati in America, erogando loro le somme all'uopo ricevute dagli Stati Uniti, perché la spontanea esecuzione di un trattato internazionale non vale di per sé a creare un diritto soggettivo a favore del privato, quando manchi la relativa norma dell'ordinamento interno.

La giurisprudenza menzionata, pur risalente nel tempo, si reputa anche conforme al dettato costituzionale oggi vigente. A tal riguardo, si segnalano le recenti pronunce della Corte costituzionale:

m. l'art. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha confermato il precitato orientamento giurisprudenziale di questa Corte. La disposizione costituzionale ora richiamata distingue infatti, in modo significativo, i vincoli derivanti dall'«ordinamento comunitario» da quelli riconducibili agli «obblighi internazionali». Si tratta di una differenza non soltanto terminologica, ma anche sostanziale. Con l'adesione ai Trattati comunitari, l'Italia è entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. La Convenzione EDU, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un trattato internazionale multilaterale – pur con le caratteristiche peculiari che saranno esaminate più avanti – da cui derivano “obblighi” per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri (Corte costituzionale - sentenza n. 348/2007);

n. questa convenzione internazionale, che ha vocazione costituzionale, nello spirito dell’art. 35, terzo comma, Cost., non è stata ratificata dall’Italia, pertanto non è da ritenersi vincolante, né può integrare il parametro costituzionale evocato, poiché l’art. 117, primo comma,

51 Cfr. Comunicato stampa della Corte europea dei diritti dell’uomo ECHR 240 (2019) in data 25.06.2019.

52 Cfr. Sezioni unite civili; sentenza 21 marzo 1967, n. 631; Pres. Tavolaro P. P., Est. Geri, P. M. Criscuoli (concl. conf.); Lovati (Avv. Calvosa, Prandi) c. Min. difesa e tesoro (Avv. dello Stato Graziano) - Il Foro Italiano, Vol. 90, No. 5 (MAGGIO 1967), pp. 951/952-953/954.

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Cost., fa riferimento al rispetto dei «vincoli» derivanti dagli «obblighi internazionali». … omissis … L’obbligo di buona fede stabilito dall’art. 18 della Convenzione sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969, ratificata e resa esecutiva con la legge 12 febbraio 1974, n. 112, che si sostanzia, tra l’altro, nell’astensione degli Stati dal compiere atti suscettibili di privare un trattato del suo oggetto e del suo scopo, non può spingersi fino a escludere la discrezionalità della ratifica e l’ineludibilità di essa ai fini dell’obbligatorietà del trattato − per l’Italia − sul piano internazionale. Si conferma, pertanto, l’inidoneità dell’invocata Convenzione OIL a integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost. (Corte costituzionale - sentenza n. 194/2018).

Sulla scorta della giurisprudenza costituzionale sopra evidenziata, dunque, si deve convenire che - ad eccezione del diritto consuetudinario (fattispecie non rilevante nel caso delle norme in tema di ricerca e soccorso in mare che non sono affatto né pacifiche nella comunità internazionale né ben definite nel loro contenuto) e/o del diritto eurounitario – il diritto internazionale non è una fonte del diritto italiano a cui un giudice può dare autonomamente diretta applicazione. In altri termini, l’efficacia del diritto internazionale nell’ordinamento giuridico italiano sussiste se e solo se l’accordo internazionale ha avuto corretta esecuzione ad opera di un idoneo atto giuridico nazionale.

Orbene, quanto sopra evidenziato non appare affatto privo di conseguenza nella disamina della tematica in esame. Più in particolare, si osserva che la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, con annesso, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 è stata ratificata e ha avuto esecuzione, a decorrere dalla sua entrata in vigore, ai sensi dell’articolo 2 della legge 3 aprile 1989, n. 147. È evidente, pertanto, in ragione del mero dato cronologico, che gli emendamenti alla citata Convenzione del 2004 in materia di porti di sbarco (ovvero l’emendamento del Capitolo 3.1.9 della Convenzione SAR), fermo restando come accennato in precedenza che non hanno un intrinseco carattere precettivo, non appaiono neppure “coperti” dalla citata legge n. 147/1989. Analoga conclusione, si ritiene che si debba pervenire anche ove si tenesse conto del successivo d.P.R. 28 settembre 1994, n. 662 - Regolamento di attuazione della legge 3 aprile 1989, n. 147, concernente adesione alla convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979. Del resto, inoltre, non può che suscitare delle perplessità un’interpretazione secondo cui la legge 3 aprile 1989, n. 147 dovrebbe ritenersi anche quale implicata autorizzazione – ed esecuzione – di tutti i possibili successivi emendamenti della citata Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, inclusiva di annesso, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979. Una siffatta interpretazione, infatti, oltre ad avallare una delega in bianco del legislatore all’esecutivo (in spregio all’art. 76 Cost.), equiparerebbe, in assenza di una adeguata base giuridica, un Trattato adottato in seno ad un’organizzazione internazionale al diritto eurounitario, in contrasto con quanto evidenziato nelle sopra indicata sentenza n. 348/2007 della Corte costituzionale. A maggior chiarimento di quanto precede, si precisa che ciò appare discutibile non è la presenza di una previsione internazionale, vincolante per l’Italia nell’ambito dell’ordinamento internazionale, non sottoposta al vaglio parlamentare prima della sua approvazione da parte del Governo italiano, bensì il fatto che tale previsione internazionale sia in grado di spiegare effetto nell’ordinamento interno in assenza dell’adempimento delle prescritte procedure interne per l’entrata in vigore. Del resto, appare evidente che l’autorizzazione alla ratifica e l’esecuzione nell’ordinamento interno, sono (e restano) due passaggi distinti, benché, per prassi, vengano posti in essere contestualmente in un solo provvedimento legislativo. Tra l’altro, anche la prassi seguita da altri Paesi con un ordinamento giuridico affine a quello italiano confermano la necessità di un atto di diritto interno (e nella lingua ufficiale dello Stato), ai fini dell’esecuzione dell’emendamento del 2004 alla Convenzione SAR (a tal fine, si rinvia al Décret no 2009-1325 du 28 octobre 2009 portant publication de la résolution MSC.155(78) (annexe 5) relative à l’adoption d’amendements à la convention internationale de 1979 sur la recherche et le sauvetage maritimes, telle que modifiée (ensemble une annexe), adoptée à Londres le 20 mai 2004). Per mera completezza, tra l’altro, si osserva che l’eventuale adempimento degli obblighi di pubblicazione ai sensi dell’articolo 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, non sembrerebbe sufficiente a dare corretta esecuzione nel diritto interno ad un atto internazionale. Tale modalità di pubblicazione, infatti, è una mera forma di pubblicità notizia, con periodicità trimestrale, che si riferisce a tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si

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obbliga nelle relazioni estere, ovvero, proprio a quegli atti di cui altrimenti non si avrebbe notizia in quanto efficaci unicamente nell’ambito dell’ordinamento internazionale.

Del resto, non è un segreto che il Governo pone in essere sul piano internazionale impegni con altri Stati, in assenza di una specifica approvazione parlamentare (nonché anche non provvedendo alla pubblicazione ex articolo 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839), come nel caso, ad esempio, del Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, sottoscritto a Roma il 2 febbraio 2017. In tale circostanza, tuttavia, corre l’obbligo di rilevare che le parti del Memorandum che richiedevano un’esecuzione nell’ordinamento interno sono state oggetto di specifica autorizzazione legislativa. Non può negarsi, infatti, che il citato Memorandum, per le parti aventi un riflesso diretto nell’ordinamento interno (ovvero gli aspetti finanziarie e relativi alla cessione nei mezzi alla controparte libica), ha avuto una specifica attuazione ai sensi del Decreto Legge 10 luglio 2018, n. 84 - Disposizioni urgenti per la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell'interno libici, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2018, n. 9.

In merito all’insoddisfazione che può rilevarsi dal quadro giudico nazionale afferente il Treaty-Making Power, si osserva che la questione non è una novità. Come osservato dalla dottrina più attenta invero, dal ‘48 ad oggi, diverse proposte di legge relative alla formazione degli accordi internazionali sono state avanzate, ora, per attuare il quadro costituzionale, ora, per revisionarlo. Nessuna di esse, tuttavia, ha avuto, come noto, esito positivo. Nonostante ciò (o meglio, in ragione di ciò), forte è l’esigenza di dotare l’ordinamento italiano di congegni adeguati alla nuova struttura internazionale che assicurino stabilità ed unitarietà nella direzione politica. Forte, cioè, è l’esigenza di restituire alla sua funzione preminente e responsabile l’organo nel quale si forma l’indirizzo politico anche in materia estera53. A fronte della frammentarietà delle procedure disposizioni concernenti il procedimento per la ratifica dei trattati internazionali, tuttavia, suscita una qualche perplessità una soluzione che consenta al giudice di applicare una norma internazionale priva di vaglio parlamentare, come se la stessa sia abbia comunque avuto esecuzione nell’ordinamento interno con legge. Quanto precede, a fortiori, appare pertinente ove la norma internazionale adottata in assenza di alcun vaglio parlamentare costituisca il presupposto per addebitare responsabilità di natura penale.

Al contrario - in coerenza con l’attuale valenza che l'art. 117, primo comma, Cost. assegna al diritto internazionale - si osserva che la Convenzione sul regime internazionale dei porti marittimi del 9 dicembre 1923 che ha avuto esecuzione ai sensi del Regio Decreto 8 maggio 1933, n. 1270, non può ritenersi validamente abrogata ad opera Decreto Legislativo 13 dicembre 2010, n. 212. Vieppiù nel caso Convenzione in esame, oltre alla speciale resistenza assicurata dall’art. 117 Cost., si osserva che legge delega 28 novembre 2005, n. 246, a cui ha fatto seguito il citato Decreto Legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, prevedeva espressamente (all’art. 14, comma 17 lettera d.) che sarebbero rimaste in vigore le disposizioni che costituiscono adempimenti imposti dalla normativa comunitaria e quelle occorrenti per la ratifica e l'esecuzione di trattati internazionali. Di talché, l’abrogazione del Regio Decreto 8 maggio 1933, n. 1270 ad opera del Decreto Legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, appare altresì caratterizzata da una carenza della delega legislativa prevista dall’art. 76 della Costituzione.

Non sfugge che secondo autorevole dottrina è da condividere la tesi già prospettata in dottrina secondo cui tra gli obblighi internazionali previsti nel nuovo art. 117 comma 1 cost. rientrano anche quelli derivanti dagli atti vincolanti delle organizzazioni internazionali cui partecipa l’Italia come, ad esempio, le decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottate in base all’art. 41

53 Cfr. Silvia Sassi, Il puzzle costituzionale del Treaty-Making Power in Italia, Rivista trimestrale dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti n. 2/2014.

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della Carta ONU54. Tale impostazione dottrinale, infatti, non appare pertinente nel caso di specie in quanto gli emendamenti del 2004 alla Convenzione SAR non sono atti vincolanti emanati dell’IMO, bensì delle vere e proprie modifiche ad un Trattato tra i membri dell’IMO, a cui, peraltro, ciascuno Stato ha discrezionalmente aderito in conformità al proprio diritto interno. Analogamente, si osserva che neppure le sopra menzionate Guidelines on the treatment of persons rescued at sea del 20 maggio 2004 possono ritenersi, come in precedenza, osservato quali atti giuridicamente vincolanti emanati dall’IMO, bensì delle mere indicazioni – per una scelta consapevole degli Stati dell’IMO prive di una rilevanza giuridica – e, pertanto, non appare possibile e coerente ritenerle rientrare sotto l’ambito di applicazione della previsione di cui all’art. 117 comma 1 Cost. Analogamente, la “spinosa” tematica dello sbarco dei naufraghi – che impinge, come dimostrato dalla giurisprudenza in esame, delicati profili di controllo dei confini nonché competenze comuni a diverse amministrazioni dello Stato – si ritiene che non possa essere derubricata a tematica che non richiede/comporta modificazioni di leggi e/o non avente natura politica ai sensi dell’art. 80 Cost.. Di conseguenza, fermo restando che mancherebbe comunque un atto normativo interno di esecuzione, non si ritiene neppure possibile considerare né gli emendamenti del 2004 alla Convenzione SAR né le citata Guidelines on the treatment of persons rescued at sea, quali meri accordi internazionali in forma semplificata.

Per quanto precede, in aggiunta a quanto già evidenziato, si ritiene che i giudici comuni, nel caso di dubbio circa la legittimità dei provvedimenti di divieto di ingresso adottati ai sensi del Decreto Legge 14 giugno 2019, n. 53 ovvero di dubbio circa la legittimità della mancata assegnazione di un porto di sbarco, avrebbero più prudentemente meglio potuto cogliere l’opportunità di una più ampia disamina di tutti gli aspetti problematici della questione, procedendo con un incidente di costituzionalità, ovvero, con un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

7. L’applicazione extraterritoriale dei diritti umani e del diritto d’asilo, in caso di operazioni di

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