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La richiesta di procedimento

Nel documento RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE (pagine 70-75)

a condurre un arresto o un fermo ed a mettere a disposizione dell’Autorità giudiziaria il soggetto ritenuto nei tempi e nei modi di legge.

Può, nondimeno, verificarsi il caso in cui sia impossibile richiedere l’intervento sul posto di personale dei Carabinieri: esempio paradigmatico è il reato commesso in corso di navigazione. In questa eventualità il Comandante di corpo è legittimato a disporre la ritenzione del soggetto agente in cabina e sotto sorveglianza, informando tempestivamente l’Autorità giudiziaria militare di competenza ovvero l’Autorità diplomatica più prossima. Queste possono disporre l’attracco della nave al porto più vicino al fine di poter procedere alla consegna del militare ritenuto secondo i modi di legge61.

Ulteriore facoltà assicurativa è il sequestro probatorio62 del corpo del reato militare o di cose pertinenti ad esso. Il sequestro, che può essere compiuto di iniziativa della p.g.m. ovvero su delega del p.m., consiste nell’apprensione coattiva di quanto sia pertinente al reato. Il sequestro deve essere motivato in un verbale di cui è consegnata una copia a chi subisca lo spoglio del bene ed una al p.m. L’art. 259 c.p.p. disciplina i modi di conservazione delle cose sequestrate, affinché non ne sia alterata la loro valenza probatoria. In particolare, queste sono affidate ad un custode in un luogo ritenuto opportuno.

Delle operazioni sopra descritte, ed in generale dell’attività di indagine della polizia giudiziaria militare, deve tenersi traccia scritta63, poiché destinata ad entrare a far parte del fascicolo del pubblico ministero, in quello del dibattimento ed essere, dunque, utilizzati ai fini di costruzione della prova nel processo.

Il verbale, sottoscritto dal Comandante di corpo, è trasmesso alla Procura anche per via telematica64 al più presto entro ventiquattro ore dall’arresto e dal fermo e quarantotto ore per perquisizioni, sequestri ed ispezioni. Il verbale, oltre alle indicazioni inerenti le persone sottoposte alla misura, contiene l’eventuale nomina del difensore, l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui la misura è stata eseguita e l’enunciazione delle ragioni che l’hanno determinata nonché la menzione della avvenuta consegna di copia del verbale all’indagato.

Si noti che il coinvolgimento conoscitivo del p.m. non esime la polizia giudiziaria militare dalla prosecuzione delle indagini, ben potendo raccogliere «ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole», ex art. 348, c. 1 c.p.p.

Se quindi da un lato è vero che il p.m. è il soggetto che dirige l’indagine, è altrettanto vero che la polizia giudiziaria può continuare a svolgere le indagini di propria iniziativa, a condizione che queste attività non risultino incompatibili o in contrasto con le direttive della Procura.

Si noti, infine, che in nessun caso è consentito al Comandante di corpo, nella sua attività di indagine di p.g.m., di procedere all’intercettazione telefonica ovvero di altra comunicazione che sia, strutturalmente, idonea ad escludere terzi. Ferma resta la possibilità, per il Comandante, di registrare una conversazione, anche in modo occulto, che avvenga in sua presenza e cui egli partecipi65.

6. La richiesta di procedimento

Come noto, ai sensi dell’art. 326 c.p.p., il pubblico ministero deve svolgere le indagini necessarie per le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale, la cui obbligatorietà nasce da fonte costituzionale (ex art. 112). Quest’obbligo non è, tuttavia, assoluto essendo subordinato, per talune specifiche fattispecie, alla presenza di condizioni dette di procedibilità. Trattasi di situazioni giuridicamente rilevanti dalle quali non si può prescindere per l’avvio dell’azione penale da parte del p.m., che può astrattamente procedere all’imputazione solo in seguito di una determinazione volitiva 61 Cfr. art. 1237 cod. nav.

62 Da non confondersi con il sequestro conservativo e preventivo, aventi, rispettivamente, finalità di cautela sostanziale e di prevenzione.

63 Fatta salva l’assunzione di informazioni sommarie dall’indagato senza la presenza del difensore, ai sensi dell’art. 350, c. 6 c.p.p.

64 A mezzo della posta elettronica certificata.

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proveniente da particolari categorie di persone. Tipico esempio di condizione di procedibilità è la querela di parte, ovvero una manifestazione con la quale la persona offesa dal reato (art. 120 c.p. e 336 c.p.p.) manifesta la volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato. Essa, quindi, si differenza dalla denuncia (v. supra § 3) perché mentre quest’ultima è una mera comunicazione (presentabile da chiunque) di notizia di reato perseguibile d’ufficio, la querela è una «manifestazione di volontà intesa a rimuovere un ostacolo alla perseguibilità di determinati reati»66, quindi una «esplicazione di volontà preesistente e persistente in ordine alla richiesta di punizione del responsabile del reato»67.

Com’è agevole osservare, nel codice penale militare non sono previsti reati perseguibili a querela della persona offesa68. La dottrina ha concordemente motivato questa decisione del legislatore considerando che il profilo finalistico della tutela penale inerisce l’ordine giuridico militare e pertanto, essendo l’azione penale militare unicamente rivolta alla tutela del servizio e della disciplina militare, ovvero interessi prettamente statuali, ciò esclude di farne dipendere la punibilità alla decisione della persona offesa69. Questa impostazione è stata condivisa dalla Corte costituzionale che rileva nei reati militari «un’offesa alla disciplina ed al servizio, una lesione quindi di un interesse eminentemente pubblico che non tollera subordinazione all’interesse privato caratteristico della querela»70.

L’art. 260, c. 2 c.p.m.p. prevede, però, la possibilità di subordinare la sanzione penale alla richiesta del Comandante di corpo con riferimento i reati militari puniti con pena non superiore nel massimo a sei mesi di detenzione ed alla fattispecie di cui all’art. 171, n. 2, c.p.m.p. (una fattispecie di danneggiamento militare con particolare tenuità della lesione).

Al fine di valutare il massimo edittale, la dottrina converge nell’interpretazione secondo cui si debba tenere conto delle sole circostanze ad effetto speciale ex art. 63, c. 1 c.p., non dovendosi invece considerale le attenuanti o le aggravanti comuni71. Così, ad es. nell’art. 139 c.p.m.p, il militare che, comandato per un servizio, è colto in stato di ubriachezza è punito con la reclusione militare fino a sei mesi, dunque solo a richiesta del Comandante di corpo; se il fatto è commesso da medesimo militare comandato quale capo di posto, la pena è aumentata fino ad un anno rendendo inoperante lo strumento della richiesta del Comandante.

La richiesta di sanzione penale da parte del Comandante, ai sensi del comma quarto dell’art. 260 c.p.m.p., non può proporsi «decorso un mese72 dal giorno in cui l’Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato». Il termine temporale73 ha importanza fondamentale sul processo, giacché 66 Cass., Sez. VI, 3 novembre 1992, n. 10585.

67 Cass., Sez. III, 11 febbraio 1998, n. 1654.

68 In merito si è posta una questione di legittimità costituzionale per lesione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di libertà di agire in giudizio (24 Cost.). In particolare, stante l’impossibilità della proposizione di querela per i reati militari, in caso di mancata formulazione della richiesta di procedimento da parte del Comandante di corpo la eventuale persona offesa da reato resterebbe privata della possibilità di costituzione di parte civile finalizzata al risarcimento del danno. La Consulta ha, quindi, sottolineato che «l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenta l’unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione del soggetto danneggiato dal reato, cui è data […] facoltà di proporre detta azione, immediatamente e senza alcun ostacolo, davanti al giudice civile» (ord. 31 luglio 2000, n. 410).

69 P. VICO, Diritto penale formale militare, Soc. editrice libraria, Milano, 1917, p. 482 e D. BRUNELLI e G. MAZZI,

Diritto penale militare, Giuffrè, Milano, 2007, p. 463.

70 Sent. 20 febbraio 1975, n. 42.

71 M. NUNZIATA, La richiesta di procedimento da parte del Comandante di corpo nel diritto penale militare. Attualità

e prospettive, in Riv. pen., 2005, n. 7, p. 797, P.P. Rivello, Il procedimento cit., p. 225 e D. BRUNELLI e G. MAZZI, Diritto penale cit., p. 471.

72 Il termine di computa secondo il calendario comune, per unità di tempo intera e libera (art. 172, c. 2 e 3 c.p.p.), portando dunque la scadenza nello stesso giorno del mese di arrivo rispetto a quello di partenza. Qualora nel mese di scadenza manchi il giorno corrispondente, si calcola l’ultimo giorno del mese corrispondente secondo il calendario comune (in analogia con il disposto dell’art. 2963, c. 5 c.c., cfr. F. Sola, I termini, in Trattato di procedura penale, a cura di G. SPANGHER, Giappichelli, Torino, Vol. II, p. 296).

73 Per determinare il termine iniziale occorre tener conto, secondo parte della dottrina, del giorno in cui la notizia è giunta all’ufficio del Comandante, irrilevante restando la effettiva conoscenza da parte del soggetto cui spetta la richiesta di procedimento. Si è, infatti, ritenuto che questa interpretazione sia necessaria per evitare elusioni del termine temporale di

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la sua violazione può essere eccepita e rilevata ex officio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento (art. 129 c.p.p.) conducendo ad una sentenza di non doversi procedere, ex art. 529, c. 2 c.p.p. Giurisprudenza e dottrina concordano nel ritenere che, in caso di richiesta di procedimento spedita per posta, sia sufficiente che nel termine dei trenta giorni questa sia consegnata in maniera certa all’ufficio postale, a nulla rilevando un ritardo della consegna74.

In assenza di ulteriori disposizioni speciali, è possibile ricavare una unitaria e compiuta disciplina dell’istituto in esame ricorrendo alle norme penali e processualpenali generali.

Una volta presentata dal Comandante di corpo, la richiesta di procedimento è irrevocabile, per il disposto dell’art. 129 c.p.

In caso di concorso di militari nel reato, se il Comandante presenta la richiesta di procedimento per uno solo di questi, essa automaticamente si estende a tutti i concorrenti, per il rimando all’art. 123 c.p. operato dal secondo comma dell’art. 129 ult. cit. Se più sono i colpevoli e alcuno di essi non è militare, la richiesta di procedimento a carico del militare colpevole si estende alle persone estranee alle Forze Armate dello Stato, che sono concorse nel reato.

Competente a formulare la richiesta di procedimento è il Comandante di corpo di appartenenza organica, anche nel caso di militare temporaneamente aggregato presso altro Ente. Il Comandante organico, infatti, è considerato l’unico in grado di «apprezzare se, in relazione alle circostante del fatto ed alla personalità del colpevole, il fatto può essere confinato nell’ambito meramente disciplinare»75. Nel momento in cui il militare venga trasferito in pendenza della condizione di procedibilità, la titolarità della richiesta, secondo dottrina, si sposta in capo al Comandante dell’ente di nuova assegnazione76.

Non pare possa sostenersi che la richiesta sia proponibile da persona diversa dal Comandante di corpo, benché delegato77. L’espressione di volontà deve pienamente e liberamente espressa dal Comandante e solo atti meramente esecutivi di inoltro all’Autorità giudiziaria possono essere delegati a terzi.

Sul piano contenutistico si ritiene che la richiesta non debba procedere ad una qualificazione giuridica del fatto, «essendo sufficiente che egli descriva nella sua materialità la vicenda in oggetto»78. Né si ritiene necessario che il Comandante effettui degli accertamenti preliminari, avendo la giurisprudenza affermato che «ai fini della validità della richiesta di procedimento è essenziale soltanto la conoscenza del fatto»79. Naturalmente, in quanto ufficiale di p.g.m., il Comandante è certamente legittimato ad una prima verifica inerente la fondatezza degli addebiti mossi al militare, anche perché non bastano a legittimare la richiesta dei semplici sospetti in merito alla materialità del fatto.

Sul piano meramente formale, la richiesta di procedimento deve prodursi in forma scritta, deve indicare gli estremi del fatto, quanto occorra ad individuare i soggetti nei confronti dei quali si intende avviare il procedimento penale e la sottoscrizione del Comandante. Non è necessaria l’adozione di alcuna formula tassativa, ma deve essere chiara ed inequivoca la volontà del Comandante di instaurare un procedimento penale militare. La trasmissione al p.m. militare può avvenire mediante posta, corriere militare, consegna a mano da parte del Comandante o mediante posta elettronica certificata.

cui all’art. 260, c. 4 c.p.m.p. eventualmente derivanti da un preteso ritardo nella comunicazione della notizia al Comandante da parte del suo staff, cfr. G. LANDI, V. VEUTRO, P. STELLACCI e P. Verri, Manuale di diritto e

procedura penale militare, Giuffrè, Milano, 1976, p. 284. Si deve ritenere esclusa l’applicabilità dello strumento della

rimessione in termini.

74 Giacché, argomentando altrimenti, si «comprimerebbe e restringerebbe il già breve termine previsto dalla legge per la proposizione della richiesta», così Cass., Sez. I, 28 maggio 1985, in Rass. giust. mil., 1985, p. 749.

75 Cass. pen., Sez. I, , 13 dicembre 1985, n. 12127.

76 M. NUNZIATA, La richiesta di procedimento cit., p. 63.

77 La delega normalmente conferita ad altri in caso di assenza del Comandante deve ritenersi involgere solo aspetti amministrativi e di comando, non già le funzioni di polizia giudiziaria, che sono attribuite in via esclusiva dalla legge.

78 P.P. RIVELLO, Il procedimento cit., p. 227.

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Interessante è valutare se la decisione di non inoltrare la richiesta di procedimento possa esimere il Comandante di corpo dalla comunicazione all’autorità giudiziaria militare ai sensi dell’art. 301, c. 3 c.p.m.p.

Ebbene da un punto di vista sostanziale e finalistico dovrebbe escludersi l’obbligo di comunicazione: mancando, infatti, la mancanza di una condizione di procedibilità «determina un ostacolo insormontabile alla stessa celebrazione del processo»80, rendendo «irragionevole l’idea di una sua prosecuzione»81. Ogni segnalazione in merito, quindi, sarebbe evidentemente ultronea e non potrebbe integrare la violazione degli obblighi di denuncia (art. 361 c.p.), poiché mancherebbe la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, ovvero «l’interesse alla acquisizione della notitia criminis da parte dell’organo competente a promuovere l’azione penale»82 che, come detto, non può promuoversi83.

La dottrina prevalente appare, peraltro, assume un orientamento più formalistico84, ritenendo che, «in ogni caso l’Autorità giudiziaria deve essere messa nelle condizioni di esaminare l’entità del fatto e la sua perseguibilità d’ufficio o meno»85. In effetti, ai sensi dell’art. 346 c.p.p., in pendenza del termine di presentazione della richiesta di procedimento il p.m. e la polizia giudiziaria militare possono compiere gli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova86 e può addirittura assumersi con incidente probatorio una prova per cui vi sia pericolo nel ritardo. Naturalmente, nel caso in cui la condizione di procedibilità non venga in essere87, tale attività è tamquam non esset. Ecco quindi che, differentemente da quanto la prassi di taluni reparti militari può portare a ritenere, non vi è necessaria contestualità tra la denuncia all’Autorità giudiziaria militare e la richiesta di procedimento.

Chiariti gli aspetti tecnico operativi, si rilevano talune questioni assai rilevanti sul piano dottrinale.

La ratio alla base dell’istituto è stata individuata nella «opportunità di affidare al Comandante, di fronte a condotte prive di rilevante attitudine offensiva, una facoltà di scelta tra l’adozione di provvedimenti di natura esclusivamente disciplinare ed il ricorso all’ordinaria azione penale»88. Concorde è la dottrina, per cui, in un sistema in cui mancano “binari processuali differenziati”, è opportuno uno strumento volto ad evitare che si debba pervenire alla celebrazione del dibattimento in relazione a fatti di modestissima entità89.

Uno dei problemi più rilevanti, in ordine a questo strumento, riguarda la pretesa incompatibilità con l’art. 3 Cost., in quanto vìola il principio di uguaglianza. Mancando, infatti, un obbligo motivazionale, in presenza di situazioni legittimanti la richiesta identiche ben potrebbe realizzarsi una non identica risposta sanzionatoria.

Manca, per verità, un timore di disparità di trattamento almeno sul piano procedurale, poiché la disciplina in tema di richiesta di procedimento si applica indistintamente a tutti i militari colpevoli di reati militari sanzionati nel massimo con sei mesi ovvero per l’ipotesi di cui all’art. 171, n. 2, c.p.m.p.90.

80 C. Cesari, Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale, Giappichelli, Torino, 2005, p. 168.

81 L. SCOMPARIN, Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Giappichelli, Torino, 2008, p. 38.

82 G. FIANDACA e E. MUSCO, Diritto penale cit, p. 350.

83 In tal senso anche R. VENDITTI, Il processo penale militare, Giuffrè, Milano, 1997, p. 48.

84 V. GARINO, Manuale di diritto e procedura penale militare, Cetem, Milano, 1985, p. 273 e M. Nunziata, La richiesta

di procedimento cit.

85 G. PAGLIARULO, La richiesta di procedimento nel rito penale militare e alla luce del nuovo codice di procedura

penale, in Rass. giust. mil., 1989, p. 229.

86 Si pensi, ad es., agli accertamenti necessari ai fini probatori nel caso di una procurata infermità, sanzionata dall’art. 161 c.p.m.p.

87 Ovvero risulti viziata, ad es. per tardività.

88 Corte cost., ord. 31 luglio 2000 n. 409, in Giur. cost., 2000, p. 2857.

89 P.P. RIVELLO, Il procedimento cit., p. 213. L’A. considera, inoltre, come alcuni dei fatti procedibili a richiesta del Comandante, se posti in essere da soggetti non appartenenti alle Forze armate (dunque trattasi di reati obiettivamente militari) rientrerebbero nella competenza penale del giudice di pace, trattandosi di fatti bagatellari.

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Il nucleo centrale della lamentata disparità è, dunque, insito in una uniformità di trattamento solo formale, perché la punibilità in concreto è subordinata alla valutazione discrezionale di un esterno al plesso giurisdizionale. È stato osservato che la assai ampia discrezionalità attribuita al Comandante rischia di esporre il militare incolpato ad arbitrii91.

Altra parte della dottrina ha osservato, di converso, che la natura discrezionale del potere non implica che l’azione del Comandante di corpo sia arbitraria: la discrezionalità deve presupporre una previa valutazione dell’interesse pubblico da soddisfare92. Di volta in volta il Comandante deve stabilire se l’interesse generale alla repressione dei reati militari (lievi, in quanto puniti con pena non superiore a sei mei) sia neutralizzato dalla presenza di circostanze, oggettive o soggettive, tali da dimostrare l’esistenza di un interesse contrastante che eviti la persecuzione del reato93. Conviene, infatti, ricordare che l’istituto in esame ha ratio completamente diversa dalla querela, ispirata al principio del perdono ed a quello della miglior valutazione del privato riguardo il suo proprio assetto di interessi.

Nella valutazione circa l’esercizio o meno della richiesta di procedimento, il Comandante deve porre attenzione agli interessi pubblici in gioco, al bilanciamento tra esigenze general e special preventive e giustizia del caso concreto, guidato in questo giudizio dal dovere di più assoluta imparzialità94.

Dopo talune esitazioni classificatorie95 si è ormai unanimemente giunto ad inquadrare l’istituto di cui all’art. 260, c. 2 c.p.m.p. tra le condizioni di procedibilità, a seguito di varie pronunce giurisprudenziali ed analisi dottrinali.

Ci si è chiesti, in primo luogo, se la richiesta di procedimento dovesse essere motivata, poiché una parte della dottrina riteneva la richiesta di procedimento un atto amministrativo, necessitante, dunque, di motivazione. Questa, infatti, era considerata l’unico modo per permettere un controllo sull’uso del potere discrezionale del Comandante e sulla sussistenza in concreto di un interesse pubblico nell’emettere un atto concretantesi in una manifestazione della volontà proveniente da un organo della pubblica amministrazione avente rilevanza esterna96.

Di diverso avviso si era dimostrata la giurisprudenza di legittimità97, secondo cui la richiesta in questione, pur provenendo da una Autorità amministrativa, si inserisce nell’iter del processo penale, necessariamente sfociante nella valutazione giurisdizionale non del solo fatto oggetto della richiesta, ma anche della ritualità dell’intera attività procedimentale. Per tale ragione lo strumento di cui all’art. 260, c. 2 c.p.m.p. non può dirsi atto oggettivamente amministrativo, ma vero e proprio atto processuale, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni di cui alla l. 241/199098.

91 R. VENDITTI, Il processo penale cit., p. 58.

92 P.P. RIVELLO, Il procedimento cit., p. 232.

93 D. BRUNELLI e G. MAZZI, Diritto penale cit., p. 468.

94 Ispirazione può, in merito, il Comandante cogliere, per i reati obiettivamente militari, dalle disposizioni che incriminano fatti simili ovvero dalle disposizioni inerenti la particolare tenuità del fatto, del danno o del pericolo.

95 La dottrina più attenta ha argomentato che non è possibile, nonostante la sistemazione dogmatica all’interno del codice penale militare, considerare la fattispecie di cui all’art. 260, c. 2 come una condizione di punibilità. Si è argomentato che la disciplina delineata dal nuovo codice di procedura penale smentisce nettamente una eventuale natura sostanziale della richiesta di procedimento. Infatti, ai sensi dell’art. 345 c.p.p., la sentenza di non doversi procedere per mancanza o vizio della richiesta non è preclusiva dell’esercizio dell’azione penale per la medesima persona ed il medesimo fatto in caso di corretta presentazione della richiesta. Ove si trattasse di una condizione di punibilità, il suo accertamento negativo paralizzerebbe una identica successiva azione penale. Cfr. P.P. Rivello, Il procedimento cit., p. 232 e G. Illuminati,

Richiesta di procedimento, in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, p. 501.

96 M. NUNZIATA, Sulla necessità della motivazione nella richiesta di procedimento del Comandante di corpo di cui

Nel documento RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE (pagine 70-75)