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Il vero convitato di pietra: il regolamento dublino III

Nel documento RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE (pagine 41-46)

Prima di analizzare la questione oggetto del presente paragrafo, sembra utile dare conto del seguente comunicato congiunto, del 06.07.2004, dei Ministri degli Interni italiano e tedesco, relativo al caso della nave Cap Anamur, in precedenza analizzato:

Pur riconoscendo il delicato profilo umanitario della vicenda, i due ministri - riferisce una nota del Viminale - considerano assolutamente doveroso il rispetto della norma internazionale che impone la presentazione della domanda d'asilo nel luogo di primo approdo (in questo caso Malta) dei presunti profughi.

Una deroga, seppure per motivi umanitari, a questa norma costituirebbe - sottolinea il Ministero dell'Interno – un pericoloso precedente e potrebbe aprire la strada a numerosi abusi. La vicenda della 'Cap Anamur', peraltro, deve essere ancora chiarita per diversi aspetti74.

Quanto precede, in disparte dalla discussione se nel caso di specie spettasse o meno a Malta la responsabilità di trattare le domande di asilo dei naufraghi sbarcati in Italia75, evidenzia in maniera plastica che il problema dello sbarco non è lo sbarco in sé, bensì la responsabilità della trattazione delle domande d’asilo dei naufragi.

Per ben comprendere la tematica in esame, è altresì opportuno evidenziare che nel regolamento n. 1052/2013 sul il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR), vi è allegata una dichiarazione del Consiglio in cui quest’ultimo “ricorda che la ricerca e il salvataggio in mare sono competenze degli Stati membri che questi esercitano nell'ambito delle convenzioni internazionali”. Di conseguenza vi potrebbe essere l’impressione che la questione dello sbarco dei naufraghi a seguito di evento SAR, non sia influenzata dal diritto dell’Unione.

Tale impressione, tuttavia, è semplicistica e fuorviante. È infatti indispensabile affrontare il tema dell’applicazione del Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (cd. regolamento Dublino III,), in caso di naufraghi sbarcati a seguito di un evento SAR. Detta questione, infatti, costituisce, con un vero e proprio “convitato di pietra” che rende impossibile una “governance ordinata” tra i Paesi dell’Unione, dello sbarco dei migranti salvati nel Mar Mediterraneo.

Il regolamento Dublino III, come noto, è lo strumento normativo che disciplina, tra i Paesi dell’Unione, la competenza ad esaminare le domande di protezione internazionale. Tale regolamento, dunque, nella considerazione dell’avvenuta sospensione delle frontiere tra i Paesi dell’Unione, si propone di contrastare il cd. asylum shopping da parte dei richiedenti asilo nonché gli eventuali conflitti negativi di competenza nella trattazione delle domande da parte degli Stati membri.

In base all’interpretazione comunemente accettata di detto regolamento, in caso di naufraghi sbarcati a seguito di evento SAR, sussisterebbe la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale a carico del Paese ove lo sbarco ha avuto luogo, in quanto detto Paese si configura quale Stato di primo ingresso. Di conseguenza, i Paesi del fronte sud dell’UE, ivi inclusa l’Italia, oltre agli oneri ed alle difficoltà connesse all’immediata gestione degli sbarchi, sono tenuti:

• all’esame delle domande di protezione internazionale dei soggetti che accolgono a seguito degli eventi SAR;

74 Il testo del comunicato stampa è disponibile al seguente link: http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2004/luglio/asca-cap-anamur.html.

75 Al riguardo, si registra che la Commissione europea, in una risposta ad un’interrogazione parlamentare, con riferimento alle domande d’asilo dei naufraghi sbarcati dalla nave Cap Anamur, ha evidenziato che dato che l’Italia è lo Stato membro

in cui le richieste sono state presentate per la prima volta, e visto che le autorità italiane non hanno fatto valere che spettasse ad un altro Stato membro esaminare le richieste d’asilo, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento suddetto lo Stato membro competente è l’Italia. (cfr. Risposta data dal sig. Vitorino a nome della Commissione il 13 ottobre 2004

alle interrogazioni scritte: P-1599/04 , E-1735/04 , P-1737/04. Il testo della risposta è disponibile al seguente link: https://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=P-2004-1599&language=IT ).

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• prendersi in carico dagli altri Paesi dell’Unione eventuali soggetti già registrati all’atto dello sbarco nel sistema EURODAC76;

• ad eseguire, d’intesa con i Paesi d’origine, l’espulsione dei soggetti non aventi titolo a forme di protezione internazionale.

È pertanto dirimente, al fine della ripartizione dell’onere della gestione dei flussi migratori, chiarire la corretta interpretazione di detto regolamento; con la consapevolezza, peraltro, che a seconda della soluzione ermeneutica individuata, ci saranno alcuni Paesi “favoriti” ed altri, di converso, “sfavoriti”.

Attesa la centralità della questione, non sorprende che la stessa sia stata oggetto di esame in sede di attività di controllo parlamentare. Più in particolare, nel corso della XVII legislatura nell’ambito dell’attività Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di EUROPOL, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione è stato posto il quesito volto a chiarire se ONG che battono bandiera tedesca e che quindi sono coinvolte dal Regolamento di Dublino, e che essendo private e non nell’ambito di accordo di EUNAVFOR MED, che trovava delle deroghe, e anche Sophia, sarebbero il vero punto di approdo dei migranti, sarebbe quello lo Stato di competenza, quindi sarebbe la Germania nella specie competente alla richiesta di asilo. In riscontro a tale domanda, il Capo del III Reparto pro tempore del Comando Generale delle Capitanerie di Porto ha evidenziato che il regolamento di Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi, il caso Hirsi lo dimostra, unità governative che non hanno personale specializzato a bordo per poter fare lo screening non possono essere considerate la frontiera d’ingresso per l’applicazione della Convenzione di Dublino77.

La risposta al quesito, in prima battuta, sembrerebbe ineccepibile. Il diritto dell’Unione in generale - e il regolamento di Dublino in particolare - non contempla la fictio iuris di cui all’art. 4 del codice della navigazione78, e, pertanto, la relativa applicazione del citato regolamento appare necessariamente circoscritta ai soli territori degli Stati strictu sensu considerati. Inoltre, come accennato già in precedenza, l’asilo a bordo delle navi è oggetto di un regime convenzionale ad hoc, che esula dall’ambito di applicazione del regolamento di Dublino.

Ciò premesso, tuttavia, la questione dell’applicazione del regolamento di Dublino in caso di eventi SAR non sembra possa esaurirsi sbrigativamente, negandone l’applicazione a bordo delle navi soccorritrici. Si osserva infatti che il regolamento di Dublino stabilisce una serie complessa di criteri “gerarchici” per l’individuazione dello Stato competente per la trattazione di una domanda d’asilo, che, tuttavia, non è indispensabile qui analizzare in dettaglio. Detto regolamento, per quanto qui d’interesse, prevede due criteri alternativi:

il criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, in base al quale quando il richiedente “ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”;

76 Il sistema EURODAC (European Dactyloscopie), istituito in origine con il Regolamento n. 2725/2000, è una piattaforma digitale che gestisce una banca dati delle impronte digitali dei richiedenti asilo, per consentire un più efficace controllo del regolamento. Tramite la verifica delle impronte presenti nel sistema EURODAC, è facilmente possibile verificare se un richiedente asilo ha già presentato una domanda di protezione internazionale in un altro paese dell’Unione, ovvero, tale individuo risulti essere già entrato irregolarmente nel territorio di un Paese dell’UE.

77 Cfr. Camera dei Deputati - Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di EUROPOL, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione seduta di mercoledì 3 maggio 2017 -audizione del Contrammiraglio Nicola CARLONE, Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera. Il testo completo dell’audizione è disponibile al seguente link: http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/30/indag/c30_confini/2017/05/03/leg.17.stenc omm.data20170503.U1.com30.indag.c30_confini.0044.pdf.

78 Ai sensi dell’articolo 4 (Navi e aeromobili italiani in località non soggette alla sovranità di alcuno stato) “le navi

italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano”.

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il criterio residuale di cui all’articolo 3, paragrafo 2, secondo cui nel caso in cui lo Stato membro competente non può essere designato sulla base degli altri criteri contenuti nel regolamento la competenza è del “primo Stato membro nel quale la domanda di protezione internazionale è stata presentata”.

In via di prassi, è opportuno precisarlo, in caso di eventi SAR si fa applicazione del criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1. Tale interpretazione, come accennato, risulta fortemente afflittiva per i Paesi di sbarco. Viceversa, nel caso in cui si facesse applicazione del criterio di cui all’articolo 3, paragrafo 2, i Paesi del nord Europa avrebbero una limitata possibilità di pretendere che i Paesi del sud si debbano riprendere in carico i naufraghi sbarcati sul territorio del sud dell’Unione. I naufraghi, difatti, con una certa probabilità, non sceglierebbero di presentare domanda di protezione internazionale nello Stato di sbarco, in quanto tenterebbero di presentare la domanda in uno Stato diverso ubicato nel nord dell’Unione.

Tanto premesso, si rileva che l’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1 richiede specificamente che l’ingresso nel territorio dell’Unione abbia natura illegale. In merito, si deve constatare che né il regolamento di Dublino III, né il Codice Frontiere Schengen79, né la direttiva rimpatri80, prevedono una definizione del concetto di “attraversamento illegale”81.

Come acutamente osservato in dottrina, tuttavia, “la nozione di attraversamento illegale della frontiera, sempre ai fini della individuazione della competenza dello Stato ad esaminare la domanda di protezione internazionale, assume un rilievo specifico se posta in relazione alla modalità di ingresso, nel territorio degli Stati al centro della rotta del Mediterraneo, più frequente e rischiosa per l’incolumità dei migranti, quella che si realizza nelle situazioni con pericolo di vita in mare, a seguito di operazioni di ricerca e soccorso”82. In estrema sintesi, in caso di accesso al territorio dell’Unione a seguito di evento SAR, l’accesso non potrebbe considerarsi illegale per due ordini di ragioni. Dal punto di vista del diritto internazionale, lo sbarco costituisce infatti una forma di cooperazione legittima ai sensi della Convenzione SAR. Dal punto di vista del diritto interno, inoltre, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, la natura illegale dell’ingresso dei naufraghi sbarcati a seguito di evento SAR è da escludersi in quanto “si tratta di soggetti cui è stato prestato ausilio e che legittimamente sono trasportati sul territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso. Non possono, dunque, essere considerati migranti entrati illegalmente nel territorio dello Stato per fatto proprio e l'ipotesi contravvenzionale non consente di configurare il tentativo d'ingresso illegale” (cfr. ex plurimis Cass. sent. n. 5541 del 2019).

Non sfugge, tuttavia, che, sino ad oggi, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE è orientata verso un’interpretazione del concetto di “attraversamento illegale” piuttosto ampia ed applicabile anche in situazioni eccezionali. Più in particolare, la Corte di Giustizia:

nella sentenza del 26 luglio 2017 (Causa C‑646/16 - Jafari), ha evidenziato che “per quanto riguarda l’accezione abituale della nozione di «attraversamento irregolare» di una frontiera, è necessario considerare che l’attraversamento di una frontiera senza osservare le condizioni richieste dalla normativa applicabile nello Stato membro interessato deve necessariamente essere ritenuta «irregolare» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Ne 79 Per Codice Frontiere Schengen si intende il Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio del

9 marzo 2016 che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone.

80 Per direttiva rimpatri si intende la Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre

2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

81 Per completezza, si osserva che non sussiste piena concordanza tra le diverse versioni linguistiche del testo. Mentre nel testo italiano si usa il termine illegale, in altre versioni, ad esempio quella inglese, si utilizza il termine “irregular”. Come evidenziato dall’Avvocato Generale E. Sharpston (vds. conclusioni presentate l’8 giugno 2017 nelle cause C‑490/16 - A.S. contro Repubblica di Slovenia e C‑646/16 - Jafari - punti da 160 a 163), ai soli fini della presente analisi, i due termini possono essere considerati equivalenti, giacché tali “differenze linguistiche non determinano ambiguità”.

82 Cfr. Mario Carta, Il criterio dello Stato di primo ingresso, secondo il regolamento Dublino III, in occasione degli

interventi Search and Rescue (SAR), Federalismi.it - Rivista telematica di diritto pubblico italiano, comunitario e

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consegue che, nel caso in cui la frontiera varcata sia quella di uno Stato membro vincolato dal codice frontiere Schengen, il carattere irregolare dell’attraversamento di questa deve essere valutato tenendo conto, in particolare, delle norme stabilite da tale codice” (paragrafi 72 e 75).

• nella sentenza del 26 luglio 2017 (Causa C‑490/16 - A.S. contro Repubblica di Slovenia), ha evidenziato che “un cittadino di un paese terzo ammesso nel territorio di un primo Stato membro, senza che fossero soddisfatti i requisiti di ingresso in linea di principio richiesti in tale Stato membro, nella prospettiva di un transito verso un altro Stato membro al fine di presentare in quest’ultimo una domanda di protezione internazionale, deve essere considerato come una persona che ha «varcato illegalmente» la frontiera di tale primo Stato membro ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, indipendentemente dal fatto che tale attraversamento sia stato tollerato o autorizzato in violazione delle norme applicabili ovvero che sia stato autorizzato invocando ragioni umanitarie e derogando ai requisiti di ingresso in linea di principio imposti ai cittadini di paesi terzi” (paragrafo 39).

Dette posizioni della Corte di Giustizia, tuttavia, si riferivano a dei fatti alquanto specifici. In particolare, la Corte si proponeva di interpretare il concetto di ingresso illegale nel caso di migranti il cui ingresso era stato tollerato dalle autorità di un primo Stato membro (in ragione di un numero straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi alle proprie frontiere) benché non soddisfacessero le condizioni di ingresso imposte dalla normativa europea vigente (cfr. paragrafo 59 della sentenza Jafari). Di talché la posizione di chiusura della Corte di Giustizia appare più comprensibile. Ove la Corte di Giustizia avesse deciso diversamente, infatti, ciascuno Stato membro sarebbe stato, di fatto, autorizzato a sospendere l’applicazione del regolamento di Dublino qualora, a suo giudizio, si fosse trovato a fronteggiare un arrivo alle proprie frontiere di un numero eccezionalmente elevato di richiedenti la protezione internazionale.

Nel caso di sbarco a seguito di evento SAR, viceversa, lo Stato che accetta lo sbarco dei naufraghi non può essere considerato come “lassista” nell’implementare l’obbligo di salvaguardia dei confini unionali. Come accennato, infatti, in tal caso lo sbarco è “subito” dallo Stato che accetta i naufraghi in adempimento a dei precisi obblighi internazionali. Tra l’altro corre l’obbligo di segnalare che l’Avvocato Generale E. Sharpston, nelle conclusioni presentate il 20 giugno 2017 nella C‑670/16 (Tsegezab Mengesteab contro Bundesrepublik Deutschland) ha evidenziato che “l’intersezione fra diritto internazionale del mare, diritto internazionale umanitario (come previsto dalla convenzione di Ginevra del 1951) e diritto dell’Unione europea non fornisce una risposta rapida e manifesta alla domanda se debba ritenersi che le persone soccorse durante una traversata del Mediterraneo e sbarcate in uno Stato membro costiero dell’Unione (generalmente, ma non soltanto, la Grecia o l’Italia) abbiano varcato «illegalmente» le frontiere di detto Stato membro ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III”. Pertanto, come anche osservato in dottrina83, non è affatto scontato che la Corte di giustizia consideri che in caso di naufraghi sbarcati nel territorio di uno Stato membro a seguito di un'operazione di salvataggio implichi necessariamente che tale Stato sia automaticamente responsabile, ai sensi del sistema Dublino III, dell'esame di qualsiasi domanda di protezione internazionale che possa essere presentata dai naufraghi sbarcati.

“Per la cronaca”, si registra che nel recente passato il dibattito europeo sulla gestione dei migranti sbarcati a seguito di evento SAR sembra confermare la volontà dei “Paesi del nord” di non fare significative concessioni ai “Paesi del sud”. Più in particolare, infatti, nel documento franco-tedesco Commitments by Member States for a predictable temporary disembarkation scheme84, presentato – ma non approvato – nella riunione del Consiglio GAI del 18.07.2019 si suggerisce, in sintesi di:

83 Cfr. Enrico Zamuner, Search and rescue of migrants in the Mediterranean Sea between public responsibility and private

engagement: an International and EU law perspective, Ordine internazionale e diritti umani, (2019). L’articolo citato è

disponibile al seguente link: http://www.rivistaoidu.net/sites/default/files/6_Zamuner.pdf.

84 Il documento citato è disponibile al seguente link: http://www.statewatch.org/news/2019/jul/eu-com-disembarkation-note.pdf.

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“set up a more predictable and efficient temporary solidarity mechanism in order to ensure the swift and dignified disembarkation of migrants at sea by private rescue vessels in the closest safe harbor”;

“contribute therefore, until October 2019 [until the end of 2019], in every single case to the reception of asylum seekers rescued at high seas by private rescue vessels in the Mediterranean by engaging in the relocation scheme coordinated by the European Commission for the disembarkations occurring in harbors of EU Member States”.

In sostanza, dunque, la proposta franco-tedesca prevede che Malta e l’Italia accettino un obbligo incondizionato ed automatico allo sbarco dei naufraghi, secondo il principio del porto di sbarco più vicino. A fronte dell’accettazione di tale principio - che come accennato in precedenza non è previsto dalla Convenzione SAR - gli altri Stati membri non assumono obblighi precisi e vincolanti ad accettare i naufraghi sbarcati, in quanto le eventuali ricollocazioni, coordinate dalla Commissione, resterebbero, come è attualmente, su base volontaria e lasciando impregiudicata l’attuale vigenza del regolamento di Dublino III85.

Da ultimo, va rilevato che nel corso della crisi del “boat people” che ha interessato l’Asia nel corso degli anni settanta, la comunità internazionale mise in campo delle misure più efficaci per evitare che l’onere della gestione dei naufraghi fosse tutto a carico dei Paesi che acconsentivano allo sbarco. Più in particolare, si segnalano due strumenti allora utilizzati: il Rescue at Sea Resettlement Offers Program (RASRO)86 ed il Disembarkation Resettlement offers Program (DISERO)87. Tali intese prevedevano da un lato la disponibilità dei Paesi rivieraschi ad accettare lo sbarco dei richiedenti asilo sul proprio territorio, dall’altro i Paesi partecipanti acconsentivano alla redistribuzione di quote dei migranti sui propri territori88.

Non sorprende, pertanto, che la “generosa” offerta franco-tedesca sia stata rigettata seccamente dall’Italia e da Malta. In vista della riunione del Consiglio GAI del 18.07.2019, infatti, Italia e Malta hanno presentato un Non-paper "New scenarios, new rules: for a legal framework on irregular migration by sea and for a reform of asylum strategies"89, alternativo al documento franco-tedesco, secondo cui “it has to be recognized that it is not possible to address a problem that has to be faced by the European Union as a whole through the creation of hotspots only in a few maritime

85 La proposta franco-tedesca, pertanto, appare una mera conferma delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno 2018, secondo cui “nel territorio dell'UE coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero

essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell'UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si

Nel documento RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE (pagine 41-46)