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Elementi organizzativi ed economici

L’IDENTITÀ RELIGIOSA E OPERATIVA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

UNA PRESENZA IN ESPANSIONE

5. Elementi organizzativi ed economici

Se le Costituzioni del 1906 erano state una specie di camicia di forza per le FMA, col Manuale del 1908 si cerca di ridare cittadinanza a uno stile religioso proprio,190 toccando i vari aspetti della vita. La necessità di fissare e controllare la regolarità, inculcata dalla S. Sede, fa moltiplicare i rendiconti sul personale e sulle opere, precisa l’obbligo di un rendiconto amministrativo semestrale,191 dedica tutta una sezione all’economia.192

Un cambio significativo nel nuovo secolo riguarda anche la partecipa-zione ai Capitoli generali: nel 1899 si toccò il vertice con 129 professe perpetue.193 Dopo il 1906 la partecipazione diretta fu ristretta.194 La

dura-190 Il capitolo II della II parte del Manuale, Vita religiosa nell’Istituto, è intitolato Relazioni delle Superiore verso le Suore (art. 29-34) e il cap. III Relazione delle Suore verso le Superiore (art. 35-40). La III parte, poi, concernente vari regolamenti, si apre col Regolamento per le ispettorie. Cf Manuale delle Figlie di Maria Ausiliatrice fon-date l’anno 1872 dal Venerabile Giovanni Bosco, Torino, Tip. Salesiana 1908.

191 L’art. 443 b del Manuale ordina i passaggi: l’ispettrice invia alle direttrici il modulo per la relazione semestrale sullo stato economico; poi l’economa ispettoriale compila il rendiconto amministrativo semestrale dell’ispettoria e il riassunto finanzia-rio delle singole case. Il rendiconto è inviato alla supefinanzia-riora generale per mezzo del-l’economa generale.

192 Cf Manuale… 1908, sezione V, art. 374-419. Si passano in rassegna tutti gli aspetti cui prestare attenzione.

193 Le Regole del 1885 prevedevano la partecipazione di tutte le direttrici «se la distanza ed altre circostanze lo permettono». Cf Regole… 1885, tit. X, art. 1.

194 Le Costituzioni del 1906 dedicano un’ampia parte al governo dell’Istituto.

Specchio dei tempi nelle strutture ecclesiastiche giuridicamente ben compaginate.

Negli art. 119-128 è stabilito chi possa e debba intervenire al Capitolo generale: la vi-sitatrice accompagnata da due delegate scelte dai Capitoli ispettoriali

138 Parte I: L’identità religiosa e operativa delle FMA

ta dei capitoli variava da pochi giorni a qualche settimana,195 preceduti dagli esercizi spirituali e dal lavoro delle commissioni sulle proposte. Al termine dei lavori, talora vennero pubblicate le Deliberazioni, per favorire l’unità.196

Attraverso gli argomenti di discussione capitolare si può seguire una certa evoluzione della mentalità nell’Istituto, nel senso che alcuni temi a preferenza di altri erano avvertiti con urgenza dagli organizzatori e dalle organizzatrici. Così se fino all’inizio del ’900 prevalgono gli aspetti orga-nizzativi, nel 1913 ci si interroga lucidamente sulla qualità educativa delle opere, che si erano moltiplicate, e sulla fedeltà allo spirito del fondatore, come ancor più si insiste nel 1922. Aumenta l’attenzione ai luoghi, ai tempi e agli strumenti della formazione, con la crescente preoccupazione di non deviare dal proprio solco.

In effetti le esigenze della gioventù femminile mutavano, e il riferi-mento al passato (tenacemente richiamato come eleriferi-mento identificante e garanzia di unità) poteva costituire un freno a elaborare risposte educative adeguate, inedite. Fermo restando il desiderio di attivarsi in modo «adatto ai tempi», varie opere attestano i tentativi concreti, pur lasciando emerge-re interrogativi sulla capacità di coglieemerge-re le istanze della «modernità». La cronologia delle fondazioni delle opere lascia intuire alcune scelte prefe-renziali.

Un tema trasversale è quello delle coadiutrici. D. Bosco non aveva mai voluto una seconda classe di religiose, e nessuno voleva introdurre

195 Il V Capitolo generale durò dall’8 al 20 settembre 1905; il VI, dall’8 al 25 set-tembre 1907; il VII dal 15 al 23 setset-tembre 1913; l’VIII dall’8 al 18 setset-tembre 1922.

196 L’art. 128 delle Costituzioni del 1906 vincolava al segreto le capitolari circa

«gli atti del capitolo e quanto verrà discusso e deliberato», pertanto alle comunità lo-cali arrivava l’eco trasmessa dalle superiore mediante i canali ufficiali. Mentre furono pubblicate le Deliberazioni dei Capitoli generali tenuti nel 1884, 1886 e 1892, non si stampò nulla del IV (1899), V (1905) e VI (1907). Occorre attendere il Capitolo gene-rale del 1913 per una nuova stampa, mentre nel 1922 vengono pubblicate norme rego-lamentari e indicazioni di d. Filippo Rinaldi. Cf Deliberazioni del VII Capitolo Gene-rale delle Figlie di Maria Ausiliatrice tenutosi in Nizza Monferrato nel settembre del 1913, Torino, Tip. S.A.I.D. Buona Stampa 1913; Norme regolamentari proposte ad esperimento dal Capitolo generale VIII delle Figlie di Maria Ausiliatrice tenutosi in Nizza Monferrato nel settembre 1922, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice 1922; Capi-tolo Generale VIII tenutosi in Nizza Monferrato nel settembre del 1922. Risposte-Istruzioni-Esortazioni del Ven.mo Sig. Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore della Società Salesiana e Delegato Apostolico per l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatri-ce, Nizza Monferrato, Istituto FMA, 1922.

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discriminazioni,197 ma assicurare personale per le commissioni esterne e per i lavori più faticosi. Si chiedeva una soluzione al problema dell’im-magine religiosa che vincolava ad uscire in compagnia, e all’obbligo della dote, ribadito dalla S. Congregazione,198 nonostante la prassi di diversi Istituti.

La S. Congregazione ammetteva solo una distinzione d’ufficio.199 Nel 1922 d. Rinaldi reinterpretava il pensiero di d. Bosco presso il consiglio generale,200 e durante l’VIII Capitolo generale le capitolari

abbandonava-197 D. Marenco, nella presentazione dell’Istituto alla S. Sede, nel 1904, afferma l’assenza di distinzione tra coriste e mandatarie, «solo vi ha una piccola differenza di abito per quelle che debbono uscire per commissioni, onde evitare l’ammirazione del pubblico». MARENCO,Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice.

198 In un pro-memoria d. Marenco sottolinea alcuni rilievi della S. Congregazione alle FMA, tra cui: «La S. C. esige che si stabilisca una dote, la quale non può essere condonata né diminuita a volontà della Superiora. Tale dote deve andare a favore del-l’Istituto quando la Suora muoia in esso, che se esce le verrà restituita senza i frutti.

La dote deve quindi essere in denaro, che verrà investito dalla Superiora in modo sicu-ro e fruttifesicu-ro, né di esso l’Istituto potrà liberamente disporre se non dopo la morte della Suora». G.MARENCO,Pro-Memoria, ms autografo, 13-12-1905, in ASC C 594.

199 La concessione delle suore coadiutrici è data dalla S. Congregazione dei Reli-giosi con rescritto del 23 gennaio 1913, N. 346/13. La madre col consiglio generale aveva chiesto l’approvazione di alcune varianti alle Costituzioni: tit. II, art. 5: «Tutte le suore costituiscono nell’Istituto una sola categoria; però coloro che sono accettate nell’Istituto determinatamente per i lavori domestici ed altri simili uffici rimarranno sempre in tale condizione e saranno chiamate col nome di Suore Coadiutrici». Le Normae ammettevano ancora le due categorie, sottolineando la comune disciplina: cf A. GAUTHIER,Classi di religiosi, in DIP II, col. 1158-1163.

Nel VII Capitolo generale viene ripresa la questione delle coadiutrici. D. Albera ritiene che non è contraria allo spirito di d. Bosco «il quale desiderava, anzi, che le Fi-glie di Maria Ausiliatrice vestissero un abito devoto, decoroso, quasi secolare; ed isti-tuì i Coadiutori, veri Religiosi, sì, eppure, nel fatto inferiori ai sacerdoti per la natura stessa del sacerdozio». Cf Estratto verbali dei capitoli generali V-VI-VII sul-l’argomento “Coadiutrici”, in AGFMA 11.7/116. Poi il consiglio generale riflette sulle condizioni di accettazione: dote e corredo ridotto, senza pensione; abito e velo modificato: senza soggolo, frontale e cuffia; stato di permanenza come coadiutrici, dopo la professione; soggezione alla comune disciplina, orari e regolamenti; occupa-zione preferenziale: lavori materiali e commissioni fuori casa; esclusione dal governo.

Cf verbale 28 novembre 1913, in Verbali adunanze... 1913-1924.

200 D. Rinaldi consigliava che le suore addette ai lavori materiali e alle commis-sioni si alleggerissero di velo e modestino, ad imitazione dei coadiutori secondo il pensiero di d. Bosco. Per i viaggi, invece, riteneva che l’abito costituisse una difesa, e pertanto era più consigliabile cercare una compagna, fosse anche una laica. Cf Ri-guardo al terzo tema, in Esortazioni varie del Rev.mo sig. Don Rinaldi nelle adunanze del 25 luglio e del 7 agosto 1922 presente l’intero Consiglio Generalizio, 9 ff.

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no definitivamente il termine «coadiutrici». Una commissione aveva pro-posto di chiedere alla S. Sede l’adattamento nell’abito per le FMA incari-cate delle commissioni esterne e dei lavori di fatica:201 la concessione venne, ma senza lasciar dubbi circa l’unica classe delle religiose.

5.1. La gestione economica

Com’era normale per i nuovi istituti, anche le FMA non disponevano di cospicue rendite per mantenere le opere, né ricorrevano alla questua: d.

Bosco era stato un abilissimo suscitatore di beneficenza, ma aveva posto la congregazione sotto il vessillo di «lavoro e temperanza». Le entrate delle FMA consistevano principalmente negli stipendi percepiti dalle amministrazioni e nelle rette versate dalle educande, peraltro sempre piut-tosto basse e anche differenziate. Per far fronte a spese considerevoli im-previste, a parte gli introiti della beneficenza e le “industrie”, talora le ispettrici spendevano le doti delle suore, con l’impegno di ricostituirle al più presto.

I primissimi decenni di vita dell’Istituto delle FMA sono caratterizzati dalla povertà dei mezzi, ma ancor più dalla convinta mentalità ascetica che tendeva a eliminare ogni esigenza ritenuta superflua, fino a com-promettere la salute di giovani suore, oberate dal lavoro e timorose di perdere lo spirito di mortificazione e di distacco. La Cronistoria e le bio-grafie delle prime sorelle sono concordi su questo tratto, come pure sulle indicazioni equilibrate di d. Bosco sul valore della salute per servire effi-cacemente le ragazze.202

All’inizio del Novecento qualche suora nostalgica del “buono spirito”

lamenta l’attenzione riservata alle neo professe più che alle veterane. Al-cune denunciano invece che le superiore locali, per poter inviare denaro al centro, mantengono eccessivamente basso il tenore di vita nella

comu-scritti, in AGFMA 11.8/110, Capitolo Generale VIII. Attività Precapitolare.

201 Cf Proposte presentate dalle Commissioni di studio al Capitolo Generale VIII.

Commissione I, in AGFMA 11.8/121. Nella discussione dell’11 settembre si accanto-na l’idea delle coadiutrici, assoggettandosi non proprio supiaccanto-namente all’art. 103 circa le uscite. Cf Verbale dell’VIII Capitolo Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice ce-lebratosi nella Casa Madre di Nizza Monferrato - anno 1922, in AGFMA 11.8/ 130.

Il verbale è costituito da 84 pp.

202 Lettera di d. Bosco, 24 maggio 1886 alle FMA. Cf Manuale... 1908, pp.

LXXII-LXXVII, riportata in Cronistoria V, pp. 91-94.

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nità.203 Era un effetto dell’interscambio, corrispondente al criterio della centralizzazione.204

Le prime Costituzioni delle FMA, sorte nel clima delle leggi di sop-pressione degli istituti religiosi, rispecchiavano l’intuizione di d. Bo-sco:205 le suore si sarebbero presentate come vere cittadine di fronte allo Stato, congregate in un Istituto che, veramente religioso di fronte alla Chiesa, sarebbe sfuggito ad altre eventuali aggressioni statali. Esso non sarebbe comparso come un ente giuridico autonomo, pertanto non sareb-bero stati intestati a suo nome gli stabili abitati dalle religiose, poiché alle comunità religiose era interdetto il diritto di possedere beni. Fino al-l’Ottocento i singoli religiosi coi voti solenni rinunciavano, in Italia, al possesso radicale dei beni (anche perché non esisteva ancora il pericolo di leggi eversive), e questo intrappolava poi l’Istituto nelle leggi anticlerica-li. I nuovi Istituti trovarono altre soluzioni. I salesiani, come più tardi le FMA,206 furono i proprietari diretti delle loro case, spesso intestate nella

203 Tra le raccomandazioni di m. Daghero alle capitolari, nel 1913 c’è quella di li-berare le suore dall’idea che le direttrici risparmiano o fanno stentare nel vitto e nel vestito per mandarle denaro e chiede di «insistere presso queste direttrici che in realtà non facciano queste malintese economie che tanto spiacciono alle Superiore». Consi-gli della Rev. M. Caterina Daghero alle Capitolari del 1913, in AGFMA 11.7/ 115.

L’economa generale invita le ispettrici a chiedere alle econome di non essere grette; di registrare correttamente le entrate relative alle doti, ai corredi, alle pensioni delle po-stulanti. Cf ivi.

204 Le Regole del 1885 stabilivano che il denaro eccedente lo stretto bisogno sa-rebbe stato consegnato al superiore maggiore dalla madre generale, mentre la prima edizione del 1878 non aveva alcun riferimento. Cf Regole... 1885, tit. VI, art. 4. Inve-ce l’edizione seguente prevedeva che le direttrici avrebbero dovuto mandare il terzo degli avanzi alla cassa ispettoriale e similmente le ispettrici alla cassa centrale. Cf Co-stituzioni... 1906, n. 216. Tale legame scompare nelle Costituzioni dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice fondate dal Ven. D. G. Bosco, Torino, Società Editrice In-ternazionale 1922.

205 Cf il capitolo sulla Società salesiana, in particolare di fronte allo Stato, in STELLA, Don Bosco I, pp. 142-149. L’autore mette in luce la parziale derivazione del-la formudel-la «ognuno nell’entrare in congregazione non perderà il diritto civile» dalle regole delle Scuole di carità istituite dai fratelli Cavanis a Venezia e approvate da Gregorio XVI nel 1836. Adottata da d. Bosco in un contesto politico diverso, le parole assumono nuovo valore in ordine al diritto dei singoli di associarsi, dando così base legale alla Società salesiana (e non solo allo scopo di tutelare gli individui in caso di uscita). Analoghe differenze si riscontrano tra la formula desiderata da d. Bosco e quella del Rosmini, approvata nel 1838 e ben nota al fondatore salesiano. Il Rosmini aveva affermato che i membri dell’Istituto di carità conservano il dominio legale dei propri beni. Cf specialmente pp. 147-148.

206 Le Regole del 1878, tit. II, art. 5.6.8.10; quelle del 1885, tit. II, art. 6.7.9.10

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forma tontinaria, a membri ritenuti sicuri.

D. Marenco, presentando lo stato economico alla S. Sede, chiarisce che le FMA come Istituto non devono possedere stabili fruttiferi, né ac-cumulare capitali, ma vivere del proprio lavoro e confidare nella Provvi-denza. Possono solo possedere gli stabili che abitano ed, eventualmente, le adiacenze.207 Occorre distinguere le case di cui le suore erano proprie-tarie (come venne regolato nella convenzione del 1907 tra il consiglio ge-nerale dei salesiani e quello delle FMA), da quelle che esse abitavano in virtù di una convenzione stipulata con proprietari esterni, che potevano essere amministrazioni locali, parroci, benefattori privati.208 Queste due grandi categorie, articolate all’interno, connotano in modo generale l’amministrazione, nel rapporto tra le entrate e le uscite. Nelle case di amministrazione le FMA erano come dipendenti con uno stipendio

diffe-confermano esplicitamente la conservazione dei diritti civili. Le Costituzioni del 1906, tit. VII, art. 39-40, specificano che il voto semplice di povertà non solo non im-pedisce il dominio radicale dei beni, ma anzi imim-pedisce di spogliarsene senza un esplicito permesso della S. Sede. Una L. C. del 1915 ribadisce che nelle lettere di ac-cettazione delle postulanti è esplicitato: «Le Figlie di Maria Ausiliatrice, conservando tutti i loro diritti civili, non fanno nessun atto di rinuncia di quanto loro spetta dalla famiglia […] e ad evitare che in caso d’uscita dall’Istituto le giovani postulanti abbia-no a trovarsi in condizioni peabbia-nose, abbia-non si ammettoabbia-no quelle che avessero già fatto atti di rinuncia». L. C. n. 12, 24-11-1915.

207 D. Marenco precisa che molte case abitate dalle suore appartengono a opere pie private, a municipi, a enti. Altre sono state fornite dalla Società Salesiana e sono intestate a membri di essa. Nell’acquisto e riattamento delle medesime le FMA spesso concorrono con i loro avanzi annuali, o le piccole doti messe a disposizione del consi-glio generale. Altre sono state lasciate dai benefattori, per cautela, al superiore genera-le dei sagenera-lesiani, con l’intenzione che servissero algenera-le FMA. Ogni casa ha amministra-zione propria; ogni visitatrice ha una contabilità per tutte le case ad essa sottomesse e l’economa generale ha il conto dell’amministrazione dell’intero istituto. Alla fine del-l’anno, se ci sono avanzi, passano dalle case alla visitatrice e al consiglio generale, che si intende col superiore maggiore per la destinazione dei medesimi. Le visitatrici conservano e amministrano doti e patrimoni particolari, per restituirli in caso d’uscita.

Cf relazione d. Marenco, Istituto, 15 novembre 1904.

208 La legge Crispi, del 17 luglio 1890, n. 6972, aveva trasformato profondamente la pratica della beneficenza privata e aveva previsto che le istituzioni assistenziali nei singoli comuni fossero assorbite nelle congregazioni di carità, mediante l’istituto del concentramento. Molti istituti religiosi femminili di recente istituzione erano invitati a gestire opere pie di vario genere, nel cui consiglio di amministrazione era spesso pre-sente il parroco. Per lo più si trattava di asili, orfanotrofi ed ospedali. Sull’argomento, complesso e poco approfondito, cf ad es. Stefano LEPRE,Ledifficoltàdell’assistenza.

Le opere pie in Italia fra ’800 e ’900, Roma, Bulzoni ed. 1988.

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renziato secondo le mansioni, oltre, spesso, ad alcuni emolumenti integra-tivi, come biancheria comune, luce, riscaldamento, medicine. In questi casi, se avessero voluto arrotondare le entrate, non di rado insufficienti, avrebbero dovuto intraprendere altre attività, col consenso della contro-parte: era soprattutto il caso di laboratori, di lezioni di pianoforte o fran-cese, o di piccole classi private. Occorreva rivolgersi ai proprietari per la manutenzione dei locali e la loro abitabilità: di solito ciò costituì il motivo di contrasto più vivo e tenace, al punto che le religiose abbandonavano la sede se non si arrivava a una soluzione accettabile.

Nelle case proprie la vita sobria delle suore era gestita in modo tale che avanzasse il necessario per adattare o ampliare la costruzione, a van-taggio dell’apostolato. Con l’aiuto dell’intero Istituto, inoltre, si realizza-vano opere ritenute non solo vantaggiose a livello locale, ma consone allo scopo comune. Il consiglio generale orientava le spese più cospicue a cui, in genere, l’ispettoria singola non riusciva a far fronte, equilibrando le iniziative delle varie regioni. Le “piccole industrie” costituite da lotterie, banchi di beneficenza, rappresentazioni teatrali, prodotti di artigianato sono la leva più potente di una microeconomia diffusa. In quest’ottica di solidarietà e di appartenenza non meraviglia, quindi, se anche le case del-le zone più povere versavano il proprio contributo per un grande istituto in costruzione in una città.

5.2. Accenno alle fonti

I cenni generali orientano l’indagine e mettono in luce la qualità delle fonti da interrogare. Fino al 1907-’08 occorre la ricerca incrociata con gli archivi degli economati dei salesiani. Con l’erezione delle ispettorie, l’interscambio tra consiglio generale e consigli ispettoriali indica nei ri-spettivi verbali la base di molte scelte, pur costituendo già un momento avanzato del discernimento documentato con fonti di varia natura. Per penetrare nei meandri più riposti, bisogna ricorrere alla corrispondenza privata, così come le lettere circolari mediano le preoccupazioni, i proget-ti, gli eventi calamitosi che sollecitano la solidarietà.209 I verbali lasciano

209 Le lettere circolari soprattutto durante la prima guerra mondiale invitano a con-tenere le spese. Tale economia in Europa avrebbe attirato la generosità d’oltreoceano, per far fronte alle opere caritative. La corrispondenza delle superiore con le ispettorie, soprattutto d’America, sollecita infatti a non intraprendere molte costruzioni, per

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trapelare le decisioni, però gli effetti concreti, ossia le realizzazioni, van-no cercati nei rendiconti amministrativi, come pure in altri tipi di docu-menti, dalle fotografie alle piante, alle costruzioni. Anche la S. Sede chie-deva di conoscere lo stato finanziario degli istituti religiosi, per cui si può supporre che i dati, salva una certa rassicurante approssimazione, erano globalmente attendibili.210 In genere, bisognava dimostrare che, no-nostante i debiti, l’Istituto, soprattutto se femminile, aveva i mezzi per po-terli estinguere, e dunque non andava incontro a eclatanti rovesci finan-ziari, per l’imperizia delle amministratrici.211 La fonte economica più sta-bile, secondo la S. Congregazione, doveva consistere nelle doti delle suo-re, in modo da evitare la questua e da non lasciare sul lastrico le professe in caso di dimissioni.212 Anche le FMA cercarono di adeguarsi a questa mentalità, ma senza irrigidirsi, nonostante qualche richiamo dell’economa generale. Le Normae prevedevano che abilità o doti personali equipollenti

stare soccorsi. Quando nel 1917 subentra come economa generale m. Eulalia Bosco alla defunta m. Angiolina Buzzetti, ella orienta le educatrici ad instillare la sobrietà anche alle educande, per non pesare sulla famiglia e concorrere ai bisogni della nazio-ne. Cf L. C. n. 37, 24-3-1918.

210 Il confronto tra le varie relazioni consente di seguire l’evoluzione del tipo di

210 Il confronto tra le varie relazioni consente di seguire l’evoluzione del tipo di