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CAPITOLO TERZO – L’AMORE DI TRISTANO E ISOTTA

III.2 Elementi sovversivi insiti nell’amor cortese

La sofferenza, nella storia, deriva dalle costrizioni sociali alle quali Tristano e Isotta sono forzati nei loro ruoli di nipote e moglie del re, dunque dalle regole cavalleresche proprie dell’ambiente feudale che si connotano come ostacoli alla passione. Da notare che gli ostacoli delle regole cavalleresche sono tali solo in rapporto alla passione, altrimenti essi sarebbero semplicemente i mezzi per assicurare robustezza e solidità ai gruppi sociali. È la passione contenuta all’interno della società feudale a diventare una minaccia antisociale capace di ledere all’identità del gruppo. In altre parole, la passione come contenuto antisociale esiste solo se si contrappone a una forza sociale.

Se viene meno la seconda (la cavalleria) anche la prima si tramuta in qualcos’altro avendo perso l’elemento esterno che la caratterizza. Il mito di Tristano e Isotta avrebbe pertanto cercato di correre ai ripari arginando il pericolo di una forza devastatrice, la passione, che necessitava di essere assimilata e sincretizzata (al pari dei riti pagani all’interno del cristianesimo) all’interno della società attraverso una maschera e un linguaggio occulto in cui potesse esprimersi senza diventare un pericolo. Il contesto in cui la leggenda di Tristano e Isotta si sedimenta è infatti quella della società francese del XII secolo che stava compiendo uno sforzo di ordinamento sociale e morale e che aveva l’interesse a contenere gli impeti minatori della passione attraverso una modalità meno diretta di quella usata dalla Chiesa, che viceversa la attaccava frontalmente, esasperandola. Controllare la passione significò inquadrarla in una storia, un mito in cui potesse esprimersi a piacimento attraverso riferimenti simbolici, velati e manifesti al tempo stesso. Similarmente agisce la poesia dei trovatori in lingua d’oc: la poesia cortese.

La poesia dei lirici provenzali del XII secolo diffonde un concetto d’amore definito «cortese» che si contrappone alle regole della società feudale. Queste veicolavano i rapporti e le relazioni tra uomo e uomo e uomo e donna. Secondo la morale feudale, infatti,

il vassallo doveva fedeltà al suo signore (e ciò includeva anche l’obbligo di denuncia di tutto ciò che avrebbe potuto ledere al diritto e all’onore del signore) al quale era legato da un rapporto di sudditanza e il matrimonio costituiva un contratto finalizzato all’arricchimento dell’uomo che poteva godere delle terre date in dote dalla moglie.

La cavalleria cortese nasce come reazione alla logica lucrosa del matrimonio inteso come «affare» e al codice comportamentale del vassallo nei confronti del suo signore. La fedeltà che prima il vassallo doveva al suo signore ora la deve alla donna, alla sua domina. Come scrive De Rougemont: «l’amor cortese oppone una fedeltà indipendente dal matrimonio legale e fondata sul solo amore. Si giunge persino a dichiarare che amore e matrimonio non sono compatibili»6.

Il primo e più famoso codificatore dell’amore cortese fu Andrea Cappellano. Il cognome fa probabilmente riferimento alla carica che rivestiva quando scrisse il De Amore, posteriore al 1174 e diffuso prima del 1238. Il trattato destinato a Gualtieri (Gualtier il giovane), ciambellano del re di Francia, si avvale di diverse forme letterarie, dall’epistola al dialogo, dalla precettistica alla casistica, fino all’episodio da romanzo cavalleresco di re Artù per spiegare in cosa consiste l’amore nobile, appunto, l’amore cortese. Di seguito riportiamo alcune regole dell’amore cortese così come le elenca Andrea Cappellano al fine di chiarire le principali caratteristiche che l’autore attribuisce a tale sentimento7:

1) Per ragioni di matrimonio non è giusto rinunciare all’amore 2) Chi non è geloso, non può amare

3) Nessuno può amare se non lo spinge amore

4) L’amore è sempre bandito dalle dimore dell’avidità 5) L’amore divulgato raramente è destinato a durare

6

DENIS DE ROUGEMONT, L’amore e l’Occidente, cit., p.78 7

ANDREA CAPPELLANO, De amore, Traduzione di Jolanda Insana, con uno scritto di D’Arco Silvio Avalle, Milano, SE, 1996, pp.157-158

6) Il facile possesso svilisce l’amore, il difficile lo fa prezioso 7) Ogni amante impallidisce sotto gli occhi dell’amante

8) Alla vista improvvisa dell’amante trema il cuore dell’amante 9) Solo la gentilezza rende le creature degne d’amore

10) Non dorme e non mangia chi è tormentato dal desiderio d’amore 11) Qualunque azione dell’amante finisce nel pensiero dell’altro 12) Piccolo indizio getta l’amante in atroci sospetti

L’amore cortese si realizza solo nei cuori nobili (o gentili) e il fatto stesso di coltivarlo è garanzia di nobiltà d’animo. Con questa prima definizione i poeti trobadorici mirano a dissociare l’amore dal piano sociale ed economico, privandolo di un appoggio per così dire “materiale”. L’amore cortese, infatti, è scevro da contaminazioni e logiche opportunistiche, si manifesta nell’amato attraverso la devozione per la donna, la gelosia verso potenziali rivali, la segretezza del nome dell’amata che deve essere protetta dalle malelingue, il tormento e la sofferenza per l’ostacolo quasi sempre insormontabile rappresentato dall’impalcatura sociale in cui si origina, il matrimonio.

L’autore del Tristano e Isotta giudica i personaggi in virtù della logica cortese (come dimostra l’epiteto di «felloni» che viene dato ai tre baroni responsabili di aver denunciato a re Marco la relazione adulterina di Isotta e Tristano; secondo il codice feudale essi avrebbero dovuto essere considerati «fidi» e leali nei confronti del loro signore, malgrado ciò la loro azione è condannata perché ostacola l’amore dei due) e, così facendo giustifica e glorifica l’adulterio. Dal momento che l’amor cortese presuppone una fedeltà totale dell’amante-cavaliere per la sua dama, questo rapporto risulta incompatibile con quello del matrimonio (l’amor cortese si svolge sempre all’infuori del vincolo matrimoniale) e con l’istituzione sociale (perché la donna è eletta al di sopra di tutto, anche del signore a cui il vassallo dovrebbe una fedeltà incondizionata).