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Misticismo e religiosità nel Tristano e Isotta nell’ambito della poesia cortese medievale

CAPITOLO TERZO – L’AMORE DI TRISTANO E ISOTTA

III.7 Misticismo e religiosità nel Tristano e Isotta nell’ambito della poesia cortese medievale

C’è un altro aspetto da considerare sulla natura dell’amore di Tristano e Isotta. Dopo ciò che abbiamo detto su Eros e Agape possiamo affermare con abbastanza sicurezza che questo amore, come gran parte della poesia d’amore medievale, risente degli influssi della religiosità cristiana del suo tempo e del Platonismo-Neoplatonismo orientale. A loro volta questi due motivi avevano trovato una sintesi nel concetto di caritas (che analizzeremo più approfonditamente nella seconda parte della ricerca, incentrata su Dante e Beatrice) che si riversa nell’ambito della poesia d’amore.

Non è possibile, infatti, disgiungere il Medioevo dal suo fondo essenzialmente religioso ma soprattutto non si può dimenticare che il Medioevo è l’epoca della tradizione. L’interesse teologico è di natura prevalentemente ordinatrice: mira a ordinare un sistema di pensiero in cui prendano posto tutte le precedenti concezioni che devono, per così dire, inserirsi come elementi ben collaudati all’interno di un ingranaggio. Nella poesia dell’amore cortese dunque il carattere sensuale inizialmente sotteso ad esso si staccò progressivamente diventando sempre più divino e spirituale: attraverso l’esaltazione dell’oggetto si voleva contemplare lo splendore dell’ideale. L’amore per la donna si tramuta in amore per Maria, amore per Cristo e amore per Dio in un processo di spiritualizzazione che si svolge sotto l’influsso della caritas. Ma, viceversa, la religione stessa subisce le conseguenze di questa lirica:

Questa poesia cortese peraltro, che si è così ampiamente valsa di concetti e di termini teologici, ha avuto sulla teologia cristiana un influsso per così dire retroattivo. Il caratteristico connubio tra elementi sensibili e sovrasensibili di questa poesia contraddistingue anche la concezione cristiana dell’amore, soprattutto in determinati ambienti mistici. Essa riveste un carattere sensuale quale ancora non aveva conosciuto. Dai tempi di Agostino si era avvezzi a considerare il Cristianesimo come religione della caritas, ora il Cristianesimo diviene religiosità amorosa. […] L’anima che cerca la comunione con Dio, «l’anima amorosa», viene raffigurata come la bella regina per la quale Dio e Cristo nutrono un nostalgico desiderio. Cristo è lo sposo dell’anima che scocca in essa il suo

dardo d’amore suscitando in lei un doloroso piacere. Cristo e l’anima sono descritti come una coppia di innamorati che gioiscono di stare insieme, «in sereni conversari e dolci carezze». La comunione tra l’anima e Dio si esprime volentieri con l’immagine, già usata nelle antiche religioni misteriche, delle nozze spirituali.28

Si spiegherebbe così l’impossibilità per Tristano e Isotta di realizzare il loro amore dal momento che anche Tristano vede in Isotta qualcosa che travalica la donna, egli vede in lei il simbolo del divino:

Bisognava dunque che Isotta fosse l’Impossibile, perché ogni amore possibile ci riporta a questi vincoli, ci riconduce entro i limiti dello spazio e del tempo, al di fuori dei quali non vi sono «creature»; mentre il solo fine dell’amore infinito non può essere che il divino: Dio, la nostra idea di Dio o l’Io divinizzato. […] Il mito descriveva una fatalità da cui le sue vittime non potevano liberarsi che sfuggendo al mondo finito.29

Ma la morte non spaventa i due amanti, essa è sottesa al loro amore, ne è l’essenza. Ed ecco che il filtro d’amore, causa della loro passione, «era la gioia aspra, era l’angoscia senza fine, era la morte»30 e infatti Tristano si esprime così quando Brangien cerca di separarli: «Venga, dunque, la morte!»31.

L’avventura di Tristano, che nasce in seno alla cultura celtica, evoca, secondo De Rougemont, la parabola di una vita mistica in cui però, a dispetto delle vite dei mistici, si profila una colpa. La colpa dell’adulterio consumato che è appunto una infrazione delle leggi dell’amor cortese anche se poi l’amore fra Tristano e Isotta è destinato a rimanere irrealizzato (proprio come vuole la lirica trobadorica). Il carattere dell’avventura mistica, peraltro, si evince sin dall’inizio in alcuni passaggi come la partenza del giovane che, ferito, si imbarca su una navicella senza timone né vela, munito solo della sua spada e della sua arpa, alla ricerca della cura che lo farà guarire. Nel lessico religioso l’esordio del

28

Ivi, pp. 676-677

29

DENIS DE ROUGEMONT, L’amore e l’Occidente, cit., p. 341 30

JOSEPH BEDIER, Il romanzo di Tristano e Isotta, Traduzione di Francesco Picco, Milano, Bietti, 1920, p. 63

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romanzo racconta la ricerca dell’anima peccatrice ferita che rinuncia agli aiuti visibili e si offre a una Grazia sconosciuta.

Facciamo un salto in avanti e spostiamo la nostra attenzione all’episodio del filtro magico. Abbiamo già detto che il filtro ha la funzione di alibi: serve a negare la responsabilità degli amanti poiché il loro amore è inconfessabile sia agli occhi della società, sia ai propri occhi. Da un punto di vista religioso esso rappresenta l’elevazione dell’Anima verso la divinità, con tutte le prove e le sofferenze che tale percorso comporta. Da qui deriva l’amore infelice dei due ma l’infelicità è anche la punizione per la profanazione dell’amore puro professato dai Catari attraverso la quale il peccatore riscatta il suo peccato. Il percorso di Tristano e Isotta acquista così le sembianze dell’ascesa, della penitenza che l’eresia catara pretendeva dai «perfetti» che aveva come meta dichiarata il distacco finale e gioioso dal mondo. In una parola, la morte.

Ci sono tracce di questa tendenza dominante nel romanzo, ad esempio il racconto della vita nella foresta di Morrois, in cui Isotta lamenta la perdita del mondo. Il ritiro nella foresta rappresenta il periodo di digiuno e di macerazione a cui si sottoponevano i Catari iniziati e che aveva come scopo l’assorbimento di tutte le facoltà nella sola contemplazione dell’amore. L’operazione di De Rougemont, che riveste una leggenda bretone di significato mistico, potrebbe sembrare blasfema se non ci fosse la certezza che la passione tra Tristano e Isotta non si limita ad essere amore dei sensi: essa è primariamente amore mistico, «religioso». Se i santi hanno affrontato prove corporali e morali per mortificare i sensi e rafforzare la volontà, le anime di Tristano e Isotta hanno patito la separazione e la ripulsa nei momenti di massimo ardore. Questi strappi ripetuti sono altre declinazioni del processo di purificazione.

Osserva De Rougemont: «Tristano non è che un’impura e talvolta equivoca traduzione della mistica cortese»32 e infatti molte situazioni del romanzo non troverebbero spiegazione se non fossero destrutturate presupponendo alla base un amore divino che si spiega mediante metafore. Se il romanzo di Tristano e Isotta raccontasse semplicemente l’amore sensuale dell’eroe per una bella donna, allora le similitudini mistiche intraviste dallo studioso (come l’episodio della foresta di Morrois) sarebbero frutto di un fraintendimento di fondo.

Ma che tipo di amore sarebbe in quel caso quello di Tristano e Isotta? Un amore profano? Allora perché non farlo sfociare nel matrimonio? Come sappiamo i cristiani infatti non negavano l’amore profano: lo santificavano attraverso il matrimonio, legittimando così l’unione dei corpi. Perché l’amore di Tristano e Isotta non poteva concludersi secondo i comandamenti della Chiesa che l’avrebbe purificato? Forse perché la purificazione che cercano i due amanti è un’altra. Per i Catari, per le sette ereticali eredità del paganesimo e per la concezione platonica dell’Eros, infatti, non c’era possibilità di riscatto nel mondo terreno e l’amore profano era visto come un attaccamento malsano al mondo terreno che deve essere superato. La morte volontaria rappresenta un modo per compiere questo passaggio. La passione totale che flagella i due protagonisti può essere interpretata anche come la metafora della rivelazione che li sorprende in punto di morte ma è necessaria la morte perché la loro ascesi si compia. Se non ammettiamo questo sfondo religioso nella leggenda risulta più difficile giustificarne l’epilogo.

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