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L’enigma del duplice significato della «gentile donna» nella Vita nova e nel Convivio

CAPITOLO TERZO – L’AMORE DI DANTE E BEATRICE

III.10 La «gentile donna»

III.10.1 L’enigma del duplice significato della «gentile donna» nella Vita nova e nel Convivio

La valutazione della «gentile donna» della Vita nova stride con la testimonianza contenuta nel Convivio, in cui il poeta le attribuisce un significato allegorico e la identifica con la Filosofia, per la quale scrive Voi ch’ntendendo il terzo ciel movete.

Il libello della Vita nova risale probabilmente agli anni 1291-1292 (mentre le liriche furono composte dal 1283) mentre il Convivio è stato steso tra il 1304 e il 1307. Come spiegare questa insanabile incongruenza nella spiegazione e nel giudizio che l’autore dà della figura della «gentile donna» nelle sue due opere?

Secondo Corti, ad esempio, la donna va identificata con la Filosofia anche nella Vita

nova poiché non avrebbe senso, per lei, che Dante parlasse e desse tanta importanza a un

amore alternativo per una donna in carne e ossa. Scrive la studiosa:

Prima di tutto, cosa c’entra nella struttura della Vita Nuova, storia di un amore angelicato e testo della poetica nuova stilnovistica, un episodietto amoroso? Le donne dello schermo avevano, vivente Beatrice, una precisa funzione nella strategia del racconto d’amore per la gentilissima; ma, morta Beatrice, che ci starebbe a fare nella Vita Nuova la passioncella? La legge costitutiva dell’opera, nutrita di sogni e di visioni, di versetti evangelici e incanti nistici, non sembra giustificare e consentire l’inserto.88

Per Corti tutte le liriche, dunque, sono nate con un sovrasenso allegorico. Discorda dalla sua posizione quella di Carrai. Secondo il critico l’episodio della «gentile donna» ha un senso essendo perfettamente in linea con l’itinerarium in Deum del protagonista che doveva passare attraverso l’esperienza della tentazione (come Cristo, che fu tentato dal demonio, e dopo di lui, gli asceti e i santi) perché il suo ritorno a Beatrice (che rappresenta la retta via) fosse avvalorato e definitivo. La prova della tentazione, in quest’ottica, è anzi fondamentale nel percorso amoroso del poeta. A dimostrazione di ciò, Carrai si appella proprio alle parole di Dante che, nel sonetto di costrizione Lasso!, per forza di molti sospiri 88

MARIA CORTI, La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi, 1983, p. 148

definisce il pensiero della «gentile donna» prima «aversario della Ragione», poi «desiderio malvagio e vana intenzione» e che conduce al pentimento e alla vergogna. Sarebbero questi i passi del percorso esemplare del cristiano, traviato, sì, ma capace di ravvedersi (in ciò consisterebbe la sua forza). Già Scartazzini, alla fine dell’Ottocento, e Fenzi propendono per questa interpretazione. L’ultimo, in particolare, scrive: «“chiodo non scaccia chiodo”, perché ciò che deve ora emergere con assoluta chiarezza, proprio a questo punto della Vita Nuova, è l’eccezionalità vittoriosa dell’amore che per sempre ha legato il protagonista a Beatrice»89.

Va sottolineato che si tratta di una decisa contrapposizione di Dante al precetto del “chiodo scaccia chiodo”, sottesa ai Remedia amoris in cui Ovidio chiama in causa celeberrimi esempi di uomini che abbandonano le loro donne per altre (Minosse lascia Pasifae per Procride, Alcmeone Alfesibea per Calliroe, Paride Enone per Elena e Tereo abbandona Progne per Filomena) e consolidata dal manuale e modello di riferimento di Cappellano, il De amore, in cui l’autore nota chiaramente che un nuovo amore scaccia il vecchio. Contravvenendo a questa regola, Dante reitera quanto abbiamo appreso sin dalle prime pagine della Vita nova, e cioè che il suo è un amore ‛speciale’ e che di fronte alla nuova passione tentatrice lui oscilla ma poi retrocede per tornare sui passi del vero amore. È evidente, infatti, che l’amore per Beatrice, superata la prova estrema, non può che svolgere la funzione di recupero definitivo e irreversibile del legame per Beatrice. Perché Dante ha dimostrato di preferire una donna morta a una viva. Secondo Carrai, allora, a Dante sarebbe potuta venire l’idea di ri-connotare la figura della «gentile donna» nel

Convivio, in un momento successivo alla stesura del libello giovanile. Nell’operazione il

poeta avrebbe tenuto conto del beneficio che riqualificare la figura femminile in chiave

89

ENRICO FENZI, “Costanzia de la ragione” e “malvagio desiderio” (V. N, XXXIX, 2):

Dante e la donna pietosa, in VINCENT MOLETA, “La gloriosa donna de la mente”. A

filosofica gli avrebbe comportato, perfezionando la sua biografia ideale, senza la ignominiosa donna del tralignamento. Così si spiegherebbe anche l’allungamento del tempo dell’infatuazione che, non essendo più qualcosa di biasimevole, poteva essere durato non qualche giorno ma trenta mesi, un tempo più consono, peraltro, da dedicare allo studio della filosofia. Ma è bene precisare che la rivalutazione della «gentile donna» nel

Convivio, per come la vede Carrai, non va sovrapposta a quella della Vita nova. Nell’opera

giovanile, la donna rimane donna traviante, nell’opera successiva è allegoria della filosofia. La stessa figura si sdoppia nelle due opere e così deve essere letta, non essendo incompatibile, secondo il critico, l’esperienza della tentazione carnale nell’esperienza del poeta. Questa posizione di Carrai è vicina a quella di Barbi mentre si discosta dalla linea che ritiene che a tutte le liriche dedicate alla «gentile donna» il poeta abbia sovrapposto l’allegoria in un secondo tempo (mentre per Corti le liriche della Vita nova nascono già con il sovrasenso allegorico).

Bellomo, riconoscendo la sostanziale inestricabilità del dilemma, opta per una analisi diversa. Scrive, infatti:

Dal primo passo riferito è chiaro che la diversità tra Convivio e Vita nova è di forma, e non di sostanza, essendo l’una “temperata e virile” e l’altra “fervida e passionata”. La Vita nova inoltre, come si è visto, ha una fondamentale componente metaletteraria, nel senso che è letteratura che parla di letteratura, poesia che racconta la storia del suo nascere. In quest’ambito la donna è metafora dello stile e pertanto un cambio di stile si configura come un cambio di donna, e quindi come un vero e proprio tradimento nel quale i dubbi e le incertezze dell’artista sono rese drammaticamente. Ecco allora che l’esperimento dello stile allegorico, denso di dottrina, una volta superato in favore di un ritorno a quello della “loda”, può essere descritto come un “malvagio desiderio e vana tentazione”, così come i cambiamenti di prospettiva possono essere espressi in forma molto drammatica nell’ambito della dinamica della colpa e del pentimento. Bisogna notare ancora che il Convivio non significa un ritorno alla poesia della donna gentile, ma solo l’utilizzo di quella poesia come punto di partenza della prosa. E infine, ancora una volta, bisogna ribadire che

da un’opera non compiuta né pubblicata non è possibile né corretto pretendere un’assoluta coerenza.90

Aspetto, quest’ultimo, da non sottovalutare. Non si può, infatti, giungere a delle conclusioni sulla base di un’opera inconclusa.

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