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Il miracolo di Beatrice 1 Concetto di bellezza in Beatrice

CAPITOLO TERZO – L’AMORE DI DANTE E BEATRICE

III.9 Il miracolo di Beatrice 1 Concetto di bellezza in Beatrice

Beatrice è un miracolo ed è bella, l’uno e l’altro aspetto pervadono il libro ma entrambi sono privi di puntuali indicazioni. Dell’aspetto fisico della donna sappiamo poco e in maniera vaga (come tradurre, ad esempio, il «color di perle» di Beatrice?), diversamente dalle descrizioni che altri poeti del tempo fanno della donna oggetto della lirica, la cui bellezza fisica, rimarcata e descritta secondo il canone dell’epoca, si accompagna sempre a qualità soprannaturali.

È sottinteso che Beatrice sia bella ma forse non è così importante per Dante come dire di lei che è «gentile», «gentilissima», «gloriosa» e «mirabile». Solo dopo la sua morte si insiste sulla sua bellezza. Paradossalmente è nelle poesie e nelle prose della loda che Dante si astiene dagli elogi sulla fisicità. È più facile rinvenire rapidi cenni alla bellezza di Beatrice nei testi anteriori alla lode, in espressioni come «vostra bieltade», «mirabile bellezza» e «bella gioia», che, come si può notare, sono comunque espressioni e sintagmi stereotipati. Citando Santagata:

L’impressione complessiva è che Dante non solo ricorra di rado al motivo della bellezza muliebre, ma che, nelle poesie come nelle prose, parli di bellezza in astratto, evitando di qualificarla e di specificarla. E anche nell’affermare astrattamente la bellezza si attiene a una sorta di registro basso, lontano dalle iperboli e dalle accensioni che pure la tradizione autorizzava: in fondo, si limita a selezionare con discrezione dentro la gamma delle possibili qualificazioni, senza concedersi invenzioni linguistiche o scatti immaginari notabili. La rappresentazione dell’aspetto di Beatrice era per lui un problema. Osserva Bertolucci (1989, 195) che il problema non era quello della «rappresentazione post mortem», ma «di rappresentarla in vita, angelo terrestre e donna celeste (il canone estetico-filosofico medievale imponeva la corrispondenza tra forma esteriore natura interiore) e per verba: in questo caso nessun sussidio poteva venire dalla tradizione descrittiva anteriore e contemporanea, chiaramente insufficiente se non addirittura non pertinente».81

81

MARCO SANTAGATA, Amate e amanti. Figure della lirica amorosa fra Dante e

La novità rappresentata dall’angelicità di Beatrice (diversa da quella delle altre donne) non trova, cioè, riscontro linguistico ma forse è dato da pensare, che il poeta non abbia esplicitato volutamente questo aspetto per timore che la sua Beatrice scadesse nelle stesse rappresentazioni frutto delle operazioni poetiche dei suoi predecessori. Dante, invece, vuole sperimentare un nuovo linguaggio del sacro attraverso la poesia (e la prosa) della

Vita nova e anche per questo si avvale dei numeri che, attraverso l’equazione trinitaria, gli

consentono di dare a Beatrice dimensione metafisica, non semplicemente paragonandola ad un angelo e ad un miracolo poiché ella è angelo ed è miracolo.

E infatti la dimostrazione concreta del suo essere miracolo consiste nelle ‛operazioni’ di Beatrice: la sua presenza non è mai passiva, ella riesce a produrre effetti miracolosi, di carità e di perdono, trasmette la sua virtù, fa dimenticare l’offesa subita, trasforma i cuori villani; in una parola, questa donna-angelo nobilita e ingentilisce l’animo e il comportamento, compiendo una sorta di metamorfosi in colui che l’ama. Ma Dante non inventa nulla di quanto abbiamo appena menzionato: gli effetti salvifici della donna-angelo erano già stati ampiamente descritti, solo riguardo alla miracolosità di Beatrice c’è una differenza per così dire ontologica (lei è angelo, lei è miracolo) che non trova però capacità d’espressione in innovazioni in campo linguistico (gli attributi con cui viene descritta la donna sono ripetitivi e desunti dalla lirica romanza). Il merito che spetta a Dante è, invece, quello di aver dato un ordine e una coesione ideologica a un insieme di immagini, raffigurazioni e motivi. È proprio la carica ideologica di Dante a conferire al libro una valenza particolarissima che si discosta dal resto della retorica dell’amor cortese.

Tuttavia, secondo Santagata, Dante non riesce a elaborare un linguaggio poetico nuovo e attinge a una tradizione oramai saturata (nonostante i numeri e le associazioni analogiche da lui introdotte) in cui la miracolosità di Beatrice, nell’azione concreta del suo operare, si rivela, il più delle volte, simile a quella delle donne della tradizione cortese. Questo, però,

solo sul piano dell’azione. In realtà, abbiamo visto di quanti significati e valenze si carica la figura della donna.

III.9.1 Beatrice come Amore

Dante non mette in rilievo solo l’analogia (vista precedentemente) tra Beatrice e Cristo ma anche quella tra Beatrice e Amore. Possiamo dire, infatti, che ad un certo punto egli intende la donna proprio come Amore. Nel capitolo sedicesimo Dante spiega che cos’è Amore:

Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle ogni dubitazione, e dubitare potrebbe di ciò ch’io dico d’Amore come se fosse una cosa per sé: e non solamente sustanzia intelligente, ma sì come fosse sustanzia corporale. La qual cosa, secondo la verità, è falsa, ché Amore non è sì come sustanzia, ma è uno accidente in sustanzia.82

Se, cioè, fino ad ora, si ha considerato Amore come una persona è perché Dante lo ha rappresentato così quando ha scritto che lo ha visto camminare, ridere e parlare, come un corpo umano. In realtà, dopo la digressione sui poeti antichi e moderni, in cui legittima questa figura retorica utilizzata anche dai poeti latini, non riappare più il dio d’amore come personaggio della prosa e tutta la sua autorità viene delegata a Beatrice. Il simbolo di Amore finisce con il coincidere con il suo oggetto. La concezione dell’amore sta subendo una trasformazione. Amore è Beatrice.

Questo fatto si evince già dal capitolo quindicesimo quando Amore dice: «E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore per molta simiglianza che à meco»83 e quando, nel capitolo successivo, il discorso di Dante è teso a mettere in discussione la realtà di Amore come persona capiamo bene che ciò rientra all’interno della sua strategia tesa a conseguire una nuova posizione al concetto di amore. Se infatti in futuro, nella restante parte del libello, dovesse riapparire il dio d’amore la sua autorità ne sarebbe così indebolita che anche il nostro atteggiamento verso di lui cambierebbe. Se nelle poesie possiamo continuare ad accettarlo come figura retorica in virtù della

82

DANTE ALIGHIERI, Vita nova, cit., p. 121 83

convenzione poetica, così non può essere per le parti in prosa. Il dio d’amore, tradizionalmente presente nella lirica amorosa, esce dalla scena.