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CAPITOLO TERZO – L’AMORE DI DANTE E BEATRICE

III.7 La morte di Beatrice

Soffermiamoci ora su un momento della storia che dà conto della beatitudine di Beatrice: la sua morte. La morte di Beatrice è la rivelazione finale del suo essere miracolo, già preconizzato e insinuato da segni precursori, come il ricorrere del numero nove. Morendo ella ritorna al Cielo, realizzando così la sua vera natura; Beatrice è chiaramente una creatura umana e mortale, una donna, ma la beatitudine di cui ella si fa portatrice le permette di oltrepassare i confini della sua stessa natura. Ed è solo dopo la sua morte che questa natura, dunque, si può realizzare, e che Dante stesso, il suo amante, ne può comprendere appieno il significato. Per questa ragione nella Vita nova la morte di Beatrice occupa una posizione centrale, perfino per quanto riguarda la disposizione delle poesie: delle tre canzoni più lunghe che suddividono l’opera in tre parti, quella dedicata alla morte di Beatrice è la seconda, nel capitolo ventesimo.

Ne riportiamo di seguito il testo:

Li occhi dolenti per pietà del core ànno di lagrimar sofferta pena sì che pervinti son remasi omai: ora, s’i’ voglio sfogar lo dolore che a poco a poco alla morte mi mena, convienemi parlar traendo guai. E perch’e’ mi ricorda che io parlai de la mia donna mentre che vivea, donne gentili, volentier con voi, non vòi parlare altrui

se no a cor gentil che in donna sia; e dicerò di lei piangendo, poi che si n’è gita in ciel subitamente e à lasciato Amor meco dolente.

Ita n’è Beatrice en l’alto cielo, nel reame ove li angeli ànno pace, e sta co·lloro, e voi, donne, à lassate.

No la ci tolse qualità di gelo né di calore, come l’altre face, ma solo fue sua gran benignitate, ché luce de la sua umilitate passò li cieli con tanta vertute che fe’ maravigliar l’etterno Sire, sì che dolce disire

lo giunse di chiamar tanta salute e fella di qua giù a sé venire, perch’e’ vedea ch’esta vita noiosa non era degna di sì gentil cosa.

Partissi de la sua bella persona piena di grazia l’anima gentile ed èssi glorïosa in loco degno: chi no la piange quando ne ragiona core à di pietra sì malvagio e vile ch’entrar no i puote spirito benigno. No è di cor villan sì alto ingegno che possa imaginar di lei alquanto e, però, no gli ven di pianger doglia; ma ven trestizia e voglia

di sospirare e di morir di pianto, e d’onne consolar l’anima spoglia chi vede nel pensero alcuna volta quale ella fue e com’ella n’è tolta.

Dannomi angoscia li sospiri forte quando ’l pensero ne la mente grave mi reca quella che m’à ’l cor diviso, e spesse fiate, pensando a la morte, vienemene un disio tanto soave che mi tramuta lo color nel viso; e, quando ’l ’maginar mi vien ben fiso, giungemi tanta pena d’ogni parte ch’io mi riscuoto, per dolor ch’i’ sento, e sì fatto divento

che da le genti vergogna mi parte. Poscia, piangendo, sol nel mio lamento chiamo Beatrice e dico: «Or sè tu morta?», e mentre che la chiamo me conforta.

Pianger di doglia e sospirar d’angoscia mi strugge ’l core ovunque sol mi trovo, sì che ne ’ncrescerebbe a chi m’audisse; e quale è stata la mia vita, poscia che la mia donna andò nel secol novo, lingua no è che dicer lo sapesse. E però, donne mie, pur ch’io volesse, non vi sapre’ io dir ben quel ch’io sono, sì mi fa travagliar l’acerba vita,

la quale è sì ’nvilita

che ogn’om par che mi dica: «Io t’abbandono», veggendo la mia labbia tramortita;

ma qual ch’io sia la mia donna il si vede ed io ne spero ancor da lei merzede.

Pietosa mia canzone, or va’ piangendo e ritruova le donne e le donzelle a cui le tue sorelle

erano usate di portar letizia, e tu, che sè figliuola di trestizia, vatten disconsolata a star con elle.73

È il primo compianto in morte di Beatrice dopo l’annuncio funebre. A questo punto è lecito interrogarci se Beatrice fosse già morta quando Dante scrive le liriche iniziali del suo Libro della Memoria. Due sono i passi che fanno capire al lettore che il poeta era già a conoscenza del fatto. Nel primo capitolo dell’opera Beatrice viene chiamata «la gloriosa donna della mia mente», dove «gloriosa» significa che ella è già nella gloria della vita eterna. Ancora più schiacciante a favore di questa ipotesi la prova contenuta

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nell’espressione: «meritata nel grande secolo», in riferimento all’ineffabile cortesia di Beatrice che ora è ricompensata nella vita eterna.

Dunque, il lettore attento capisce sin dall’inizio l’epilogo della storia: l’inizio, con Beatrice giovinetta vestita di rosso all’età di nove anni e poi rivista nove anni dopo e attraverso molteplici avvenimenti, contiene la fine, la sua morte prematura. La morte di Beatrice è il centro ideale di un cerchio in cui inizio e fine coincidono. Scrive Singleton:

Rispetto a questo stesso cerchio, il poeta, che è l’amante di Beatrice e al quale appartiene il Libro della Memoria, si sdoppia - per dir così – in due persone, distinguibili in base al principio temporale così fissato. Egli è il protagonista dell’azione, che vive gli eventi nella successione in cui essi hanno luogo. E poi è anche la persona che, avendo vissuto attraverso tutti quegli eventi, si volge a considerarli, scorgendone ora il significato come non gli era stato possibile al tempo in cui essi avevano avuto luogo. In quanto prima di queste due persone, egli non sa mai quello che sta per accadere. Ma come colui che legge in un libro della memoria, egli conosce la fine, la metà e il principio di tutto ciò che è accaduto. Questa situazione temporale in virtù della quale il poeta si sdoppia in due persone, è d’importanza fondamentale per l’esistenza della storia in quanto forma vivente, poiché, mediante tale principio, un allora e un ora sono fissati per tutta la durata dell’azione, e, tra questi due poli temporali, il significato sprizza fuori come scintilla. Senza questa condizione temporale non potremmo avere questa storia. Per esempio, senza un protagonista ignaro della fine, come potrebbe la morte di Beatrice irrompere nella narrazione con la stessa drammatica subitaneità?74

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CHARLES SOUTHWARD SINGLETON, Saggio sulla ‛Vita Nuova’, Bologna, Il Mulino,