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louIs carIo, charles régIsManset, L’Exotisme: la

littérature coloniale, Paris, L’Harmattan, 2016, 184 pp.

Pubblicato dalla casa editrice L’Harmattan di Parigi,

L’Exotisme: la littérature coloniale è una riedizione del

testo dato alle stampe nel 1911 da Mercure de France e ora divenuto introvabile. Ne ha curato la nuova edizione lo studioso irlandese Patrick crowley, che l’ha correda-

ta di un’ampia introduzione. Dopo aver presentato gli autori Louis Cario e Charles Régismanset e avere ricor- dato i frutti – oggi quasi dimenticati – di un sodalizio fe- condo, Crowley si sofferma sul contesto di produzione del volume, ossia la Terza Repubblica. Si tratta di un’e- poca caratterizzata da una grande espansione coloniale e dalla progressiva introduzione, in Francia, della cultura «esotica» che si affermerà nel Novecento. Il merito del testo è quello di aver sollecitato un dibattito che ha avuto come principale ripercussione la promozione del roman- zo coloniale a inizio secolo e il suo riconoscimento come genere a sé stante negli anni Venti, un genere del tutto svincolato dalle opere esotiche e dai racconti di viaggio. Secondo Crowley, si tratta, dunque, di un apporto indi- spensabile agli studi critici che merita di essere riscoperto e a cui va attribuito il giusto merito. A proposito dello studio di Cario e Régismanset, l’autore dell’introduzione afferma: «L’essentiel de leur approche est d’établir un rapport entre exotisme et littérature coloniale» (p. xIv) e

mettere in relazione un insieme di testi che non sono ne- cessariamente letterari. La struttura stessa dell’opera rive- la questo approccio: la prima parte è dedicata alle origini, la seconda all’attività coloniale e solo la terza alla lettera- tura. Il valore del lavoro è da ricercarsi soprattutto nella carrellata che prende in esame opere storiche, resoconti di missionari e relazioni di viaggio, dal Medioevo al Ro- manticismo. La ripartizione sottolinea come la lettera- tura non sia che l’ultimo passaggio di un fenomeno che inizia come spostamento fisico e ha come conseguenza una ripercussione a livello di immaginario. All’origine del volume vi è una riflessione sulla necessità della mobi- lità che è un’esigenza e un istinto vitale dell’uomo: «Pour l’humanité, immobilité est synonyme de mort» (p. xv).

È la curiosità che spinge l’uomo a spostarsi. Al tempo stesso, colui che resta vuole scoprire l’altrove attraver- so la testimonianza dell’esotico. Quest’ultimo ha come principale conseguenza il rinnovamento della letteratu- ra francese perché il «sillon profond» (p. xvII) che ha

tracciato dà vita ad «une action vivifiante» (p. xvII). Dal

Medioevo si passa a Montaigne, a Bernardin de Saint- Pierre e agli autori romantici dell’Ottocento. Nel loro excursus i due autori rifiutano l’idea di colonialismo umanitario secondo la quale l’Occidente, assimilando gli indigeni, si proporrebbe una missione civilizzatrice. La conclusione dell’opera sottolinea che la presenza di elementi esotici nei romanzi di inizio Novecento ha una funzione decorativa volta a suscitare l’interesse del letto- re e a introdurre un elemento di originalità in un genere che, a loro parere, sembra subire una cristallizzazione delle forme e dei temi.

Come si è detto, il volume di Cario e Régismanset si prefigge lo scopo di indagare il rapporto tra la letteratu- ra, il mondo coloniale e l’esotismo. Se in un primo mo-

mento quest’ultimo agisce come facile seduzione per il lettore francese, i due studiosi ipotizzano l’avvento di una modalità che «instruise sur le monde colonial» (p. xxx) e fornisca un modello di comprensione dell’al-

trove in relazione al suo inserimento nella letteratura francese. L’interesse di rileggere oggi questo testo sta nel recupero di un discorso sulla colonizzazione, sulle conseguenze che ha provocato nell’immaginario let- terario francese e sulle sue successive trasformazioni. Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi sag- gi critici su questo tema: basti pensare alle opere di Jean-Marc Moura, Pascal Bruckner, Daniel Lefeuvre, Pascal Blanchard, Nicolas Bancel e Sandrine Lemaire. Riprendere L’Exotisme di Cario e Régismanset signi- fica riscoprire le origini di quella riflessione che trova oggi nuove prospettive e soprattutto ragionare su di un «passé qui continue de hanter nos perceptions du monde contemporain» (p. xxxIII).

[eManuelacacchIolI]

jeande dIeu ItsIekI Putu Basey, De la mémoire de

l’histoire à la refonte des encyclopédies. Hubert Aquin, Henry Bauchau, Rachid Boudjedra, Driss Charaïbi et Ahmadou Kourouma, Bruxelles, Peter Lang, 2017,

«Documents pour l’Histoire des Francophonies/ Théorie», 442 pp.

La finzione romanzesca e la reinterpretazione della storia nelle opere nate in contesto francofono sono i temi indagati da Jean de Dieu Itsieki Putu Basey in un volume ricco di spunti di riflessione. Ricœur parla di «bifurcation» (p. 15) tra il romanzo storico e quello di finzione, dove l’uno è indipendente dall’altro, ma al tempo stesso sono «ennemis complémentaires» (p. 15), per usare l’espressione di Élisabeth Arend. Il romanzo storico, dal canto suo, ha due funzioni prin- cipali. Da un lato assicura la trasmissione di una testi- monianza storica attraverso la divulgazione della cono- scenza e dell’interpretazione degli eventi e collabora alla costruzione della cultura e dell’identità. Dall’altro serve come metodo efficace per scoprire e svelare una rappresentazione del lato invisibile della storia, ossia delle ambiguità, dei significati nascosti, indicibili, ri- fiutati. Tra la storia e le opere di finzione si crea un rapporto di complicità, di concorrenza, di dissonanza che è ben visibile nei romanzi francofoni qui presi in esame. Questi ultimi dialogano con la memoria collet- tiva e creano un rapporto di filiazione, di dissidenza, di appropriazione e di confronto. Si instaura un conflitto tra la volontà di descrivere una realtà oggettiva relativa al passato e il desiderio di renderlo mitico. Secondo al- cuni critici questa visione genera un risultato comples- sivamente negativo, in quanto gli autori dimostrano di non riuscire a “entrare” nella storia e a farla propria. Al contrario, Jean de Dieu Itsieki Putu Basey prova che esistono numerose strategie volte a superare que- sta impasse: l’uso di metafore, allegorie, di altre figure retoriche, ma anche dell’umorismo, della parodia sono segnali di un tentativo di dare al passato una forma

nuova in grado di cogliere l’unicità degli eventi. Oltre che con un passato mitico, gli scrittori devono confron- tarsi con la storia recente, addirittura contemporanea, per generare nel lettore quei dubbi che permettono di descrivere il caos, l’assurdità, la follia della realtà e ottenere effetti di demistificazione, disillusione e disin- canto. Approcciare i fatti in questo modo significa illu- minare i coni d’ombra della memoria ufficiale, mettere in luce le ambiguità, i paradossi, ma anche trovare la forza e le strategie per conoscere il passato, capire la storia, dare un senso al presente e costruire passerelle per il futuro.

Lo scopo del volume vuole essere quello di «mon- trer la portée pragmatique des fictions romanesques francophones» (p. 21), ossia quello di «convaincre l’habitant du “monde disloqué”» che il romanzo sto- rico manifesta «la nécessité, voire l’urgence, de trouver […] les moyens adaptés à sa condition et à son con- texte afin d’infléchir le cours de l’Histoire» (p. 21). Di conseguenza l’uomo risulta subordinato alla storia e non più artefice del proprio destino. Nei romanzi fran- cofoni questo aspetto è evidente perché gli autori rein- ventano gli immaginari collettivi e ricreano dei mondi possibili, atti a suggerire dei percorsi per superare la disastrosa realtà circostante. Jean de Dieu Itsieki Putu Basey sceglie un corpus piuttosto variegato, composto da autori importanti che coprono soprattutto l’area africana, americana a cui si aggiunge il Belgio. Si tratta dell’algerino Rachid Boudjedra, dell’ivoriano Ahma- dou Kourouma, del marocchino Driss Charaïbi, del canadese Hubert Aquin e del belga Henry Bauchau. Il volume avrebbe potuto prendere in esame altri testi e allargarsi sino al teatro. Tuttavia il critico ha scelto di limitarsi a questi esempi che già forniscono una visione ampia e complessa del tema proposto. Inoltre il discor- so si completa grazie a numerosi riferimenti ai testi di Patrick Chamoiseau che rendono conto dell’area ca- raibica e diventano un perno attorno al quale ruotano tutte le altre opere esaminate. Il corpus è basato sulle affinità tematiche e viene rafforzato dal parallelismo biografico: tutti hanno avuto un percorso di vita simile e un rapporto diretto con la Storia. Si può parlare di una vera e propria comunità di destini. Non solo. I ro- manzieri selezionati utilizzano la scrittura come istanza ideale per esprimere l’incoerenza della vita e mettere in luce le ambiguità della storia. Un altro elemento che circoscrive il corpus è il contesto di produzione delle opere considerate. Siamo negli anni Sessanta, ossia in quel decennio in cui si verificano la rivoluzio- ne tranquilla del Quebec, l’indipendenza di numerosi stati africani e il maggio ’68 in Europa. La storia è una delle preoccupazioni centrali dei testi perché permea la realtà sociale, è in divenire, genera incertezza dopo aver scardinato alcuni punti fissi dell’immaginario col- lettivo.

Oltre al riferimento al passato, il titolo del vo- lume contiene anche l’espressione «refonte des encyclopédies». Con il primo termine, Jean de Dieu Itsieki Putu Basey riprende un vocabolo che appartie- ne al linguaggio della fusione dei metalli per suggerire l’idea che il lavoro sulla storia è da intendersi come un processo di recupero del materiale, di rifusione, am- modernamento. Lo scopo è rigenerare il metallo per migliorarlo. Tale procedimento è da applicarsi alle en- ciclopedie. Con quest’ultimo vocabolo non si intende l’insieme delle conoscenze, bensì il sistema-mondo, il discorso sulla società, l’affabulazione che rende conto della realtà storica. È interessante questa prospettiva. Jean de Dieu Itsieki Putu Basey ricostruisce il sapere e il racconto degli eventi passati e presenti e le modalità

attraverso le quali la scrittura produce correzioni, falsi- ficazioni, parodie e restituisce al lettore una visione del mondo rinnovata e trasformata rispetto a quella della storia ufficiale.

[eManuelacacchIolI]

Assia Djebar et la transgression des limites linguis- tiques, littéraires et culturelles. Sous la direction de

Wolgang asholt et Lise gauvIn, Paris, Classiques

Garnier, 2017, «Rencontres», 198 pp.

Le volume réunit la plupart des contributions au panel dirigé par les éditeurs, à l’occasion du XXIe

congrès de l’Association internationale de Littérature Comparée, à Vienne, en 2016. Le titre (du panel et du volume) souligne très clairement les voies d’approche et le but poursuivi par les directeurs du projet: lire l’œuvre d’Assia Djebar à travers la grille de la trans- gression, une transgression totale qui implique la parole, dans ses différentes articulations, aussi bien que le silence. Silence des femmes arabes dû à l’inter- diction d’une société patriarcale, silence du colonisé face au colonisateur, silences des morts, victimes de tous les despotismes, auxquels Djebar essaie de redon- ner une voix, en particulier dans Le Blanc d’Algérie (2009). Silences qui sollicitent et accompagnent la parole, silences comme forme suprême de résistance et d’expression: «Il faut […] envisager le silence dans l’œuvre d’Assia Djebar selon les étapes de sa création, qui mènent, à partir d’une rhétorique de la commu- nication (dominante dans les œuvres de jeunesse), à quelque chose que l’on pourrait qualifier de rhétorique du sublime…» (Fritz Peter kIrsch, Silences d’Assia

Djebar, pp. 105-117, p. 113).

Le recueil est divisé en trois parties: «Transgressions esthétiques» (pp. 21-72), «Transgressions d’écriture» (pp. 73-117), «Langues, identités, œuvres roma- nesques» (pp. 119-185). Les trois parties sont précé- dées d’une savante introduction signée par les éditeurs et suivies d’un index des noms, de brèves biographies des collaborateurs et d’un résumé des contributions. La première et la seconde partie réunissent trois ar- ticles: I - Mireille calle-gruBer, Françoise lIonnet et

Maya Boutaghou, Wolfgang asholt; II - Lise gauvIn,

Dominique D. FIcher, Fritz Peter kIrsch, tandis que

la troisième en réunit quatre: Hervé sanson, Doris

ruhe, Jane hIddleston, Malgorzata sokolowIcz.

L’ensemble critique documente de manière efficace l’effort accompli par l’écrivaine non pas pour abolir, mais pour transgresser les limites, bâtir des ponts, dé- passer les frontières: frontières entre genres, langues, cultures pour accéder, pourrait-on dire, à un «nulle- part» qui n’est plus le lieu interdit de «la maison du père», mais le lieu de l’écriture où le passé d’un pays et des hommes/femmes qui lui ont consacré leur vie peut revivre pour vivifier le présent. Une écriture en mouve- ment qui permet au «je» d’une femme arabe-berbère- musulmane de devenir un «nous», transformant le récit du moi en un récit polyphonique où s’écrit l’his- toire. Il s’agit, hélas!, d’une histoire fragilisée, hachée, mais pour la première fois les femmes y ont un rôle, et font entendre la faible voix de leur révolte et de leur engagement depuis les siècles révolus: ainsi Fatima, la fille aimée du prophète (c’est aussi le prénom de l’écri- vaine) et tant d’autres oubliées dans les interstices des livres et des mémoires. Tous les essais réunis dans ce recueil contribuent à éclairer une facette de l’œuvre et de la personnalité de l’écrivaine, dont la richesse et le