sostiene Henri Godard, da persone di una certa età. La ragione principale è lo stretto legame dei suoi roman- zi principali con l’attualità storico-politica dell’epoca. Tuttavia, Jean-Claude Larrat ritiene che lo scrittore sia meno lontano dalla modernità di quel che sembra. Per esempio, è sufficiente considerare l’uso del tempo della narrazione o la fisionomia dei suoi personaggi, per va- lutare una sensibile distanza dal romanzo tradizionale.
Sans oublier Malraux è una raccolta di articoli sud-
divisa in quattro parti. La prima, «(Auto)biographie et fiction», si apre con «Les deux tentations d’André Malraux. Récit et métamorphose» (2001, pp. 25-35) in cui viene spiegato come Malraux negli anni Trenta fosse indeciso tra un’idea hegeliana della civiltà e una spengleriana. Il secondo articolo, «La métamorphose comme expérience de la liberté» (1996, pp. 37-52), illustra le influenze che hanno agito su Malraux – da Bergson a Nietzsche ai simbolisti mallarmeani – nel- la costituzione del personaggio dell’avventuriero, il quale, attraverso una metamorfosi identitaria, si libera della propria identità per trovarne un’altra. «La vie contre la fiction. Une esthétique vitaliste» (2001-2002, pp. 53-62), affronta la questione del vi- talismo come rifiuto di adagiarsi sui vecchi valori: in questa prospettiva Malraux dà vita a dei personaggi privi di biografia, la quale non potrebbe restituire che false identità. Il testo seguente, «Seuils de l’au- tobiographie. Énonciation et totalisation dans L’âge
d’homme de Michel Leiris et Antimémoires d’André
Malraux» (2015, pp. 63-82), mette a confronto l’i- dea di Leiris sulla necessità di dire tutto e quella di Malraux per cui l’uomo è anzitutto ciò che nascon- de. In conclusione di questo premier volet, nel saggio «Images et personnages dans La condition humaine» (1995, pp. 83-101) si mostra il passaggio dal concet- to esistenzialista della coscienza a quello dello stadio dello specchio lacaniano, poiché Malraux tenta di dar corpo ai personaggi facendo cercar loro la propria im- magine nel rapporto con il mondo esteriore.
«Le Temps de l’Histoire», seconda parte, è aperta da «De Tailhade à L’espoir. L’itinéraire anarchiste d’André Malraux» (1998, pp. 109-122), articolo che racconta l’incontro di Malraux con l’anarchia di stampo france- se, più letteraria e moralista che politica e filosofica. Nel successivo, «Malraux et la crise des représentations» (2004, pp. 123-138), Larrat descrive la posizione dello scrittore di fronte alla crisi delle democrazie parlamen- tari e del realismo; la sua idea è che «la vie ne se re- présente pas, elle s’éprouve» (p. 137). «L’angoisse des origines. Malraux face aux images de la préhistoire» (2004, pp. 139-152) parte dalla grotta di Lascaux per evidenziare come i personaggi di Malraux anelino a un passato in cui l’umanità aveva dei comportamenti culturali in apparenza più uniformi. Il fulcro di «La notion de civilisation dans l’œuvre d’André Malraux. Apocalypse, ère nouvelle et métamorphose» (2006, pp. 153-164) è la metamorfosi dell’opera artistica: em- blema della civiltà in cui è prodotta, continua a vivere nel tempo separata dalle proprie origini. Nell’articolo «Malraux et l’ethnologie» (inedito, pp. 165-174) l’au- tore sottolinea come l’anticolonialismo di Malraux avesse le sue fondamenta nell’etnografia prima che nella storia delle popolazioni. In «Gide, Malraux et le Tableau de la littérature française (1939)» (2003, pp. 175-193), Larrat analizza la divergenza di vedute dei due scrittori nella redazione di una storia letteraria francese, da una parte Malraux associa le sue riflessioni su arte e letteratura alla Storia, dall’altra Gide preferi- sce fare riferimento all’histoire naturelle.
Nella terza parte «Le musée, l’art et l’artifice», in «Le musée et l’histoire de l’art» (2014, pp. 201-213) Lar- rat illustra alcune riflessioni sull’arte, come la duplice decontestualizzazione del museo, dove le opere sono strappate al contesto originario e affiancate ad altre di diversa provenienza. In «Musée imaginaire et “farfelu”. Les images et les œuvres dans Les voix du silence» (2004, pp. 215-228) l’autore riflette sulla questione della foto- grafia d’arte (una meta-rappresentazione) ed evidenzia come il museo immaginario pensato da Malraux sia fat- to di sole immagini. L’articolo «L’homme fondamental et la présence du farfelu» (2004, pp. 228-235) espone sin dal titolo i due poli dell’opera dello scrittore, dalla loro tension emerge la maggior parte delle domande che Malraux si pone sull’uomo, le civiltà e la creazio- ne artistica. Secondo Larrat, sarebbero le arti plastiche e audiovisive a minacciare la narrativa e non le scienze umane, come spiega in «De L’espoir aux Voix du silence ou l’art et l’âme selon Malraux» (1985, pp. 237-244), dove insiste anche sulla poca considerazione di Malraux riguardo all’amore, un’esperienza per lui lontana dall’in- dicibile presente nell’esperienza umana. Nell’articolo successivo, «Clappique ou la perte de l’origine» (1995, pp. 245-262), questo personaggio viene visto come un’allegoria del Caso che spinge a leggere La condition
humaine come una composizione musicale, non come
un romanzo storico. In «Nature et artifice dans l’œuvre d’André Malraux» (2008, pp. 263-281) l’autore sottoli- nea come per Malraux i musei abbiano desacralizzato l’arte, in origine appartenente al campo del sacro; inol- tre formula l’idea che lo scrittore provasse inizialmente un’idiosincrasia baudelairiana per la Natura, cercando pertanto nell’artificio la chiave universale.
«Un Goncourt très ordinaire. La condition humaine, 1933» (2005, pp. 291-303) è posto in testa all’ultima parte, «Qu’est-ce que la littérature?». A partire dai commenti presenti sui giornali dell’epoca, Larrat evi- denzia come il premio a Malraux mise tutti d’accor- do senza scatenare polemiche come fu per il Voyage di Céline l’anno precedente. Nel testo seguente, «Écriture farfelue et roman à thèse. Le cas de L’espoir d’André Malraux» (2001, pp. 305-320), è il mancato riconoscimento di Malraux nel Surrealismo a essere posto in rilievo, ragione per la quale lo scrittore creò il personaggio del «farfelu», accompagnandolo con una scrittura tendente al lirismo per prendere le distanze anche dal romanzo a tesi. In «La police secrète. Une résistance à l’ordre du récit» (2012, pp. 321-334), Lar- rat dimostra come Malraux denunciasse due maniere di ignorare il reale: la finzione romanzesca e l’illusione lirica. «André Malraux contre les poétiques de l’ordre» (2005, pp. 335-342) spiega come per lo scrittore fosse importante che l’artista suggerisse un nuovo ordine e non richiamasse un ordine prestabilito. L’articolo suc- cessivo, «La fiction littéraire et les modifications de son statut au début du xxe siècle» (2001, pp. 343-352),
prende in considerazione alcuni aspetti delle trasfor- mazioni della finzione letteraria di inizio secolo scorso, ritenuta ricca di «doubles» e «miroirs», in veste di temi e al contempo schemi di scrittura. In «Malraux et la crise du récit. Fiction romanesque et parole lyrique» (2001, pp. 353-371) Larrat dimostra come in Malraux questa crisi avesse i tratti di una rottura epistemologica e fosse associata alla sua analisi dell’arte moderna. L’ar- ticolo finale, «Le roman selon Malraux. Une antirhéto- rique?» (2015, pp. 373-396), parte dalle riflessioni sul romanzo seguendo il filo rosso del rifiuto della retorica per poi illustrare come lo scrittore prediligesse «le par- ticulier» rispetto al «général».
claude BurgelIn, Album Georges Perec, Paris,
Gallimard, 2017, «Albums de la Pléiade» 56, 253 pp. Ce serait réductif de définir cet hommage aux lec- teurs les plus fidèles des volumes de la Pléiade (l’édi- tion en deux tomes des Œuvres de Perec a été publiée en mai 2017 sous la direction de Christelle Reggiani) comme une simple «iconographie commentée», sous- titre qui accompagne chaque album sur le site de Gal- limard. Il ne s’agit pas, en effet, d’une de ces œuvres de célébration caractérisées par la minceur des textes et l’abondance des illustrations. Dans cet album, le texte et les images, dont quelques-unes précieuses, pro- cèdent de pair. La richesse de la synthèse offerte par Claude Burgelin suit le parcours biographique de Pe- rec avec la présentation de ses œuvres, toujours saisis- sante, précise, d’une exactitude et d’un équilibre que l’on trouve rarement dans une combinaison si réussie. On le rangerait volontiers sous l’étiquette de haute vul- garisation, en gardant de ce terme les qualités de la lisi- bilité unies à la condensation de l’essentiel. Faire tenir la multiplicité de l’œuvre perecquienne dans moins de deux cent cinquante pages est un défi dont seule une longue fréquentation de l’œuvre pouvait garantir la réussite. On y passe en revue, par ordre chronologique, les faits les plus importants de la vie de l’auteur, depuis les traumatismes de l’enfance qui l’ont marqué si dou- loureusement, jusqu’aux faits intimes qui ont caractéri- sé les dernières années de sa vie, la célébrité obtenue, la vitalité créative, les difficultés financières de la dernière période et, constantes, sa bonhomie, sa gaieté ludique, son humour qui fait surface même dans les moments les plus difficiles. Son œuvre, solidement tissé à son parcours existentiel, est l’objet d’une présentation qui suit le même ordre chronologique mais sans oublier la position de chaque texte dans l’ensemble de sa pro- duction; à tout cela, l’apparat iconographique offre un complément explicatif. Les photos des carnets de Pe- rec, ou des feuilles manuscrites contenant les schémas qu’il se plaisait à construire, les rares clichés de son enfance, les réunions de l’Oulipo, des images de scène le montrent dans sa «diversité», telle qu’il la définissait lui-même: «Quelque part, je suis “différent”: mais non pas différent des autres, différents des “miens”».
À la fin, on aura parcouru tous les «champs» aux- quels Perec, se comparant à un cultivateur, s’était adonné: sociologique, autobiographique, ludique et romanesque, qui s’alternent selon le seul principe de l’exhaustivité, de la diversité, de l’expérimentation. Le volume se conclut sur la postérité de Perec, la germination de son œuvre auprès de tant d’écrivains contemporains. À travers le parcours biographique et littéraire d’un des plus grands auteurs du xxe siècle,
Claude Burgelin a exaucé un des vœux les plus ambi- tieux de Perec: donner au lecteur «le goût des histoires et des péripéties», en écrivant un de ces «livres qui se dévorent à plat ventre sur son lit».
[lauraBrIgnolI]
PIerre-louIs Fort, Simone de Beauvoir, Saint-
Denis, Presses Universitaires de Vincennes, 2016, 178 pp.
Pubblicato nella collana «Libre cours», il volume offre un ritratto sintetico e tuttavia esauriente di Simo- ne de Beauvoir «femme plurielle», secondo la formula di Josyane Savigneau citata nell’«Introduction» (p. 5): scrittrice e intellettuale, donna d’azione e femminista, testimone e protagonista di un secolo. Privilegiando
le citazioni dall’opera e gli autocommenti tratti dalle memorie, dalla corrispondenza o dalle interviste e dis- seminando essenziali e pertinenti riferimenti critici di cui rende conto la «Bibliographie» (pp. 171-178), P.-L. Fort restituisce «la force de réflexion et la puissance d’écriture d’une femme engagée» (p. 7) e fornisce uno strumento utile tanto agli studenti quanto agli studiosi.
Strutturato in otto capitoli, il libro si apre con un profilo di S. de Beauvoir sospeso tra pubblico e pri- vato, dalla ragazzina che “costruisce” se stessa come un personaggio di romanzo al Castor impegnato su tutti i fronti: biografia intellettuale («1908-1986: une traversée du siècle») e relazionale, poiché «La constel- lation beauvoirienne» passa in rassegna gli incontri che maggiormente l’hanno segnata: i genitori e la sorella Poupette, la giovane amica Zaza il cui fantasma abita tutta l’opera, Sartre, Camus e Violette Leduc, fino alla figlia adottiva Sylvie Le Bon, cui si deve la pubblicazio- ne postuma di numerosi inediti.
A iniziare dal terzo capitolo («L’écriture: une acti- vité de longue date»), dedicato ai diari giovanili, ai pri- mi pastiches e racconti, spesso brevi, il percorso nell’o- pera è articolato per generi letterari. In «L’aventure romanesque», l’A. attraversa l’opera narrativa, dalla sua tempestiva consacrazione con L’invitée a Les belles
images e alle tre novelle di La femme rompue. Sensibile
ai modelli, da Dostoevskij a Hemingway, e ai disposi- tivi narrativi quali il récit enchâssé in Le sang des autres e l’alternanza dei punti di vista in Les Mandarins – né
roman à clé né roman à thèse nelle intenzioni dell’autri-
ce –, l’A. si sofferma poi su scritti teorici come Roman
et théâtre, Littérature et métaphysique o la conferenza Mon expérience d’écrivain, insistendo sulla funzione
innanzi tutto comunicativa che Beauvoir non cessa di assegnare alla letteratura.
Del vasto progetto autobiografico viene messa in luce la portata estensiva e per così dire inclusiva, in- scritta nel titolo stesso del primo tomo, Mémoires d’une
jeune fille rangée, e destinata a caratterizzare anche,
per esempio, l’auto-socio-biografia di Annie Ernaux, cui Fort ha dedicato vari lavori. Imperniata sull’im- presa memorialistica, «L’écriture de soi» intesa come condivisione dell’esperienza individuale si estende alle testimonianze relative alla morte della madre – Une
mort très douce – e a quella di Sartre – La cérémonie des adieux – includendo altresì il Journal de guerre oppure
le lettere a Nelson Algren e a Jacques-Laurent Bost. Se gli scritti di viaggio – in Africa, Cina e Brasile, a Cuba, in Unione Sovietica e negli Stati Uniti – sono al centro del capitolo sesto («Une femme en mouve- ment»), la natura ibrida di un testo come L’Amérique
au jour le jour e il tenore politico di tanti diari, articoli
e prefazioni rendono meno agevole la ripartizione in filoni quando si tratta, in «Une pensée à l’œuvre», di tracciare un itinerario nell’opera teorica, da Pyrrhus et
Cinéas a Privilèges, dove sono raccolti gli scritti apparsi
in «Les temps modernes», i quali attestano preoccupa- zioni e sviluppi autonomi rispetto al pensiero sartriano. In merito al saggio bipartito La vieillesse – dapprima il punto di vista esteriore, poi l’interiorità, la singolari- tà calata nella collettività – vengono rilevati gli intenti totalizzanti del progetto, l’ampiezza della documenta- zione interdisciplinare – biologia, antropologia, storia, psicanalisi, sociologia, arte e filosofia – nonché le finali- tà demistificatorie, tese a rompere il silenzio affrontan- do temi scomodi, a denunciare stereotipi e convenien- ze, a stimolare la presa di coscienza e l’azione.
Tutti elementi che si ritrovano nel capitolo finale («La condition féminine et le féminisme»), a proposito del più “scandaloso”, rivoluzionario e fecondo dei libri