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Novecento e xxi secolo 365 tre part, atteste l’athéisme» (p 14) Ritenendo la poesia

un modo d’essere e non soltanto una pratica lettera- ria, l’A. la ritiene comparabile alle pratiche religiose, filosofiche e spirituali, che hanno pesato forse nella formazione del poeta molto più della teoria letteraria (data anche, aggiungerei, la sua formazione filosofica e scientifica). Lungi dal volere ricostruire una dottrina o un sistema di pensiero, Werly identifica quindi nella ri- cerca di una «transcendance du référent» l’essenza del discorso poetico di Bonnefoy sul divino e la religione e nella sua «conception transhistorique de la poésie» un modo di conciliare il moderno con il pre-moderno. Da una prospettiva laica e non dogmatica dunque non paradossale appare la conciliazione nel suo Diction-

naire summenzionato di proposizioni anche opposte,

dal momento che nel mito si è di fronte a «un récit où il y a de la présence». Di fatto, egli non intende definire cosa sia una religione, semmai cercare, nel solco della nozione di soggettività di Benveniste e della riflessio- ne kierkegaardiana, «ce qui dans sa poésie dialogue le plus profondément et fermement avec le religieux […] cette mémoire de ce qui s’est découvert dans l’enfance et dans l’éphiphanie». Ne consegue l’ipotesi maggiore del saggio dell’A., ovvero che «le transcendant, même si son expérience épiphanique est l’un des socles de la mémoire poétique pour Yves Bonnefoy, n’est pas objectivable comme une origine distincte du présent […]. Le transcendant n’a de chance d’être atteint pour l’être parlant que dans l’acte de parole poétique». Tale preoccupazione di una trascendenza come momento poetico dell’accesso a un assoluto immanente nella persona umana piuttosto che in un Dio è quanto il volume indaga con lucidità e metodo nei capitoli suc- cessivi. Strutturata in quattro parti articolate in più capitoli, l’opera affronta nella prima il «Dialogue de la poésie avec la pensée religieuse» (pp. 35-95), con ampi riferimenti a Kierkegaard e alla singolare presen- za di termini religiosi nel discorso di Bonnefoy; nella seconda, «La poésie, rapatriement du mystère dans la parole» (pp. 97-219), la folta serie di misteri e ierofanie simboliche (da Eleusi a Kore, da Cerere a Demetra), nelle loro svariate implicazioni ipertestuali e artistiche; nella terza, «Un Dieu à naître» (pp. 221-286), il dialo- go a suo modo matriziale con Pierre Jean Jouve, il tema forte dei «noms divins» e del rapporto con la terra co- me epifania del divino «encore aveugle»; nella quarta, «La poésie comme reprise: porter le stade religieux au stade poétique» (pp. 287-373), l’ermeneutica della ri- presa e della «conversion», intesa come nuova nascita e mutamento radicale della persona. La «Conclusion» (pp. 375-386) sottolinea in Bonnefoy, laico e non credente, l’importanza per l’immaginario di questa «propension du langage à fabriquer du religieux» non dalla prospettiva della «surnature», ma dall’immanen- za dell’infanzia come stato nascente e pre-verbale del linguaggio. In Appendice un’accurata «Bibliographie» (pp. 387-410) chiude questo ampio studio destinato a essere a lungo un punto di riferimento per gli studi fu- turi sull’autore.

Segnaliamo infine altre due opere critiche recenti su Yves Bonnefoy. La prima raccoglie gli atti di una giornata a lui dedicata per iniziativa di Pierre Brunel presso la Fondation Hugot del Collège de France nel 2013, in occasione del suo novantesimo compleanno:

Yves Bonnefoy, un poète (a cura di Pierre Brunel e

Georges Lomné, Les Matelles, Éditions Espaces 34, 2017, «Vivre l’humanisme, d’hier à demain» 1, 186 pp.), con testi di Marc Fumaroli, Michael Edwards, Michèle Finck, Patrick Werly, Patrick Née, Carlo Ossola, Georges Lomné, Pierre Brunel, Yves Vadé,

Jacqueline Chénieux, Martine Colin-Picon. La secon- da, Stéphane Barsacq, En présence d’Yves Bonnefoy

(Revue NUNC, s.l., Éditions de Corlevour, 2017, 121 pp.), si vuole una traversata dei temi dominanti dell’opera bonnefoyana ed è conclusa da un toccante omaggio poetico dal titolo «Tombeau d’Yves Bonne- foy» (pp. 115-121).

[FaBIoscotto]

Périples et parages. L’œuvre de Frédéric Jacques

Temple, sous la direction de Marie-Paule Berranger,

Pierre-Marie héron et Claude leroy, Paris, Hermann,

2016, 497 pp.

Questo bel volume, prodotto dal Colloque de Ce- risy dell’agosto 2015, illustrato da numerosissime fo- tografie dell’autore e di altri scrittori e da riproduzioni di lettere e manoscritti, costituisce un documento let- terario e critico notevole dell’opera di Frédéric Jacques Temple.

I tre curatori presentano all’inizio del volume le co- ordinate della raccolta («Embarcadères, Départs, Pa- rages, Périples, La Chasse infinie, Moi, kaléidoscope») con termini mutuati dallo stesso Temple e firmano i tre primi articoli contenuti in «Embarcadères». Clau- de leroy spiega in De périples en parages, au cœur du

monde il senso del titolo collettivo scelto – «les deux

figures clés de l’œuvre de Temple» – e il significato del viaggio che è riferimento e metafora costante dello scrittore di Montpellier. Pierre-Marie héron traccia di

seguito, in Le déploiement de l’œuvre, il percorso com- piuto dall’autore a partire dalla fine dagli anni Sessanta quando iniziano a essere pubblicate le sue opere più significative. I ricordi della guerra vissuta a vent’anni vi compaiono accanto al rimpianto per la distruzione dei paesaggi naturali, in particolare di Haute-Plage, alle vicende familiari e ai ricordi di viaggio. In Latitudes et

longitudes Marie-Paule Berranger sottolinea la «quête

de soi» che fonda la poesia di Temple e ne indica la prossimità con i maggiori poeti della modernità: da Rimbaud a Cendrars a Breton. Venuta dopo le avan- guardie, la sua poesia ha tuttavia accenti di una sem- plicità che rifiuta le teorizzazioni, anche se alcune spe- rimentazioni, soprattutto di carattere calligrammatico, sono presenti a testimoniare la sensibilità di Temple per l’immagine e anche la sua passione per la pittura.

Le cinque parti successive seguono il percorso dell’opera di Temple. In «Départs» sono anzitutto rac- colte alcune delle numerose lettere scritte da Temple ai familiari durante la guerra, dal 1941 al 1945 («F.J.

jusqu’à la fin des siècles» di Gilles gudInde vallerIn);

segue un contributo di Pierre-Marie héron, Temple

sur le seuil: l’époque de La Licorne (1951-1954), dedi-

cato al piccolo gruppo letterario La Licorne, creato a Montpellier da Joseph Delteil per dare uno spazio ai giovani talenti letterari, cui aderiscono, oltre a Temple, Henk Breuker e François Carlès e che, oltre a pubbli- care i testi dei tre autori, produce il manifesto letterario

Silex e la trasmissione radiofonica bimensile Carnet de poche. Di quest’ultima sono riprodotte, separatamente,

quattordici rubriche letterarie di Temple, da dicembre 1951 a luglio 1954. Il contributo successivo è dedicato all’incontro fondamentale, nel 1949, con Blaise Cen- drars. In La rencontre avec Cendrars ou Sept oncles en

un Claude leroy segue il dipanarsi di un’amicizia per

la quale riprende la felice definizione di Temple stesso: «tropisme littéraire», ossia spontanea affinità nel pro- getto «de construire un univers personnel, vie et œuvre indissolublément mêlées», rinforzata anche dalla fi-

gura letteraria creata da Temple dell’«Oncle Blaise». 33 lettere di Cendrars a Temple, quasi tutte inedite e scritte fra il 1948 e il 1958, completano separatamente l’articolo.

«Parages», seconda parte del volume, raccoglie le testimonianze e gli studi sui rapporti di Temple con gli amici scrittori. In prima persona, il poeta svizze- ro Pierre-Alain tâche racconta in Temple dans les

parages il fitto intreccio di relazioni – dove compa-

iono fra gli altri i nomi di Pierre-Louis Matthey, di Jacques Chessex, di Jacques Réda – in cui si colloca il rapporto di collaborazione e amicizia con Tem- ple, sullo sfondo comune della Svizzera evocata da Temple in Quand j’étais Suisse. Vendanges tardives:

le vrai-faux journal di Jean-Carlo FlückIger è dedi-

cato a Beaucoup de jours, sorta di diario irregolare realizzato da Temple nel 2009, diviso per anni, per definire il quale l’A. utilizza una delle parole molto care a Temple per autodescriversi: «un kaléidoscope de grande ampleur, de grande ambition». Anche il contributo di Michel colloMB è dedicato al “dia-

rio” di Temple – Les gens bizarres qu’on croise un

jour… – e propone un breve profilo degli artisti me-

no noti presenti nelle sue pagine: Jean-Pierre Suc, musicista jazz di Montpellier morto suicida; Conrad Moricand, autore con Max Jacob del Miroir de l’as-

trologie; Ilo de Franceschi, aristocratico antifascista

di origini triestine con frequentazioni e amicizie in ambito artistico e letterario; Cilette Ofaire, scrittri- ce svizzera legata a Temple da un’amicizia «durable et confiante». Gérard lIeBer continua, nell’articolo

successivo (Portrait de l’artiste en ami lecteur), lo studio degli «amis inconnus» presenti in Beaucoup

de jours. Si tratta in questo caso di quattro poeti,

suggeritigli dallo stesso Temple, a ciascuno dei quali ha dedicato una sua opera: Serge Michenaud, Ro- bert Marteau, Paul Pugnaud e Jean Digot. Al «com- pagnonnage amical et littéraire» è dedicato anche il contributo di Philippe gardy, Temple et Max Rou-

quette. Il legame fra i due poeti è mediato dalle re-

lazioni comuni con Tricou e Delteil, ma soprattutto dall’interesse per la lingua provenzale e per l’opera di Mistral liberata dal peso del folklore. La colla- borazione più significativa appare indubbiamente costituita dalla traduzione di Rouquette in occita- no di un’antologia delle opere di Temple. In Dans

les courants de la poésie Marie-Paule Berranger si

propone di sottrarre Temple a vuote etichette di ap- partenenza per collocarlo in «une famille d’esprits» caratterizzati dall’indipendenza e da un forte legame con la natura incontaminata e con l’avventura, in cui non mancano reminiscenze dell’antichità classica. In consonanza evidente con Char e Saint-John Perse, la poesia di Temple sembra precorrere «l’éco-poésie», rinviando continuamente a «une autre façon de pen- ser la relation entre l’humain et le non-humain».

«Périples», terza parte, presenta anzitutto un articolo dedicato alla fisicità della scrittura di Tem- ple – Temple et le lait des livres di Pierre louBIer – in

cui appare il continuo passaggio da un fluido vitale all’altro: dal latte materno all’appetito per la lettura, vera e propria bulimia, all’«érotique de l’écriture» nu- trita di sogni edipici e di citazioni che diventano «l’in-

clusion de soi dans la forme de l’autre». In «Profonds

Pays»: géo-graphies de la mémoire Marie joquevIel-

Bourjea commenta la raccolta di poesie pubblicata da

Temple a 90 anni, in cui la profondità della memoria e quella iscritta nei luoghi si combinano in una diversa temporalità creando singolari «intimités spatio-tem- porelles». Béatrice BonhoMMe presenta in Portrait

du poète en Ulysse un’analisi della poesia «Ulysse à

ses chiens», rivisitazione operata da Temple dei due canti finali dell’Odissea, con un significativo passag- gio dall’epica a una lirica intessuta di una memoria millenaria. Interamente dedicato alla presenza fonda- mentale del mare nella poesia di Temple, l’articolo di Jacqueline assaël «La voix sirène de la mer» passa

in rassegna le varie forme della presenza marina, sia cosmologiche – «la mer comme élément primordial et sensible, dans l’ordre du Temps» – che mitologi- che – mitologia greca e immagini leggendarie –, per concludersi con «un retour heureux vers l’image de la mer» attraverso i ricordi dell’infanzia. «Je suis un

arbre voyageur» di Ana-Maria gîrleanu-guIchard

conclude la sezione considerando la singolare natu- ra dell’opera di Temple «née à la croisée des littéra- tures, des savoirs (sciences de la nature, ethnologie, anthropologie) et de “l’aventure de vivre”» e di cui è emblema l’immagine dell’«arbre voyageur», espres- sione dell’«essence du double mouvement (d’arrache- ment et d’enracinement) dont est fait le voyage pour Frédéric Jacques Temple».

«La chasse infinie» si apre con Éclats et retenues:

des gestes lyriques dans les livres de Frédéric Jacques

Temple, in cui James sacré si interroga sulla natura “li-

rica” delle poesie di Temple e in generale sulla natura del lirismo presente in tutta l’opera, sia in versi che in prosa. Les Thyrses d’Éros di Marie-France Borot com-

pone una sorta di inventario della vita sempre attiva e pulsante presente nell’opera di Temple e della lunga «traversée des mots», nuovi e antichi, che accompagna le traversate geografiche reali, sempre mantenendo il drammatico ricordo della guerra. In Humeurs lyriques

de Temple, Émilie FréMond va alla ricerca «de ces

odeurs du temps jadis» che popolano l’opera del po- eta di Montpellier già a partire dalla poesia liminare eponima della raccolta La chasse infinie, in un intenso percorso poetico “olfattivo”. Silke schauder ritorna al

«faux journal» di Temple con Écrire l’infini, écriture de

l’infini, singolare articolo organizzato come un acrosti-

co del nome dell’autore, nelle cui voci correlate appa- iono Rimbaud, Poe, Rilke, Casals (due volte), Verne, Apollinaire, Conrad, Hemingway, Thoreau, Melville. Una ricca intervista di Rino cortIana, traduttore di

Poesie di Temple oltre che studioso del poeta, e di Ren-

nie yotova, Traduire la poésie, chiude la sezione.

In «Moi kaléidoscope», Pierre-Louis rey dedi-

ca il suo saggio “La route de San Romano” peinture

d’une aventure al romanzo di Temple che chiude il

trittico (con Inferno e Les eaux mortes) sulla dramma- tica «campagne d’Italie» del 1944. Rey ne analizza la struttura frammentata e i legami con l’opera di Paolo Uccello, La battaglia di San Romano, che ne illustra la copertina. Rennie yotova prende in esame, in Écrire

en peintre, i rapporti di Temple con la pittura e so-

prattutto la natura pittorica della sua poesia, «une poésie qui appelle la couleur». Le scénariste au béret

rouge di François aMydela Bretèque fa conosce-

re l’attività di Temple come autore di sceneggiature televisive, produzione ampia e tutt’altro che secon- daria di «émissions littéraires et culturelles». Birgit wagner conclude la serie di contributi con Strates

de la mémoire, una lettura di tre opere in prosa – Les eaux mortes, Un cimetière indien e L’enclos – unite sia

da ricordi autobiografici comuni che da una stretta fusione «de la mémoire personnelle avec la mémoire culturelle». Alcuni testi inediti di Temple completano il volume.