vantaggio che si tratta di una forma sublimata di cri- tica d’arte («sublimated form of criticism», p. 140) e molto più ricca di una qualsiasi trattazione, in quanto leggere un testo appartenente al genere dell’art novel si configura come una «multi-layered experience, with the reader often having to negotiate a complex conjun- ction of fact and fiction» (p. 140). Correda il volume una ricca «Bibliografia» (pp. 141-150).
[MIchelagardInI]
antoIne de saInt-exuPéry, Vol de nuit, édition
critique par Monique Gosselin-Noat, Genève, Droz, 2017, 285 pp.
Esce presso Droz una nuova edizione critica di Vol
de nuit dello scrittore pioniere dell’aviazione di linea
Antoine de Saint-Exupéry. La prima edizione del ro- manzo, con una prefazione di André Gide, risale all’ot- tobre 1931 e ottiene in breve tempo un grande succes- so, con tirature da record e una traduzione americana già dal 1932.
Lo studio minuzioso del manoscritto autografo ri- percorre la genesi del romanzo e sorvola i luoghi nei quali è stato steso. Emerge così la dimensione autobio- grafica del testo, realistica e poetica al tempo stesso, di quello che è conosciuto al grande pubblico come l’autore di Le petit prince.
Un uomo fortemente dedito al lavoro che a soli ventinove anni sbarca a Buenos Aires, il suo Courrier
Sud in stampa presso Gallimard e una passione per le
lettere che viene da lontano, da tempo condivisa con una madre e due sorelle scrittrici.
Il battesimo dell’aria ricevuto a soli dodici anni da Gabriel Wroblewski-Salvez, il brevetto di pilota milita- re ottenuto nel 1921 e i numerosi incidenti aerei dovuti alla sua distrazione sono solo il preludio alla ricerca di nuove vie e terreni di atterraggio. Saint-Exupéry trac- cia linee come si costruiscono ponti, si sente al servizio di un impero romano che ridisegna il mondo con stra- de, acquedotti e porti.
Nelle pagine caratterizzate da un’estetica classica l’autore mette in prosa le proprie avventure e le in- treccia con quelle dei suoi compagni di volo più stretti. L’inchiostro nero rivela correzioni e cancellature del manoscritto, la carta intestata degli alberghi mappa gli scali aerei, la calligrafia inclinata a destra ritma la cre- azione del romanzo. Pagine volanti, di formati diversi, seguono il nuovo ordine dettato da date e indicazioni geografiche, a loro volta incrociate con i dettagli forniti dalle numerose biografie dello scrittore. È lo stesso au- tore a rimescolare i fogli, nell’intento non solo di alter- nare le vicende in cielo e in terra, ma anche di ridimen- sionare il lato più puramente autobiografico del testo.
Quello che possiamo leggere oggi è un romanzo ori- ginale, che tratta di un nuovo rapporto con la natura e il mondo, un rapporto ridefinito dall’aereo, che gli conferisce una dimensione “notturna” nel senso mu- sicale del termine.
[elIsaBorghIno]
MIchel guérIn, Le cimetière marin au boléro. Un
commentaire du poème de Paul Valéry, Paris, Les Belles
Lettres, 2017, «Encre marine», 158 pp.
Guérin, scrittore, filosofo e professore emerito dell’Université d’Aix-Marseille, propone in questo vo-
lume la sua lettura di uno dei testi più celebri di Paul Valéry: Le cimetière marin. Preceduto dalla versione integrale della poesia, il suo commento filosofico ne è al contempo un’esegesi e un’interpretazione musicale, che si iscrive, rinnovandola, nella tradizione inaugu- rata dai commenti di Gustave Cohen, professore alla Sorbonne, e del filosofo Alain. Il libro si apre con un «Prélude» (pp. 17-39), nel quale Guérin accetta a sua volta la sfida di rispondere col proprio canto filosofico al richiamo di quello del poeta.
La tesi di Guérin è che esiste un legame, di natura estetica, tra Le cimetière marin e il Boléro di Ravel. Il caratteristico crescendo del Boléro può essere parago- nato, a suo avviso, a quella peculiare tensione melo- dica che percorre tutto Le cimetière marin e sfocia nel torrente ritmico, nell’esplosione musicale che chiude il componimento: «Voilà ce qui rapproche le Boléro et le poème le plus célèbre de Paul Valéry: le sentiment, qui n’en reste pas à la représentation mais s’insinue par le corps, d’une entité libre, d’un engin dyna mique chargé de communiquer à tout ce qui passe à proximité une vibration incomparable» (p. 38).
Tutto il commento è dunque finalizzato a presentare il testo di Valéry come una vera e propria danza verbale in tre movimenti, scanditi in otto strofe di decasillabi. La sezione «Commentaire» (pp. 41-146) si focalizza sulla progressione tematica e sull’evoluzione melodica del testo, soffermandosi su ogni singola strofa e facen- do emergere «la manière dont procède en toute con- science le poète pour créer une émulation entre le sens et le son, entre la pensée verbale et la scansion ryth- mique» (p. 82). Tale sezione si suddivide a sua volta in tre sottosezioni: «Soleil! Soleil!…Faute éclatante!» (strofe 1-8), «La blanche espèce» (strofe 9-16), «Il faut tenter de vivre» (strofe 17-24). La prima sottosezione evidenzia come il testo di Valéry sia alimentato da un pensiero poetico-filosofico che, senza voler essere una riflessione astratta sull’Essere, diventa linfa vitale del- la creazione estetica. I suoi filosofemi sono, secondo Guérin, condensati di pensiero e immagini, la cui por- tata sensibile, e talora sensuale, è parte integrante del progetto di Valéry di produrre un legame osmotico, poroso, tra poesia ed esistenza.
Il timbro filosofico del testo tende a stemperarsi nella successiva sottosezione, in cui la parola poetica si apre alla dimensione dell’esistenza, e al suo fine ul- timo: la morte. «La blanche espèce» è, infatti, quella che popola il cimitero e che conferma l’evidenza lumi- nosa che la condizione umana è necessariamente priva d’Essere. Al vano e illusorio desiderio di eternità si sostituisce così una calda, confortante, consapevolezza dell’autenticità del nostro essere mortali, e della neces- sità di accettare questa condizione. Proprio in nome di tale consapevolezza «Il faut tenter de vivre», come suggerisce il titolo della terza sottosezione, che offre l’esempio ammirabile del verme, questo «parasite per- manent de mon vœu de paresse plénière […] [qui] vit
de vie» (p. 125), secondo il filosofo. La progressione di Le cimetière marin determina così una graduale presa
di coscienza, sintetizzata dall’immagine del mare, sim- bolo per Guérin dell’animo umano, per via della sua eterna, immutabile, motilità.
Tutto il commento si accorda, per il tenore rifles- sivo come per la qualità letteraria della scrittura, alla tensione poetica e melodica del testo di Valéry. Solo una parola che a sua volta sa farsi poesia e musica può rispondere degnamente al canto del poeta: rivolgen- dosi all’intelletto e toccando al contempo le corde più sensibili dell’emozione, saprà così essere in sintonia con la più intima essenza di Le cimetière marin, con il
suo potere unico di «croiser une pensée de l’affectivité avec l’affectivité de la pensée» (p. 152), come Guérin constata nella sezione «Finale» (pp. 147-155).
[saraaMadorI]
ryo MorII, André Gide, une œuvre à l’épreuve de
l’économie, Paris, Classiques Garnier, 2017, 313 pp.
Riconsiderando gran parte della produzione gidiana alla luce del suo contesto storico e socio-economico, lo studio di Ryo Morii mette in luce l’attualità del pensiero dell’autore. Al centro dell’indagine si pone il rapporto che Gide ha intrattenuto con i sistemi e le politiche socio-economiche del suo tempo. Lo studio- so si sofferma in particolar modo sul coinvolgimento di Gide relativamente alla diffusione del capitalismo industriale e agli effetti della rivoluzione consumistica sulla società. Il corpus preso in esame, che si estende dal 1890 al 1900 e comprende opere quali Paludes, Les
nourritures terrestres, Philoctète, Le Prométhée mal en- chaîné, Le Roi Candaule, L’immoraliste, Saül e Le retour de l’enfant prodigue, consente, anche in ragione della
sua ampiezza, di ridefinire l’intera produzione di Gide alla luce del rapporto tra individuo e comunità.
La prima parte è dedicata all’interpretazione gidia- na degli effetti (più spesso dei problemi) legati al con- sumo; la seconda riguarda il rapporto fra liberalismo e socialismo, con particolare attenzione all’interesse manifestato da Gide nei confronti della dottrina cen- trista; infine, la terza analizza l’economia monetaria. In quest’ultima parte, forse la più originale e significativa, Morii tratta dell’origine della falsa moneta e della rela- zione tra corpo e denaro nell’opera gidiana. Riferendo- si a testi quali Les faux-monnayeurs (1925), lo studioso individua una categoria, quella del corps-monnaie, in grado non soltanto di rendere conto dell’importanza del tema economico nella produzione dell’autore e naturalmente del suo rapporto con il pensiero post- moderno di Klossowski, ma anche di riconsiderare l’intera scrittura gidiana: «Sans doute peut-on mettre sur le même plan l’“esclave industrielle” de Klossowski ou la “monnaie inerte” de Gide, dans la mesure où ils invoquent […] l’analogie de la monnaie-personne qui perd son poids d’or et tombe en monnaie toute con- ventionnelle, en pur simulacre» (p. 279).
Questo saggio porta, infatti, uno sguardo critico approfondito sull’opera di Gide. Mettendo a fuoco come le questioni politiche e socio-economiche affron- tate in modo esplicito dall’autore verso la fine della sua esistenza fossero già presenti sin dagli esordi del suo percorso intellettuale (si pensi a esempio al tema della solidarietà), l’analisi di Morii svela, da un lato, la preoccupazione di Gide, a torto considerato come non politico, nei confronti delle questioni socio-economi- che e politiche della sua epoca; dall’altro, conferma la centralità dei temi economici in seno all’opera gidiana.
[elenaMazzolenI]
rIchard sPIterI, Benjamin Péret. Travail en chantier,
Paris, L’Harmattan, 2017, «Collection Eidos, Série RETINA» 96, 189 pp.
Professore a Malta, già autore di due precedenti mo- nografie su Benjamin Péret, rispettivamente Exégèse de
“Dernier malheur dernière chance” de Péret (L’Harmat-
tan, 2008) e L’Imaginaire dans la poésie de Péret (EUE,
2010), Richard Spiteri si serve di un approccio inter- testuale per affrontare le problematiche della scrittura automatica. Nell’«Introduction» (pp. 5-8), l’A. s’inter- roga sulle ragioni della modesta ricezione odierna di Péret se confrontata con quella di autori coevi quali Breton o Éluard, ritenendolo vittima di un pregiudizio critico di natura accademica (cita a esempio qui i giu- dizi di Michel Murat e Claude Courtot).
Strutturato in due macrosezioni seguite da una con- clusione, il saggio di Spiteri affronta in modo preva- lentemente rapsodico nella prima, dal titolo «Visages multiples d’une œuvre» (pp. 11-88), composta di sette capitoli, taluni aspetti dell’opera di Péret, autore fra i più significativi del Surrealismo. Amico di Breton, sperimentatore risoluto della scrittura automatica che mise a dura prova la logica discorsiva, militante comu- nista emigrato in Messico e in Brasile, Paese dal quale sarà espulso nel 1931 in quanto agitatore politico, poi militante trotzkysta e anarchico in Francia e Spagna, questo poeta anti-conformista ha comunque sempre evitato di confondere la ricerca poetica con l’azione politica (Déshonneur des poètes, 1945), in ciò volendosi distinguere dall’engagement di Aragon ed Éluard, fe- dele all’impulso liberatorio primigenio del surrealismo nascente, che anche manifesterà nell’interesse per i mi- ti precolombiani e le leggende popolari americane stu- diate negli anni Quaranta in Messico dopo la reclusio- ne patita durante la guerra. Spiteri qui approfondisce i rapporti con alcune figure emblematiche quali quelle di Saint-John Perse e Léon-Paul Fargue; del primo, nel capitolo 3 studia il valore ipotestuale rivestito in taluni suoi testi dall’«épanaphore» per la poesia pére- tiana Des cris étouffés, pur egli essendo stato un autore violentemente da Péret criticato nella raccolta polemi- stica Je ne mange pas de ce pain-là. Nel caso di Fargue, l’ammirazione che Péret gli porta, da subito esplicita, si fonderebbe secondo l’A. su tre isotopie, rispettiva- mente «le merveilleux, la destruction du monde et la création de l’univers» (p. 64), delle quali poi mostra per analogia le occorrenze nell’opera.
La seconda parte, intitolata «Frontière mexicaine» (pp. 89-181) consta di otto capitoli che esplorano, fede- li all’impostazione intertestuale assunta, il rapporto fra l’opera di Péret e quella di alcune figure nodali del suo tempo come Robert Desnos (cap. 8), Wolfgang Paalen (cap. 9), Pierre Mabille (cap. 10), con il quale è studia- ta nel cap. 11 la corrispondenza, Louis Aragon (cap. 13) e, andando a ritroso, Charles Baudelaire (cap. 14); qui l’A. singolarmente accosta le Pensées di Pascal alle
Fleurs per la comune insistenza sull’«amour sublime»
(pp. 151-153), e rimanda alla raccolta di Péret Je sublime sviluppando una riflessione interessante che illustrano elementi teologici e vari campi lessicali, tra i quali quello dell’abisso, che indubbiamente avvicina i tre autori.
La «Conclusion» (pp. 183-185) ribadisce la con- vinzione di Richard Spiteri sull’efficacia del metodo assunto, che ritiene foriero di ulteriori espansioni in altri ambiti dell’opera péretiana, qui affrontata in mo- do chiaro e leggibile, ma con un approccio forse più didascalico che realmente analitico.
[FaBIoscotto]
jean-claude larrat, Sans oublier Malraux, pré-
face d’Henri Godard, Paris, Classiques Garnier, 2016, «Études de littérature des xxe et xxIe siècles» 54, 420 pp.
A poco più di quarant’anni dalla sua morte, André Malraux è ricordato meno per la sua opera letteraria che per la sua attività di ministro nel governo De Gaul-