APPROCCIO TEOLOGICO
LITURGIA E GRATITUDINE La risorsa educativa del celebrare
1. Emozioni, fede e riti
La valorizzazione delle emozioni in numerosi campi della scienza è oggi sempre più frequente e quasi scontata.
10 Cf ivi 79-88.
11 Ivi 152.
12 Paolo VI nel suo testamento ha espresso splendidamente questo sentimento:
«Sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita è nonostante tutti i suoi travagli […], un fatto bellissimo […]. Assale a questo sguardo quasi retrospettivo, il rammarico di non averlo ammirato abbastanza questo quadro […]. Tuttavia si deve riconoscere che quel mondo qui per Ipsum factus est, è stupendo. Ti saluto e ti celebro all’ultimo istante, sì, con immensa ammirazione; e, come si diceva, con gratitudine: tutto è dono; dietro la vita […] sta la Sapienza, […] sta l’Amore! Grazie, o Dio, grazie e gloria a Te, o Padre» (pAolo
VI, Pensiero alla morte, in MArtini Carlo M., Paolo VI, uomo spirituale, Brescia, Ed.
Studium 2008, 176).
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Nel suo saggio su L’intelligenza delle emozioni, Martha C. Nussbaum compie un’analisi interdisciplinare fondata su un dotto confronto con l’etologia, la psicologia, l’antropologia, la letteratura, l’arte e la filosofia, mirando all’elaborazione di una teoria filosofica delle emozioni. Affer-ma che le emozioni non solo condizionano profondamente l’esperienza quotidiana, ma rappresentano una strategia di conoscenza. Esse con-tribuiscono a disegnare il paesaggio della nostra vita spirituale e socia-le allo stesso modo della ragione. Dalla Grecia classica all’Europa del
’900, la studiosa statunitense cita autori di tutte le discipline per soste-nere che una teoria complessiva dell’agire umano non può prescindere dall’apporto fondamentale dell’emozione.13
Altri studi14 e la comune esperienza avvertono però che una de-terminata cultura occidentale ci ha educati a diffidare dei sentimenti talvolta troppo impetuosi e poco gestibili, ci ha insegnato ad occultarli nella sfera privata e a ritener maturo chi regola se stesso con il dominio della ragione.
Tra i più noti referenti del pensiero moderno, Cartesio ci ha abituati a ritenere che il pensiero ha un primato metodologico così assoluto da assorbire tutti gli aspetti dell’essere umano, la sua coscienza, la sua anima (anima razionale), il suo spirito (sostanza dell’atto mentale).15
Il cambiamento avvertito dalla riflessione contemporanea è dovuto ad una serie di fattori che negli ultimi tempi ha rivoluzionato il pensiero e di conseguenza anche la prassi della Chiesa. L’inversione di marcia sembra provocata, come si è visto, da una crisi di fiducia accordata da sempre alla sfera mentale intesa come ‘ragione’ scientifica o come
‘coscienza’ morale. Ciò che la coscienza elabora, infatti, dipende da fat-tori che la precedono e la condizionano, come le strutture economiche o i meccanismi psicologici. Le conseguenze si riflettono chiaramente sull’azione.16
La rivoluzione provocata dalla ragione dei sensi cambia invece il paradigma di pensiero finora imperante: non più il dominio della ra-zionalità per entrare in contatto con il reale, con la vita e con il
sen-13 Cf NUSSBAUM Martha C., L’intelligenza delle emozioni, Bologna, Il Mulino 2004.
14 Cf elSter Jon, Alchemies of the Mind. Rationality and the Emotions, Cambridge, Cambridge University Press 1999; BonAccorSo Giorgio, Il Rito e l’Altro. La liturgia come tempo, linguaggio e azione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana (LEV), 2012²; id., Il Corpo di Dio. Vita e senso della vita, Assisi, Cittadella Editrice 2006.
15 Cf BonAccorSo, Il Corpo 68-73.
16 Cf ivi 95-96.
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so della vita, ma la valorizzazione armonica di tutti quegli aspetti che compongono la persona nella sua sfera cognitiva, attiva ed emotiva. È franato il pregiudizio secondo cui l’azione umana è ‘oggettiva’ quando è misurata, controllata e giustificata dalla ragione.17
È stato dimostrato che la sfera delle emozioni ha giocato un ruolo imprescindibile e ha condizionato notevolmente l’evoluzione delle atti-vità cognitive dell’uomo.18 La coscienza non ha il primato nel controllo delle azioni, ma queste sono poste in atto soprattutto in risposta ad impulsi emotivi. La conoscenza, dalla quale parte il senso della vita, ha la sua scintilla originaria nell’emozione.19
I gesti ripetuti attraverso i quali il bambino impara a riconoscere sé e gli altri e a conoscere il mondo20 sono ‘luoghi’ attraverso i quali per-cezioni, emozioni ed azioni lo espongono alla relazione con il mondo, con gli altri e con l’Altro.21
Questo avviene in tutti gli ambiti dell’esperienza, compresa quel-la religiosa: vissuti positivi o negativi quel-la condizionano inevitabilmente.
17 Cf tAgliAFerri Roberto, La tazza rotta. Il rito: risorsa dimenticata dell’umanità, Padova, Edizioni Messaggero 2009, specie 87-95.
18 Cf BorgnA Eugenio, L’arcipelago delle emozioni, Milano, Feltrinelli 2002; id., Le intermittenze del cuore, Milano, Feltrinelli 2003.
19 Cf dAMASio Antonio R., Emozione e coscienza, Milano, Adelphi 2000; id., L’er-rore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano, Adelphi 1995. Cf anche Le doUX Joseph E., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Milano, Baldini &
Castoldi-Dalai 2003; BonAccorSo Giorgio, I colori dello Spirito. Prova, speranza, pre-ghiera, Assisi, Cittadella Editrice 2009, soprattutto 149-161.
20 Cf il modello ontogenetico di Erikson in MAggiAni Silvano, Rito/Riti, in SArtore Domenico - triAccA Achille - ciBien Carlo (a cura di), Liturgia, Milano, San Paolo 2001, 1666-1675; cf anche winnicott Donald W., Gioco e realtà, Roma, Armando 1974.
21 L’idea di Dio parte da questa esperienza, prende avvio non dalla mente presa in se stessa, ma dalla percezione e dalle emozioni filtrate attraverso il corpo. È il corpo, quindi, che dà accesso alla trascendenza, è il corpo nella complessità delle sue compo-nenti la via che permette di edificare il senso della vita ed è riconosciuto come il luogo dove incontrare Dio, nel corpo rituale simbolico della Chiesa (cf BonAccorSo, Il Corpo 235-242). La nostra esperienza ce lo conferma. Educare, ad esempio, alla riconciliazio-ne ha radici molto lontariconciliazio-ne: parte dalla esperienza di accoglienza e di amore vissuta fin dai primi anni di vita in famiglia e dalla gioia di essere ri-accolti dopo la paura dell’ab-bandono. Attraverso queste emozioni ben radicate si può più facilmente comprendere Dio amore che perdona e accoglie, attraverso la memoria gradevole, scritta nella nostra psiche, della reciprocità, del re-incontrarsi dopo la lontananza e si è spinti all’azione generosa della riconciliazione e insieme alla sua espressione rituale (cf Meneghetti
Antonella, Iniziazione cristiana e penitenza, in Rivista Liturgica 92[2006]6, 879-884; cf anche de clerck Paul, Riconciliazioni quotidiane e riconciliazione sacramentale, in id., Liturgia viva, Magano [BI], Ed. Qiqajon 2008, 55-71).
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Anche il ricordo di un godimento spirituale stimola a creare le condi-zioni per sperimentarlo di nuovo. Il ricordo di un beneficio ricevuto da Dio provoca il desiderio di tornare a relazionarsi con Lui con gioia e gratitudine.
L’emozione, quindi, è intrinseca all’esperienza religiosa o questa non è, perché ridotta a dottrina, a concetto, a ‘sistema logocentrico’.
Non si tratta di un impoverimento sentimentale della fede, ma della ri-scoperta (grazie ad una concezione epistemologica nuova di un pen-siero complesso, olistico)22 dell’importanza dell’emozione allo stesso modo della ragione e dell’azione.
La visione antropologica a cui si è accennato consente di afferma-re che il corpo nella sua complessità, ossia nell’integrazione armonica delle sue componenti razionale, emotiva ed attiva, permette l’incontro nella ‘corporeità simbolica della Chiesa’, cioè nel rito, tra il mistero che si concede e la Chiesa che diventa corpo.23
I riti sono visti, infatti, come il ‘corpo’ rituale, ossia quell’insieme di linguaggi simbolici verbali e non verbali che si organizzano come sistema e che coinvolgono emozioni, pensiero ed azione, cioè il soggetto nella sua interezza. Ma in essi ancora una volta l’emozione ha un ruolo fonda-mentale. La fede, infatti, «non è la conclusione di un ragionamento ma l’emozione di un incontro che congiunge le diverse dimensioni dell’esi-stenza umana. È questa vocazione sim-bolica della fede che ne qualifica la profonda dimensione emotiva dove emerge il primato di Dio sull’ope-rare dell’uomo. La fede infatti sorge dove l’uomo si lascia sorprendere, turbare, stupire. […] È l’azione di un Dio che e-moziona l’uomo, ossia muove l’uomo verso il Regno. Tutto questo implica che occorre emanci-parsi da una riduzione oggettivo-razionalistica del cristianesimo».24
Anche nel passato ci furono voci che segnalarono il vuoto creato dall’assenza della sensibilità, dell’emozione, del corpo, come per esem-pio san Bernardo e Duns Scoto25 o, nel secolo scorso, Romano Guar-dini.26
22 Cf ciArdellA Piero - MontAn Agostino (a cura di), Le scienze teologiche in Italia a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II. Storia, impostazioni metodologiche, prospettive, Leumann (TO), Elledici 2011.
23 Cf tAgliAFerri Roberto, Il ‘corpo’ ritrovato, in Rivista di Pastorale Liturgica 47(2009)1, 15-26.
24 BonAccorSo, I colori 151-152; cf anche id., Il Rito e l’Altro 179-180.
25 id., Il Corpo 67-68.
26 Cf gUArdini Romano, La funzione della sensibilità nella conoscenza religiosa, in
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Nella storia del culto essa trovò stanza soprattutto nella devozione dove le fu consentita un’effusione moderatamente libera. Senza entrare in questioni di statuto teologico, si può affermare che la devozione è stata spesso identificata quasi come un culto di seconda serie, il pro-dotto di spiriti deboli e poco eruditi.27 Le azioni liturgiche, invece, era-no considerate come esecuzione di quanto è scritto sul libro, stabilito dall’autorità ecclesiastica (rubriche) con precisa chiarezza razionale.28
Ciò che più colpisce però anche oggi nelle celebrazioni della Chiesa è l’astenia o la noia. Sembra non ci sia più l’entusiasmo e la forza per comunicare la fede, pare regni l’incapacità di creare stupore e tanto meno gratitudine davanti al dono.
Occorre comprendere perché molte nostre celebrazioni sono stan-che, asettistan-che, anoressiche (o, all’opposto, sovraccariche di orpelli inu-tili) e perché arrancano nello sforzo per raggiungere la mèta, l’incon-tro con il divino, la percezione della trascendenza. È solo questione di ignoranza teologica o di scarsa iniziazione dottrinale? O non si tratta forse anche di non riconoscimento della totale partecipazione della persona nella sua integralità?
Il mistero inaccessibile anche nella celebrazione resta mistero. Il mettersi però in ascolto della propria risonanza interna apre una via di complessa conoscenza simbolica che, pur rimanendo nella penombra della percezione, schiude ad «una presenza inspiegabile, strana, ma nel medesimo tempo più intima di ogni altra; come un soffio, una densità, un messaggio di potenza, come l’avvicinarsi di una presenza».29
La liturgia è il momento fontale dell’esperienza religiosa dove av-viene l’incontro con il mistero, dove il fedele intercetta la grazia in una
id., Scritti filosofici, vol. 2, Milano, Fabbri Editore 1964, specie 137-190.
27 Cf l’intero numero di Rivista liturgica 89(2002)6 e in particolare: cAStellAno cerverA Jesús, Liturgia, pietà popolare e spiritualità 939-960.
28 Cf BonAccorSo, I colori 149. È significativa a questo riguardo un’espressione famosa di uno storico della riforma liturgica: «Una liturgia genuina non deve esprimere pensieri e sentimenti soggettivi e neppure la situazione psicologica, più o meno turbata, dei singoli; essa deve, in quanto espressione religiosa della comunità, contenere soltan-to ciò che questa comunità può, in ogni circostanza, assumere come cosa sua. Per la creazione di una tale liturgia, i Romani possedevano un’attitudine tutta speciale: capa-cità di esprimersi in forma razionalmente organizzate, ripugnanza contro il predominio del sentimento e contro il sentimentalismo slavato, sensibilità per uno stile sobrio e per una presentazione dignitosa» (klAUSer Theodor, La liturgia nella chiesa occidentale.
Sintesi storica e riflessioni, Leumann (TO), Elledici 1971, 55-56).
29 gUArdini, Scritti filosofici 202.
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disponibilità corporea, fatta di gesti, parole, cose, fatta di linguaggi sim-bolici, linguaggi della percezione e dell’emozione che non escludono il pensiero, ma non lo ritengono l’unica mediazione. «La liturgia è la modalità corporea del sentire religioso»,30 nella sua interezza.