APPROCCIO TEOLOGICO
LITURGIA E GRATITUDINE La risorsa educativa del celebrare
2. La festa per dire grazie
L’emozione stimola all’azione. Un luogo naturale di espressione emotiva è la festa, un insieme di riti profani e religiosi che raccolgono il patrimonio culturale e spirituale fatto di memorie, valori, intenti di un popolo da rivivere, intensificare e tramandare.
Qualcuno è convinto che si stia disgregando il legame tra atteggia-mento festivo ed esperienza religiosa come se si trattasse di realtà lon-tane e separate, così da riservare al bisogno di festa quanto ha a che fare con il divertimento e il profano, mentre alla religiosità si consacra la seria ritualità religiosa.31 In chiesa, insomma, si trattano le questioni serie della vita, in cortile o nella piazza la piacevolezza, la spensieratez-za, la leggerezza.
La distanza immotivata tra questi due poli, totalmente sconosciuta in molte religioni con radici antiche e oggi a noi più vicine grazie al fenomeno della globalizzazione e dell’immigrazione, ci fa riconsiderare un aspetto che è lontano anche dall’esperienza biblica.32
La festa si sostanzia di riti, è nei riti.
Anche la percezione religiosa della persona si esprime nei riti e nella festa, anzi tutte le dimensioni della persona, tutti i suoi bisogni, com-preso il bisogno di senso, non relegato solo al pensiero, ma anche alle emozioni ed azioni, trovano qui risposta.
Il rito, che connota la festa, raccoglie tutto della persona, ascolta i suoi bisogni, i suoi desideri e apre spazi, spalanca varchi di
insod-30 tAgliAFerri, La tazza 88.
31 Cf SegAlen Martine, Riti e rituali contemporanei, Bologna, Il Mulino 2002, 84.
32 «Il divorzio tra la festa e il rito, tra il divertimento e la celebrazione religiosa, tra il piacere e il senso dell’esistenza, è la schizofrenia che ci allontana dalle radici bibliche della fede cristiana e consegna la nostra vita a molteplici dualismi, come quello tra il bisogno e il senso, o quello tra il tempo e l’eternità. Occorre ascoltare il richiamo di quelle esperienze antiche, e in particolare di quelle bibliche, non tanto per un impossi-bile ricupero di sapore archeologico, ma quasi come una profezia per il nostro presente e il nostro futuro» (BonAccorSo, I colori 73).
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disfazione, condizione indispensabile per accogliere la rivelazione del mistero, il quale può esaudire il bisogno di senso.33
La festa non è estranea all’accoglienza del mistero, anzi, raccoglien-do tutta la persona nei suoi bisogni, ne potenzia ed esalta la recettività.
Naturalmente, la dimensione religiosa dei riti festivi si propone come superiore a qualsiasi altra per il fascino che esercita, per la sua efficacia, per la sua capacità di unificare. Tiene infatti insieme la capa-cità di sentire, di pensare e di agire, ma anche la serietà, la profondità, la drammaticità della vita con la sua esuberanza, la sua piacevolezza, la sua bellezza.34 Ecco perché don Bosco, educatore nato, ha intuito la potenzialità educativa della festa, valorizzandola e declinandola a se-conda dei suoi scopi, come nel caso della festa della riconoscenza.35
La festa con i suoi riti necessita però anzitutto di differenziarsi dalla quotidianità. Ogni rito, e soprattutto quello religioso, di per sé stacca dalla quotidianità, interrompe l’identico, il feriale perché deve aprire alla sorpresa, a quello spazio sospeso che permette, che crea le condi-zioni al concedersi della differenza, al concedersi del Sacro.
Il rito necessita perciò di rottura, di ‘trasgressione’ per dire simbo-licamente la trascendenza rispetto al già visto, al già saputo e detto, al dovuto, al previsto.
La trascendenza deve invece manifestarsi nell’assolutamente Altro, nell’eccedenza, nella sproporzione, nell’eterogeneità; non può lasciarsi assorbire o delimitare dal mondano, pur abitandolo. È oltre.
Come dire questa sua differenza? Solo simbolicamente.36 Non nella
33 È interessante il raffronto che Bonaccorso, citando FrAnzini Elio, Fenomenologia dell’invisibile. Al di là dell’immagine, Milano, Raffaello Cortina 2001, fa tra rito e arte affermando che entrambe utilizzano necessariamente ciò che è sensibile, ma vanno oltre il sensibile. Oltre il sensibile, ma nel e attraverso il sensibile. Confrontando i fe-nomeni storici della iconoclastia e dell’iconofilia, con Franzini egli riconosce nei primi il rifiuto che il visibile sia mediazione dell’invisibile, mentre nei secondi la certezza che il visibile veicoli dei sistemi di senso intravisti, ma non risolti (cf BonAccorSo, Il Corpo 231-235).
34 Cf id., Celebrare la salvezza. Lineamenti di liturgia, Padova, Edizioni Messaggero 1996, 49-51; tAgliAFerri, La tazza 303-316.
35 Cf il contributo di Anita Deleidi, nota 48 in questo volume. Cf anche il contribu-to di Piera Ruffinatcontribu-to.
36 La festa, ad esempio, comunica perturbando la comunicazione normale, utiliz-zandola a modo suo, ad esempio con silenzi o gesti non ordinari, e utilizza oggetti separati dall’uso comune. Gestisce il comportamento umano, perciò, non con le rego-le dell’attività ordinaria, ma in maniera simbolica (cf BonAccorSo Giorgio, Il silenzio come sospensione dell’espressività: oltre il gesto e l’azione, in id., Il Tempo come segno:
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compostezza della misura, ma più facilmente nel di più della festa.37 Nello ‘spreco’ assurdo, nel godimento senza guadagni, libero, in-utile.
Questa è la festa, con la sua serietà e il suo godimento/piacere espressi nei riti.
Anche la liturgia conosce l’eccesso, lo spreco, l’in-utilità, la pura giocosità/ludicità nel loro valore simbolico di apertura al Sacro.38
La liturgia, infatti, rompe con la mentalità del mercato, del negotium e sceglie la non produttività dell’otium come vita piena, libera di ripo-sare e di espandersi nella contemplazione. Oggi il riposo è in vista della ripresa produttiva. La privatizzazione e l’industrializzazione delle ferie sono la prova della ricerca di un utile anche dall’otium.
La festa liturgica, invece, non serve a produrre qualcosa: è gratuita.
È sicuramente efficace, ma di un’efficacia altra, non producendo qual-cosa come l’effetto di una causa.39 Poiché si oppone alla mentalità del mercato, il rito liturgico sa anche sprecare liberamente risorse, denaro, tempo, energie perché intende comunicare simbolicamente che questo eccesso è spazio per Dio. L’utile ha la ragione in se stesso; lo spreco no, rimanda ad un ‘perché’, rimanda ad altro/Altro, come nella logica sacrificale del dono.
La festa vera non è ossessionata dal risultato, neppure quello esteti-co della cerimonia. Non serve che un rito sia appagante perché bello, creando tensioni sfibranti in chi lo esegue. Deve liberare dalla preoc-cupazione quotidiana del mostrare le proprie capacità, oppure dalla preoccupazione delle responsabilità della vita. Deve immergere in un orizzonte di libertà e di piacevole distensione come il bambino che gio-ca. La libertà del gioco, pur nelle regole, è libertà dalla necessità, dal dovere considerato per se stesso. Libertà però non come caos. La liber-tà e il piacere del gioco sono seri, come è serio il piacere del rito festivo, un piacere che non si può negare, pena la schizofrenia tra la dimensione religiosa della vita, la sua piatta quotidianità e la spasmodica voglia di divertimento, fine a se stesso.40
Le azioni rituali non mirano a produrre un cambiamento della re-altà, come chi lavora un pezzo di legno per ricavarne un oggetto, ma a
vigilanza, testimonianza, silenzio, Bologna, Dehoniane 2004, 98-106).
37 Cf tAgliAFerri, Tempo festivo del rito, in id., La tazza 303-316.
38 Cf tAgliAFerri Roberto, Il rito per gioco, in id., La “Magia” del rito. Saggi sulla questione rituale e liturgica, Padova, Edizioni Messaggero 2006, 161-166.
39 Cf id., La tazza 307.
40 Cf tAgliAFerri, Il piacere e la liturgia, in id., La “Magia” 341-361.
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ri-produrre un evento fondamentale, a farlo riconoscere come proprio da più persone o da una comunità.41
È questo riconoscimento dell’evento che permette ai singoli di rico-noscersi anche tra di loro, di socializzarsi attorno a qualcosa di impor-tante e, di conseguenza, di rafforzare la struttura del loro vivere sociale e la forza dei loro legami, del loro interagire.42
Il comune riconoscimento dell’evento fondante dà senso alla comu-nità stessa e garantisce la sua consistenza. L’interazione di singoli trami-te il rito permettrami-te non solo di riconoscersi fondati sullo strami-tesso evento, ma anche di far maturare insieme ‘riconoscenza’ per l’evento stesso, per il fatto che esiste, che si concede all’esperienza dei singoli e delle comunità e che le costruisce attorno a se stesso.
L’effetto innegabile dell’azione liturgica è dovuto al suo legame con l’evento passato che essa ri-produce facendo memoria e realizza nell’in-terazione dei soggetti, in quel loro passare da se stessi agli altri, in quel sentirsi collegati tra generazioni, in quel ri-conoscersi reciproco che apre all’interscambio gratuito.43
Da fatto eminentemente sociale, atto a ricreare le energie fisiche, psichiche e mentali di un gruppo, la festa liturgica rivitalizza la struttu-ra sociale della comunità, tstruttu-rasformandola in una comunione di azioni e di intenti.44
41 «La comunità celebrante è parte integrante del mistero celebrato. […] Tre sono i momenti delle relazioni tra comunità cristiana e celebrazione liturgica: la comunità fa la liturgia (dimensione comunitaria della liturgia); la comunità si realizza nella li-turgia (dimensione liturgica della comunità); la comunità liturgica si profila come un rapportarsi reciproco tra i suoi membri (dimensione intersoggettiva della comunità)»
(BonAccorSo, Celebrare la salvezza 91).
42 Cf tUrner Victor, Il processo rituale. Struttura e anti-struttura, Brescia, Morcel-liana 2001.
43 La dimensione intersoggettiva della comunità celebrante «non si fonda sull’i-dentità di un evento o di un atto, ma sull’incontro che si realizza in quell’evento e in quell’atto. L’incontro, a sua volta, non sospende la differenza che esiste tra coloro che si incontrano, non sospende la differenza tra Dio e l’uomo. […] Questo confronto che esalta le reciproche differenze è la comunione: la comunione su cui si fondano il rapporto trinitario, il rapporto teandrico, il rapporto interpersonale. La comunità cristiana, in quanto è tale comunione, fa la liturgia. Questo è il fondamento della dimen-sione intersoggettiva della comunità celebrante» (BonAccorSo, Celebrare la salvezza 105-106).
44 «Proprio come l’uso e la comprensione del linguaggio presuppongono una co-munità linguistica, la comprensione di un’azione presuppone una coco-munità di istituzio-ni, abitudini e tecnologie, in cui si è introdotti con l’apprendimento e l’educazione; la
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I gesti simbolici atti a dire questa novità\differenza mirano a rigene-rare legami altri, perché abitati dalla Trascendenza, dal Dio Trinità, in dialogo con essa e per questo in reciproco dialogo e interscambio, fatto di assenso, di intesa, di attesa, di ringraziamento, di lode, di richiesta di benedizione. Non è prodotto di strategie psicologiche relazionali, ma partecipazione alla natura comunionale della Trinità.