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APPROCCIO TEOLOGICO

NELLA PREGHIERA FILIALE DI GESÙ Ha Fong Maria k o 1

4. L’inno di giubilo

È un «gioiello» della preghiera di Gesù36 tramandatoci dagli evange-listi Luca e Matteo (Lc 10,21-22; Mt 11,25-30).37 Questo brano, in cui si parla cinque volte del Padre, tre del Figlio e una dello Spirito Santo, è di una bellezza rara. Si tratta di una preghiera di riconoscenza gioiosa, un grido di esultanza, un canto di lode che il Figlio innalza al Padre sotto la mozione dello Spirito. Viene chiamato generalmente Inno di giubilo.

Dopo la frase introduttiva: «In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse», la preghiera di Gesù, in tutte e due le ver-sioni, si snoda su due strofe.38

36 Benedetto XVI, Il gioiello dell’inno di giubilo. Udienza generale del Mercoledì (7 dicembre 2011), in id., La preghiera di Gesù, Città del Vaticano, LEV 2012, 13.

37 Il testo della preghiera corrisponde quasi alla lettera nelle due versioni.

38 Per un’analisi esegetica del testo di Matteo si veda MAreček peter, La preghiera di Gesù nel Vangelo di Matteo. Uno studio esegetico-teologico, Roma (Tesi Gregoriana, serie Teologia 67), Ed. Pontificia Università Gregoriana 2000, in particolare il Cap. I che tratta dell’inno di giubilo (Mt 11,25-30), 15-58.

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1. Ringraziamento (Lc 10,21; Mt 11,25-26)

La prima strofa si presenta in una struttura tipicamente semitica, composta in forma di chiasmo:

A-B-B’-A’. C’è una corrispondenza tra la frase iniziale e quella fina-le, tutte e due rivolte direttamente al Padre con l’invocazione esplicita.

Dentro l’inclusione è riportata la motivazione di tale lode e ringrazia-mento che si articola in una duplice antitesi: una riguarda l’azione di Dio – «nascondere» e «rivelare», l’altra i destinatari – «sapienti e dotti»

e «piccoli».

A) Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra B) perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti B’) e le hai rivelate ai piccoli.

A’) Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.

2. Dichiarazione del rapporto Padre-Figlio (Lc 10,22; Mt 11,27) La seconda strofa è organizzata secondo lo schema A-B-B’-C. Gli stichi B e B’ si corrispondono reciprocamente: tutti e due si fondano nell’affermazione A. Lo stico C invece si presenta come un ampliamen-to di B’. Quanampliamen-to al contenuampliamen-to della strofa, esso ha un sapore giovanneo.

La relazione tra Gesù e il Padre non è mai così esplicitamente e profon-damente affrontata nei Vangeli sinottici, mentre per il quarto Vangelo questo è un tema molto marcato e che ricorre in modo trasversale in tutto il testo.

A) Tutto è stato dato a me dal Padre mio B) e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre B’) né chi è il Padre se non il Figlio

C) e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

In ambedue le versioni, dopo la preghiera rivolta al Padre, Gesù indirizza la sua parola ai discepoli, in Matteo con un invito al disce-polato: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11.28-30); in Luca con una beatitudine: «Beati gli occhi che vedono ciò che vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono» (Lc 10,23-24). In ambedue i testi emerge la convinzione di Gesù, che i suoi discepoli, tutti coloro che «vengono a lui», che «imparano da lui», che

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«prendono su di loro il suo giogo», che «lo vedono e lo ascoltano» sia-no tra quei «piccoli», amati dal Padre, ai quali il Padre, per mezzo del Figlio, rivela se stesso.

In quali circostanze Gesù ha esultato nello Spirito e ha espresso questo ringraziamento gioioso al Padre? Matteo colloca l’episodio in un contesto di apparente insuccesso del ministero di Gesù. Il brano precedente contiene una serie di «Guai a te!»: parole dure pronunciate da Gesù contro gli abitanti di alcune città per la loro malvagità (Mt 11,20-24), per cui l’inno di giubilo in cui Gesù esalta gli umili e i pic-coli spicca come una luce tra ombre oscure. Nel piano di Luca questa preghiera si trova all’inizio della sezione del “viaggio di Gesù verso Gerusalemme” (9,51 - 19,28).

Lungo il viaggio Gesù impartisce molti insegnamenti ai suoi disce-poli. Il primo è incentrato sul tema della missione. In 10,1-16, dove Gesù manda i suoi discepoli come il Padre ha mandato lui. In quanto prolungamento di quella di Gesù, anche la missione dei discepoli deve avere le stesse caratteristiche come il senso della sproporzione: «La messe è molta ma gli operai sono pochi» (10,2); la povertà e la fiducia nella divina provvidenza: «Non portate borse, né bisaccia, …» (10,4), la fraternità, semplicità e la condivisione di vita con la gente: «Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno» (10,7). So-prattutto è una missione che espone alla sofferenza e al rischio i mis-sionari: «Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi» (10,3). Seguendo la guida di Gesù i discepoli fanno il loro primo tirocinio e nel paragrafo successivo li vediamo tornare «pieni di gioia» (10,17), perché hanno potuto cogliere subito dei frutti visibili. Gesù condivide la loro gioia, ma allo stesso tempo rivela loro il senso più vero di questa gioia che va al di là dei successi non sempre duraturi e radicali: «Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli» (10,20). Beneficiari dell’invio non sono sol-tanto i destinatari, ma è in primo luogo l’inviato che diventa cittadino del cielo, figlio di Dio in Gesù Cristo. È in questo clima, «in quella stessa ora» (10,21) che Gesù, mosso dallo Spirito, si rivolge al Padre con una preghiera soffusa di gioia e di riconoscenza.

«Ti rendo lode, o Padre, Signore e cielo e della terra». Il verbo con cui inizia questo inno è exomologoumai, tradotto con «rendo lode».

«Negli scritti del Nuovo Testamento questo verbo indica principal-mente due cose: la prima è “riconoscere fino in fondo”», commenta

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nedetto XVI, «la seconda cosa è “trovarsi d’accordo”. Quindi, l’espres-sione con cui Gesù inizia la sua preghiera contiene il suo riconoscere fino in fondo, pienamente, l’agire di Dio Padre, e, insieme, il suo essere in totale, consapevole e gioioso accordo con questo modo di agire, con il progetto del Padre».39 Gesù si rivolge direttamente al Padre, invocan-dolo con il termine familiare di Abbà e allo stesso tempo salutaninvocan-dolo con riverenza come «Signore del cielo e della terra». Se l’appellativo

«padre» racchiude affetto e vicinanza, questa espressione è carica di forza e di rispetto. Sul volto del Padre traspare tenerezza e forza, bontà e maestà. C’è un profondo legame tra la fiduciosa intimità con il Padre e il rispetto dinanzi alla sua grandezza. Gesù vuole che anche i suoi discepoli abbiano lo stesso sentimento di fronte al Padre, per questo ci insegna a pregare invocandolo: «Padre nostro che sei nei cieli». L’inti-mità filiale non annulla la distanza tra cielo e terra, la tenerezza paterna non sminuisce la trascendenza divina.

Il motivo della lode e del ringraziamento viene esplicitato: «Hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli».

«Queste cose» si riferiscono al «mistero del regno» (Lc 8,10; Mt 13,11), al piano di Dio per far giungere a tutta l’umanità il suo amore. Sono le

«grandi cose» (Lc 1,49) operate da Dio per cui Maria ringrazia Dio nel suo Magnificat. Lo stile con cui Dio realizza «queste cose» nel mondo è singolare e apparentemente paradossale: nasconderle ai sapienti e ai su-perbi e rivelarle ai piccoli e semplici, a quei candidati del regno descritti da Gesù nelle beatitudini (Mt 5,3-12), a coloro che si lasciano amare e sanno accogliere tutto come un dono gratuito. Come già fece sua ma-dre Maria nel suo canto (Lc 1,46-55) e come farà più tardi Paolo, un eminente annunciatore del vangelo (1Cor 1,20 - 2,16), Gesù contempla con ammirazione e riconoscenza questa sapienza divina che eccede e trascende la logica umana.

Gesù aggiunge con enfasi: «Sì, Padre, perché così a te è piaciuto».

Con ciò egli ribadisce la sua piena adesione a quel disegno misterioso.

Il termine qui usato: eudokìa indica beneplacito, compiacimento, deli-berazione, scelta. Lo stesso termine appare nel contesto in cui Gesù in-coraggia i suoi discepoli a non avere paura non solo per la povertà del-le proprie capacità, ma neppure per la loro esiguità di numero: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il

39 Benedetto Xvi, Il gioiello dell’inno di giubilo 13.

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Regno» (Lc 12,32). Gesù ringrazia il Padre non solo per il fatto che il mistero del regno è nascosto ai superbi e rivelato ai piccoli, ma perché questo è scaturito dalla sua sovrana volontà. Si tratta di una realizzazio-ne perfetta del suo piano voluto e amato. Ma Gesù non è uno spettatore estraneo di fronte alla rivelazione del Padre. Egli stesso è il contenuto della rivelazione destinata agli umili e piccoli. La sua persona, la sua opera, la sua missione salvifica realizzata attraverso la stoltezza della croce costituisce il centro delle «cose» che il Padre vuol far conoscere e vuol condividere con le sue creature umane. Luca attesta che Gesù ave-va sempre, fin dall’adolescenza, la consapevolezza di dover «occuparsi delle cose del Padre» (Lc 2,49). Il suo volere e quello del Padre sono una cosa sola. Ciò che piace al Padre, piace anche a lui, e viene accolto da lui con gioia e riconoscenza. Commenta il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il suo trasalire “Sì, Padre!” esprime la profondità del suo cuore, la sua adesione al beneplacito del Padre, come eco al “Fiat” di sua Madre al momento del suo concepimento e come preludio a quello che egli dirà al Padre durante la sua agonia. Tutta la preghiera di Gesù è in questa amorosa adesione del suo cuore di uomo al “mistero della volontà” del Padre (Ef 1,9)».40

Come Gesù stesso dice: «La bocca esprime ciò che dal cuore so-vrabbonda» (Mt 12,34), in un momento di commozione accogliendo i suoi discepoli di ritorno dalla missione, Gesù «effonde il suo cuore in liete parole» (cf Sl 44). Egli gioisce nello Spirito, che è l’unione d’amore tra il Padre e il Figlio, ringrazia il Padre per questa meravigliosa comu-nione d’amore e perché ora possono partecipare a questo amore tutti quelli «al quale il Figlio vorrà rivelarlo». Per questo, nella versione di Luca, Gesù procede nel suo discorso, dopo la preghiera rivolta al Pa-dre, con una beatitudine ai discepoli, che rappresentano tutti i «picco-li» che si aprono con fiducia e purezza di cuore all’amore divino: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete…» (v. 23-24). Anche Maria conosce questa esperienza di trasporto e di giubilo. All’incontro con Elisabetta, benedetta come lei dal Signore per il dono di una nuova vita che porta nel grembo, Maria effonde il suo cuore traboccante di gioia per le «grandi cose» operate in lei, «umile serva», e in tutta la storia.

Anche nel Magnificat di Maria si trova l’antitesi fra l’opposizione del Signore ai superbi, ai ricchi, ai potenti e l’amore di Dio a favore dei

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veri e piccoli (Lc 1,51-53). La voce esultante di Gesù si fonde con quella gioiosa della Madre creando un coro armonioso di ringraziamento al Padre e svelando a noi la logica sorprendente del Regno dei cieli.

La preghiera di ringraziamento di Gesù, come quella di Maria, sono un’epifania poetica del cuore, di un cuore «mite e umile» (11,29), un cuore con dei sentimenti delicati, un cuore sensibile all’amore e capa-ce di stupore. A sua volta il ringraziamento affina l’anima, riempie di bontà il cuore e abbellisce le parole. Chi ringrazia, riconosce di essere amato; chi ringrazia, rende fecondo l’amore ricevuto facendolo cresce-re in sé e riversandolo negli altri.

LA GRATITUDINE,

RIVELAZIONE DELLA NOBILTÀ DI CUORE