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4. Il ruolo delle emozioni nei processi intenzionali

4.1 Emozioni e sistema limbico

In CPC Freeman inserisce, tra la trattazione delle percezioni e quella della coscienza, un capitolo intitolato “Emozione e azione intenzionale”, in cui cerca di mettere in luce i legami che sussistono tra le emozioni e l’intenzionalità. Qui egli ritorna ancora una volta sul concetto di intenzionalità e dice:

«L’essenza dell’intenzionalità è questa, una mescolanza di pratiche abituali e di innovazioni che gira intorno a un obiettivo implicito e la sua quintessenza è una risposta forte a uno stimolo che non c’è. Questo è l’unico momento della piccola sequenza in cui diventate pienamente consapevoli»77

Si tratta di una formulazione importante perché evidenzia che, se la consapevolezza entra in gioco solo nell’ultima parte del processo, non è affatto chiaro chi o che cosa detenga il comando delle azioni.

Fino a qui sembra di essere sulla strada giusta per rispondere alle domande che ci siamo posti, e infatti Freeman prosegue descrivendo il ciclo attraverso cui emergono le nostre azioni. Esso può essere suddiviso in tre tappe: nella prima si ha la formulazione dell’ipotesi, vale a dire l’elaborazione degli obiettivi in previsione degli stati futuri a cui l’azione è indirizzata, nella seconda si ha la verifica dell’ipotesi tramite l’azione vera e propria, che comporta la ricezione delle conseguenze sensoriali dell’azione e la costruzione di significati, nella terza si ha l’apprendimento, poiché il cervello modifica le sue configurazioni in base

all’esperienza appena vissuta. Queste tre tappe, spiega Freeman, sono accompagnate da processi dinamici differenti che coinvolgono non solo le configurazioni cerebrali ma anche il resto del corpo dal momento che, ovviamente, esso è ciò che materialmente esegue (o all’occorrenza non esegue) le azioni. Poi Freeman aggiunge:

«[i processi dinamici] preparano il corpo alle azioni imminenti e gli consentono di effettuarle. A mio giudizio, ciò che osserviamo e proviamo di tali preparativi sono le emozioni, sebbene le emozioni non siano così semplici»78

Qui il primo problema: dicendo che le emozioni sono ciò che osserviamo dei preparativi, si intende che esse entrano in gioco solo nella prima delle tre tappe del ciclo di emergenza delle azioni? A primo impatto sembrerebbe di sì, ma è Freeman stesso a metterci in guardia di fronte alle facili conclusioni e, proprio per questo motivo, compiendo un’analisi su quattro differenti livelli di complessità, egli fornisce per le emozioni una serie di definizioni diverse:

a- intenzione di agire;

b- manifestazioni di stati interni del cervello;

c- sensazioni o qualia che accompagnano azioni emergenti e indirizzano le previsioni di guadagno o di perdita rispetto a ciò che per noi è importante;

d- qualcosa che coinvolge la valutazione sociale e l’attribuzione delle responsabilità delle azioni commesse.

Di fonte a questo elenco si presenta subito un secondo problema: come possiamo mettere in relazione queste diverse definizioni?

Viste queste prime difficoltà sarà utile accompagnare la lettura di CPC ad un articolo che Freeman ha scritto nel 1998, Emotion is Essential to All Intentional

Behaviors79, nel quale viene trattato lo stesso argomento del capitolo sulle emozioni. In questo articolo, infatti, la definizione delle emozioni è organizzata secondo la stessa suddivisione in livelli crescenti di complessità presentata in CPC, ma vi troviamo anche alcune indicazioni preliminari che ci permettono un primo orientamento.

Nelle prime pagine dell’articolo Freeman definisce l’emozione come una proprietà del comportamento intenzionale e afferma che tutte le azioni, sebbene possano essere spiegate e razionalizzate, sono emozionali80. Gli stati emozionali, inoltre, non sempre si rivelano in azioni immediate, ma implicano piuttosto un’alta probabilità che queste ultime vengano presto effettuate.

In entrambi i testi, al primo livello di descrizione si assume l’emozione come “intento di agire nel prossimo futuro”, “movimento verso l’esterno” e “il tendere dell’intenzionalità”. Oltre a ciò Freeman spiega che le due proprietà chiave dell’emozione sono l’origine endogena e l’intenzionalità, ed è per questo motivo che l’emozione viene intesa come una proprietà del comportamento intenzionale: ogni azione, dal momento che è emotiva, conferisce intenzionalità al comportamento e non può essere concepita come un semplice riflesso perché scaturisce dall’interno dell’organismo.

Ad un secondo livello, “più fisiologico”, le emozioni comprendono l’espressione di stati interni del cervello, poiché tramite l’assunzione di un postura adeguata e la mobilitazione dei sistemi metabolici permettono di preparare il corpo all’azione81. Questi cambiamenti sono ben visibili da parte

79

Freeman 2000b (qui si utilizza una ristampa del 2000 di un articolo scritto nel 1998).

80 «The problem of understanding emotion has emerged as one of the major challenges for the social, psychological, and psychiatric disciplines. […] A singular clue to the form of one of these assumptions is provided by the distinction often made between emotion and reason. This is a common sense notion used to explain the motive of observed behaviors. […] An alternative view, one that I will elaborate here, holds that because this dichotomy treats emotion as bad and reason as good, it fails to recognize them as proprieties of a larger whole. All actions are emotional, and at the same time they have their reasons and explanations» (Freeman 2000b, p. 2). 81 Tale preparazione coinvolge numerosi fattori, tra cui il sistema muscoloscheletrico, che permette di assumere una postura adeguata alla situazione, e i sistemi metabolici (cardiovascolare, respiratorio ed endocrino), che devono fornire ossigeno e nutrimento ai muscoli. È valutando la postura, l’aumento della respirazione, i movimenti della coda e così via che l’osservatore trova una serie di informazioni per capire cosa intende fare il soggetto che ha di fronte (Cfr. Freeman 2000b p. 5).

degli altri osservatori e per questo sono in grado di fornire informazioni sullo stato emotivo dell’individuo: è grazie a questo meccanismo che gli animali possono comprendere, di fronte alle espressioni di chi sta loro di fronte, se hanno a che fare con qualcuno che sta per attaccare, approcciarsi o fuggire. Per noi uomini il discorso è lo stesso, perché le espressioni del viso e del corpo hanno sempre una valenza comunicativa e generalmente non serve un grande sforzo per rendersi conto dell’atteggiamento positivo o negativo dei nostri simili.

Al terzo livello le emozioni sono considerate come esperienze, vivibili come gioia, dolore, paura, rabbia, speranza e disperazione. Si tratta cioè di sentimenti, o qualia, che accompagnano le azioni emergenti indirizzate a stati futuri in cui si prevede la perdita o il guadagno di qualcosa che è considerato importante, ad esempio la sicurezza, i mezzi di sussistenza e l’attaccamento agli altri. La consapevolezza delle emozioni in questo senso non sempre è presente, anzi molte volte le nostre azioni sembrano procedere in automatico, istintivamente, ciononostante esse continuano ad essere permeate di emotività. L’entrata in gioco della consapevolezza avviene tramite i processi corporei e la preafferenza, cosicché, percependo i nostri stati e le nostre azioni, vengono modellate le credenze sul nostro stesso stato e sull’azione che stiamo per compiere.

L’ultimo livello, infine, coinvolge la valutazione sociale e l’attribuzione della responsabilità delle azioni, attribuzione che deriva dalla usuale classificazione delle azioni in emotive e razionali. Nell’accezione comune, infatti, le azioni emotive sono quelle che vengono compiute senza premeditazione e, a causa della loro impulsività, possono arrecare danni alla comunità; le azioni razionali, invece, sono quelle che, nel rispetto degli standard richiesti dalla dimensione sociale, si presentano come frutto di una più attenta valutazione di pro e contro. A questo proposito, però, Freeman aggiunge un dato importante: a suo avviso l’emotività accompagna qualsiasi processo intenzionale e infatti è sempre presente in tutti i quattro livelli nominati. Nessuna azione, nemmeno quella pianificata per mesi e studiata sotto centinaia di punti di vista diversi, è del tutto priva di emotività. Ciò significa allora che, se anche le azioni

razionali sono in realtà intrinsecamente emotive, la suddivisione dettata dal senso comune non è del tutto corretta. Pur mettendo in guardia del rischio di finire fuoristrada, Freeman spiega che effettivamente esistono due tipi diversi di azione, ed proprio per sottolinearne la differenza egli introduce finalmente un primo nesso tra emozioni e coscienza:

«La base biologica di questa differenza sta nelle proprietà di auto-organizzazione del cervello, che permettono di vincolare il caos che genera le azioni e di differire le azioni mediante la cooperazione tra diverse parti del cervello. La nostra esperienza di questo processo è la coscienza […]»82

La coscienza sembrerebbe perciò rivelarsi come l’esperienza della cooperazione tra le varie parti del cervello e in questo senso sarebbe correttamente collegata all’attribuzione di responsabilità – e quindi di meriti e colpe – che è rilevata già a livello di senso comune.

Dopo questo primo accenno sulla coscienza, però, Freeman non approfondisce il discorso e torna a parlare d’altro: dal momento che la questione centrale del capitolo è l’indagine su come avvenga l’emergenza dei comportamenti intenzionali grazie all’auto-organizzazione dell’attività neurale, egli ritorna sulla sua usuale suddivisione in correnti di pensiero e mette a confronto l’opzione interpretativa materialista-cognitivista con quella dei pragmatisti a proposito dell’architettura dell’azione intenzionale. Sebbene riprenda in parte discorsi già fatti, vale la pena riportare dettagliatamente la sua spiegazione perché mette insieme la maggior parte di quanto già detto a proposito delle differenze abissali tra le varie correnti.

Materialisti e cognitivisti – afferma Freeman – pongono come punto di partenza del processo percettivo i recettori, che compiono un primo lavoro di classificazione in base alle caratteristiche degli stimoli e trasducono le informazioni al tronco dell’encefalo. Da lì esse vengono elaborate e inviate al

talamo, che ha il compito di inviare le informazioni classificate a piccole aree specializzate per il trattamento di determinate caratteristiche.

«A loro giudizio, il talamo agisce come il direttore di un ufficio postale che consegna i bit di informazione a destinazioni che sono già state assegnate dai recettori sensitivi»83

Ma come avviene la selezione dello stimolo? Secondo Freeman materialisti e cognitivisti ritengono che questa selezione sia determinata dall’importanza dello stimolo e che gli impulsi dei neuroni recettori che da esso vengono eccitati siano di per sé rappresentazioni di caratteristiche che vengono poi combinate nella corteccia primaria in rappresentazioni di oggetti, a loro volta trasmesse alle cortecce associative e da lì ai lobi frontali, dove vengono infine astratte in concetti a cui è assegnato un significato e un valore e da cui vengono organizzate le attività motorie con cui rispondere allo stimolo. Si tratta insomma di un passaggio di rappresentazioni da una parte all’altra del cervello che solo alla fine porta alla costruzione di un significato. Questo è proprio ciò che, come abbiamo visto, a detta di Freeman non avviene.

I motivi del suo disaccordo sono molteplici. Innanzitutto egli critica le prove con cui questo schema è stato elaborato perché, sebbene esse siano state in grado di mettere in luce con una certa precisione le vie anatomiche che sottostanno a questi processi, negli esperimenti condotti sono stati utilizzati animali immobilizzati e quindi in condizioni tutt’altro che naturali: gli stessi esperimenti condotti in modo meno artificiale – dice Freeman – mostrano che l’attività neurale non segue una mappa così rigida84. Il secondo motivo sta nel fatto che nella loro descrizione la percezione è vista come un processo passivo, come se l’individuo non dovesse far altro che rispondere a tutti gli stimoli che gli si buttano addosso. Tutto ciò, però, non tiene presente che i processi cognitivi sono senza dubbio influenzati dall’aspettativa, che è in grado di dirigere l’attenzione

83 Ivi, p.119. 84

Cfr. CPC, p. 122. Gli esperimenti a cui Freeman si riferisce, in particolare, sono quelli condotti da M. Abeles e M. Nicolelis, descritti in Abeles 1991 e Nicolelis 1988.

su stimoli che di fatto non sono presenti. Oltre a questo, in tale modello non è chiaro in base a cosa avvengano le classificazioni delle caratteristiche degli stimoli né come sia possibile stabilire quali azioni intraprendere. Infine, i cognitivisti minimizzano il ruolo del sistema limbico e ipotizzano che sia l’amigdala ad attingere a configurazioni di risposte fisse e ad assegnare ad esse le appropriate emozioni come guide cognitive85.

La differenza capitale tra questa proposta e quella dei pragmatisti è che questi ultimi concepiscono la percezione come un processo attivo e per questo prendono come punto di partenza non lo stimolo ma il cervello. Freeman, in accordo con questa prospettiva, muove dall’analisi del sistema limbico. È esso che trasmette, sotto forma di scariche corollarie, le ipotesi che incorporano l’atteggiamento di attenzione e aspettativa dell’individuo. Gli stimoli quindi entrano in gioco solo in un secondo momento, per confermare o smentire le ipotesi. Nel sistema limbico due elementi hanno fondamentale importanza: l’ippocampo e la corteccia entorinale. Il primo è in grado di localizzare spazialmente e ordinare temporalmente gli eventi, dirigendo il comportamento nello spazio e nel tempo, la seconda interagisce con numerose altre parti del cervello ed è pertanto sede della convergenza multisensoriale, grazie alla quale gli ingressi provenienti dalle aree sensitive primarie sono raccolti e poi ritrasmessi.

Per illustrare meglio questa dinamica Freeman presenta uno schema che riassume l’architettura del sistema limbico. Qui chiarisce come esistano diversi anelli che supportano il flusso neuronale in tutto l’arco intenzionale basandosi su configurazioni di AM di potenziali d’azione, sia a livello macroscopico sia a livello microscopico. Rispetto al primo livello egli evidenzia il flusso neuronale diretto che va dai sistemi sensitivi alla corteccia entorinale – che interagisce con l’ippocampo tramite l’anello spazio-tempo – e da questa ai sistemi motori, fornendo il contenuto dei precetti, mentre rispetto al secondo livello spiega come ci siano degli anelli di controllo che permettono di avere un flusso di retroazione

85

Poiché l’olfatto non si accorda con questo schema esso viene spiegato dai cognitivisti come eccezione.

che compie il percorso inverso, andando cioè dai sistemi motori alla corteccia entorinale e da questa ai sistemi sensitivi. Non si tratta di un meccanismo come un altro: la retroazione è proprio ciò che permette l’integrazione dei vari processi dell’apprendimento ed è proprio essa ad essere l’ingrediente chiave della consapevolezza e dei ricordi espliciti.

L’ippocampo detiene un campo di connessioni sinaptiche tra i suoi neuroni e con questo è in grado di interagire con le cortecce sensitive e così di dirigere il comportamento86. L’ipotesi di Freeman è che le popolazioni del sistema limbico costruiscano e mantengano un paesaggio di attrattori in cui ci sono sequenze di configurazioni di AM determinate che derivano dall’apprendimento, cioè grazie a ripetute transizioni di stato.

Le instabilità che danno inizio alle traiettorie di stato, che nella loro interezza corrispondono a una transizione di stato globale, sono localizzate nell’anello spazio-tempo. Poiché esso è annidato all’interno di una serie di altri anelli le sue configurazioni vengono ulteriormente modulate e questo implica sostanzialmente che le trasmissioni tra le varie cortecce cooperino. Tale cooperazione è il risultato spontaneo delle interazioni, perciò secondo Freeman è possibile affermare che il flusso delle azioni intenzionali sia regolato dall’evoluzione auto-organizzante delle configurazioni di AM87.

La cooperazione non avviene solo nel sistema limbico, ma coinvolge anche i sistemi motori. Il sistema limbico, innanzitutto, si collega con amigdala e ipotalamo, che sono per l’appunto due dei principali sistemi motori, entrambi coinvolti nell’espressione delle emozioni. La prima, in particolare, dirige il

86 A tal proposito Freeman insiste sul fatto che parlare di “campo” non ha nulla a che vedere con le “mappe” di cui parlano i cognitivisti. Queste mappe, secondo Freeman, funzionerebbero per celle di memoria fissa consultabili all’occorrenza, ma questa fissità è proprio ciò che Freeman cerca di evitare introducendo il concetto di campo.

87 A questo punto si introduce un nuovo tema presumibilmente importante, sostenendo che questa evoluzione auto-organizzante rappresenta il compito principale nell’organizzazione del sé. Anziché fornire delucidazioni in proposito, tuttavia, Freeman cita un articolo di Jun Tani in cui si afferma che la concezione del sé esiste solo durante le transizioni caotiche, cioè quando viene sospeso il meccanismo deterministico della causalità. L’argomento dell’articolo, in altre parole, spiega il quando ma non il come. Dopo questa breve parentesi Freeman passa subito ad analizzare le funzioni del sistema limbico, e lascia così in sospeso la domanda circa il modo in cui interpretare l’organizzazione del sé.

sistema muscolo scheletrico ed è legata all’espressione e all’esperienza di tutte le emozioni, mentre l’ipotalamo controlla il cuore, i polmoni, la cute e le ghiandole endocrine, vale a dire elementi che sostengono sia gli sforzi muscolari sia le espressioni emotive.

Il sistema limbico interagisce inoltre in grande misura con i lobi frontali, che sono legati su due fronti alla risposta motoria dell’intenzionalità. Da un lato le cortecce motorie, che fanno parte dei lobi frontali, controllano la posizione di arti, testa e occhi, essenziale nella ricerca mirata ad un obiettivo propria dell’intenzionalità, dall’altro i lobi frontali elaborano previsioni dei possibili stati futuri a cui il sistema limbico va incontro tramite l’azione intenzionale e, negli esseri umani, sono legati alla conoscenza introspettiva e alla capacità di provare empatia per gli altri e alle abilità in ambito sociale, fino alla gestione dei comportamenti complessi. Anche nei lobi frontali le interconnessioni neurali sono numerosissime e per questo secondo Freeman si ha anche qui una dinamica non lineare auto-organizzante.

Le richieste di cooperazione del sistema limbico sono accompagnate dall’invio di potenziali d’azione alle cortecce sensitive primarie, in modo da orientare tutti i sensi verso l’obiettivo scelto. Si tratta di un’operazione nient’affatto secondaria perché per Freeman è essa che dà luogo alla preafferenza, permettendo così di prevedere le conseguenze che le azioni motorie imminenti possono avere sul sistema sensoriale. È il processo di preafferenza, infatti, a fornire il parametro su cui si modella il paesaggio di attrattori ampliando o approfondendo i bacini d’attrazione che corrispondono agli stimoli attesi o ricercati, così da renderne più facile la cattura. È per questo che Freeman può affermare che

«L’organismo ha una qualche idea, giusta o sbagliata che sia, di ciò che sta cercando»88

Oltre all’utilizzo dei sistemi motori, infine, il sistema limbico è importante perché è legato al rilascio di neuromodulatori, molecole che hanno il compito di

rafforzare o indebolire l’efficacia delle sinapsi, pur senza produrre, nella maggior parte dei casi, nessun effetto eccitatorio o inibitorio adeguato. Essi intervengono soprattutto durante l’azione intenzionale e, poiché permeano tutto il neuropilo, danno luogo ad un’azione globale che rappresenta una delle cause dell’unità dell’intenzionalità.

Ogni nuovo fatto appreso viene accompagnato da cambiamenti sinaptici che cambiano la struttura di significato. I neuromodulatori – che sono di tipi differenti e quindi producono effetti differenti – qui entrano in gioco combinandosi in modo da far raggiungere ai soggetti quegli stati che percepiamo come umore, temperamento, disposizione. A proposito del loro funzionamento Freeman sostiene che ancora non c’è una grande chiarezza, tuttavia essi sono fondamentali sia per l’azione intenzionale e l’emozione, sia per la costruzione del significato e del ricordo89.

Ogni percezione, emozioni e comportamento coinvolge tutto il cervello. Questo avviene perché esso è suddiviso in parti semiautonome chiamate le pezze. Esse hanno un’attività per lo più indipendente ma possono ricevere e trasmettere segnali ad altre pezze e perciò, anche nel caso in cui il loro ruolo sia quello di rimanere silenti, esse permettono un’organizzazione del cervello a livello globale.

L’idea che ci sia una cooperazione diffusa alla base dell’unità della percezione e dell’azione trova sostegno in numerose teorie90 e secondo Freeman essa può essere letta come la creazione di una configurazione di AM globale tramite la parziale fusione in un’oscillazione coordinata delle configurazioni di AM delle singole pezze di un intero emisfero91. La proposta di Freeman è, in conclusione, la seguente:

89 Ibidem.

90 È Freeman stesso a portare qualche esempio: A. Damasio, K. Pribram, J. Pettigrew, B. Baars, P. Nunez, S. Hameroff, R. Penrose (cfr. CPC, p. 137).

91

Si tratta di un evento rapidissimo: questo stato di cooperazione globale permane per circa un decimo di secondo, poi l’emisfero si sposta ad un altro attrattore caotico globale.

«Il pieno significato di uno stimolo per l’organismo emerge dal neuropilo soltanto al livello globale. Il significato dipende dall’intera