6. La coscienza come mistero
6.8 Mente/corpo e qualia: qual è l’epilogo?
Torniamo a Searle. Abbiamo detto che, per Freeman come per Searle, il problema mente/corpo non è un vero problema. La coscienza è un’emergenza biologica e in quanto tale può essere studiata senza invocare l’intervento di facoltà metafisiche o divine. Tra le proprietà della coscienza Searle annovera anche gli stati qualitativi, soggettivi e intenzionali. Questi stati, però, abbiamo detto restare esclusi dall’indagine scientifica, quanto meno per quel che concerne il loro “effetto in prima persona”. Da questo dovremmo forse dedurne che il lavoro scientifico per indagare la coscienza è destinato in ogni caso a finire in un buco nell’acqua? Sembra di no: semplicemente il problema mente/corpo non coincide, nella sua essenza, con l’hard problem della coscienza.
I qualia rientrano nella spiegazione scientifica nel senso che
«Non ci sono ragioni per cui un sistema fisico quale un organismo umano o un animale non debba avere stati qualitativi, soggettivi e intenzionali»184
Questo però non significa che gli stati qualitativi debbano essere ridotti a
nient’altro che attività dei neuroni. La sensazione di dolore è qualitativa, ed è
diversa dall’insieme di scariche neuronali da cui è causata. Il nocciolo dell’argomentazione di Searle, infatti, è che
«Nel caso della coscienza, possiamo compiere una riduzione causale, ma non possiamo compiere una riduzione ontologica senza venir meno alla ragione per cui utilizziamo il concetto»185
Bisogna quindi distinguere la riduzione causale da quella ontologica, perché l’una non implica l’altra. Con una riduzione causale possiamo ricondurre un fenomeno emergente ad un livello inferiore, analizzando il comportamento dei
184
Searle 2005, p. 107. 185 Ivi, p. 108.
suoi elementi di base, con una riduzione ontologica invece affermiamo l’identità di due livelli diversi. La ragione per cui utilizziamo il concetto di coscienza – spiega Searle poco dopo – è che esso ci permette di riferirci alle caratteristiche del fenomeno per come sono sentite da una prospettiva in prima persona. Possiamo tranquillamente riferirci ad esse in termini oggettivi, cioè in terza persona, ma in questo modo non possiamo comunicare il lato soggettivo della nostra esperienza. La ragione è pragmatica, insomma: se vogliamo riferirci all’orizzonte ontologico della prima persona non vale la pena affannarsi a ricondurre le entità fenomeniche soggettive alle loro basi causali in terza persona. La riduzione in terza persona, infatti, non consiste in un’eliminazione del fenomeno: la coscienza è una realtà, la sua ontologia è in prima persona e, ridefinendola in termini di terza persona, si verrebbe meno alla ragione per cui il concetto di coscienza viene adoperato.
A questo punto verrebbe volentieri da pensare che Searle, forte della sua convinzione di aver risolto – o dissolto – il problema mente/corpo, consideri chiuso il problema della coscienza. Naturalmente non è esattamente così, nel senso che egli è ben consapevole che la scienza è ancora lontanissima dal fornire un modello biologico condiviso. Proprio in Do We Understand Consicousness?, per esempio, egli fa notare a Freeman che ancora non si sa come, tecnicamente, il cervello generi la coscienza, tant’è che ogni neurobiologo avanza la propria personale teoria e non c’è niente che, al momento, assomigli ad una scienza matura della coscienza186. Da questo punto di vista, in ogni caso, Searle, come Freeman, sembra fiducioso. Individuare i correlati neurali della coscienza non rappresenta di per sé una spiegazione della coscienza, ma questa mancanza è imputabile semplicemente ai limiti della scienza a livello attuale.
C’è tuttavia un aspetto della vicenda che Searle nota di sfuggita, ma che vale la pena sottolineare. Nel suo libro, Il Mistero della Coscienza, Searle accusa Crick di aver frainteso il problema dei qualia. Riferendosi al libro di Crick La
scienza e l’anima. Un’ipotesi sulla coscienza, Searle dice:
«Egli ritiene che esso sia innanzitutto un problema che riguarda come un individuo possa conoscere i qualia di un altro individuo. “Il problema nasce dal fatto che la “rossezza” del rosso che io percepisco così nitidamente non può essere comunicata in modo preciso ad un altro essere vivente” (p. 24). Ma non è questo il problema, o per meglio dire, è solo una piccola parte del problema. Persino per un sistema di cui conosco perfettamente i qualia, come ad esempio me stesso, il problema dei qualia è serio. Ed è il seguente: come è possibile che stimolazioni neuronali fisiche, oggettive e quantitativamente descrivibili possano causare esperienze soggettive, private e qualitative? Ovvero, più semplicemente, come può il cervello permetterci di passare dall’elettrochimica alla sensazione? Questa è la parte difficile del problema mente-corpo, che viene risolta dopo aver osservato che la coscienza deve essere causata dai processi cerebrali ed è essa stessa una caratteristica del cervello.
Inoltre, il problema dei qualia non costituisce solo un aspetto del problema della coscienza: esso è il problema della coscienza»187
Si tratta di un paragrafo più complesso di quanto sembri perché qui Searle mette insieme molte idee. Innanzitutto è da notare che ripete la parola “problema” per ben nove volte, il che non è male per un estratto lungo poco più di mezza pagina. I problemi nominati sono in realtà ben tre: il problema dei qualia, il problema mente/corpo e il problema della coscienza.
Il problema dei qualia è identificato con il problema della coscienza, ma attenzione: secondo Searle esso non deve essere ridotto – come fa Crick – alla questione di come un individuo possa conoscere i qualia di un altro individuo. Per Searle questa è solo una parte di un problema più grande, cioè la parte difficile del problema mente-corpo, che in questo senso viene ad identificarsi con il problema dei qualia. In sintesi Searle sembra dire che il problema della coscienza, il problema dei qualia e la parte difficile del problema mente-corpo si identificano. Dal momento che la parte difficile del problema mente-corpo è
risolvibile, anche il problema dei qualia è risolvibile. In base a questo viene spontaneo chiedersi se il problema di come un individuo possa conoscere i
qualia di un altro individuo, diciamo il problema secondo Crick, sia davvero
risolvibile in base alle indicazioni del naturalismo biologico di Searle. Sebbene Searle lo includa all’interno del risolvibile problema mente/corpo, in tutto il libro non si trovano ulteriori indicazioni su come tale soluzione possa in effetti essere realizzata. L’insistenza sulla legittimità dell’ontologia in prima persona, insomma, non consente di rispondere al problema secondo Crick, che per inciso non è nient’altro che una formulazione sintetica dei problemi del caso Olham. In conclusione, per Searle come per Freeman il problema mente/corpo è fittizio perché, se analizzato con le adeguate categorie verbali, risulta essere totalmente spiegabile – quanto meno in linea di principio – tramite la biologia. Ciò che resta escluso da tale spiegazione, però, è il problema dei qualia inteso come la possibilità di conoscere in prima persona il punto di vista in prima persona di qualcun altro. Un mistero, in definitiva resta, ma si colloca oltre la soglia in cui la scienza possa spingersi e, in base alle indicazioni di Freeman, questa soglia sembra coincidere con la soglia del senso.
Certo è che, tuttavia, anche stabilendo che non ha senso pensare di trovare un
escamotage per uscire dal vincolo imposto dalla prima persona, pare del tutto
inverosimile che ciò possa costituire la fine del problema: basta guardare la produzione cinematografica di fantascienza attuale per intuire che il desiderio di trovare una soluzione al problema secondo Crick e di entrare nella mente altrui e muovercisi all’interno come se ci si trovasse in uno dei tanti spazi del mondo è ben radicato quantomeno nella cultura occidentale dei nostri tempi188.