3. Come funziona il cervello
3.3 Sensazione e percezione
I nostri organi di senso sono dotati di numerosissimi recettori sensitivi, cellule specializzate per specifiche sostanze chimiche o forme di energia che sono in grado di cogliere diversi tipi di stimoli e inviare potenziali d’azione alle aree sensitive del cervello tramite una serie di trasformazioni che nel loro insieme compongono ciò che è chiamato processo di trasduzione. Per guidare le sue ricerche, la domanda che Freeman si pone inizialmente è:
«uno stesso stimolo, se viene ripetuto, eccita ogni volta solo una piccola parte dei recettori, per di più sempre diversa. Perché allora il cervello lo percepisce come uno stesso stimolo?»56
Freeman sceglie di analizzare il sistema olfattivo in qualità di prototipo degli altri sensi57. Anche se i diversi sistemi sensoriali funzionano in maniera differente per quanto riguarda la sensazione, i messaggi che arrivano al cervello vengono combinati in percezioni unitarie multisensoriali, e pertanto è possibile inferire che tutti i meccanismi percettivi dell’organismo funzionino allo stesso modo. Dal momento che il sistema olfattivo è il più semplice e nella maggior parte degli animali è il senso dominante, Freeman decide di concentrarsi su di esso.
Il suo funzionamento coinvolge essenzialmente quattro elementi (recettori, bulbo, corteccia cerebrale e nucleo olfattivo) e può essere sinteticamente riassunto in tre tappe:
1- un messaggio viene inviato dai recettori olfattivi al bulbo; 2- il messaggio prosegue alla corteccia e al nucleo olfattivo;
56
Ivi p.82.
3- il messaggio viene ritrasmesso al bulbo (in retroazione).
Tra i neuroni di bulbo, corteccia e nucleo vi sono interazioni che generano le oscillazioni registrabili dall’encefalogramma. Esse hanno tre frequenze diverse ma convivono in quello che Freeman chiama un menage à trois naturale, che è il responsabile di un’attività di fondo caotica. Per ogni inspirazione entra in gioco solo una piccola parte dei recettori disponibili. Questa parte forma una configurazione spaziale che viene trasmessa al cervello, dove viene presentata sotto forma di una seconda configurazione spaziale in corrispondenza topografica con la prima. Poiché in ogni inalazione oltre all’odore rilevante vengono introdotti anche altri odori di fondo, è necessario che la configurazione desiderata venga discriminata dalle altre. Ad ogni inalazione, però, il piccolo gruppo di recettori che vengono attivati cambia, e per questo motivo ad una stessa sostanza odorante corrispondono di volta in volta configurazioni differenti.
Come avviene, allora, che configurazioni spaziali variabili diano luogo alla stessa risposta comportamentale? Freeman spiega il fenomeno attribuendo al cervello la capacità di compiere generalizzazioni, astraendo cioè delle proprietà comuni a partire da presentazioni ripetute di uno stesso stimolo58.
Si tratta di un processo che può essere interpretato in modi differenti. Servendosi della sua abituale suddivisione in correnti, Freeman riassume le principali posizioni adottate da materialisti, cognitivisti e pragmatisti a proposito del processo di trasduzione59.
Le prime due hanno qualcosa in comune: i materialisti ritengono che il ruolo dei recettori sia quello di estrarre informazioni dallo stimolo e inviarle al cervello sotto forma di una quantità analogica, mentre i cognitivisti sostengono che la forma fisica dello stimolo viene rappresentata simbolicamente da una cifra binaria data dal treno di impulsi dell’assone. Entrambe queste proposte, cioè, affermano che al di fuori del cervello esistono degli oggetti e ciò che viene costruito all’interno del cervello ne è la rappresentazione. Molti neurobiologi, in
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Cfr. ivi p. 87. 59 Cfr ivi, p. 83.
questo contesto, spiegano il processo percettivo attribuendo solo a pochi neuroni del bulbo il compito di creare la configurazione spaziale. Essi, lo ricordiamo, utilizzano un modello riduzionista-computazionale per il quale i recettori inviano al cervello le informazioni sensoriali tramite specifici neuroni corticali che corrispondono a determinati caratteri dell’oggetto e le trasmettono poi ad altre aree del cervello dove vengono ulteriormente elaborate e classificate.
L’interpretazione pragmatista, in cui Freeman si riconosce, nega invece questo schema: i recettori non estraggono nessun’informazione e nessun significato, semplicemente essi trasmettono una certa quantità di energia. La forma che viene prodotta all’interno del cervello non è la rappresentazione di un oggetto esistente nel mondo già pronto e definito, ma viene costruita incorporando all’oggetto di esperienza anche il significato che l’esperienza dell’oggetto ha avuto per il soggetto60. Questo significa che per Freeman, oltre ai pochi neuroni che fanno arrivare l’attività al cervello, vi sono moltissimi altri neuroni che partecipano alla formazione di una macroscopica attività con la quale avviene la generalizzazione.
Freeman aveva iniziato le sue ricerche ipotizzando che nel bulbo la configurazione di impulsi microscopici per una stessa sostanza odorosa presentata più volte fosse variabile proprio come erano variabili le configurazioni microscopiche presenti nei recettori, e questo fu in effetti confermato dagli esperimenti. Ciò che però non aveva previsto era che a questa variabilità tra le configurazioni microscopiche non corrispondeva un’altrettanta variabilità a livello macroscopico: l’attività bulbare macroscopica risultava essere, per una stessa sostanza presentata ripetutamente, praticamente la stessa.
Tramite l’EEG era inoltre emerso un secondo dato fondamentale: la configurazione bulbare ha origine grazie alla partecipazione di ogni neurone del bulbo. Le oscillazioni del potenziale dendritico hanno infatti la stessa forma d’onda in tutto il bulbo e per questo danno origine ad un’onda comune. Cosa fa sì che questi neuroni oscillino nello stesso modo? Secondo Freeman non c’è
60
In questa differenza si gioca essenzialmente lo scarto tra attività e passività nel processo percettivo. Cfr. Freeman 2000d, p.12.
nulla nel cervello che fornisca le istruzioni necessarie per compiere una simile operazione, e quindi egli ne deduce che
«le configurazioni […] sono create dai neuroni nell’ambito della popolazione bulbare, non sono imposte dall’esterno»61
Si tratta di un passaggio importante, perciò vale la pena di vedere più dettagliatamente gli esperimenti con cui Freeman giunge a questa conclusione.