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Energia libera ed equilibrio di fase di sostanze pure

Nel documento Principi di termodinamica per la chimica (pagine 48-57)

II e III Principio della termodinamica

3.5 Energia libera ed equilibrio di fase di sostanze pure

Solitamente il contenuto energetico di un sistema non è discusso direttamente in termini di energia interna U , entalpia H ed entropia S, quanto piuttosto delle funzioni ausiliarie, come l’energia libera di Helmholtz A

A = U − T S (3.37)

e soprattutto, in ambito chimico, dell’energia libera di Gibbs G

G = H − T S (3.38)

L’importanza di queste funzioni risiede principalmente in due loro caratteristiche: la possibilità di esprimere la direzione spontanea di trasformazione di un sistema nelle condizioni sperimentali piú comuni (volume o pressione costante) e la loro utilità nel descrivere quantitativamente il lavoro effettivo od utile ricavabile da una trasformazione in dette condizioni.

Consideriamo un sistema in contatto con un termostato alla temperatura T , in equilibrio; la disegua-glianza di Clausius si può scrivere come

dS −dq

T ≥ 0 (3.39)

dove dq è il calore ceduto dal sistema al termostato; a volume costante, il calore scambiato è pari alla funzione di stato U , ovvero dq = dU e perciò

T dS − dU ≥ 0 (3.40)

ovvero usando la definizione di A e ricordando che la temperatura è costante

dAT,V ≤ 0 (3.41)

in una trasformazione spontanea a T e V costanti l’energia libera di Helmholtz tende a diminuire. L’energia libera di Helmholtz, che è naturalmente una funzione di stato essendo espressa in termini di U , T ed S, può

anche essere posta in relazione con il lavoro massimo ricavabile a temperatura e volume costanti. Infatti la variazione infinitesima di A in una trasformazione è

dA = dU − T dS − SdT = dw + dq − T dS − SdT (3.42)

ed in condizioni isoterme

dAT = dw + dq − T dS (3.43)

se la trasformazione è reversibile dqrev = T dS

dAT = dwrev (3.44)

quindi la variazione infinitesima di A in una trasformazione isoterma è pari al lavoro ottenibile dal sistema in condizioni reversibili, che è anche il massimo lavoro ottenibile dal sistema. Per una trasformazione finita

∆A = wmax (3.45)

quindi la variazione di energia libera di Helmholtz di un sistema che subisca una trasformazione tra due stati a temperatura costante è pari al lavoro massimo ottenibile in queste condizioni, cioè al lavoro ottenuto se la trasformazione è effettuata reversibilmente.

La maggiore parte delle trasformazioni che avvengono in un laboratorio, o comunque in ambienti compa-tibili con l’esistenza di un osservatore umano, sono di solito riferite a condizioni di temperatura e pressione costanti. Ecco perché, accanto all’energia A è utile introdurre un grandezza come l’energia di Gibbs che ha proprietà analoghe, ma per trasformazioni a T e p costanti. Consideriamo quindi ora il sistema in contatto con un termostato alla temperatura T , in equilibrio; a pressione costante, il calore scambiato è pari alla funzione di stato H, ovvero dq = dH e perciò

T dS − dH ≥ 0 (3.46)

ovvero usando la definizione di G e ricordando che la temperatura è costante

dGT ,p ≤ 0 (3.47)

in una trasformazione spontanea a T e p costanti l’energia libera di Gibbs tende a diminuire. Anche l’energia di Gibbs può essere messa in relazione con il lavoro massimo ottenibile dal sistema, purché si consideri il solo lavoro utile, cioè il lavoro non di volume. La verifica di questa affermazione è analoga a quella svolta nel caso dell’energia di Helmholtz. La variazione infinitesima di G in una trasformazione è

dG = dH − T dS − SdT = dU + d(pV ) − T dS − SdT = dw + dq + d(pV ) − T dS − SdT (3.48) ed in condizioni isoterme

dGT = dw + dq + d(pV ) − T dS (3.49)

se la trasformazione è reversibile dqrev = T dS

dGT = dwrev+ d(pV ) (3.50)

Come abbiamo visto in precedenza, il lavoro può essere distinto in lavoro di espansione o volume wexp e lavoro utile we. Per una trasformazione reversibile il lavoro di volume è dwexp = −pdV , da cui, tenendo conto del fatto che d(pV ) = pdV + V dp

dGT = dwe,rev+ V dp (3.51)

e a pressione costante

quindi la variazione infinitesima di G in una trasformazione isoterma e isobara è pari al lavoro non di volume ottenibile dal sistema in condizioni reversibili, che è anche il massimo lavoro utile ottenibile dal sistema. Per una trasformazione finita

∆G = we,max (3.53)

quindi la variazione di energia libera di Gibbs di un sistema che subisca una trasformazione tra due stati a temperatura e pressione costanti è pari al lavoro utile massimo ottenibile in queste condizioni, cioè al lavoro non di volume ottenuto se la trasformazione è effettuata reversibilmente.

L’energia libera molare di una sostanza pura viene anche detta potenziale chimico, µ = G

n (3.54)

come vedremo meglio in seguito la definizione di potenziale chimico può essere generalizzata al caso di sistemi a piú componenti, in presenza od in assenza di reazioni chimiche. Tuttavia, possiamo già applicare le proprietà dell’energia libera al caso della trasformazione chimico-fisica piú semplice, vale a dire una trasformazione di fase. Consideriamo per esempio un sistema eterogeneo, in condizioni di temperatura e pressione costante, formato da due fasi, 1 e 2, che coesistono in equilibrio. Una trasformazione infinitesima reversibile del sistema corrisponde perciò al passaggio di una quantità infinitesima di moli di sostanza dalla fase 1 alla fase 2

dn = −dn1 = dn2 (3.55)

e possiamo scrivere

dGT ,p = µ1dn1+ µ2dn2 = (µ2− µ1)dn = 0 (3.56) dove µ1 e µ2 sono l’energia libera molare nella fase 1 e 2, e l’uguaglianza a zero deriva dalla condizione di equilibrio. Ne consegue che

µ1= µ2 (3.57)

Possiamo quindi concludere che il potenziale chimico di una sostanza pura presente sotto forma di piú fasi coesistenti in equilibrio è lo stesso in tutte le fasi.

3.6 Approfondimenti

3.6.1 Processi a flusso stazionario

L’entalpia e l’energia di Gibbs sono funzioni molto utili per descrivere processi a flusso stazionario, tipici delle produzioni industriali. Consideriamo la Fig. (3.7) che rappresenta un apparecchio C , per esempio una turbina a vapore, attraverso il quale passa un flusso stazionario di materiale, entrando nel tubo A e uscendo dal tubo B. Supponiamo, per fissare le idee, che esistano due pistoni ideali che si spostano da a ad a0 e da b a b0 quando una certa quantità di sostanza passa nel sistema.

Figura 3.7: Processo in flusso stazionario

Indichiamo con pae pble pressioni costanti in a e b e con Va e Vb i volumi di sostanza che si spostano per unità di massa in A e B. Se una quantità di massa m attraversa C, il pistone di sinistra si muove in a0, spostando un volume Vam ed il pistone di destra si muove in b0, spostando un volume Vbm. Dato che le pressioni sono costanti, il lavoro compiuto dalla parte di fluido compresa tra i due pistoni è

w = pbVbm − paVam + wum (3.58) cioè la somma del lavoro compiuto dal fluido in C per spostare il fluido alla destra di b, del lavoro compiuto dal fluido in C per spostare il fluido alla sinistra di a, e del lavoro utile compiuto dal fluido in C, per esempio il lavoro compiuto dalla turbina. Dal primo principio risulta inoltre

dove con Ua,b indichiamo l’energia interna per unità di massa in a e b mentre q è il calore assorbito1; confrontando l’espressione precedente con la definizione di entalpia risulta che

Hb− Ha= q + wu (3.60)

L’entalpia ha quindi lo stesso ruolo per i sistemi aperti in flusso stazionario che l’energia interna ha per i sistemi isolati, con il lavoro utile al posto del lavoro totale.

3.6.2 Trasformazioni di sistemi gassosi perfetti

Riassumiamo in questa sezione alcune proprietà deducibili per un sistema chiuso formato da un gas perfetto in un volume V , a partire dall’equazione di stato

pV = nRT (3.61)

dove n è il numero di moli e p è la pressione. Come discuteremo in uno dei capitoli successivi, per un gas perfetto

1. l’energia interna e l’entalpia dipendono solo dalla temperatura; l’entalpia è subito ottenuta dall’energia interna come H = U + nRT

2. anche le capacità termiche sono funzioni solo della temperatura 3. la relazione tra CV e Cp è

Cp− CV = nR (3.62)

Trasformazione isoterma Consideriamo un sistema chiuso formato da n moli di un gas perfetto, che compia una trasformazione isoterma, reversibile da un volume Vi ad un volume Vf, cui corrispondono le pressioni pi e pf. Il lavoro eseguito dal sistema è, ricordando che pV = nRT

w = −nRT Z Vf Vi dV V = nRT ln Vi Vf = nRT ln pf pi (3.63)

se Vf > Vi il lavoro è negativo, w < 0, cioè il sistema ha ceduto energia compiendo un lavoro sull’ambiente. Si noti che poiché la variazione di energia deve essere nulla per un gas perfetto in una trasformazione isoterma, il calore scambiato q è uguale a −w.

Trasformazione adiabatica Dato che l’energia interna è funzione della sola temperatura CV = ∂U ∂T  VdU dT (3.64)

da cui dU = CVdT , e quindi, dal primo principio

CVdT = T dS − pdV (3.65)

Usando l’equazione di stato, la precedente equazione può essere riscritta come CVdT

T = dS − R dV

V (3.66)

Supponendo che CV sia indipendente da T - un ipotesi abbastanza corretta per molti gas in intervalli di temperatura relativamente larghi, a bassa pressione - possiamo integrare analiticamente l’equazione (3.66), da uno stato iniziale i ad uno stato finale f

CV lnTf Ti = Sf − Si− nR lnVf Vi (3.67) 1

Si noti che in realtà U dovrebbe essere sostituta con l’energia totale, che risulta uguale all’energia interna più l’energia cinetica del fluido

che con qualche semplice elaborazione diviene

piViγe−Si/CV = pfVfγe−Sf/CV (3.68) dove γ = Cp/CV. Per una trasformazione adiabatica isoentropica, la variazione di entropia deve essere nulla, da cui segue

piViγ = pfVfγ (3.69)

da cui discendono altre relazioni semplici, tenendo conto dell’equazione di stato, per esempio Tf Ti =  Vf Vi γ−1 (3.70)

Durante una trasformazione adiabatica, il lavoro è immediatamente calcolabile dalla differenza di energia interna; se CV è costante, si ha che Uf − Ui = CV(Tf − Ti), come segue dalla (3.64), e perciò

w = Uf − Ui = CV(Tf − Ti) = CV

R (Tf − Ti) (3.71)

mentre il calore scambiato è naturalmente nullo.

Possiamo ora verificare come la temperatura termodinamica sia numericamente uguale alla temperatura del termometro a gas perfetto. Supponiamo per ora di distinguere tra temperatura termodinamica e temperatura del gas perfetto. Sia θ la temperatura del gas perfetto. La legge di stato è definita a partire dalla temperatura θ (è un osservabile sperimentale che riassume una serie di misure di V , p e θ per i gas in condizioni vicine all’idealità). Se consideriamo il ciclo di Carnot, come in Figura (3.2), eseguito da un gas perfetto, possiamo applicare le precedenti uguaglianze (usando θ al posto di T , dato che abbiamo per ora distinto le due quantità), ottenendo facilmente dalle proprietà delle trasformazioni isoterme che

|q2| = nRθ2lnVB

VA, |q1| = nRθ1ln VD

VC (3.72)

mentre dalle proprietà delle trasformazioni adiabatiche segue che lnVC VA = ln VD VB → ln VB VA = ln VD VA (3.73)

da cui segue che |q1| |q2| =

θ1 θ2

(3.74)

Ma in un ciclo di Carnot come quello di figura (3.2), il rapporto tra i calori scambiati con i due termostati dal sistema in esame è, indipendentemente dalle sue proprietà, esprimibile in funzione della temperatura termometrica

|q1| |q2| =

T1

T2 (3.75)

come abbiamo visto nelle sezioni precedenti. Si ha perciò che θ1

θ2

= T1 T2

(3.76) Perciò scegliendo lo stesso valore numerico per il sistema di riferimento (acqua al punto triplo, θ = T = 273.16), ne consegue l’uguaglianza numerica di θ e T .

3.6.3 Il moto perpetuo

Le macchine del moto perpetuo sono dispositivi immaginari che violano il primo o secondo principio della termodinamica. Le macchine del moto perpetuo di I specie, che violano il primo principio, creano dunque energia dal nulla. Le macchine del moto perpetuo di II specie trasformano completamente il disordine (calore) in ordine (lavoro). Esistono anche dispositivi ipotetici che violano il terzo principio, ma sono relativamente piú rari.

I tentativi che si sono succeduti nel corso dei secoli, e che continuano tutt’oggi, di violare il primo ed il secondo principio della termodinamica, sono innumerevoli e, a modo loro, affascinanti. La storia (documentata) delle macchine del moto perpetuo inizia almeno nel XIII secolo, con l’architetto Villard de Honnecort che nel 1245 descrisse una ruota sbilanciata in grado di ruotare in perpetuo.

Figura 3.8: Macchina di Villard de Honnecort

Ma la prima macchina del moto perpetuo di cui sia abbiano notizie precise è dovuta ad un italiano, tale Marco Antonio Zi-mara (1460 - 1523) che dichiarò di aver inventato un mulino in grado di funzionare senza alcuna fonte di energia esterna. Nel 1618 Robert Fludd creò (costruì ?) un mulino a ruota, posto in rotazione dall’acqua che una vite di Archimede provvedeva a riportare in cima, come in Figura (3.1).

Altri inventori di macchine del moto perpetuo sono John Wilkins, vescovo di Chester che nel 1670 propose una serie di macchine basate su ruote sbilanciate, come la macchina di de Honnecort, in cui la gravità avrebbe dovuto riportare i dispositivi al loro stato iniziale. Johan Ernst Elias Bessler, nel XVIII secolo disegnò molti schemi di macchine del moto perpetuo e riuscì effettivamente a costruirne una funzionante per 40 giorni, probabilmente grazie ad un meccanismo nascosto a molla.

Anche famosi e seri scienziati credettero nelle macchine del moto perpetuo. Per esempio, Robert Boyle tentò di costruire una macchina del moto perpetuo in cui la capillarità avrebbe dovuto permettere di ottenere una specie di fontana perpetua, con l’acqua capace di salire lungo un tubo per adesione capillare e poi di ricadere per gravità. Nell’Ottocento, le macchine del moto perpetuo si moltiplicarono a dismisura: allora come oggi, la necessità di dispositivi in grado di produrre lavoro a costi molti bassi era un incentivo molto importante. Possiamo ricordare W. Leaton (1866: ideò un pendolo oscillante perpetuo), E.P. Willis (1866: costruì una macchina basata su ruote sbilanciate per gravità), J.E.W. Keely (1875: creò un meccanismo complesso, basato sul vapore eterico). In tutti questi casi, le macchine erano effettivamente dispositivi fasulli con meccanismi ad orologia o a vapore nascosti.

Figura 3.9: Macchina di Keely Tutti gli esempi precedenti sono macchine di I specie. Tra

le macchine di II specie, possiamo ricordare qui il dispositivo di J. Gamgee che nel 1880 inventò il motore zero in cui il calore dell’ambiente provocava l’ebollizione di ammoniaca liquida che a sua volta muoveva un pistone. La condensazione riportava poi il sistema al suo stato iniziale. Purtroppo la condensazione stessa richiede energia, perché il gas deve essere portato sotto la temperatura ambiente, quindi la macchina non può funzio-nare. Il Ministero della Difesa americano dell’epoca manifestò un certo interesse al progetto e, pare, lo finanziò.

Infine Maxwell propose nel 1817 (come esperimento ideale, non come macchina funzionante!) il suo famoso demone, una piccola creatura in grado di distinguere e di lasciare passare at-traverso un’apertura solo le molecole di un gas sopra una data energia cinetica; nel tempo, si viene cosí a creare una zona con il gas a pressione maggiore ed una con il gas a pressione minore, con la possibilità di compiere una lavoro. La

spiega-zione dell’apparente paradosso (il demone di Maxwell sembra violare il secondo principio poiché tutta la differenza di energia cinetica tra le molecole delle due zone sembra essere convertita in lavoro) è dovuta a Bennet, Szillard, Landauer ed altri, ed è piuttosto complessa: in sintesi è basata sul fatto che il demone deve poter dimenticare i risultati delle sue precedenti operazioni per proseguire la sua attività, e questo fatto contribuisce a creare entropia nell’ambiente.

3.6.4 Altre macchine termiche

Le macchine termiche piú comuni sono gli impianti a vapore per la produzione di energia meccanica, basata sul ciclo ideale di Rankine e il motore a combustione interna, basato sul ciclo Otto. Una descrizione accurata di questi dispositivi è data in Calore e termodinamica Vol. I, Cap.7 di M.W. Zemansky, da cui desumiamo questa nota sul ciclo Otto. In un motore a benzina a sei tempi, abbiamo la seguente successione di trasformazioni

espansione: vapori di benzina ed aria penetrano nel cilindro, aspirati dal pistone

compressione e scoppio : il pistone comprime i vapori; una scintilla elettrica provoca la combustione, a volume ancora costante

potenza ed espulsione dalla valvola: il gas ad alta pressione e temperatura si espande e spinge il pistone; il gas viene portato alla stessa pressione esterna mediante espulsione dalla valvola di scarico, con il pistone fermo

espulsione il pistone spinge tutto o quasi il gas restante all’esterno

La descrizione del motore scoppio dovrebbe tenere conto di effetti di attrito, moti turbolenti etc. Una descrizione idealizzata è basata sul ciclo Otto, che considera solo trasformazioni reversibili di un gas perfetto a capacità termica costante, in assenza di attriti, Figura (3.10). Lo schema del ciclo Otto è il seguente

5 → 1: immissione isobara, n moli di gas a pressione esterna p0 entrano nel volume V1, con p0V1 = nRT1, dove T1 è la temperatura esterna

1 → 2: compressione adiabatica; la temperatura passa a T2, con T1V1γ−1 = T2V2γ−1

2 → 3: aumento della temperatura a T3, a volume costante, mediante assorbimento di calore qH da una serie di termostati compresi tra le temperature T2 e T3 (è la fase di scoppio idealizzata)

3 → 4 espansione adiabatica, con abbassamento della temperatura a T4, con T3V2γ−1 = T4V1γ−1 4 → 1 abbassamento della temperatura a T1, a volume costante mediante cessione di calore qC ad

una serie di termostati compresi tra le temperature T4 e T1 (è la fase di espulsione dalla valvola di scarico idealizzata)

1 → 5 espulsione isobara, n moli di gas a pressione esterna p0 escono dal volume V1. Il calcolo dell’efficienza termica, basato sulle proprietà dei gas perfetti fornisce l’espressione

 = 1 −T4− T1 T3− T2 = 1 −

1

rγ−1 (3.77)

dove r = V1/V2è il rapporto di compressione. In un motore a scoppio, r < 10, altrimenti si avrebbe scoppio prima dello scoccare della scintilla (pre-accensione); assumendo r = 9 e γ = 1.5 si ottiene  = 0.67, che costituisce un limite superiore all’efficienza di un motore a scoppio reale.

Parte II

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