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Già nella disciplina previgente era riconosciuto, nell’ambito dell’adozione internazionale, il bisogno di un’attività di intermediazione per facilitare l’incontro tra il minore in stato di abbandono e gli aspiranti genitori. A tal proposito era prevista dal previgente art. 38, l. adoz., la possibilità che il Ministero degli affari esteri, di concerto con il Ministero di grazia e giustizia, autorizzasse enti pubblici o altre organizzazioni idonee all’espletamento delle pratiche per l’adozione di minori stranieri. Tale autorizzazione era, però, solamente facoltativa e gli enti potevano svolgere tali procedure anche in assenza di questa.

Inoltre, la coppia era lasciata libera di rivolgersi o meno a enti autorizzati per la ricerca del bambino da adottare.

Le pratiche incontrollate del “fai da te”, prevalentemente attente alle richieste degli adottandi e agli interessi economici di taluni intermediari, condussero spesso all’elusione delle norme poste a salvaguardia del

117 Art. 34, l. n. 184/1983 118 Vedi Capitolo 2, §12.

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minore e non sempre, comunque, venivano rispettate le aspettative degli adottanti119.

Per rimediare a questa prassi, contraria ai principi che si sono affermati in tema di adozione dei minori, è stata quindi introdotta la necessaria intermediazione degli enti quale strumento di garanzia sia del rispetto del diritto fondamentale del minore a non essere sottratto alla sua famiglia d’origine e al suo Paese, sia della tutela delle aspettative degli aspiranti genitori adottivi. Lo scopo principale dell’attività di intermediazione è dunque quello di giungere al migliore abbinamento possibile tra il minore in stato di adottabilità e la coppia adottante dichiarata idonea120.

La Convenzione dell’Aja ha scelto di affidare lo svolgimento delle pratiche dell’adozione internazionale alle Autorità Centrali, le quali possono delegare tali compiti a enti autorizzati di accertata moralità, controllati dalle stesse121.

In Italia è quindi la Commissione per le Adozioni Internazionali che ha il compito di rilasciare l’autorizzazione agli enti, previo accertamento dei requisiti previsti dalla legge, curare l’Albo degli stessi e controllarli periodicamente122.

Il primo Albo è stato approvato dalla CAI nel 2000 e nel corso di pochi anni si è raggiunta la quota di settanta enti autorizzati. L’elevato numero di enti, il più alto in Europa, si è rivelato, però, un limite all’efficienza

119 Poletti di Teodoro, L’adozione internazionale, op. cit., 727. 120 Poletti di Teodoro, L’adozione internazionale, op. cit., 729. 121 Art. 22, co. 2, Convenzione dell’Aja, 1993

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del nostro Paese nel campo dell’adozione. Questi enti, infatti, spesso di provenienza diversa, associazioni di famiglie adottive, istituti religiosi ecc., hanno difficoltà a confrontarsi con l’Autorità Centrale ed anche tra di loro. Per questi motivi la Commissione per le Adozioni Internazionali ha adottato, con il D.P.R. n. 108/2007, nuovi criteri che hanno avuto l’effetto positivo di restringere il numero di enti autorizzati, avviando un opportuno processo di selezione123.

Dovendo svolgere i loro compiti anche nello Stato di origine dei minori, tali enti, per poter operare, devono altresì essere accreditati all’estero in base a precise regole che variano da paese a paese.

Per quanto riguarda i requisiti di organizzazione, in osservanza delle disposizioni della Convenzione124, questi organismi, essendo sancito il divieto di scopo di lucro, devono assumere una forma che escluda tale scopo, devono poi assicurare una gestione contabile trasparente e devono essere diretti e gestiti da soggetti qualificati per la loro integrità morale e per la loro formazione e esperienza nell’ambito dell’adozione internazionale. Sempre nell’ottica dei requisiti per ottenere l’autorizzazione, sul piano etico-comportamentale, gli enti devono operare senza pregiudizi e discriminazioni, anche ideologiche e religiose, nei confronti di coloro che aspirano all’adozione125.

123 Ghionni, Adozione internazionale…, op. cit., 112. 124Artt. 11,12, Convenzione dell’Aja, 1993.

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Gli enti autorizzati, nonostante l’opportuna previsione da parte del legislatore della possibilità di essere costituiti da servizi pubblici su base regionale126, sono attualmente tutti organismi di volontariato, associazioni di genitori adottivi e associazioni di professionisti esperti della materia dell’adozione internazionale, con la sola eccezione del servizio pubblico per le adozioni internazionali del Piemonte istituito con legge regionale n.30/2001127.

È opportuno osservare che il modello proposto dalla Convenzione, nel senso di istituire in ogni Paese un’Autorità Centrale competente ad adottare le misure necessarie con il “concorso” degli enti abilitati, non ha trovato preciso riscontro nella nostra normativa, poiché la CAI, piuttosto che collaborare con gli enti, si occupa di esercitare funzioni di vigilanza e controllo sugli stessi128. La CAI esercita tali poteri mediante verifiche periodiche sulla attività svolta e l’efficienza della stessa, esaminando anche la proporzione tra incarichi accettati e incarichi espletati.

Come già evidenziato, la nuova disciplina ha reso obbligatoria l’intermediazione degli enti autorizzati per lo svolgimento dell’adozione internazionale, prevedendo nel caso di mancata intermediazione o conferimento di mandato ad ente non autorizzato, sanzioni penali sia in capo agli interessati che all’ente medesimo129.

126 Art. 39 bis, co.2, l. n. 184/1983

127 Poletti di Teodoro, L’adozione internazionale, op. cit., 730. 128 Ghionni, Adozione interazionale…, op. cit., 88.

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L’obbligatorietà dell’intervento dell’ente autorizzato si estende anche alle adozioni effettuate in Stati che non sono parte della Convenzione dell’Aja, a dimostrazione della fiducia riposta in questi organismi per il corretto svolgimento della delicata procedura130.

Si pone, però, il problema, soprattutto relativamente alla previsione delle suddette sanzioni, del caso in cui lo Stato non aderente alla Convenzione si rifiuti di considerare l’ente come interlocutore ufficiale, oppure dell’ipotesi che nel Paese, che pur facendo parte della Convenzione, non operi alcun ente autorizzato131. In tali situazioni, considerata la mancanza in capo alla CAI di poteri diretti nelle procedure di adozione, gli aspiranti genitori saranno costretti a prendere personalmente contatti con le Autorità Centrali del paese di origine, con tutte le difficoltà e le problematiche che potrebbero instaurarsi132.

Gli enti autorizzati, pur dovendo mantenere la propria identità sociale per potersi inserire al meglio nel Paese straniero e garantire il principio di sussidiarietà senza lasciarsi coinvolgere da logiche di mercato133, con l’autorizzazione diventano titolari di funzioni pubbliche da svolgere nei Paesi stranieri dove rappresentano lo Stato in materia di adozione internazionale, segnatamente per quanto riguarda il potere di stabilire con

130 Poletti di Teodoro, op. loc. ult. cit.

131 L. Fadiga, Adozione internazionale, paesi di origine e paesi di accoglienza, in Tratt.

Zatti, II, 2002.

132 Petrone, L. 4.5.1983, n. 184…, op. cit., 177.

133 P. Morozzo della Rocca, Gli enti autorizzati quali associazioni di diritto privato

esercenti pubbliche funzioni: reglole, poteri e responsabilità, in Le nuove regole delle adozioni, a cura di P. Morozzo della Rocca, Urbino, 2002, 132.

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l’Autorità straniera se procedere con l’adozione e approvare la decisione di affidare il bambino ai futuri genitori adottivi134.

Su questo tema, però, la dottrina non è concorde, in quanto taluni ritengono che gli enti siano esclusivamente concessionari di funzioni pubbliche ed abbiano, per questo motivo, un obbligo a contrarre135; l’ente prescelto, quindi, non può rifiutare l’incarico, salvo il caso di deduzione di ragioni oggettive quali la sua non operatività nel Paese indicato; altra parte della dottrina sostiene, invece, che questo obbligo a contrarre non sussista poiché gli enti sono legittimati dalla Commissione a svolgere un’attività regolata ma non imposta136.

Condivisibile risulta la posizione della Commissione nelle Linee guida137, che subordina il conferimento dell’incarico da parte degli aspiranti genitori adottivi alla predisposizione di un progetto concordato tra l’ente e la coppia che abbia concrete possibilità di concretizzazione. In questo modo sarebbe preservato il carattere fiduciario del rapporto tra ente e aspiranti genitori che si crea quando questi danno l’incarico a svolgere le pratiche adozionali, realizzando rapporto contrattuale che, per le sue peculiarità, è stato definito dalla dottrina come “mandato atipico a titolo oneroso138”139. Si tratta di mandato in quanto la coppia esprime la volontà di affidarsi all’ente e accetta le modalità di operazione di questo; è però atipico, in quanto l’ente non ha libertà contrattuale ma ha l’obbligo

134 P. Pazè, L’identità degli enti che svolgono per conto di terzi pratiche di adozione di

minori stranieri, in Minori giustizia, 2001, 19.

135 Pazè, op. loc. ult. cit.

136 Morozzo della Rocca, Gli enti autorizzati…, op. cit., 138.

137 Linee guida, 2005, Obblighi dell’ente, lett. B, in G.U. 31 marzo 2005, n.74. 138 Artt. 1703-1730, c.c.

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di svolgere con diligenza i propri compiti. Infine, l’onerosità della prestazione dell’ente è armonizzata con il carattere no profit di questo, il quale ha sicuramente diritto al rimborso delle spese sostenute e al compenso del personale qualificato di cui si avvale, sotto il controllo della Commissione140 e nel rispetto dei limiti di ragionevolezza posti dalla Convenzione che vietano qualsiasi profitto materiale indebito per le prestazioni relative all’adozione141.

Le attività attribuite alla competenza dell’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico da parte della coppia adottante, secondo la previsione della legge, sono le più varie e vengono svolte in vari momenti del procedimento, in parte in Italia ed in parte nel Paese straniero. I compiti dell’ente autorizzato sono elencati all’art. 30, l. adoz, e la Commissione per le Adozioni Internazionali, per favorirne il corretto svolgimento, ha predisposto delle Linee guida142 per l’ente stesso contenenti una serie di indicazioni che hanno valore esegetico della normativa e di indirizzo per l’applicazione della stessa143.

Nella fase preliminare l’ente ha compiti di informazione della coppia circa le procedure da attuare, quali l’inoltro della domanda di adozione, del decreto di idoneità e della relazione dei servizi territoriali alle competenti autorità del Paese straniero scelto tra quelli in cui l’ente opera, affinché queste possano formulare una proposta di incontro. Le informazioni in questione devono essere date al momento della

140 P. Polidori, Efficienza economica e deontologica dell’adozione internazionale, in

Studi urbinati, Università degli Studi di Urbino, 2003, 241.

141 Art. 32, Convenzione dell’Aja, 1993 142 Del. n. 3/2005/SG

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formulazione del progetto concordato, quindi prima del conferimento dell’incarico all’ente, e devono riguardare le concrete aspettative di adozione in quel Paese, considerando le indicazioni del decreto di idoneità e le condizioni delle adozioni in quello Stato.

Relativamente ai rapporti tra adozione nazionale e internazionale, poiché non è disciplinata la possibilità di svolgere contemporaneamente i due percorsi e quindi le modalità di coordinamento, la CAI consiglia agli enti di chiedere alla coppia se e in quali uffici giudiziari ha presentato domanda per l’adozione di un bambino italiano, al fine di evitare che la coppia, già in contatto con un minore straniero, sia poi individuata come idonea all’affidamento preadottivo e possa preferire l’adozione nazionale144.

Nella fase del procedimento, che si svolge all’estero145, l’ente deve dapprima verificare formalmente la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 4 della Convenzione per l’adozione di quel minore.

Acquisite tutte le notizie sullo stato di adottabilità del minore, le informazioni sulla sua salute, sulla famiglia biologica e sulle esperienze della sua vita, l’ente ha il compito di giudicare sull'opportunità dell’incontro con il bambino proposto dall’Autorità straniera e comunicare le stesse informazioni alla coppia, la quale deve prestare il consenso scritto all’incontro.

144 Ghionni, Adozione internazionale…, op. cit., 93. 145 Art. 31, l. n. 184/1983

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Avvenuto l’incontro tra gli aspiranti genitori e il minore, l’ente è competente insieme all’Autorità straniera per il giudizio sull’opportunità di procedere all’adozione e per l’approvazione della decisione di affidare il minore. Comunica quindi la decisione al Tribunale per i minorenni e chiede alla CAI l’autorizzazione all’ingresso e alla residenza del minore in Italia.

L'ente rappresenta l’autorità centrale italiana all’estero, perciò deve trasmettere tutti i documenti della procedura al Tribunale e alla Commissione e certificare l’ingresso del minore in Italia accompagnato dai genitori adottivi.

L’ente, infine, arrivato il minore in Italia, ha il compito di svolgere con i servizi socio-assistenziali attività di sostegno della nuova famiglia, qualora gli interessati ne facciano domanda146.