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L'adozione internazionale: disciplina attuale, criticita' e prospettive de iure condendo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza

Tesi di laurea

L’adozione internazionale:

disciplina attuale, criticità e prospettive de iure condendo

Il Candidato

Il Relatore

Alessandra Veninata

Dott. Caterina Murgo

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 1

CAPITOLO 1 EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO DELL’ADOZIONE 1.1 La ratio dell’istituto. Dal modello consensuale al modello personalista-solidarista 3

1.2 L’introduzione dell’adozione minorile e internazionale in Italia 6

1.3 La normativa sovranazionale 10

1.4 La normativa di diritto interno 17

CAPITOLO 2 IL PERCORSO DELL’ADOZIONE INTERNAZIONALE 2.1 I presupposti dell’adozione internazionale 26

2.2 Requisito dell’adottando: lo stato di adottabilità 27

2.3 Requisito degli adottanti: idoneità ad adottare 36

2.4 I soggetti del procedimento. La Commissione per le Adozioni Internazionali 47

2.5 Il Tribunale per i minorenni 52

2.6 I servizi socio-assistenziali degli Enti Locali 57

2.7 Gli enti autorizzati 60

2.8 La prima fase del procedimento - in Italia 68

2.9 La seconda fase del procedimento - all’estero 73

2.10 La terza fase del procedimento - in Italia 78

2.11 Gli effetti dell’adozione internazionale 95

2.12 L’espatrio di minori italiani a scopo di adozione 100

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CAPITOLO 3

ADOZIONE INTERNAZIONALE DA PARTE DI SINGLE E COPPIE OMOSESSUALI. CRITICITA’ E NUOVE PROSPETTIVE

3.1 Adozione e nuovi modelli di famiglia 116 3.2 Obiezioni sulla disciplina dell’adozione nei confronti dei single 119 3.3 Le ipotesi di adozione da parte di single previste dalla legge italiana 121 3.4 La Giurisprudenza in materia di adozione da parte di persone singole 123 3.5 Il problema del riconoscimento dei provvedimenti stranieri di

adozione internazionale a favore dei single 128 3.6 Riconoscimento dell’adozione pronunciata all’estero a favore di una

coppia omosessuale 139

CONCLUSIONI 144

BIBLIOGRAFIA 145

GIURISPRUDENZA 150

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INTRODUZIONE

L'elaborato si propone di trattare il tema dell’adozione internazionale, istituto che consiste, secondo la definizione fornita dalla Convenzione dell'Aja del 1993, nel trasferimento di un soggetto minore d’età che si trova in stato di abbandono, dal suo Paese d’origine ad uno Stato di accoglienza, in virtù di un provvedimento volto a creare un legame di filiazione in favore di coniugi o di una persona residente abitualmente nello Stato di destinazione.

La scelta di adottare un minore straniero, in considerazione delle tristi realtà dei Paesi più poveri, è una scelta lodevole che ha come scopo quello di dare una famiglia ed un futuro migliore ad un bambino nato in un contesto sfortunato. Per quanto ammirevole sia questa scelta, però, le difficoltà che si pongono nel percorso adottivo internazionale sono spesso molte. Si tratta sia di problematiche relative alle condizioni del minore e alle sue difficoltà di inserimento nel nuovo ambiente, sia di criticità che si sollevano riguardo alla disciplina dell’istituto in esame che, sebbene sempre più armonizzata a livello internazionale e in continuo aggiornamento, evidenzia taluni contrasti problematici con la legge di altri ordinamenti e con altri istituti del diritto nazionale.

La tesi esamina l’evoluzione della ratio e conseguentemente della normativa nazionale e internazionale in materia di adozione, evidenziando l’affermazione del superiore interesse del minore quale fulcro dell’intero istituto. Analizza il procedimento, soffermandosi sui

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presupposti, i soggetti che vi partecipano, le fasi in cui si articola e affronta talune criticità esaminando i più recenti orientamenti della giurisprudenza, nazionale e internazionale. Viene approfondita, infine, la questione problematica dell’adozione a favore di persone single e coppie omosessuali, riportando le più significative e recenti sentenze in materia, nella prospettiva di un adeguamento dell’istituto all’attuale realtà sociale.

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CAPITOLO 1

EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO

DELL’ADOZIONE

1.1 LA RATIO DELL’ISTITUTO. DAL MODELLO CONSENSUALE AL MODELLO PERSONALISTA-SOLIDARISTA

Il termine adozione indica, tanto nel linguaggio comune, quanto in quello giuridico, un istituto complesso e di antica tradizione, che ha come scopo fondamentale quello di creare un rapporto giuridico di filiazione tra soggetti di solito privi di ogni legame biologico1.

L’adozione è un istituto estremamente anticoche nelle varie realtà sociali e nel corso della storia ha assunto accezioni diverse e si è evoluto per rispondere alle differenti esigenze della società. Era conosciuto già dalle civiltà precedenti all’epoca romana quali quella ebraica, greca ed egizia. È stato poi perfezionato dal diritto romano come negozio giuridico avente lo scopo, prettamente politico, di far uscire l’adottato dalla famiglia d’origine e fargli acquistare la posizione sociale più elevata dell’adottante, il quale, con l’adozione, si garantiva un erede che succedesse al suo nome e al suo patrimonio2.

L’adozione è stata per secoli lo strumento giuridico per assicurarsi un erede, restando la motivazione di solidarietà solamente sullo sfondo. La

1 Nell’adozione in casi particolari il minore può essere adottato anche da parenti. 2 G. Sgueo, L’istituto dell’adozione nella storia. Dal diritto romano agli ordinamenti

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ratio originaria dell’istituto era, infatti, quella di consentire a soggetti senza figli di tramandare il cognome della famiglia e trasmettere il proprio patrimonio. Questo era lo scopo previsto dal Codice Napoleonico e recepito dal codice Civile italiano del 1865 che riconosceva la possibilità, per le famiglie che non avessero figli legittimi o naturali, di adottare persone che avessero compiuto il diciottesimo anno di età. Si trattava, quindi, di un modello di adozione consensuale, concordato tra soggetti entrambi adulti e fondato su reciproche finalità. Il Codice civile del 1942 ha introdotto per la prima volta, nel nostro ordinamento, la possibilità di adottare soggetti minori di età mantenendo però, come scopo principale, quello di soddisfare le esigenze degli aspiranti genitori, senza considerare le esigenze del bambino, tanto che l’adozione dei minori di età inferiore a otto anni è stata disciplinata per la prima volta solo nel 1967. Lo scopo perseguito dall’istituto spiega perché la disciplina dell’adozione dei minorenni non godesse di particolari differenziazioni rispetto alla disciplina dell’adozione genericamente considerata.

Nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto a seguito degli eventi della seconda guerra mondiale, si sono registrati, nella gran parte degli stati europei e non, forti cambiamenti sociali, culturali e conseguentemente normativi. Si sono ridefinite le nozioni e i contenuti del rapporto tra adottato e famiglia adottiva e, soprattutto, è cambiato l’angolo visuale dal quale riguardare la posizione della persona minore d’età e dei suoi diritti. L’istituto ha oggi, infatti, il fine principale di permettere l’inserimento del bambino, in assenza di una famiglia in grado

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di provvedere alle sue esigenze di vita, all’interno di un nuovo nucleo familiare, nell’ambito del quale possa trovare un ambiente idoneo a garantirgli una crescita adeguata3.

Si è passati quindi, da un modello di adozione che rispondeva ad esigenze ed interessi, patrimoniali e non, dell’adottante, ad un modello personalista-solidarista4, finalizzato alla salvaguardia dell’interesse del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia, quale luogo elitario per lo sviluppo della sua personalità, qualora egli ne fosse privo. È quindi il superiore interesse del minore il principio che è oggi alla base di tutta la normativa, sia in ambito interno che internazionale, che riguarda i soggetti minori di età.

In molti si chiedono se questo modello di adozione, che ruota intorno al preminente interesse del minore, sia destinato a perdurare, oppure, sia già in atto un cambiamento che sposta l’attenzione sull’interesse degli aspiranti genitori ad ampliare la propria famiglia. Siamo infatti in un’epoca di mutamenti sociali, biologici, istituzionali e culturali, che trovano espressione nell’ampliamento della speranza di vita, nel diffondersi delle convivenze e nel progressivo riconoscimento di tali unioni anche sotto il profilo giuridico, nella riespansione della capacità procreativa anche oltre le possibilità naturali, grazie al progresso medico-scientifico e alla riconosciuta possibilità, da parte della legge, di utilizzare

3 M.A. Ianniccelli, L’adozione, in Diritto della famiglia, Milano, 2011, 869.

4 B. Poletti di Teodoro, L’adozione internazionale, in Il nuovo diritto di famiglia, diretto

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le nuove tecniche di procreazione medicalmente assistita. Alla luce di tutti questi e altri fatti che attestano il cambiamento, non pochi sono coloro che vedono nelle più recenti discipline in tema di minori, l’affermarsi di un approccio consumeristico ai temi dell’infanzia5.

1.2 L’INTRODUZIONE DELL’ADOZIONE MINORILE E INTERNAZIONALE IN ITALIA

Sebbene già in precedenza non fossero mancate leggi rivolte ai minori in stato di abbandono e al soddisfacimento dei loro bisogni, la svolta tra il vecchio modello di adozione e l’adozione a scopo solidaristico, con l’introduzione del concetto di tutela dell’interesse del minore, si è avuta nel nostro ordinamento con la l. 5 giugno 1967, n. 431, istitutiva della c.d. adozione speciale. Accanto all’adozione disciplinata dalle norme del codice civile, è stato così introdotto un modello di adozione, quella speciale appunto, diretta all’inserimento del minore abbandonato in un nuovo nucleo familiare e caratterizzata dalla preminenza attribuita all’interesse del minore. In particolare sono stati attribuiti all’adozione speciale effetti legittimanti, consistenti nel recidere i legami del minore con la famiglia di origine onde ricomprenderlo, in qualità di figlio, nella famiglia adottiva ed è stata decisa l’irrevocabilità dell’adozione. La legge ha quindi realizzato la “centralità del minore” muovendo il fulcro degli interessi dall’adottante all’adottato6.

5 P. Morozzo della Rocca, L’adozione dei minori e l’affidamento familiare, in Il nuovo

diritto di famiglia, diretto da G. Ferrando, 2007, 590.

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Nonostante la notevole spinta innovativa apportata dalla legge del 1967, l’istituto così disciplinato presentava inconvenienti e difficoltà applicative che hanno reso necessario l’intervento di ulteriori modifiche, prima mediante la riforma del diritto di famiglia con la l. 19 maggio 1975, n. 151 e poi, con la Convenzione europea di Strasburgo del 1967, ratificata in Italia con la l. 22 maggio 1974, n. 357, con la quale si ha anche un primo riferimento all’adozione di minore straniero7.

Un’organica riforma dell’istituto dell’adozione dei minori nel nostro ordinamento si è avuta con la l. 4 maggio 1983, n. 184, “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, che ha, tra l’altro, introdotto in Italia la materia dell’adozione internazionale.

In precedenza, infatti, la regolamentazione dell’adozione internazionale nel nostro ordinamento era affidata alle norme di diritto internazionale privato e, in particolare, agli artt. 17, 1° comma, 20 e 27, 2° comma, disp. prel. c.c., norme che non prevedevano una disciplina completa dell’istituto e che sono state poi abrogate con l. n. 218/19958. Il fenomeno

dell’adozione internazionale in Italia si è sviluppato soprattutto a seguito della seconda guerra mondiale; in particolare, subito dopo il conflitto, divenne molto frequente l’adozione di bambini italiani da parte di genitori stranieri cittadini di Stati che non avevano risentito delle conseguenze della guerra ed erano economicamente più forti. Nei decenni seguenti, invece, con il progresso economico del Paese, la

7 M. Petrone, L.4.5.1983, n.184-Titolo III: dell’adozione internazionale, in Della

Famiglia, a cura di L. Balestra, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2010, 154.

8 L. 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale

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diminuzione delle nascite, l’aumento sul territorio di interventi a sostegno delle famiglie in difficoltà, il numero dei bambini italiani adottabili è andato fortemente diminuendo. Intanto, però, si stava sviluppando, sia per il problema della sterilità di coppia, sia per la migliorata situazione economica, sia per la diffusione della cultura dell’adozione, l’altra forma di adozione internazionale, cioè, l’adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero, appartenente, spesso, a Paesi poveri o in via di sviluppo9. Il grande sviluppo del fenomeno dell’adozione internazionale ha reso necessaria una normativa completa di tale materia, in grado di rispondere alle sue specifiche esigenze. È stata, così, la l. n. 184/1983, che, nel riformare l’intero istituto adottivo, ha provveduto a disciplinare compiutamente, al Titolo III (artt. 29-43), l’adozione internazionale, con la finalità di estendere, sulla base del principio di uguaglianza, a tutti i minori, cittadini italiani o stranieri, la garanzia di avere una famiglia, rispondente ai requisiti di idoneità previsti dalla legge stessa, dove crescere ed essere educati.

In base alle previsioni della l. n. 184/1983, una volta dichiarato lo stato di adottabilità, di cui è presupposto necessario l’accertamento dello stato di abbandono in senso giuridico, esistono due tipi di adozione dei minori: l’adozione legittimante, che dà luogo all’ingresso del bambino in un nuovo nucleo familiare instaurando un irrevocabile legame di filiazione legittimante, e un secondo tipo di adozione, l’adozione in casi particolari, disciplinata dal titolo IV della legge che, diversamente dalla prima, non

9 M. Cavallo, Per una famiglia adottiva, Commissione per le adozioni internazionali,

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recide le relazioni giuridiche con la famiglia d’origine, ma costituisce comunque un nuovo rapporto di filiazione e attribuisce la responsabilità genitoriale agli adottanti, o all’adottante. L’adozione internazionale, per la prima volta disciplinata da questa legge, non può essere considerata come un terzo tipo di adozione; sebbene abbia una procedura specifica, conduce ad un provvedimento di adozione che avrà normalmente l’efficacia dell’adozione legittimante, ma che in taluni casi potrebbe avere i più limitati effetti dell’adozione “in casi particolari”10. La previsione di una specifica disciplina dell’adozione internazionale ha fatto emergere però, oltre alla dimensione raggiunta dal fenomeno dell’adozione come dimostrata dalle statistiche giudiziarie, anche i punti critici e i limiti della legge stessa, che ostacolavano il raggiungimento dei fini di tutela del minore. Si è parlato infatti di “nazionalismo adottivo” con riferimento alle norme relative all’adozione internazionale, definendo il modello stesso come autoritario11. La legge affermava, invero, all’art. 32, l’efficacia del provvedimento straniero di adozione ma, al tempo stesso, l’art. 33 prevedeva che potesse essere riconosciuto come affidamento preadottivo, qualora tale istituto non fosse stato previsto nello stato di provenienza del bambino o non avesse avuto durata di un anno, come invece previsto dalla legge italiana. In questo modo si rischiava di non tutelare il minore che si trovava ancora nel paese di origine, non potendo il giudice italiano verificare la situazione concreta dello stato di abbandono del minore o i motivi del consenso all’adozione

10 P. Morozzo della rocca, L’adozione dei minori…, op. cit., 597.

11 B. Poletti di Teodoro, L’adozione internazionale tra tradizione e innovazione, in Il

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da parte dei genitori biologici. Altro aspetto problematico era quello delle c.d. adozioni claudicanti, fenomeno che si verificava quando il bambino rimaneva legato alla famiglia naturale in virtù di un provvedimento di adozione minus plena del paese di origine e parallelamente risultava, nel nostro ordinamento, figlio a tutti gli effetti dei genitori adottivi12.

1.3 LA NORMATIVA SOVRANAZIONALE

A livello internazionale, la centralità assunta dalle problematiche inerenti alla condizione minorile all’interno della famiglia, nonché la necessità di armonizzare le regole tra gli Stati europei e non, hanno indotto gli Stati medesimi a cooperare in materia di adozione internazionale e tutela del minore, giungendo alla stipula della Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989 e poi alla Convenzione dell’Aja del 1993.

Prima di queste convenzioni, già con la Convenzione dell’Aja del 1965 era stato raggiunto un primo importante risultato per definire la struttura normativa dei rapporti tra Stati in materia di adozione. Questa convenzione ha riconosciuto e introdotto le adozioni internazionali, ma è risultata inadeguata a vincolare tutte le parti contraenti per quanto riguardava gli effetti dell’istituto. Il provvedimento adottivo, in base alle previsioni della convenzione, risultava essere fortemente instabile, poiché era riconosciuto un sindacato diffuso tra gli Stati sullo stesso, e questo carattere di precarietà ha costituito una delle principali cause

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dell’insuccesso della Convenzione del 1965. La stessa, poi, stabiliva che non venivano modificati eventuali accordi già vigenti nei Paesi firmatari e prevedeva la c.d. clausola di riserva, in base alla quale era consentita agli Stati stessi la facoltà di non riconoscere le adozioni dichiarate13. L’evidente inadeguatezza delle norme convenzionali del 1965 ha presto portato all’approvazione della Convenzione di Strasburgo del 1967, Convenzione europea in materia di adozione di minori, che ha rappresentato un ulteriore avanzamento della disciplina dell’adozione internazionale, avviando, con l’affermazione di principi e regole comuni, il processo di armonizzazione tra i Paesi europei. È con questa convenzione che viene sancito l’attuale fine primario dell’istituto adottivo, che è quello di procurare una famiglia al minore in stato di abbandono e, da questo momento, si evidenzia come sia il bisogno del minore di crescere in una famiglia la situazione da privilegiare nel corso dell’iter adottivo, che, in seguito, approderà al rango di diritto soggettivo. Come accennato, una delle principali manifestazioni della volontà di cooperazione in tema di tutela dei minori si è avuta con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, approvata dall’O.N.U. nel 1989, che è stata ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n.179. Questa convenzione costituisce una sorta di statuto internazionale dei diritti dell’infanzia, affermando che il minore non solo deve essere protetto ma deve essere ascoltato e rispettato nelle sue opinioni e scelte esistenziali. In ogni provvedimento che lo coinvolge, il

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minore ha diritto ad essere informato ed ascoltato e deve avere la possibilità di farsi rappresentare in detti procedimenti (art. 12). Per quanto riguarda in modo specifico l’adozione, la convenzione prevede il criterio secondo cui, nelle decisioni circa i provvedimenti da prendere nei confronti del minore, vada salvaguardata l’identità etnica, religiosa e linguistica del minore (art. 20) ed esprime una chiara preferenza per la stipula di accordi tra gli Stati a garanzia del corretto svolgimento delle procedure di adozione internazionale (art. 21).

Il 29 maggio 1993 è stata poi approvata la Convenzione dell’Aja “per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale”, ratificata dall’Italia con l. 31 dicembre 1998, n. 476, che ha modificato il titolo III, capo I della l. n. 184/1983 in tema di adozione di minori stranieri. Pregio fondamentale della Convenzione è l’elevato numero di Stati che l’hanno ratificata, attualmente 9814, impegnandosi, a livello internazionale, alla cooperazione nel settore delle adozioni sulla base della disciplina minima comune ivi fissata15. Ciò ha prodotto un notevole avanzamento nel difficile processo di armonizzazione delle prassi adottive e anche nella lotta al traffico di minori e al fenomeno delle adozioni claudicanti, vincolando nel contempo i Paesi di origine e quelli di accoglienza dei minori a rispettare varie procedure operative nello svolgimento delle pratiche di adozione. Il titolo della convenzione, facendo riferimento alla “cooperazione”, mette in luce la finalità del

14 www.commissioneadozioni.it

15 P. Morozzo della Rocca, La riforma dell’adozione internazionale, Commento alla

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legislatore di prevedere un modello unico di adozione per tutti gli Stati parti, che sia attuazione dei principi fondamentali in tema di adozione e tutela dei minori16.Si è optato per la creazione di un insieme di comuni regole base di garanzia, che possano trovare attuazione nel diritto interno o negli accordi bilaterali o multilaterali tra gli Stati, visto che questi ultimi si differenziano tra loro per notevoli distinzioni culturali e socio economiche, per cui era inopportuno prevedere uno schema comune troppo rigido, difficilmente attuabile.

La Convenzione, nell’individuare l’ambito di applicazione della normativa e le situazioni che determinano la possibilità giuridica di ricorrere all’adozione internazionale, dà anche una definizione dell’istituto stesso. Indica, in senso tecnico, l’adozione internazionale come la vicenda del trasferimento di un soggetto minore d’età da uno Stato d’origine ad uno Stato di accoglienza, in virtù di un provvedimento volto a creare un legame di filiazione, in favore di coniugi o di una persona residente abitualmente nello Stato di destinazione17.

Per quanto riguarda i principi fondamentali è espressamente affermato, nel preambolo della Convenzione, che il diritto primario da tutelare è quello del minore a “crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione” per “lo sviluppo armonioso della sua personalità”. È sancito quindi il principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale, facendo della stessa uno strumento residuale, utilizzabile solo quando lo Stato abbia esperito inutilmente

16 Poletti di Teodoro, op. loc. ult. cit. 17 Art. 2, Convenzione dell’Aja, 1993

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tutte le misure possibili per far rimanere il minore presso la famiglia d’origine. Per garantire questo diritto e realizzare gli altri scopi dell’adozione, è necessaria la cooperazione tra gli Stati e questa è rafforzata dalla previsione, nella Convenzione, dell’esigenza di costituire in ogni Stato firmatario un’Autorità Centrale, quale mezzo di comunicazione tra le autorità dei Paesi di origine e quelle dei Paesi di destinazione dei minori. Le Autorità centrali sono incaricate di svolgere i compiti loro imposti dalla Convenzione, devono cooperare tra loro ed assumere tutte le misure necessarie per scambiarsi reciprocamente informazioni circa le discipline interne in materia di adozione per eliminare i contrasti tra le stesse e gli ostacoli che pregiudicherebbero l’applicazione effettiva della Convenzione. Le Autorità centrali sono inoltre incaricate di presiedere l’intero procedimento adottivo, anche vigilando sugli altri organismi interni che concorrono allo svolgimento dell’iter adottivo18.

È previsto, come ulteriore principio, che l’adozione, la cui conformità alle disposizioni della Convenzione sia stata certificata dall’autorità competente dello Stato ricevente, deve essere riconosciuta automaticamente dagli altri stati contraenti19.

Emerge, da quanto sinora affermato, che la Convenzione ha enunciato i principi fondamentali, generali e comuni in materia di adozione internazionale, da rispettare in ogni Stato firmatario, favorendo tuttavia,

18 Capo III- autorità centrali e organismi abilitati, Convenzione dell’Aja, 1993 19 Art.23 Convenzione dell’Aja, 1993

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le convenzioni bilaterali e multilaterali tra gli Stati stessi, volte a integrare di contenuti e perfezionare lo schema tracciato dalla stessa20.

Sul piano regionale è, infine, da rilevare come il Consiglio d’Europa, all’inizio del nuovo secolo, ha evidenziato che l’adozione internazionale è un istituto che facilmente si presta a strumentalizzazioni a danno dei diritti fondamentali del minore, in mancanza di un sistema di cooperazione tra gli Stati a garanzia degli stessi diritti. Preso atto quindi, che molti Stati Membri non hanno ratificato la Convenzione dell’Aja del 1993, il Consiglio d’Europa ha riunito un Comitato di Esperti sul diritto di famiglia, sotto l’autorità del Comitato europeo di Cooperazione giuridica, per elaborare un progetto con la finalità di armonizzare il diritto sostanziale degli Stati e adeguare la normativa sull’adozione ai cambiamenti sociali e giuridici che si sono verificati in Europa dalla fine del 1960 e alla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Così, il 27 novembre 2008, il Consiglio d’Europa ha approvato e aperto alle firme la Convenzione europea sull’adozione di minori, a revisione della precedente Convenzione di Strasburgo del 1967. Questa convenzione si propone di dare sostegno alla Convenzione dell’Aja, garantendo che le adozioni non disciplinate da quest’ultima, perché effettuate da Stati non firmatari, siano comunque regolate da principi e norme conformi a quelli sanciti all’Aja e, in particolare, con il principio del superiore interesse del minore. Va riconosciuto il merito, ai redattori della nuova convenzione, di aver previsto talune regole idonee a

20 V. Giorgianni, L’adozione internazionale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da

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realizzare uno standard minimo di garanzie e uniformare la normativa dei singoli Stati. Nonostante queste e l’esplicito riferimento al superiore interesse del minore in varie disposizioni, il testo della nuova convenzione è stato, però, criticato21, poiché ritenuto superficiale e non idoneo a realizzare un rafforzamento della tutela dell’infanzia in difficoltà rispetto alle previsioni della precedente Convenzione del 1967. A sostegno di queste critiche sono portate come esempio le previsioni della revocabilità dell’adozione (art. 14 conv.), la matrice consensuale dell’istituto (art. 5 conv.), la possibilità che la domanda di adozione sia presentata da uno solo dei componenti della coppia (art. 10), l’ammissibilità generalizzata di altre forme di adozione ad effetti più limitati” (art. 11, conv.), che apre, così, indiscriminatamente, all’introduzione nel circuito europeo dell’”adozione mite” e dell’”adozione aperta”. Tutte queste motivazioni hanno indotto molti ad auspicare che lo Stato italiano non ratifichi la convenzione e ne denunci al Consiglio d’Europa i contenuti insoddisfacenti e potenzialmente dannosi, invitando a realizzare un testo di più alto profilo, che sia in linea con l’evoluzione della società nel settore della protezione dell’infanzia22.

21 P.G. Grosso, La nuova convenzione europea sui diritti dei minori, in Prospettive

assistenziali, n.167, 2009.

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1.4 LA NORMATIVA DI DIRITTO INTERNO

Al vertice delle fonti del diritto positivo del nostro ordinamento è importante ricordare quanto disposto da alcuni articoli della Costituzione in tema di famiglia.

Tra i principi enunciati nella Carta costituzionale si colloca quello di cui all’art. 29 Cost. che riconosce i “diritti della famiglia come società fondata sul matrimonio” e che suscita oggi il problema di come debba essere interpretata la disposizione scritta in anni lontani dai nostri in un contesto sociale di riferimento certamente molto diverso da quello dell’Italia odierna.

Sicuramente più rilevante, per il tema qui affrontato, è la chiave di lettura del rapporto tra i minori e i genitori fornita dall’art. 30 Cost., il quale stabilisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio e avverte che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La dottrina23 ha osservato giustamente come già il Costituente intendesse garantire il diritto del minore a crescere nella famiglia e favorire l’inserimento dei bambini in stato di abbandono presso famiglie disposte ad accoglierli ed allevarli.

Rileva, infine, il principio previsto dall’art. 31, secondo il quale la Repubblica, mediante aiuti economici ed altre provvidenze, mira, nei limiti del possibile, a rafforzare e non sostituire i nuclei familiari più

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deboli. La normativa in materia di adozione dei minori realizza, quindi, un considerevole stadio di attuazione dei principi costituzionali.24

Per quanto riguarda la disciplina specifica dell’adozione internazionale attualmente in vigore in Italia, questa è contenuta nel Titolo III della l. n. 184/1983 (l. adoz.), come modificato dalla l. n. 476/1998 e successivamente anche dalla l. n. 149/2001. Con la l. n. 476/1998 il nostro legislatore ha provveduto a dare esecuzione alla Convenzione dell’Aja del 1993 sulla cooperazione interstatuale nei procedimenti di adozione internazionale e, facendo ciò, non soltanto ha trasfuso nel sistema giuridico italiano i principi affermati dalla Convenzione, ma ne ha anche predisposto gli strumenti di attuazione.

La collocazione della disciplina dell’adozione internazionale nell’ambito della l. n. 184/1983 rende doverosa una sua interpretazione sistematica con la disciplina dell’adozione di minori italiani. I due istituti, infatti, nonostante le differenze che hanno determinato la loro evoluzione, sono retti da identici principi e sono orientati dalla medesima ratio: la tutela del diritto del minore alla famiglia25.

Tale scopo è quello di garantire ai minori in stato di abbandono un ambiente idoneo a divenire la loro famiglia, sia dal punto di vista giuridico che esistenziale.

Sempre per quanto riguarda l’interpretazione del sistema di adozione internazionale, è importante rilevare come la l. adoz., all’art. 29, prevedendo che l’adozione di minori stranieri debba aver luogo

24 P. Morozzo della Rocca, L’adozione dei minori …, op. cit., 592. 25 M. Petrone, L.4.5.1983, n.184…, op. cit., 158.

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conformemente ai principi e secondo le direttive della Convenzione dell’Aja, impone un’interpretazione adeguatrice con cui adattare il significato delle disposizioni della legge italiana al significato di quelle di rango superiore contenute nella convenzione.

Tra i principi alla base dell’istituto dell’adozione internazionale, come affermati dalla Convenzione e recepiti dalla l. adoz., troviamo innanzitutto il principio di sussidiarietà dell’adozione, la quale deve essere, quindi, il rimedio estremo in caso di mancanza o assoluta inadeguatezza della famiglia di origine a prendersi cura del fanciullo26. Questo principio è affermato anche per l’adozione nazionale interna, ma nel caso di quella internazionale si consolida ulteriormente in forza delle problematiche relative alle differenze culturali, etniche, linguistiche e religiose che lo spostamento dal Paese di origine a quello di accoglienza comporta27. Perché il principio di sussidiarietà sia rispettato, è necessario che si instauri una procedura di verifica dello stato di abbandono del bambino e dell’impossibilità assoluta e irreversibile, nonostante tutti i tentativi di aiuto esperibili, di essere allevato nella famiglia di origine. Questo caposaldo della normativa è rilevante anche perché tende ad impedire, attraverso un messaggio profondamente etico, prima ancora che giuridico, che gli Stati c.d. industrializzati, profittando della gravità delle condizioni economiche di alcuni paesi, possano fare pressione per ottenere l’adozione, invece di svolgere una corretta politica di cooperazione internazionale, ispirata alla solidarietà.

26 Art. 1, L. n. 184/1983

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Tra gli altri principi a garanzia del minore, ai quali gli Stati si obbligano mediante la convenzione, e che quindi ritroviamo anche nella legge italiana, vi è il principio del consenso validamente e liberamente prestato, nel senso che esso non può essere ottenuto dietro corrispettivo di alcun genere; è sancito poi il principio di parità, secondo cui, sia in caso di adozione internazionale che nazionale, debbano essere accertati gli stessi requisiti di idoneità degli adottanti (art. 5, l. adoz.); è inoltre affermato il diritto, sia del minore che della famiglia biologica, di essere informati e assistiti, da soggetti competenti, circa le conseguenze dell’adozione, al fine di agevolare il buon esito delle procedure28. Come affermato dalla Convenzione dell’Aja, per l’attuazione di questi principi-base dell’istituto dell’adozione internazionale è imprescindibile un sistema di cooperazione tra gli Stati di origine e gli Stati di accoglienza, basato sulla previsione compiti minimi comuni attribuiti ad ogni Stato e, sul piano formale, del riconoscimento automatico, in ciascuno Stato parte, delle sentenze straniere di adozione conformi ai principi della Convenzione. Per rendere effettivo il sistema di cooperazione è prevista l’istituzione in ogni stato di un’Autorità centrale e, a tal proposito, la l. adoz. italiana ha istituito la Commissione per le adozioni internazionali, con lo scopo appunto, di garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione. Sempre nella promozione della maggiore tutela del minore la legge ha introdotto nuovi soggetti con ruoli significativi nell’iter procedurale e apportato alcuni cambiamenti nelle funzioni di altre figure già esistenti.

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Come già anticipato, il legislatore ha ritenuto opportuno novellare parzialmente la l. n. 184/1983, dopo la riforma del 1998, anche con la l. 28 marzo 2001, n. 149, al fine di attualizzarne la disciplina. Tra le principali novità apportate, si rileva, in primo luogo, la sostituzione del titolo della legge da “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento” in “Diritto del minore ad una famiglia”. Secondo taluni il mutamento del titolo assume fondamentale importanza, evidenziando l’intenzione del legislatore di focalizzare l’attenzione sull’interesse del minore, che è, in prima istanza, quello di essere educato nell’ambito della propria famiglia, e non può essere ostacolato dalle condizioni di indigenza della stessa29. Altri, invece, hanno osservato l’inopportunità della modifica del titolo della legge, affermando che così il legislatore ha voluto sottolineare un principio, quello sopra indicato, che, in linea astratta, appariva già fortemente scontato30. La legge prevede, a favore della famiglia, interventi di sostegno e di aiuto nei limiti delle “risorse finanziarie” ma, è proprio quest’ultimo inciso che, secondo i critici, evidenzia la ridondanza e l’atecnicità del linguaggio usato dal legislatore. Sostengono infatti che, come è noto, un diritto che non sia esigibile, non è un diritto in senso tecnico e, considerando la riduzione, qualitativa e quantitativa, degli interventi di sostegno sociale alle famiglie assicurati dai servizi territoriali negli anni seguenti alla emanazione della legge, concludono

29 M.A. Ianniccelli, L’adozione, in Diritto della famiglia, a cura di S. Patti e M.G.

Cubeddu, 2011, 875.

30 A. Finocchiaro, Il minore al centro della riforma (che lo lascia fuori del processo).

Nella nuova disciplina principi solenni ma norme mal formulate, in Dir. e Giust.,2001, 13, 8.

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che il legislatore ha sì affermato formalmente il principio ma questo è poi sostanzialmente mortificato31.

Con la l. n. 149/2001, sono state poi rafforzate le norme in tema di ascolto del minore. Come detto in precedenza, è stata la Convenzione di New York del 1989 a positivizzare per la prima volta il diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano. Tale previsione è stata poi ribadita dalla Convenzione dell’Aja del 1993 attraverso la ricerca del consenso del minore all’adozione nonché la considerazione dei suoi desideri e delle sue opinioni32. L’affermazione di tale diritto è uno dei punti fondamentali del “rivoluzionario” passaggio dalla concezione arcaica delle esigenze degli adottanti quale fulcro del procedimento di adozione all’attuale modello incentrato sulla tutela dell’interesse del minore. Attraverso l’obbligatorietà di informare il minore, consultarlo e fornirgli informazioni circa le conseguenze di eventuali provvedimenti a suo favore, l’ascolto dell’interessato rappresenta il riconoscimento di una nuova posizione del minore stesso nell’ambito dei diritti della persona33. Il legislatore italiano, con la l. n.

149/2001 ha recepito gli impulsi sovranazionali, affermando che, ogni volta in cui sia prevista l’audizione dell’adottando, questo debba essere ascoltato anche se di età inferiore ai 12 anni, in considerazione della sua capacità di discernimento34 da valutare nel caso concreto e dal punto di vista giuridico, cioè considerata come idoneità del minore a compiere

31 P. Morozzo della Rocca, L’adozione dei minori…, op. cit., 598. 32 Art. 4, Convenzione dell’Aja, 1993

33 C. Ghionni, Adozione internazionale…, op. cit., 144. 34 art 15, l. n. 184/1983, come novellata dalla l. n. 149/2001

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delle scelte inerenti alla sua persona, in assenza di condizionamenti esterni. Inoltre, il minore che abbia compiuto i quattordici anni deve sempre esprimere il proprio consenso circa i provvedimenti da assumere quale, ad esempio, la dichiarazione di adottabilità, come previsto dall’art. 7, l. adoz.. L’introduzione dell’obbligatorietà dell’ascolto elimina la discrezionalità del giudice, riconosciuta in precedenza nella parte in cui la disposizione prevedeva che il minore “poteva essere sentito, se opportuno”.

Non è una novità, invece, la riserva circa la valutazione dello psicologo sull’impatto del coinvolgimento del minore sul proprio equilibrio psico-emotivo. Come confermato dalla Suprema Corte35, infatti, l’audizione del minore è obbligatoria sempre che non gli arrechi danno. La stessa Corte di Cassazione ha inoltre affermato che l’ascolto del minore rientra tra gli adempimenti necessari in ossequio al principio del contraddittorio e deve costituire la prima fonte di convincimento del giudice36.

La riforma della filiazione di cui alla legge n. 219/2012 e con il d. lgs. n. 154/2013 ha reso, infine, l’ascolto del minore sempre obbligatorio, salvo che il giudice lo ritenga in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo37, rendendolo così uno dei principi fondamentali che regolano il nostro diritto di famiglia e dei minori. L’ascolto, infatti, può costituire veramente la base su cui realizzare,

35 Cass. sez.un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in NGCC, 2010, 307. 36 Cass., 21 novembre 2014, n. 24863, in Giur. It., 2015, 1865. 37 Art. 336-bis, c.c.

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rispettando le inclinazioni del minore e seguendo le sue aspirazioni, uno sviluppo sano e armonioso del minore stesso38.

Una critica39 può, tuttavia, essere mossa contro il legislatore italiano che, nel recepire il diritto di ascolto del minore, si è astenuto dal precisare le modalità di esecuzione dell’ascolto stesso. Le più recenti indicazioni europee richiedono, infatti, che vengano utilizzate determinate forme di relazione con il minore e un linguaggio idoneo alla sua età per agevolarlo ad esprimersi consapevolmente40. Nella giurisprudenza italiana è, invece, comune la prassi di misurare la capacità di discernimento esclusivamente in base all’età, supponendo che maggiore è l’età, maggiore è il grado di maturazione, limitando però le possibilità di prendere in considerazione la posizione del bambino. Considerando l’importanza dell’opinione del minore per l’affermazione dei suoi diritti e gli indirizzi sovranazionali, sarebbe stato, quindi, preferibile svincolare l’ascolto dall’età e dalla capacità di discernimento in favore dell’utilizzo delle metodologie più idonee, in relazione alle capacità del bambino, per l’acquisizione della sua più sincera volontà.

Altra novità apportata dalla legge del 2001 è stata l’introduzione del contraddittorio già nelle prime fasi del procedimento per la dichiarazione di adottabilità del minore, assente nella disciplina precedente, che prevedeva invece un giudizio camerale non contenzioso e la possibilità

38 L. Rossi Carleo, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, 5.

39 F. Parente, L’ascolto del minore: i principi, le assiologie e le fonti, in Rass. dir. civ.,

2012, 459.

40 Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri

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di difesa dei genitori o dei parenti del minore era possibile solo con opposizione al decreto di adottabilità.

Al fine di adeguare la disciplina ai mutamenti sociali, in particolare al significativo aumento del numero di coppie di fatto, la legge ha, poi, modificando il requisito di cui all’art. 6, l. adoz, introdotto la possibilità di includere, nel calcolo del triennio di unione matrimoniale richiesto, anche il periodo di convivenza more uxorio, a seguito dell’accertamento della sua continuità e stabilità da parte del Tribunale per i minorenni, a garanzia del diritto del minore di entrare a far parte di un nucleo familiare solido.

È da segnalare, infine, che, sempre nell’ottica della tutela dei diritti del minore, è stata modificata anche la disciplina in materia di accesso alle informazioni sulle origini dell’adottato. L’argomento, per le implicazioni ulteriori che si presentano nell’adozione internazionale, sarà approfondito nel secondo capitolo.

Completato l’inquadramento normativo dell’adozione e, in particolare, dell’adozione internazionale, alla luce anche delle continue evoluzioni che si sono succedute nel tempo e dei principi affermati, è possibile procedere con lo studio, più nel dettaglio, dei presupposti dell’adozione internazionale, come elaborati nel corso degli anni da dottrina e giurisprudenza, e delle varie fasi in cui si sviluppa l’iter procedimentale, approfondendo gli aspetti più nuovi e talvolta controversi dell’istituto.

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CAPITOLO 2

IL PERCORSO DELL’ADOZIONE

INTERNAZIONALE

2.1 I PRESUPPOSTI DELL’ADOZIONE INTERNAZIONALE

Il sistema dell’adozione internazionale, disciplinato nel nostro ordinamento dalla l. adoz. n. 184/1983, come modificata dalla l. n. 476/1998 nel recepire la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993, risulta fondato su tre pilastri fondamentali che reggono la struttura dell’istituto: i due presupposti necessari e inderogabili per l’adozione e il ruolo indispensabile svolto dell’Autorità Centrale, come introdotto dalla Convenzione, per garantire la sussistenza dei presupposti e assicurare il rispetto dell’interesse del minore e dei suoi diritti fondamentali41.

Le due condizioni di procedibilità dell’adozione internazionale individuate dalla Convenzione dell’Aja e dalla legge di ratifica attengono sia all’adottando che agli aspiranti genitori adottivi. Con riguardo a tali presupposti richiesti, anche alla luce dei lavori parlamentari, è evidente che la ratio ispiratrice del legislatore è quella di garantire la parità di trattamento dei minori, sia che vengano adottati con la procedura nazionale42 che con quella internazionale43; di conseguenza, sia nella

41 C. Ghionni, Adozione internazionale…, op. cit., 51. 42 Art. 27, l. n. 184/1983

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disciplina dell’adozione c.d. domestica che di quella internazionale, i requisiti richiesti in capo agli adottanti e all’adottando sono gli stessi e consistono nell’idoneità all’adozione dei coniugi richiedenti44 e, per quanto riguarda il minore45, nello stato di adottabilità46.

2.2 REQUISITO DELL’ADOTTANDO: LO STATO DI ADOTTABILITA’

Il primo presupposto essenziale per avviare il percorso dell’adozione internazionale attiene alla posizione dell’adottando e consiste nella dichiarazione dello stato di adottabilità del minore da parte della competente Autorità straniera del Paese d’origine. La rigorosa verifica dello stato di abbandono del bambino all’interno della sua famiglia biologica è determinante al fine della giusta applicazione del principio di sussidiarietà dell’adozione47.

La Convenzione dell’Aja afferma, infatti, nel suo preambolo, che il minore ha diritto ad essere educato nell’ambito della propria famiglia naturale, riconosciuta quale luogo privilegiato per lo sviluppo della sua personalità48. Solamente quando ciò non sia possibile e a causa dello stato di abbandono non sia contemplabile il reinserimento nella stessa, l’unica soluzione prospettabile per il soddisfacimento del suo interesse a vivere

44 Artt. 6 e 29-bis, l. n. 184/1983 45 Artt. 7 ss., l. n. 184/1983

46 Giorgianni, L’adozione internazionale, op. cit., 3992. 47 Giorgianni, L’adozione internazionale, op. cit., 3997

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in un contesto stabile e armonioso e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono propri, è quella dell’adozione da parte di una famiglia che sostituisca quella di origine. L’adozione è quindi un rimedio estremo, esperibile solamente quando sia accertata, mediante un’attenta indagine da parte dei soggetti competenti, una situazione di abbandono non superabile con alcuno strumento di aiuto e sostegno.

Il legislatore convenzionale attribuisce allo Stato di origine del minore il compito di individuare le circostanze che, tenendo conto dei fattori culturali e psicosociali, integrano lo stato di abbandono e dichiarare, quindi, l’adottabilità del minore49.

In particolare il giudizio sull’adottabilità, sia che secondo la legge dello Stato di provenienza consegua ad uno stato di abbandono, sia che consegua ad un modello consensuale, deve essere autonomamente certificato dall’Autorità competente dello Stato stesso.

In base alla previsione del legislatore convenzionale, la dichiarazione dello stato di adottabilità presuppone l’accertamento del consenso delle persone, istituzioni e autorità che devono, in base alla normativa del paese di origine del minore, esprimersi sull’adozione. Segnatamente, per i familiari è necessario che il consenso prestato sia pieno ed informato, cioè fondato su informazioni chiare e complete ottenute anche grazie ad una consulenza mirata ad illustrare le conseguenze definitive dell’adozione, quale, nella maggioranza degli Stati, come nel nostro, la cessazione di ogni legame giuridico tra il minore e la sua famiglia

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biologica. Al fine di garantire il rispetto del modello consensuale è indispensabile che l’autorità competente verifichi, ai sensi dell’art. 4 della Convenzione dell’Aja, che il consenso sia prestato liberamente, senza pagamento o contropartita di alcun genere, sia stato espresso o attestato per iscritto, non sia stato revocato e, se richiesto alla madre, sia stato prestato solo successivamente alla nascita del bambino.

In armonia con la Convenzione di New York del 1989, la Convenzione dell’Aja, all’art. 4, riconosce al minore un’attiva partecipazione nella realizzazione della sua adozione, misurata sulla sua età e maturità, prevedendo che questi sia assistito e informato adeguatamente sulle conseguenze, tenuto conto dei suoi desideri e delle sue opinioni.

La determinazione dello stato di adottabilità, essendo rimessa alla normativa dei singoli Paesi d’origine è delle più varie, in considerazione dei diversi contesti socioculturali50. Nonostante il riconoscimento del consenso dei genitori naturali o dei rappresentati legali dei minori quale requisito di fondo nella gran parte delle legislazioni nazionali51, come constatato dal Capo dell’Autorità centrale svizzera, i criteri applicati variano talmente da un Paese d’origine all’altro che è arduo ottenere una visione d’insieme delle prassi in vigore. Tale difficoltà è rafforzata dal fatto che, sebbene alcuni Paesi abbiano compiuto progressi e informino i Paesi d’accoglienza sulla quantità e sui bisogni dei minori adottabili, in

50 H. Boéchat, Prospettive dell’adozione internazionale, in Prospettive assistenziali,

2006, 155.

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particolare per quanto concerne l’età e la salute, più spesso sono i Paesi di accoglienza, tramite i propri enti autorizzati, a dover provvedere a raccogliere le necessarie informazioni52.

Alla luce di quanto detto è interessante, quindi, vedere gli orientamenti seguiti da alcuni Stati da cui provengono molti dei bambini adottati da persone italiane.

In Colombia, secondo il Còdigo del la Infancia y la Adolescencia, l. n. 1098/2006, sono adottabili i minori di diciotto anni in presenza del consenso dei genitori biologici o in seguito all’intervento dell’autorità amministrativa, che abbia accertato l’incapacità dei genitori di ottemperare al loro dovere di garanzia dei diritti del minore, o del procuratore familiare sulla base di una dichiarazione di infermità mentale a carico dei genitori. Infine, nell’inerzia dei suddetti soggetti, lo stato di adottabilità può essere dichiarato dall’autorità giudiziaria. In ogni caso, determinata la volontà di procedere all’adozione, è previsto l’intervento di una équipe psicosociale che provveda a fare una relazione sulla condizione del minore. Una volta che il provvedimento di adottabilità è passato in giudicato, viene trascritto nei registri dello stato civile e registrato nel Sistema de Informatiòn Misional in modo da rendere disponibile l’informazione nel sistema delle adozioni53.

Nell’ordinamento vietnamita, nonostante le recenti normative introdotte per conformarsi alle previsioni della Convenzione dell’Aja, sono tuttora presenti particolarità legate all’assetto economico-sociale del Paese. La

52 Boéchat, Prospettive dell’adozione…, op. cit. 53 Ghionni, Adozione internazionale…, op. cit., 53 e ss.

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normativa di riferimento, n. 52/2010/QH12, individua un’ampia categoria di minori adottabili, promuovendo in particolare l’adozione degli orfani, dei bambini in stato di abbandono e dei minori in ogni stato di bisogno. Alla base del procedimento vi è il sistema dei consensi secondo il quale l’adozione può avvenire in presenza di un consenso prestato liberamente e mai prima del quindicesimo giorno di vita del bambino. La normativa individua analiticamente i passaggi del procedimento, che in Vietnam è di tipo amministrativo, e i documenti necessari per la domanda di adozione. Il provvedimento di adozione internazionale ha natura amministrativa ed è trascritto in Italia senza la previsione di un periodo di affidamento preadottivo54.

In Brasile, in base alla l. n. 12/2009, i minori possono essere adottati solo se dichiarati in stato di abbandono, o se i loro genitori naturali sono stati destituiti dalla potestà genitoriale, oppure se gli stessi o il tutore legale hanno prestato validamente il proprio consenso all’adozione. Se l’adottando ha più di 12 anni deve dare il suo consenso55.

Il sistema di adozione internazionale delle Filippine, regolato dalla l. n. 8043/1995, prevede che possano essere dichiarati adottabili dal Dipartimento per lo Sviluppo Sociale e il Benessere (DSWD) solo i minori di 15 anni, nati da genitori sconosciuti, o giuridicamente abbandonati o i cui genitori o il legale rappresentante abbiano acconsentito all’adozione; è inoltre stabilito che il minore che abbia compiuto dieci anni debba prestare il suo consenso scritto all’adozione56.

54 Ghionni, op. loc. ult. cit.

55 www.commissioneadozioni.it

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In particolare l’Autorità centrale privilegia, tra i numerosi minori con particolari necessità, l’adozione di quelli tra i cinque e quindici anni o facenti parte di gruppi di fratelli positivi all’epatite B o all’HIV, o con disabilità. Per incoraggiare l’adozione di tali minori l’Autorità invia la documentazione relativa agli enti internazionali affinché questi ricerchino i genitori adottivi più appropriati57.

Relativamente al nostro ordinamento, la normativa, novellata da ultimo dalla l. n. 149/2001, afferma all’art. 8 la necessità di accertare lo stato di abbandono del minore derivante dalla privazione di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, per attribuire allo stesso bambino la condizione giuridica del c.d. stato di adottabilità. Il legislatore ha rinunciato a specificare la clausola generale dell’abbandono per l’impossibilità di un’esaustiva elencazione delle cause e perché una rappresentazione meramente esemplificativa delle stesse avrebbe probabilmente creato incertezze interpretative58.

La previsione normativa59 sottolinea la necessità di un accertamento formale da parte del giudice della situazione concreta. Attraverso un’istruttoria per l’acquisizione degli elementi fattuali e mediante l’attività interpretativa verrà individuato, di volta in volta, se la condizione del minore rientra nella clausola generale dello stato di abbandono. L’accertamento in base al caso concreto è funzionale al rispetto del principio di sussidiarietà, poiché con tale istruttoria è

57 Boéchat, Prospettive dell’adozione…, op. cit.

58 P. Morozzo della Rocca, L. 4.5.1983, n.184 – Titolo II: Dell’adozione, in

Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2010, 58.

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possibile filtrare le situazioni di vero e proprio stato di abbandono che conducono all’adozione, ed escludere dalla stessa procedura i casi di bisogno, che pur sempre necessitano di aiuto, ma che sono di minore gravità e consentono al minore di rimanere nell’ambito della propria famiglia60. Secondo tale indirizzo lo stato di abbandono è una situazione caratterizzata, oltre che dalla gravità, anche dalla irreversibilità, considerata quale impossibilità di qualsiasi miglioramento. La norma afferma, infatti, che non sussiste lo stato di abbandono qualora la mancanza di assistenza sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.

Chiarito che gli indici sintomatici dello stato di abbandono non sono individuati dal legislatore, per avere un’idea generale degli stessi è utile esaminare la prassi giurisprudenziale.

La Suprema Corte di Cassazione evidenzia il necessario accertamento dell’effettiva compromissione degli interessi del minore. Non rileva infatti, la volontà o meno dei genitori di mantenere il figlio presso di sé; se la prosecuzione del legame pregiudica in modo grave e irreversibile lo sviluppo psico-fisico del minore, tale legame deve essere sciolto61. È stato più volte ribadito dalla giurisprudenza questo principio secondo cui lo stato di abbandono sussiste non solo nell’ipotesi in cui la famiglia naturale non voglia o non possa occuparsi del figlio, ma anche ogni qualvolta risulti l’incapacità di assicurargli quel minimo di cure materiali

60 C. Ghionni, Adozione internazionale…, op. cit., 59. 61 Cass. 25 giugno 1990, n. 6423, in Giur. It., 1992, I.

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e supporto psicologico necessari per lo sviluppo armonico e sereno della personalità del minore62.

Coerentemente con quanto osservato, la giurisprudenza sostiene che, ai fini della dichiarazione di adottabilità, è irrilevante l’ipotesi di un’insufficienza fisica o mentale dei genitori se essa è compensata nell’ambiente familiare nel quale, nonostante il problema, non viene meno l’adempimento dei doveri genitoriali63.

Per determinare lo stato di abbandono, il comportamento dei genitori nei confronti del minore deve essere inconciliabile con i diritti-doveri loro imposti dagli artt. 147 c.c. e 30 Cost. e deve comportare una diretta conseguenza dannosa sullo sviluppo del bambino64. Tuttavia, lo stato di abbandono non sussiste e l’adottabilità non può essere dichiarata qualora risulti probabile che le problematiche riscontrate nella famiglia di origine possano essere superate in tempi brevi, anche mediante il sostegno dei Servizi sociali65. Come affermato frequentemente in dottrina66, ad esempio, qualora la carenza si manifesti solo per l’assistenza materiale, cioè dei mezzi di sostentamento adeguati, non si può considerare la prole in stato di abbandono se, attraverso gli interventi di assistenza previsti dall’ordinamento, sia verosimile un recupero della stabilità e dell’armonia della famiglia.

62 Cass. 24 novembre 2003, n. 17198 63 Cass. 9 gennaio 1998, n. 120 64 Cass. 5 novembre 1998, n.11112 65 App. Milano, 5 gennaio 1990

66 L. Sacchetti, Il commentario dell’adozione e dell’affidamento, Rimini, 1986, 107; L.

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È necessario sottolineare, infine, che “stato di abbandono” e “adottabilità” non indicano lo stesso concetto. Se è vero, infatti, che il primo è presupposto necessario per la dichiarazione di adottabilità, vi sono ipotesi in cui, accertato lo stato di abbandono, il minore non è comunque adottabile. Un esempio di tale ipotesi è previsto dall’art. 7, co. 2, l. adoz, che, declinando il generale diritto del minore ad essere ascoltato e poter esprimere le proprie preferenze67, pone il divieto di adottare il minore che abbia compiuto i quattordici anni quando egli non dia il suo consenso, considerato, in ogni caso, il dovere di sentire il minore che abbia compiuto dodici anni o anche infradodicenne in considerazione della sua capacità di discernimento.

Per quanto riguarda la segnalazione di situazioni di abbandono, è previsto che chiunque abbia la facoltà di avvertire l’autorità pubblica. È sancito, però, un obbligo di segnalazione in capo ai pubblici ufficiali, agli incaricati di pubblici servizi e agli esercenti servizi di pubblica utilità, che vengano a conoscenza della situazione in ragione del proprio ufficio. Questi soggetti devono informare il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e l’omissione di tale segnalazione è penalmente sanzionata.

67 P. Stanzione, Adozione e capacità di discernimento, in Diritto alla famiglia e minori

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2.3 REQUISITO DEGLI ADOTTANTI: IDONEITA’ AD ADOTTARE Il secondo presupposto necessario per l’adozione internazionale è la dichiarazione di idoneità ad adottare dei coniugi richiedenti. Ai sensi della normativa vigente, tale dichiarazione segue all’accertamento della presenza delle condizioni individuate all’art. 6 della l. n. 184/1983, cioè le medesime richieste per l’accesso all’adozione di minori italiani, e si ha con l’emanazione del decreto di idoneità all’adozione da parte del Tribunale per i minorenni.

La suddetta norma richiede agli aspiranti genitori, oltre ad adeguate capacità di accoglimento che devono essere valutate dal servizio territoriale e dal giudice, la sussistenza di determinati requisiti personali oggettivati, cioè il vincolo coniugale e l’età. Questi sono requisiti astratti previsti dalla legge al fine di rendere la famiglia adottiva conforme ad un modello socialmente tipico e limitare la discrezionalità del giudice nel valutare la concreta capacità genitoriale della coppia, riguardo a quel minore che potrebbe essere loro affidato68.

La disposizione afferma che possono adottare i coniugi, con o senza figli, uniti in matrimonio da almeno tre anni, durante i quali non deve aver luogo separazione personale neanche di fatto. A seguito della nuova formulazione della disposizione, il requisito della stabilità triennale del rapporto può ritenersi realizzato anche quando i coniugi provino davanti al Tribunale per i minorenni l’ininterrotta convivenza prima del

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matrimonio per tre anni. È quindi ragionevole considerare che il requisito dei tre anni possa essere raggiunto computando sia il periodo di convivenza prematrimoniale sia quello conseguente al matrimonio69. Con la novella del 2001 sono state in parte attenuate le ragioni di critica che si erano avute negli anni precedenti anche alla luce della sempre maggior diffusione delle convivenze more uxorio. Ad esempio il Tribunale per i minori di Genova aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 6, nella parte in cui non prevedeva la possibilità, in nessun caso, di computare per il calcolo dei tre anni il periodo della convivenza70. La Corte Costituzionale aveva però dichiarato l’infondatezza della questione affermando che rientra nella discrezionalità del legislatore riconoscere alla convivenza more uxorio alcune conseguenze giuridiche o meno71.

La scelta del legislatore italiano di attribuire al matrimonio il valore di prerequisito per poter procedere alla valutazione in concreto dell’idoneità della coppia lascia scontenti sia gli aspiranti genitori adottivi che vorrebbero mantenere un regime di convivenza more uxorio, sia coloro che vorrebbero adottare con effetti pieni pur essendo single.

I primi fanno presente come i casi di separazioni, divorzi e annullamenti siano molto frequenti anche dopo tre anni di rapporto continuativo,

69 M. Trimarchi, Adozione e famiglia di fatto, in Adozioni, di M. Trimarchi, Milano,

2004, 225.

70 Trib. Min. Genova, 27 gennaio 1993, in Dir. Fam., 1993, 968. 71 Corte Cost., 6 luglio 1994, n. 281, in Giust. Civ., 1994, I, 2706.

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dunque la famiglia di fatto non può essere considerata, solo per l’assenza del legame coniugale, meno stabile delle coppie sposate.

Quanto all’adozione da parte dei single, attualmente è possibile solo nel caso di adozione in casi particolari di cui all’art. 44, l. adoz.. Tali soggetti rivendicano però il diritto ad una adozione con effetti pieni e legittimanti. Sostengono, infatti, attraverso l’esempio dei molti casi di famiglie naturali monoparentali o riferendosi alle diverse normative di Stati con ordinamenti simili al nostro, la loro idoneità a crescere ed educare figli anche senza la presenza di un compagno.

Dalla previsione normativa della recente l. n. 76/201672 che esclude espressamente, all’art. 1, co. 20, l’applicabilità della legge sull’adozione ai partner di una unione civile registrata, risultano altresì insoddisfatti gli aspiranti genitori adottivi omosessuali, che pure rivendicano la loro idoneità all’adozione.

L’interprete avrà, al riguardo, opinioni divergenti a seconda del punto di vista adottato: chi considera il superiore interesse del minore in una logica di massima protezione sociale sosterrà l’opportunità del requisito matrimoniale, considerato quale espressione di massima garanzia di stabilità e rassicurante normalità relazionale per il fanciullo; diversamente, l’interprete che sceglie come angolo visuale la teoria dei diritti, in particolare se in chiave prettamente antidiscriminatoria, affermerà conveniente riconoscere formalmente l’eguale diritto di

72 L. 20 maggio 2016, n.76, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso

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adottare delle coppie di fatto e del single, a prescindere dall’orientamento sessuale73.

La scelta del nostro legislatore di richiedere il matrimonio come requisito per poter procedere con l’adozione è al centro di ampio dibattito, sia per la continua evoluzione del concetto di famiglia, che si amplia sempre di più e si allontana dalla definizione data dall’art. 29 della nostra Costituzione, sia per il confronto con le normative degli altri Paesi e delle previsioni sovranazionali in tema di adozione. L’attualità della questione e i problemi che si pongono anche per quanto riguarda il riconoscimento in Italia degli effetti dell’adozione dichiarata in Stati che prevedono requisiti diversi da quelli della nostra legislazione, rendono interessante l’analisi di casi pratici e delle pronunce in materia da parte di giudici nazionali e non. Il tema sarà quindi approfondito più avanti nel presente elaborato, portando come esempi le più importanti e recenti pronunce giurisprudenziali.

Per quanto riguarda l’idoneità “in concreto” di cui al secondo comma dell’art. 6, come modificato dalla novella del 2001, è richiesto che i coniugi siano, oltre che capaci di educare, istruire e mantenere il minore da un punto di vista materiale, anche “affettivamente idonei”, cioè capaci dal punto di vista morale di prendersi cura del minore stesso, caratteristica questa che è carente nella famiglia di origine. Diviene quindi fonte privilegiata di effetti giuridici un elemento di per sé non giuridico, quello del “saper voler bene”74 ed è da considerare irreprensibile la scelta di

73 P. Morozzo della Rocca, L’adozione dei minori…, op. cit., 626. 74 Morozzo della Rocca, L. 4.5.1983, n.184…, op. cit., 45.

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sottolineare che la nuova famiglia debba essere idonea a rappresentare per il minore il nuovo punto di riferimento affettivo su cui poter confidare per lo sviluppo della sua personalità75.

Relativamente ai requisiti di età il terzo comma dell’attuale art. 6 prescrive che l’età degli adottanti debba superare di almeno diciotto anni e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando. Prima della modifica del 2001, la Corte Costituzionale si è più volte pronunciata a modificare il vecchio testo ammettendo la possibilità, in particolari casi concreti e sempre in considerazione dell’interesse del minore, di derogare ai requisiti di età. La riformulazione della disposizione da parte del legislatore del 2001 ha esteso il differenziale di età da quaranta a quarantacinque anni e ha ulteriormente ampliato le possibilità di deroga riconosciute dalla Consulta. Fermo restando che il limite di età può essere altresì derogato qualora il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e inevitabile per il minore, è espressamente prevista la possibilità di adottare anche per il soggetto che ha fino a cinquantacinque anni più del minore, se il coniuge rientra nel limite dei quarantacinque anni; è riconosciuta, inoltre, la capacità di adottare, prescindendo dai limiti d’età, dei coniugi che hanno figli di età minore dell’adottando o nel caso di adozione di un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato.

Considerando la capacità di adottare è innegabile che, a fronte dell’ampliarsi della speranza di vita e dell’attività biologica e sociale

75 E. Bargelli, Art. 6, in La nuova legge sull’adozione, di Franchi, Schipani, Bianca

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